Nel Pd devono avere provato molta gelosia nei confronti del Movimento 5 Stelle. Hanno sentito Di Battista parlare da Lucia Annunziata, hanno visto il casino che è montato tra i grillini e a quel punto si son detti: “Dai, facciamo così anche noi!”. Ci ha pensato Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, in un’intervista a Repubblica: “Ho simpatia e stima personale nei confronti di Zingaretti, e nessun pregiudizio. Non voglio affatto personalizzare la questione. Osservo però la difficoltà del Pd a essere una forza davvero riformista”. Una bomba in piena regola, lanciata (con encomiabile tempismo masochistico) contro un leader di per sé diversamente carismatico. “Io sono per l’unità, ma la concordia non può essere né un feticcio né un fine ultimo. E non può sequestrare il dibattito interno. Nessuno auspica un voto adesso, ma non possiamo accontentarci. Non credo d’essere il solo a pensare che serve un cambio di marcia e che si debba spingere sul lavoro. È un punto di vista molto diffuso tra i militanti e gli elettori del Nord”.
Ne deriva, per Gori, l’esigenza irrinunciabile del mitologico “congresso subito”. Ovviamente con un nuovo segretario. Gori, da ex craxiano ed ex (ex?) renziano, spera che il Pd torni a essere quello del 2014 (auguri). Altri, dentro al partito, sognano Bonaccini o Sala. Senz’altro il Pd di oggi (ma pure di ieri) non è carne né pesce. Senz’altro la difesa del governo non significa immobilismo. E senz’altro Zingaretti ha una propensione all’assenza al cui confronto Mina è una gran presenzialista. Ciò non toglie che l’uscita di Gori sia politicamente suicida e suoni come l’ennesimo assist alla destra. Nonché come l’ennesima coltellata a Conte. Difficile confutare le parole di Andrea Orlando: “È scritto nei manuali. Se dopo una pandemia (forse non ancora conclusa) nel pieno di una crisi economica e dopo due scissioni un partito riesce quasi a raggiungere la principale forza avversaria la cosa migliore da fare è una discussione su un congresso che non c’è. #astuzia”.
Bettini e Rossi hanno difeso Zingaretti, ma non è che nel Pd si siano stracciate le vesti per proteggere l’attuale segretario e la sua linea (ove esistente) politica. Dentro questo gran casino c’è una sola certezza: mentre Salvini annaspa come un pugile suonato e sbaglia tutto tra mascherine vilipese e ciliegie trangugiate, la maggioranza gioca con successo (degli altri) a sabotarsi da sola. Il M5S è diviso tra governisti e movimentisti. Il Pd è dilaniato tra zingarettiani e no. E quel che resta dei renziani, cioè meno di niente, pensa bene di calare la pregiatissima carta Scalfarotto come governatore della Puglia (povera Puglia). Scalfarotto ha detto di voler combattere i populismi di destra e grillini, dimenticandosi con ciò almeno quattro cose.
1) Nessuno è più populista di Renzi e renziani.
2) I grillini populisti sono gli stessi con cui Scalfarotto governa e grazie ai quali è (purtroppo) Sottosegretario agli Esteri.
3) Uno come Scalfarotto non lo vota manco il gatto.
4) Con questa mossa, appoggiata dalla regina delle elezioni Bonino e da quel Calenda che parla malissimo di Renzi ma poi ci si accorda, Scalfarotto fa un regalo a Fitto. Indebolendo Emiliano (che Renzi odia) e agevolando il centrodestra (di cui Renzi fa sentimentalmente parte). Il governo gode della fiducia della maggioranza degli italiani e Conte è per distacco il politico più amato, stando almeno ai sondaggi, ma tre partiti governativi su quattro passano il tempo a prendersi a schiaffi da soli. Con viva gioia di una delle peggiori destre d’Europa. Complimenti!
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