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venerdì 3 aprile 2020

Coronavirus, il vaccino è un cerotto. - Giuliana Aluffi


Coronavirus, il vaccino è un cerotto

Il gruppo dell'Università di Pittsburgh è lo stesso che ha messo a punto il vaccino per la Sars. Tra loro, l'italiano Andrea Gambotto, che abbiamo intervistato. "Sui topi funziona, la Fda ci autorizzi a passare all'uomo". In 5 mesi si potrebbe cominciare la produzione.

Una piccola puntura - anzi, 400 micropunture erogate da sottilissimi aghetti disposti su un cerotto largo 1,5 centimetri - sul braccio o sulla spalla, e l'immunità al virus SARS-CoV-2 può svilupparsi entro due settimane, per raggiungere entro altre 3-4 settimane un livello di anticorpi sufficiente a contrastare in modo decisivo il virus. È questo il vaccino sperimentale - "PittCoVacc", il primo descritto in uno studio peer-reviewed - sviluppato da ricercatori della School of Medicine dell'Università di Pittsburgh, centro di eccellenza nella lotta alle malattie emergenti. I ricercatori - tra cui l'italiano Andrea Gambotto e Louis Falo di UPMC (University of Pittsburgh Medical Center) - sono gli stessi che nel 2003 hanno realizzato il primo vaccino in assoluto contro un coronavirus emergente (in quel caso si trattava della SARS, e quel vaccino non fece in tempo ad essere sperimentato sull'uomo perché la SARS si eclissò da sola) e hanno poi studiato nel 2014 un vaccino per un altro coronavirus, la MERS.

La stessa proteina chiave per Sars e per l'attuale Coronavirus.

"Con la SARS già nel 2003 avevamo identificato la proteina chiave che dobbiamo usare come target anche per il nuovo SARS-Cov-2: la proteina "spike", ovvero quella che forma le punte (in realtà più simili a minuscoli ombrelli) di cui è composta la corona del virione e che serve al virus per entrare nelle cellule legandosi ai loro recettori. La proteina "spike" è una specie di chiave che il virus usa per entrare nelle cellule: se blocchi quella chiave, puoi fermare il virus", spiega Gambotto a Repubblica. "Il successivo lavoro sulla MERS ci ha permesso poi di trovare la via più efficace per somministrare il vaccino, ovvero i microaghi". I 400 microaghi sono lunghi 0,5 millimetri e larghi 0,1 millimetri, sono fatti di carbossimetilcellulosa (polimero derivato dalla cellulosa) e quando entrano nella pelle si sciolgono liberando la proteina "spike". "A questo punto il sistema immunitario si rende conto che è un corpo estraneo al nostro organismo e inizia a produrre gli anticorpi contro di essa -  spiega Gambotto - quando poi la persona vaccinata viene infettata dal virus, gli anticorpi ingloberanno rapidamente le particelle del virus e bloccheranno l'infezione".

La pelle prima barriera.

La scelta di questo sistema di somministrazione ha a che fare con il fatto che la pelle è la prima barriera del nostro corpo contro virus e batteri. "È come la muraglia di un castello, e proprio per questo è ben presidiata dal sistema immunitario: la pelle è uno dei posti migliori per generare una risposta immunitaria rilevante, superiore a quella che si ha iniettando nel muscolo -  sottolinea Gambotto - un altro vantaggio è che se si inietta un vaccino nel muscolo, questo si diluisce in tutto il corpo, quindi per generare una risposta forte serve una maggiore quantità di vaccino. Invece l'iniezione attraverso la pelle tramite microaghi è localizzata: c'è una concentrazione del vaccino molto più elevata, tutte le cellule immunitarie vanno ad attaccare l'invasore e basta una quantità minore di vaccino per dare l'immunità".

Minore quantità di vaccino.

La minore quantità di vaccino  - ne serve tra 1/5 e 1/10 di quello che servirebbe con una classica iniezione con siringa - richiesta è un vantaggio soprattutto quando bisogna produrre quantità enormi di vaccino per rispondere all'emergenza di una pandemia. E il particolare sistema di iniezione tramite i microaghi è un altro punto di forza del vaccino studiato a Pittsburgh: "I microaghi proteggono la proteina spike, liberando i medici dalla necessità di conservare il vaccino attraverso la catena del freddo - sottolinea Gambotto - questo significa che il vaccino è più facilmente trasportabile anche nelle zone più povere del pianeta". I risultati sperimentali sui topi sono promettenti: un test dopo due settimane dall'iniezione del vaccino mostra che i topi hanno già sviluppato anticorpi specifici contro il Sars-Cov-2. "Gli anticorpi maturano progressivamente, diventano più potenti e selettivi contro il virus, e dopo 5-6 settimane dalla prima iniezione se ne sviluppa una quantità sufficiente ad arrestare la malattia - spiega Gambotto - naturalmente dovremo condurre la sperimentazione clinica per assicurarci che quanto abbiamo visto nei topi possa replicarsi anche nell'uomo: entro 1-2 mesi - a seconda della celerità della FDA americana nell'autorizzarci - dovremmo essere in grado di far partire la sperimentazione clinica, che - magari limitata agli studi di fase 1, vista l'emergenza mondiale della pandemia - potrebbe concludersi entro altri 2-3 mesi. La sperimentazione clinica ci aiuterà a calibrare la dose giusta di vaccino che può essere efficace con l'uomo. Se questa fase si concluderà con successo, il vaccino potrebbe essere pronto per la produzione industriale entro 5 mesi da ora".

