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mercoledì 6 gennaio 2021

Poltrone, valigie e alti ideali. - Antonio Padellaro

 

Pure ieri le ministre di Italia Viva, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, hanno comunicato al Paese di avere “le valigie pronte”, a conferma dell’estrema gravità di una decisione che è politica e non certamente legata alle “poltrone”. Esse infatti si dicono pronte a “lasciare” a un segnale del loro leader e mentore, Matteo Renzi. Tra le suppellettili più o meno figurate del potere, le valigie e le poltrone ricorrono spesso, quasi sempre in simbiosi poiché come nel caso in esame si fanno le valigie quando si lasciano le poltrone, o viceversa. E nel lasciare le poltrone – se animati da quello spirito di servizio che certamente ispira la ministra dell’Agricoltura e quella per le Politiche della famiglia – non si esita, non si indugia, non si rimugina, non si ritarda neppure di un minuto, tanto è vero che le valigie sono là belle che pronte, presumibilmente accanto alle poltrone.

Una simbologia che denota un deciso e lodevole distacco dagli orpelli del comando, dalle tentazioni terrene – oh vanitas vanitatum – ma che tuttavia possono lasciare irrisolte alcune domande sulle modalità del drammatico abbandono. Curiosità niente affatto banali considerata l’eccezionalità del duplice e coordinato gesto all’interno di un costume politico generalmente poltronista e arraffone. Per esempio, poiché è da almeno un paio di settimane che le ministre hanno fatto sapere che “le valigie sono pronte”, ci auguriamo che nel frattempo abbiano avuto un cambio di abiti a portata di mano. Anche perché, su certi principi, Matteo non transige: quando uno annuncia lascio la poltrona la lascia e basta. Non è che dice che se perde il referendum si ritira dalla politica, e poi non si fa niente (forse perché non aveva preparato il trolley).

Poi c’è lo straordinario caso di Ivan Scalfarotto, sottosegretario agli Esteri di Iv, che afferma: “Io le dimissioni le ho già date a febbraio, ma Renzi mi ha detto di aspettare”, ed è la pura verità. Dunque è quasi un anno che, a causa di una disposizione contraddittoria, costui ha lasciato la poltrona, ma non ancora la stanza dove si presume sosti restando in piedi (ogni tanto forse una corsetta per sgranchirsi le gambe) con accanto un nécessaire

con il rasoio e lo spazzolino. Potete immaginare perciò la disperazione del poveretto quando il capo ha dichiarato a Conte “non vogliamo strapuntini”, che un riposino se lo sarebbe pure meritato. Questa, per sommi capi, è la vita aspra di chi ha giurato fedeltà a un ideale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/06/poltrone-valigie-e-alti-ideali/6056713/#

giovedì 17 dicembre 2020

La testimone: “Bonomi disse ‘Pagavo Salvini sempre cash’”. - Stefano Vergine

 

Soldi & poltrone in casa Lega.

“Il nero che gli imprenditori versavano veniva utilizzato a volte per la campagna elettorale degli esponenti politici e veniva gestito senza passare dalle casse del partito. Ad esempio ricordo che Bonomi, in quota Lega per la Sea, diede 20.000 euro in contanti a Salvini, circostanza che mi venne riferita dalla Dagrada”. Era il 29 maggio 2013 quando Francesco Belsito pronunciava queste parole nel carcere milanese di San Vittore, interrogato dai magistrati della Procura di Milano che all’epoca lo indagavano per appropriazione indebita, per lo scandalo dei soldi del partito usati per le spese personali sue e di Umberto Bossi. L’accusa rivolta quel giorno da Belsito a Salvini – aver ricevuto 20 mila euro cash dal manager Giuseppe Bonomi, o almeno questo gli avrebbe riferito la storica segretaria del Carroccio, Nadia Dagrada – cadde nel vuoto, e non risulta mai essere stata riscontrata dagli investigatori in tutti questi anni. Ora però c’è un’altra testimonianza, questa volta diretta, che sostiene la stessa cosa. E anzi aggiunge che quello scambio di contanti tra i due non sarebbe stato l’unico.

