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sabato 23 gennaio 2021

Lombardia, il premio ai medici è l’ingiunzione: “Restituiteci 14,7 milioni di euro d’indennità”. Pasticcio sui servizi di continuità assistenziale. - Thomas Mackinson

 

Nel pieno della seconda ondata la Regione ha preso a bussare alle ex guardie mediche per recuperare l'obolo di un euro che aveva stabilito per le visite a pazienti fuori dall'ambito in cui risiedono. Lo sconcerto dei camici di Bergamo: "La messa in mora pochi mesi dopo che i medici di famiglia sono stati mandati allo sbaraglio". La Federazione dei medici (Fimmg) fa muro e invita gli iscritti a non pagare.

Dal governatore Attilio Fontana in giù son tutti dalla parte dei medici, a parole. Regione Lombardia, che resta in stato di massima allerta, ha pensato bene di premiarli con ingiunzioni a restituire entro 30 giorni cifre che variano da poche centinaia a diverse migliaia di euro a testa, per totali 14,7 milioni. Tutto per un euro di troppo, e per un pasticcio che riporta proprio al Pirellone, per altro sul fronte della “continuità assistenziale” che si è rivelato fragilissimo alla prova del virus. Il pasticcio riguarda la remunerazione delle cure ai pazienti “fuori ambito”. Dal 2005, a livello nazionale, un cittadino che si trova al di fuori della propria zona di residenza e si rivolge alla guardia medica paga 15 euro per una visita in ambulatorio e 25 a domicilio come onorario extra per il medico. Il paziente, fattura alla mano, chiede il rimborso alla propria azienda sanitaria.

Ma in Lombardia no, si fa diversamente. Nel 2007 la Regione e i sindacati dei medici stabiliscono di cancellare il pagamento cash per i non residenti. La Regione dice “pago tutto io”, elimina i compensi extra di 15-25 euro e aumenta di un euro all’ora (da 22 a 23 euro) la tariffa riconosciuta ai medici di continuità assistenziale. Così per 13 anni, finché nel 2018 l’aumento forfettario finisce sotto la lente della Finanza di Varese, che svolge indagini e trasmette i risultati alla Procura della Corte dei conti. Perché? Perché il contratto collettivo del 2005 prevedeva per i medici una “indennità onnicomprensiva”: quindi l’aumento di un euro deciso a livello lombardo era ingiustificato. Il danno economico calcolato dalla Corte dei Conti per la regione è di minimo 14.7 milioni. A risponderne ad aprile saranno 11 dirigenti regionali lombardi.

Nel frattempo il Pirellone sospende l’accordo a maggio 2019 e inizia a lavorare per il recupero delle somme in via cautelare. Si mette in moto la macchina delle ingiunzioni via Pec che ingrana la quarta nell’autunno 2020, con le otto Ats lombarde che inviano ai medici le lettere con la messa in mora dei soldi “in più” ricevuti tra il 2007 e il 2019 per visitare pazienti di notte, nei festivi, giorno di Natale e Capodanno. Peccato che a distanza di tanti anni quelle guardie siano diventate per lo più medici di base, proprio quelli ai cui studi hanno bussato orde di pazienti covid. Non avevano il tempo di respirare, ma dovevano trovare quello per chiamare un avvocato e i sindacati per capire come fosse possibile.

“Quando ho ricevuto l’avviso mi sono cadute le braccia”, racconta Mirko Tassinari, medico di base a Bergamo, la città dove sfilavano i camion con le bare. E’ uno dei tanti camici che si è speso per fermare il Covid rischiando la vita, uno dei primi ad ammalarsi a marzo 2020. Anche lui ha avuto un passato da guardia medica tra dal 2009 al 2014. “La paga di una guardia è molto bassa, quell’euro in più la alzava di circa 1000-1500 euro l’anno”. Il calcolo è presto fatto. In virtù del “pasticcio” dovrà restituire qualcosa come 6-8mila euro. “Quello che mi fa più rabbia è che la messa in mora sia scattata pochi mesi dopo che i medici di famiglia sono stati mandati allo sbaraglio senza protezioni, senza medicinali, in quelle province dove ci sono stati il 25% dei medici ammalati per il covid. Nella mia sei sono morti”.