https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2020/04/02/news/coronavirus_il_vaccino_e_un_cerotto-252966328/

domenica 11 ottobre 2015

Nell'ospedale dove iniziò il chirurgo Marino: "Così chiudemmo ogni rapporto". - Corrado Zunino

Nell'ospedale dove iniziò il chirurgo Marino: "Così chiudemmo ogni rapporto"

Parlano i medici del centro universitario di Pittsburgh in cui lavorò il sindaco: "Ha cominciato a operare con noi, gli abbiamo affidato il centro di Palermo. Poi abbiamo scoperto le doppie note spese e i suoi rapporti con altri ospedali americani". Tra le fatture, la ricarica per una stilografica: otto euro, chiesti due volte.

PITTSBURGH. Al 600 di Grant street dicono che quel nome - Ignazio Marino - vogliono solo dimenticarlo. "Era un chirurgo, trapiantava organi. Non era indispensabile, ci ha creato tanti problemi". Davanti alla fontana che spruzza acqua rosa, sotto la sede distribuita su venti piani, parlano due dirigenti del Medical center universitario di Pittsburgh, l'Upmc che gestisce venti ospedali nella Pennsylvania dell'Ovest e trentotto centri oncologici negli Stati Uniti: "Il dottor Marino si è formato da noi, ha iniziato a operare con noi, gli abbiamo affidato il centro di Palermo, una frontiera in Europa. Poi abbiamo scoperto le doppie note spese, i suoi rapporti con altri ospedali americani. Gli abbiamo imposto le dimissioni dall'Ismett di Palermo e non avremmo voluto più occuparci di quella storia, né del medico italiano. Avremmo solo sperato nel silenzio".

Invece quel medico italiano, 650 trapianti in carriera, 213 pubblicazioni, ambizioso non solo come clinico, a 51 anni è stato fatto senatore, a 54 si è candidato alla guida del Partito democratico  (perdendo) e a 58 si è lanciato nella campagna per diventare sindaco di Roma, mayor come dicono qui. E ha vinto. "Eravamo sorpresi che della storia degli ottomila dollari contestati non si fosse detto più nulla, ma noi non avevamo alcun interesse a sollevare un caso", dicono ancora gli amministrativi subito dopo aver chiesto di non essere citati.

L'Upmc aveva chiuso ogni rapporto con il dottor Marino come tante volte succede, e invece a tredici anni di distanza "siamo di nuovo qui". A riprendere in mano vecchi dossier, rileggere audit interni che rimandano a scontrini fiscali. "Sì, dopo tredici anni confermiamo: il dottor Marino aveva creato una doppia contabilità per le spese di trasferta. Una richiesta di rimborso la consegnava al suo centro di Palermo, l'Ismett appunto, e una alla nostra sede. Avevamo prove evidenti che la cosa fosse andata avanti per mesi e che fosse una scelta consapevole, non un caso, tanto meno un errore. Abbiamo agito subito, allora. Il 6 settembre 2002 inviammo un fax all'ospedale di Palermo e il dottor Marino nell'arco di mezza giornata controfirmò tutte le nostre condizioni. Aveva chiesto lui di dimettersi alcune settimane prima, il sei settembre abbiamo accettato senza esitazioni. Abbiamo chiuso lì ogni rapporto: uno dei nostri quattromila medici aveva perso la nostra fiducia, ma la carriera politica del dottor Marino non ci ha mai permesso di abbandonare quel dossier".

E' qui, dove la confluenza di Allegheny e Monongahela forma il fiume Ohio, non lontano dal Canada, che Ignazio Marino ha conosciuto i primi guai con le ricevute per le cene, qui che ha subito un oltraggio alla sua carriera e al consolidato orgoglio. Cresciuto sfiorando un nume tutelare della trapiantologia moderna, Thomas Starzl, che nel 1963 innestò il primo fegato su un bimbo di tre anni, nel 1997 Marino riuscì a farsi affidare da Jeffrey A. Romoff la direzione dell'Istituto Mediterraneo per trapianti e terapie ad alta specializzazione, ottanta posti letto voluti a Palermo dal governatore Cuffaro e inaugurati due anni dopo.