A raccontarlo al Fatto è un’ex dipendente della Lega Nord, che ha lavorato per quasi tutta la vita in via Bellerio prima di finire tra i 71 lavoratori lasciati a casa nel 2017 da Matteo Salvini in nome dell’austerità. La testimone, che ci ha chiesto l’anonimato, spiega di aver saputo direttamente da Bonomi dei contanti che il manager avrebbe dato al leader della Lega. “Era il 2013: Salvini era segretario della Lega Lombarda, poco dopo sarebbe stato eletto nuovo segretario federale sostituendo Roberto Maroni”, racconta.

Il manager sempreverde.

Giuseppe Bonomi, varesino classe ’58, è da sempre un manager in quota Lega. Negli anni è passato per i cda di tutte le partecipate lombarde più importanti, da Sea a Expo, ma anche di carrozzoni nazionali come Alitalia e Anas. È ancora oggi lui il boiardo di punta del partito (basta guardare la gallery di foto che in tutti questi anni lo vedono immortalato con Bobo Maroni e con Attilio Fontana). Siede nel cda di Ferrovie Nord Milano e in quello di Dufry Italia, filiale del gruppo svizzero che controlla 2.400 duty-free negli aeroporti di mezzo mondo, tra cui quelli di Linate e Malpensa. Il suo incarico principale al momento è però quello di Ad di Milanosesto Spa: la società incaricata di gestire la ricostruzione dell’area delle ex acciaierie Falck di Sesto San Giovanni, il progetto immobiliare più grande d’Italia al momento.

Come tutti i manager in quota Lega – lo abbiamo raccontato nei giorni scorsi – Bonomi sarebbe tenuto a versare al partito il 15% di quanto incassa grazie alle nomine del Carroccio. Un bonifico regolare, detraibile dalle tasse. La fonte dice però di non aver mai visto in contabilità bonifici di Bonomi. “Ufficialmente lui non versava mai niente. I suoi versamenti a me risultavano zero”. Una versione congruente con quella offerta sette anni fa da Belsito ai magistrati di Milano, Alfredo Robledo, Roberto Pellicano e Paolo Filippini. Belsito mise infatti a verbale che Salvini non versò mai i 20mila euro ricevuti in contanti da Bonomi. Dai rendiconti finanziari interni e dai bilanci pubblici del partito risulta in effetti che Bonomi, pur essendo presente nelle liste dei “nominati” della Lega, non ha mai versato un euro di donazione.

L’incontro in via Bellerio.

“Quando Salvini è diventato segretario della Lega Lombarda – continua la fonte – mandò da me Bonomi per fare un versamento. A quel punto mi stupii: non ha mai versato niente e adesso viene a versare? Io gli dissi: ‘Guardi, questo è l’Iban, faccia il contributo volontario’. Lui mi chiese quanto, e io come sempre dissi che doveva decidere lui, che era contributo volontario, e che se voleva chiedere consiglio poteva andare da altri, da Giampaolo Pradella, dallo stesso Salvini… Io stavo molto attenta a dire queste cose, perché altrimenti il contributo non era più volontario”. Ma il racconto dell’ex segretaria va avanti: “Allora gli dico: ‘Questo è l’Iban, ci faccia il bonifico, in modo che poi lo detrae anche dalle tasse’. E lui mi è saltato su: ‘Ah no, ma io a Salvini li ho sempre dati in contanti’. Al che a me è saltata la mosca al naso, e mi sono detta: ecco perché non risulta mai tra quelli che hanno versato…”. A questo punto chiediamo: erano soldi che Bonomi avrebbe donato in contanti a Salvini, e poi quest’ultimo avrebbe girato sul conto della Lega? “No, ma quali contanti alla Lega!”, risponde al Fatto l’ex dipendente. “Io non so dove li versasse quei soldi Salvini, a me Bonomi disse solo: ‘Io ho sempre dato i contanti a Salvini e vorrei andare avanti così’”. Tanto che l’allora segretaria si sarebbe infastidita: “Mi spiace – riprende lei a raccontare – qui in segreteria non funziona così, io contanti non ne prendo, non ne voglio, faccia il bonifico, arrivederci e ciao”. Contattati per un chiarimento, Salvini non ha risposto, mentre Bonomi ha smentito categoricamente la ricostruzione di Belsito e dell’ex segretaria.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/17/la-testimone-bonomi-disse-pagavo-salvini-sempre-cash/6039628/

martedì 21 luglio 2015

Uniti per spartirsi le poltrone. Alessandro Di Battista.





