Visualizzazione post con etichetta Paragone. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Paragone. Mostra tutti i post

martedì 21 luglio 2020

Aspettando gli aiuti di Paragone. - Gaetano Pedullà



Tra i fenomeni da circo della politica italiana quest’estate va di moda il numero della testa nella bocca del leone. La capoccia ovviamente non è quella di Lorsignori ma la nostra, che secondo mezzo Pd e i soliti Renzi, Calenda e Berlusconi (sempre più anime di uno stesso partito) dovremmo  infilare nella tagliola del Mes, cioè i prestiti europei che se non restituiti sono riscossi con proverbiale gentilezza dalla Troika. Mentre il Presidente del Consiglio Conte si fa il mazzo per convincere il Consiglio d’Europa che il Recovery Fund è fondamentale e urgente per non far saltare il Paese, qui gli remiamo contro facendo intendere che mezzo Parlamento per il momento si accontenterebbe pure del Mes. Il nostro arcinemico nel vertice sui fondi Ue, l’olandese Rutte, ringrazia.
Chi batte tutti per tempismo è però l’ex giornalista Paragone, un miracolato dai Cinque Stelle che l’hanno fatto eleggere senatore, e dal cui gruppo si è allontanato quasi subito, prima di essere formalmente espulso, casualmente dopo non aver ottenuto la presidenza della Commissione parlamentare sulle banche. Paragone da qualche giorno girovaga per Londra, dove è riuscito ad incontrare il leader della Brexit, Nigel Farage, con cui si sarebbe messo d’accordo per lanciare l’Italexit, cioè l’uscita dell’Italia dall’Unione europea. Cosa non si fa, d’altronde, per salvare la cadrega, in questo caso raccogliendo un po’ di voti da portare nella Lega, tanto Salvini sull’Europa dice peste e corna ma poi il coraggio di dire ai suoi amici imprenditori del Nord che vuole trascinarci fuori dall’Unione (e dall’euro) non ce l’ha. Mentre La Notizia va in stampa non si sa ancora come finisce il vertice Ue. La resistenza dei Paesi meno solidali, Olanda in testa, è stata strenua e in altri tempi l’Italia sarebbe rimasta a bocca asciutta. Stavolta, invece, grazie a un lavoro diplomatico certosino, pare che Conte riesca a strappare 200 miliardi tra prestiti e aiuti a fondo perduto. Aspettiamo che Paragone e Farage (quello che non voleva tirar fuori un soldo di Londra) ce ne diano di più.

giovedì 3 ottobre 2019

Franza o Spagna - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 3 Ottobre:

L'immagine può contenere: 1 persona, con sorriso

Da quando esistono i 5Stelle, lo sport preferito dei giornaloni è annunciare “rivolte”, sommosse, fughe di massa, esodi biblici, fino alla morte sicura del Movimento, poi regolarmente rinviata a data causa bel tempo.

Certo, ogni tanto qualcuno se ne va, spontaneamente o spintaneamente. E chi rimane spesso mugugna a favore di telecamera. L’altro giorno abbiamo intervistato la senatrice Gelsomina Vono, passata senza fare un plissè dal M5S a Renzi perché lei è “oltre Di Maio”, ma già anche “oltre Renzi” e trova appetitose pure le idee di Salvini.

Franza o Spagna purché se magna, e lei di certo magnerà meglio, potendo finalmente tenersi lo stipendio intero. Vicenda doppiamente penosa: sia perché fu selezionata da Di Maio (come tutti i 5S all’uninominale) non tra gli iscritti, ma tra gli indipendenti della “società civile” (veniva dall’IdV); sia perché, essendo un’avvocata e non una scappata di casa, sapeva bene di candidarsi nel movimento più incompatibile col renzismo (schiforma costituzionale, giustizia, grandi opere, ambiente, politiche sociali).

Un po’ come il prode capitano Gregorio De Falco, altro indipendente eletto col M5S, poi passato al gruppo misto e firmatario ad agosto della mozione Sì Tav della Bonino, come se avesse scoperto solo allora che i 5Stelle sono No Tav.

O come Gianluigi Paragone, che scopre con alti lai la politica delle alleanze annunciata da Di Maio addirittura nel 2017 e non aveva mosso un sopracciglio nel 2018 quando fu offerto un contratto al Pd prima che alla Lega.

Per non parlare dei grillini che ora tuonano contro la piattaforma Rousseau, cui devono l’elezione. O contro il capo politico, come se lo eleggessero loro e non gli iscritti, che hanno plebiscitato Di Maio due volte in due anni. O contro le intese col Pd per il governo e per l’Umbria, come se la prima non fosse stata approvata all’unanimità dai gruppi parlamentari e dall’80% degli iscritti e la seconda dal 60%.

Chi scrive non s’è mai iscritto neppure a una bocciofila perché già fatica a rispettare il Codice penale e quello della strada, e non sopporta altre regole. Ma chi s’iscrive a una bocciofila, un club, un circolo, un movimento, un partito, ne accetta le regole. Se poi cambia idea, dovrebbe fare mea culpa sul proprio petto, non su quello altrui; e rinunciare ai soldi e ai privilegi che, grazie a quelle regole, ha accumulato.

C’è però una lezione anche per chi quelle regole le scrive. Si possono aprire le porte agli esponenti della società civile, poi si può minacciarli con tutte le multe perché non voltino gabbana. Ma resta un problema insormontabile: i candidati saranno sempre italiani.