In quelle stagioni siciliane, oltre ad operare in sala, il dottor Marino iniziò a sperimentare l'arte dell'amministrazione pubblica, palestra per una futura politica già avvistata. "Gestivo venti milioni l'anno", ha raccontato. Ma è sulle minuzie che arrivano le contestazioni. Un precedente che tornerà negli anni da sindaco, una coazione a ripetere che taglierà le gambe prima a un chirurgo scalatore e poi a un intraprendente politico. Ottomila dollari contestati in nove mesi (in attesa di controllare a ritroso i cinque anni precedenti). Una piccola cresta. Messa così, nero su bianco il 6 settembre 2002, dal superpresidente Romoff: "Riteniamo di aver scoperto una serie di irregolarità intenzionali e deliberate con note scritte da lei a mano e sebbene le ricevute siano per gli stessi enti, i nomi delle persone indicate sulle ricevute presentate a Pittsburgh non sono gli stessi di quelli presentati all'Upmc di Palermo". Dozzine di ricevute duplicate, scrisse il presidente. Irregolarità intenzionali e deliberate, sottolineò. Dimissioni immediate, da controfirmare seduta stante. "Come restituzione dei rimborsi spese doppi da lei ricevuti accetta di rinunciare a qualsiasi pagamento erogato dall'Upmc ai quali avrebbe altrimenti diritto, compreso lo stipendio per il mese di settembre 2002". Ci sono anche le ferie pagate, eventuali malattie accumulate. Nulla da pretendere per il futuro da parte del direttore Ismett per rientrare degli 8.000 dollari.

A Marino fu concessa una settimana per liberare l'ufficio di Palermo, gli venne indicato nome e cognome della persona a cui lasciare auto, chiavi dell'auto e dell'appartamento, telefonino, cercapersone, computer portatili, carte di credito aziendali, gli fu anche intimato di non fare ritorno a Pittsburgh. "Tutti i libri e i giornali acquistati da noi dovranno restare nell'ufficio di Palermo", scrisse Romoff, "e se lei deciderà di trattenerne qualcuno potrà acquistarli a un prezzo ragionevole".

Oltre alle cene, si scopre oggi, il dottor Marino chirurgo di trapianti aveva l'abitudine - secondo gli accertamenti dell'audit dell'Upmc - di mettere in doppia contabilità tutte le spese personali. "C'è una fattura, rimborsata sia a Pittsburgh che a Palermo, sulla ricarica d'inchiostro per la penna stilografica del medico". Otto euro e quaranta, richiesti due volte.

Ignazio Marino successivamente avrebbe detto che, in realtà, quei fogli erano solo un fax di presa visione, che l'università di Pittsburgh gli era diventata ostile perché lui si era accordato per un nuovo incarico direttivo con l'ospedale Thomas Jefferson di Philadelphia, che era stata una sua scelta quella di dimettersi da Palermo quando aveva scoperto che in una gara d'appalto c'era un'azienda in odor di mafia e in corsia le pressioni per favorire alcuni clinici erano diventate opprimenti. Oggi i dirigenti dell'Upmc, qui a Pittsburgh, ribadiscono: "Nel 2002 il dottor Marino controfirmò una lettera di dimissioni immediate e quelle dimissioni dipesero soltanto dalla sua condotta contabile, non c'entrano Palermo né Philadelphia. Non è neppure vero che i controlli erano partiti dopo una segnalazione del medico, fu un'iniziativa del nostro audit di fronte a conti che non tornavano. Dopo quella lettera, sottolineaiamo, non c'è stata alcuna transazione e, d'altro canto, il dottor Marino non ci hai mai querelato né per falso né per danni subiti". Querela che, pure, il medico aveva promesso.

Il chirurgo romano riottenne, con la mediazione dell'avvocato Vittorio Angiolini, il pc utilizzato all'Ismett, alcune pubblicazioni e studi in archivio a Palermo. Tre anni dopo il senatore sarebbe riuscito a prendere 90 mila euro di risarcimento da parte di quattro giornali italiani e tredici giornalisti. Il Tribunale civile di Milano aveva riconosciuto un danno alla sua carriera nei modi in cui l'offesa di Pittsburgh era stata raccontata.


http://www.repubblica.it/politica/2015/10/09/news/nell_ospedale_dove_inizio_il_chirurgo_marino_ci_ha_creato_tanti_problemi_-124730271/

mercoledì 12 settembre 2012

Dalla Ruhr a Bilbao: le città che hanno detto basta all’inquinamento. - Salvatore Cannavò