Sono meravigliosi. In TV Vendola dà del “fascista” a Salvini il quale risponde con un modernissimo “comunista”. In commissione invece, fuori dalla portata delle telecamere, vedi deputati di SEL e della LEGA seduti di fianco, con carta e penna. Li senti dire frasi straordinarie: “questo a te e questo a me”. "Tu segretario e io vice-presidente. Basta che al M5S non vada nulla".

Quando si tratta di rimborsi elettorali o poltrone non sono più fascisti ne comunisti. Diventano alleati. Tipo Renzi e B.

Oltretutto dovete sapere che oltre agli indegni stipendi i parlamentari che hanno cariche nelle commissioni prendono un'altra indennità. 800 euro in più al mese ai presidenti, 500 ai vice e 300 ai segretari di commissione.

Il M5S è stato escluso più o meno da tutti gli uffici di presidenza (gli organi di governo) delle Commissioni parlamentari. E sapete perché? Perché NOI ABBIAMO RINUNCIATO A TUTTE LE DOPPIE INDENNITA' DI CARICA. Vogliono i soldi ma soprattutto temono il buon esempio!

Io, il giorno stesso della mia elezione a vice-presidente della Commissione Affari esteri sono passato all'ufficio competenze per i parlamentari per rinunciare all'assegno. Oggi non mi sarà più possibile rinunciare e far risparmiare migliaia di euro all'anno ai cittadini. LEGA, SEL e FORZA ITALIA si sono messi d'accordo e si terranno tutto il malloppo. Mi raccomando, rivotateli!


https://www.facebook.com/dibattista.alessandro/photos/a.310988455679892.65829.299413980170673/735042179941182/?type=1&theater

domenica 6 aprile 2014

Casta diplomatica, niente paura per i tagli: pensione di platino al posto dell’indennità. - Thomas Mackinson

Casta diplomatica, niente paura per i tagli: pensione di platino al posto dell’indennità

Guadagnano fino a 600mila euro l'anno e costano 108 milioni di euro. Il ministro Mogherini annuncia un ddl per ridurre gli stipendi d'oro della diplomazia. Ma la riforma, a conti fatti, potrebbe portare ulteriori vantaggi alla categoria e maggiori costi per lo Stato grazie a pensioni ancora più alte.