La categoria alza ovviamente un muro. Il segretario generale della Federazione Italiana dei Medici di Medicina generale Paola Pedrini ha affidato ai legali dell’associazione la tutela degli iscritti invitandoli a non pagare: “I nostri legali danno supporto a tutti i medici che si ritrovano l’ingiunzione tra le mani e la Federazione invita gli iscritti a non pagare”. Avete proposto impugnative e ricorsi? “In realtà no, il parere degli avvocati è che la pretesa sia tanto infondata che non è neppure necessario agire in questo senso”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/22/lombardia-il-premio-ai-medici-e-lingiunzione-restituiteci-147-milioni-di-euro-dindennita-pasticcio-sui-servizi-di-continuita-assistenziale/6066659/

mercoledì 1 aprile 2020

Inps, Conte: 'Problemi per hackeraggio del sistema'. 300mila domande in un giorno.

Il logo dell'Inps © ANSA

Tridico: "Attacchi anche nei giorni scorsi, per il sussidio non c'è fretta, non ci sarà alcun ordine cronologico per l'evasione delle richieste".

All'Inps sono giunte 100 domande al secondo, con 300mila richieste ad oggi, e questo ha creato qualche problema. Lo ha detto, a quanto viene riferito, il premier Giuseppe Conte alle opposizioni riunite a Palazzo Chigi. Il premier avrebbe spiegato che c'è stato anche un hackeraggio del sistema.
La notizia è stata confermata all'ANSA anche dal presidente dell'Inps, Pasquale Tridico. "Abbiamo ricevuto nei giorni scorsi, e anche stamattina, violenti attacchi hacker. Questa mattina si sono sommati ai molti accessi, che hanno raggiunto le 300 domande al secondo, e il sito non ha retto. Per questo abbiamo ora sospeso il sito''. "Ovviamente nei giorni scorsi - ha aggiunto - abbiamo informato le autorità di sicurezza nazionale, polizia e ministri vigilanti".
Tridico ha fatto sapere che il sito dell'Inps sarà riaperto con orari diversi per chiedere le prestazioni per patronati e consulenti e per i cittadini. "Lo riapriremo dalle 8.00 alle 16.000 per patronati e consulenti e dalle 16.00 per i cittadini".
Il disguido sul sito dell'Inps con lo scambio di identità tra gli utenti "è una cosa gravissima che non deve succedere" e "sarà oggetto di verifica", ha spiegato la vicepresidente dell'Inps Maria Luisa Gnecchi sottolineando che il disguido è durato cinque minuti. Gnecchi ha detto comunque che nessuno perderà il sussidio e che se le risorse dovessero esaurirsi saranno rifinanziate. Nessuno, ha detto, "resterà senza bonus. Cerchiamo di collaborare".
Le dichiarazioni della Gnecchi sono arrivate dopo molteplici segnalazioni che riferivano di difficoltà nell'accedere al sito dell'Inps a causa dell'enorme quantità di richieste per l'indennità ai lavoratori autonomi che hanno dovuto interrompere la loro attività a causa dell'emergenza coronavirus.
"Questo data breach è un fatto gravissimo, siamo molto preoccupati", dice il Garante per la Privacy Antonello Soro. "Abbiamo immediatamente preso contatto con l'Inps - aggiunge Soro - e avvieremo i primi accertamenti per verificare se possa essersi trattato di un problema legato alla progettazione del sistema o se si tratti invece di una problematica di portata più ampia. Intanto è assolutamente urgente che l'Inps chiuda la falla e metta in sicurezza i dati".
"Dall'una di notte alle 8.30 circa, abbiamo ricevuto 300mila domande regolari - ha affermato il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico all'ANSA -. Adesso stiamo ricevendo 100 domande al secondo. Una cosa mai vista sui sistemi dell'Inps che stanno reggendo, sebbene gli intasamenti siano inevitabili con questi numeri". 
"Nessun click day - assicura il presidente dell'Inps - non ci sarà alcun ordine cronologico e le domande potranno essere inviate anche nei giorni successivi al primo aprile collegandosi al sito e cliccando sul banner dedicato". "Come abbiamo detto più volte - afferma Tridico - le domande possono essere fatte per tutto il periodo della crisi, anche perché il Governo sta varando un nuovo provvedimento sia per rifinanziare le attuali misure sia per altre".
Altre misure sono già attive, come il bonus babysitter e il congedo speciale covid, la procedura cig è attiva dalla scorsa settimana.
Su Twitter il vicesegretario del Pd Andrea Orlando, dopo le notizie degli attacchi hacker ai siti dell'Inps e dello Spallanzani, ha scritto: "Alcune infrastrutture strategiche sono state sotto attacco di hacker. Bisogna subito convocare il Copasir per chiedere al Dis quale reazione è in atto. Questi sciacalli vanno fermati immediatamente". 