Duisburg, Duisburg-Nord Industrial Landscape Park
Dortdumnd c’è il Museo della birra, a Duisburg un grande parco naturale costruito sulle ceneri dell’acciaieria. A Pittsburgh va forte il settore biomedico mentre a Bilbao è stato costruito il Guggenheim, tra i musei più importanti al mondo. Non sappiamo se l’Ilva possa essere davvero riqualificata ma in giro per il mondo le esperienze non mancano. Del resto, l’ipotesi di chiudere una produzione inquinante conservando i posti di lavoro, è talmente bella e interessante da non poter essere respinta. Poi, però, se si pensa alla riqualificazione di Bagnoli a Napoli, chiusa nel 2002 e in cui la gara d’appalto per la bonifica degli arenili è stata aggiudicata solo lo scorso maggio, è comprensibile che ci si voglia tenere la fabbrica che c’è.
Eppure, le esperienze di riqualificazione industriale, fatte sul serio e in profondità, non mancano. A cominciare dall’Europa e dal paese più industrializzato di tutti, la Germania, dove negli anni Ottanta è stato messo a punto il piano di riconversione dell’area della Ruhr, la storica regione che ha miscelato enormi bacini minerari e impianti siderurgici e che ha dato risultati di rilievo nonostante la Germania, con oltre 44 milioni di tonnellate, sia il primo produttore europeo dell’acciaio.
Il piano della Ruhr è stato stato davvero imponente dovendosi occupare di circa 6000 ettari di aree industriali dismesse, una dimensione pari al 70 per cento delle aree abbandonate della Germania dell’Est. Il processo ha visto l’intervento diretto dello Stato e delle autorità locali con una serie di finanziamenti straordinari, ma soprattutto con l’attivazione dei fondi europei e di sviluppo regionale con un costo complessivo superiore ai 2 miliardi di euro.
Dortmund - Casino
Oggi, a Dortmund i minatori sono scomparsi, ma la città ha una grande vitalità essendo divenuta capitale europea della cultura nel 2010. La cokeria, uno dei luoghi di produzione siderurgica più inquinanti, dismessa nel 1992, è stata trasformata in un percorso museale così come è stato allestito il museo della birreria accanto al teatro dell’opera, della prosa, ai musei Ostwall e Adleturm.
Un’altra città industriale, Duisburg, è stata il principale porto per il trasporto del carbone e dell’acciaio della Ruhr. Ora ha un grande parco naturale nella parte nord dove la sera i vecchi altiforni vengono illuminati da luci al neon mentre il club alpino tedesco ha trasformato il vecchio bunker che fungeva da magazzino per il ferro in una parete per arrampicate. L’ex gasometro dal diametro di 45 metri, invece, è stato riempito d’acqua diventando il più grande sito artificiale sottomarino d’Europa che ora viene esplorato da centinaia di sub.
Anche Bilbao era sommersa dai fumi e dall’inquinamento delle officine metallurgiche e dei cantieri navali. Ma mentre si esaurivano le miniere di ferro e la cantieristica navale emigrava nell’est asiatico, nel 1997 è stato aperto il museo Guggenheim che nel primo anno di attività ha attirato 100 mila visitatori l’anno. Oggi sono diventati un milione. A voler ripetere “l’effetto Bilbao” è la città di Metz, in Francia, capitale di quella Lorena mineraria storicamente contesa dalla Germania. Qui, il Centre Pompidou, primo esempio di “decentralizzazione” museale – la casa madre resta infatti a Parigi – al secondo anno di vita ha festeggiato i 600mila visitatori e costituisce l’ipotesi per ridare vita, tramite l’arte e il turismo, a una città devastata dalla crisi economica.
Bilbao - Museo Guggenheim
Ma l’esempio più riuscito è forse quello di Pittsburgh, negli Stati Uniti, centro industriale dal 1850 al 1980 quando l’industria pesante entra in crisi. Le grandi industrie vengono così riconvertite in produzione per la robotica, la biomedicina, l’ingegneria nucleare, la finanza e i servizi. Tutto questo produce un giro di affari di circa 11 miliardi di dollari. Pittsburgh è ora la sede di Google mentre il Pittsburgh Medical Center dà lavoro a oltre 48.000 persone. Gli occupati degli istituti di medicina occupano circa 116’000, il 10 per cento di tutta la forza lavoro. E nel 2009 la città ha organizzato il G20.
File:PittSkyline082904.jpg
Pittsburgh - Pennsylvania
Pista ciclabile, tra Dortmund e Duisburg (RUHR, Germania)
Pista ciclabile, tra Dortmund e Duisburg (RUHR, Germania)
Il Fatto Quotidiano, 10 Agosto 2012