Guadagnano fino a 600mila euro l’anno e di retribuzioni ne hanno due, quella a Roma e quella all’estero. Ma ora la musica cambia per tutti. “Basta stipendi d’oro agli ambasciatori d’Italia”, ha promesso il ministro degli esteri, Federica Mogherini, annunciando giovedì 3 aprile un disegno di legge per modificare il trattamento economico del personale diplomatico all’estero. Dopo 48 ore si scopre però che anche invertendo l’ordine dei fattori il costo della Casta non cambia. E forse, se possibile, aumenta. Il ministro ha incontrato i sindacati della Farnesina per presentare le linee guida del piano che deve essere ancora formalizzato in un documento. Le prime reazioni sono di sconcerto. Alcuni delegati sono convinti sia  un’operazione di facciata, utile a dare un contentino al Mef, al Commissario Cottarelli e all’opinione pubblica, che non intaccherà le prebende della diplomazia più costosa al mondo. Al contrario, rimodulando le voci che compongono le loro retribuzioni – in media 15-20mila euro netti al mese – l’intervento potrebbe portare ulteriori vantaggi alla categoria e maggiori costi per lo Stato. Un passo indietro. Quanto guadagna un diplomatico italiano? Due anni fa ilfattoquotidiano.it ha fornito cifre e paragoni con altri Paesi che non si potevano credere e l’economista Roberto Perotti, docente alla Bocconi, le ha confermate un mese fa: l’ambasciatore a Tokyo 27mila euro netti al mese, a Mosca 26mila, a Parigi 21mila  fino a città delMessico, dove l’ambasciatore si “accontenta” di 18mila euro. Trattamenti economici superiori a molti capi di Stato derivanti dalla somma di diverse voci.
Le principali sono il cosiddetto “stipendio metropolitano” cioè quello preso a Roma, tassato e soggetto a trattenute previdenziali, che oscilla mediamente tra i 180-200mila euro netti l’anno, più della media del dirigente pubblico nazionale. Poi c’è l’indennità di servizio estero (Ise), una voce forfettaria onnicomprensiva che varia a seconda della distanza e del coefficiente di disagio della sede, è esentasse e può raggiungere cifre stratosferiche. Mediamente 20mila euro al mese per l’ambasciatore, 13-18mila euro per i consoli. Come si modulano le due voci? Quando il diplomatico va in missione (sono 123 attualmente all’estero) la prima voce pesantemente ma tale riduzione è sostituita e compensata abbondantemente dalla seconda. L’ambasciatore a Parigi, ad esempio, come stipendio riceve “solo” 5.385 euro al mese, per di più soggetti a trattenute fiscali e previdenziali. Ma si consolerà brindando a un Ise da 15.610 euro esentasse. Così messe, non stupisce che le retribuzioni di 901 diplomatici (31 ambasciatori, 201 ministri plenipotenziari e 357 consiglieri e 303 segretari) costino allo Stato 184milioni di euro l’anno, una media per persona di 199mila euro. Poi ci sono le residenze da sogno gratis, le indennità di sistemazione e trasloco, per i famigliari a carico, per l’istruzione dei figli nelle scuole internazionali e così via. Bene. 
Quali sono le linee guida presentate dal ministro per mettere un freno a tutto questo? L’idea da tradurre in legge, secondo le indiscrezioni trapelate nella serata di venerdì, è quella di rimodulare le retribuzioni invertendo i rapporti tra stipendio base e indennità. Grosso modo dovrebbe funzionare così. Indifferentemente che resti a Roma o vada all’estero, il diplomatico italiano riceve lo stipendio metropolitano per intero,  senza decurtazioni e agli attuali livelli ministeriali. Dunque senza le riduzioni che immagina il commissario Cottarelli. Pericolo scampato. L’indennità di servizio all’estero – finora voce forfettaria onnicomprensiva – invece sarebbe abbattuta e sostituita da rimborsi scorporati e riconosciuti a fronte di spese effettivamente sostenute, a garanzia di maggiore trasparenza. Ben venga la trasparenza, certo. Ad addolcire l’amaro calice alle Feluche ci sarebbe però un effetto indiretto che sa di miele. Il calo del superbonus indennità sarà compensato da un formidabile aumento della base imponibile ai fini previdenziali. In pratica tutti e 901 i funzionari della carriera diplomatica riceveranno una pensione ancor più alta di quella che percepiscono oggi, sia che restino a Roma e sia che girino il mondo. Più che una dieta mirata, dunque, un lifting con tonico per tutta la categoria. 
Problema: come indorare la pillola anche per il Mef, che chiede ben altre riduzioni? A quanto risulta al fattoquotidiano.it si cercherà di accreditare che, assoggettando l’intero stipendio agli oneri fiscali e previdenziali, tale impianto avrà effetti positivi sulle entrate tributarie. Così al Tesoro non metteranno paletti e si potrà sostenere che l’operazione fa bene ai conti pubblici. Certo i singoli dettagli sono ancora da definire, ma il quadro generale è già abbastanza complicato da rendere difficile capirne gli effetti. Se in ambasciata la festa è finita o solo rimandata, se il sacrificio di oggi contiene in realtà un regalo più grande domani: uno stipendio d’oro che in nome del risparmio diventa una pensione di platino