"Possiamo anche pensare che il sito Inps abbia subito un attacco hacker, circostanza che andrà valutata con gli accertamenti e con la velocità con cui le autorità competenti si muoveranno, ma è evidente che la procedura è stata messa in piedi in pochissimo tempo e forse non si è avuta la possibilità di testarla a sufficienza e renderla più sicura": è il parere di Gabriele Faggioli, presidente del Clusit, l'Associazione italiana per la Sicurezza Informatica. "Magari si sono unite diverse circostanze ma appena ho letto dei problemi degli utenti ho pensato ad un bug".
AGENZIA DELLE ENTRATE: Aiutare chi lavora in nero, ma no ai condoni. Lo dice a Circo Massimo, su Radio Capital, il direttore dell'Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, spiegando che "mai come in questa fase è giusto dire che non si può lasciare nessuno indietro. Le fasce di popolazione che vivono ai margini vanno sostenute, e il governo sta cercando di introdurre le misure necessarie. Non è una questione fiscale ma una questione di equità". "Non è allo studio" invece, una nuova "pace fiscale", come quella proposta da Matteo Salvini.
INPS: La domanda per il bonus autonomi, secondo le istruzioni pubblicate dall'Inps in una circolare, potrà invece essere presentata sul sito Inps anche con il Pin semplificato che si può chiedere proprio per queste richieste. La ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo ha annunciato che con il decreto di aprile si rifinanzierà la misura per aprile e maggio ampliandone probabilmente l'importo. La ministra ha annunciato anche di star lavorando a un reddito di emergenza. Si guarda al reddito di cittadinanza e alla revisione di alcuni requisiti per ottenerlo legati al patrimonio immobiliare. La misura sarebbe temporanea. Ecco in sintesi cosa prevedono le regole sull'indennità e chi riguardano:
LAVORATORI INTERESSATI: sono interessati all'indennità di 600 euro i lavoratori autonomi (commercianti, artigiani e coltivatori diretti), i liberi professionisti non iscritti a casse di previdenza obbligatoria, i collaboratori coordinati e continuativi, i lavoratori stagionali e quelli dello spettacolo.
600 EURO A MARZO, VERSO AUMENTO PER APRILE E MAGGIO: l'indennità non contribuisce alla formazione del reddito e quindi non può essere tassata. Non dà luogo a contribuzione figurativa (come la cassa integrazione, anche in deroga).
DOMANDA ALL'INPS CON PIN SEMPLIFICATO: la domanda andrà fatta per via telematica con il Pin, lo Spid, la Carta nazionale dei servizi o la carta di identità elettronica. Chi non ha il Pin può chiedere un Pin semplificato accorciando i tempi di arrivo. In alternativa si può usare il Contact center o i patronati. L'accredito arriva sul conto corrente.
RISORSE PER QUASI TRE MILIARDI: per i collaboratori e i liberi professionisti titolari di partita Iva ci sono 203,4 milioni; per i commercianti, gli artigiani i coltivatori diretti, i mezzadri e i coloni iscritti alla gestione speciale dei lavoratori autonomi lo stanziamento è di 2.160 milioni; per i lavoratori stagionali, del turismo e degli stabilimenti termali le risorse ammontano a 103,8 euro; per gli operai agricoli a tempo determinato lo stanziamento è di 396 milioni mentre per i lavoratori dello spettacolo lo stanziamento è di 48,6 milioni. Se si considerano le risorse per un mese potrebbero avere il bonus circa 4,8 milioni di lavoratori.
PER LAVORATORI SPETTACOLO LIMITE REDDITO: potranno chiedere l'indennità anche i lavoratori dello spettacolo purché abbiano versato nel 2019 almeno 30 contributi giornalieri e non abbiano avuto un reddito superiore a 50.000 euro. Questi lavoratori non devono essere titolari di rapporto di lavoro dipendente al 17 marzo per chiedere l'indennità.
INCOMPATIBILITA' E INCUMULABILITA': l'Inps ricorda che queste indennità non sono cumulabili e che sono incompatibili non solo con la pensione ma anche con il reddito di cittadinanza, la cosiddetta Ape sociale e con l'assegno ordinario di invalidità. L'indennità è invece cumulabile con la Naspi per i lavoratori dello spettacolo e per quelli stagionali. Il bonus è cumulabile anche con le erogazioni monetarie derivanti da borse lavoro, stage e tirocini.

mercoledì 6 giugno 2018

Taglio indennità parlamentari, alla Camera via libera al testo unificato: da 5.000 euro netti a 5.000 lordi al mese. - Antonio Pitoni

Taglio indennità parlamentari, alla Camera via libera al testo unificato: da 5.000 euro netti a 5.000 lordi al mese

In commissione Affari costituzionali adottata la proposta della relatrice Roberta Lombardi (M5S). Prevista una sforbiciata anche ai rimborsi di soggiorno nella capitale. Che non saranno più corrisposti ai parlamentari residenti a Roma. Tutte le spese, da quelle di viaggio a quelle per l’esercizio del mandato, dovranno essere documentate. Previste nuove norme per la trasparenza. Il provvedimento dovrebbe arrivare in Aula entro ottobre. La deputata M5S: “L’abolizione dei privilegi della Casta torna al centro del dibattito”.


Riduzione dell’indennità parlamentare, sforbiciata ai rimborsi per le spese di alloggio (la cosiddetta diaria), di viaggio e per l’esercizio del mandato. Persino una stretta sul Tfr di onorevoli e senatori. Sono i temi affrontati dal testo unificato (relatrice Roberta Lombardi del M5S) adottato alla Camera in commissione Affari costituzionali, con i soli voti del Movimento 5 Stelle (tutti gli altri si sono astenuti), per riscrivere le norme che regolano il trattamento economico dei rappresentanti del popolo. Un provvedimento, atteso in Aula entro ottobre, che ha dovuto fare i conti con l’ostacolo insormontabile della Costituzione. Per la precisione con l’articolo 69: “I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge”. Con il risultato che, delle varie voci e relativi ammennicoli che concorrono a formare la retribuzione complessiva di deputati e senatori, solo l’indennità parlamentare (in pratica lo stipendio base) e le spettanze ad essa collegate possono essere oggetto di modifica legislativa.

AUTODICHIA OFF LIMIT – Su tutto il resto, invece, la legge non può intervenire. In base al principio dell’autodichia, vale a dire l’autonomia del Parlamento da qualsiasi ingerenza esterna, ulteriori modifiche possono essere introdotte solo dalle due Camere nell’esercizio del loro potere autoregolamentare. Una situazione della quale l’Ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, guidata da Andrea Mazziotti di Scelta civica, non ha potuto che prendere atto. Invitando, la settimana scorsa, i proponenti delle diverse proposte di legge a riformulare i rispettivi testi, limitandone i contenuti alla sola materia delle indennità parlamentari, alla diaria – la somma riconosciuta a deputati e senatori a titolo di rimborso delle spese di soggiorno nella capitale – e al relativo trattamento fiscale. E ieri, sempre in commissione, con i soli voti del Movimento 5 Stelle (tutti gli altri gruppi si sono astenuti) è stato approvato il testo unificato della relatrice Roberta Lombardi. La deputata pentastellata era stata la prima a presentare una pdl sulla materia, cui erano poi seguite quelle di Guglielmo Vaccaro(gruppo Misto), Donata Lenzi e Sesa Amici (Partito democratico), Roberto Capelli (Democrazia solidale-Centro democratico) e Paolo Vitelli (Scelta civica).

AVANTI SI TAGLIA – Ma cosa prevede il nuovo impianto normativo che, conclusi i lavori della commissione, dovrebbe arrivare entro ottobre all’esame dell’Aula di Montecitorio? Innanzitutto la riduzione dell’indennità parlamentare a 5.000 euro lordi al mese. Una sforbiciata consistente rispetto ai circa 5.000 euro netti (pari a un lordo di 10.435 euro) che intascano attualmente deputati e senatori. Ai membri del Parlamento è, inoltre, riconosciuto “un rimborso delle spese documentate di soggiorno (la diaria, ndre di viaggio entro il limite massimo di euro 3.500 mensili”. Una voce considerevolmente ridotta rispetto alle attuali spettanze se si considera che, ad oggi, ad ogni rappresentante del popolo spettano 3.500 euro solo a titolo di diaria. Mentre le spese di viaggio sono conteggiate a parte: altri3.323,70 euro a trimestre, per il deputato che deve percorrere fino a 100 chilometri per raggiungere l’aeroporto più vicino al luogo di residenza, che salgono a 3.995,10 euro se la distanza da percorrere è superiore. Ma non è tutto. “Il rimborso delle spese di alloggio non è riconosciuto”, a differenza di quanto avviene oggi, “ai membri del Parlamento che risiedono nel comune di Roma”. Confermata, invece, la “decurtazione” della diaria, la cui entità deve essere determinata dagli Uffici di presidenza delle due Camere, “per ogni giorno di assenza del parlamentare dalle sedute dell’Assemblea, delle Giunte o delle Commissioni in cui si siano svolte votazioni”. Poi ci sono i rimborsi delle spese sostenute per l’esercizio del mandato che il testo unificato della Lombardi fissa a 3.690 euro mensili. Estendendo, in pratica, l’attuale limite previsto a Montecitorio anche a Palazzo Madama dove, invece, si può arrivare ad un massimo di 4.180 euro al mese. Cifre, in entrambe le Camere, oggi forfettarie per il 50% e soggette a rendicontazione periodica solo per il restante 50%.

BENEDETTA TRASPARENZA – Poi c’è l’indennità di fine mandato. Il testo unificato prevede che ai membri del Parlamento non rieletti spetti un assegno “il cui importo è commisurato” all’indennità parlamentare (5.000 euro lordi al mese) e “alla durata complessiva del mandato”, calcolato “secondo la disciplina prevista dall’articolo 2120 del codice civile”. Quello che regola, cioè, il trattamento di fine rapporto per i comuni lavoratori. In pratica, mentre la disciplina vigente ne fissa l’importo, tanto alla Camera che al Senato, nella misura dell’80% dell’indennità lorda per ogni anno di mandato effettivo (o frazione non inferiore a sei mesi), con la nuova normativa verrebbe calcolato dividendo per 13,5 la retribuzione lorda annua e moltiplicando la cifra ottenuta per il numero degli anni di mandato. Infine, la trasparenza. Il testo messo a punto dalla Lombardi prevede che gli Uffici di presidenza delle due Camere assicurino la pubblicazione di tutte le indennità riconosciute al singolo parlamentare; del “numero dei giorni per i quali il membro del Parlamento è risultato presente alle sedute dell’Assemblea e delle Commissioni e ha ottenuto il riconoscimento del rimborso delle spese di soggiorno e di viaggio”; la “rendicontazione” di tutte le spese rimborsate (viaggio, soggiorno ed esercizio del mandato).

PRIVILEGI NEL MIRINO – “Il testo unificato ha fatto propri due principi che, sul trattamento economico dei Parlamentari, il M5S considera irrinunciabili – spiega a ilfattoquotidiano.it la relatrice Roberta Lombardi –. Primo: abbassare l’importo dell’indennità. Secondo: rendere più incisivi gli obblighi di trasparenza imponendo la rendicontazione su tutte le spese i cui rimborsi cessano di essere, come avviene con l’attuale disciplina, almeno in parte forfetari”. Altra questione, invece, concerne la concreta possibilità di arrivare all’approvazione della legge. “Quel che è certo è che noi non arretreremo di un centimetro – conclude la deputata del M5S –. E consideriamo già un successo aver rimesso al centro del dibattito parlamentare il tema dell’abolizione dei privilegi della Casta”.

domenica 29 aprile 2018

Sprechi, l’Europa del rigore fa la cattiva maestra: commissari si regalano più soldi e auto blu per 3 anni prima di lasciare. - Thomas Mackinson

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L'indennità da 13.500 euro al mese non bastava, arriva lo scivolo d'oro per la "transizione" alla normalità. E' il regalo che si stanno facendo i 28 commissari della Commissione europea in previsione della fine del loro mandato: una volta cessati, avranno a disposizione per altri 36 mesi auto blu con autisti, uffici presso la Commissione con segretari e personale. Il tutto esentasse. L'iniziativa chiama in causa direttamente Juncker e il nuovo segretario. La presidente tedesca della Commissione Bilancio chiede chiarimenti.

Uno scivolo d’oro per i tre anni di “transizione”, dalla bambagia alla normalità. Stavolta l’Europa dà dei punti al nostro Parlamento. I suoi commissari uscenti, senza troppa pubblicità, hanno infatti deciso di concedere a se stessi un piccolo ma sostanzioso regalo: tra 19 mesi usciranno di scena e ad attenderli, puntuali, troveranno materassi imbottiti d’euro e nuovi irrinunciabili benefit. A loro disposizione, oltre a stipendi da 8-15mila euro al mese per tre anni, potranno usufruire nello stesso periodo anche di auto blu con autista, di un ufficio con personale e segreteria dedicati, il tutto sempre a carico dei contribuenti dell’Unione. Tre anni da nababbi per i 28 ex commissari la cui ragione di fondo – o il cui pretesto, per i critici – riesiederebbe nella volontà di evitare che finiscano al soldo di qualche multinazionale o società di lobby come José Manuel Barroso, l’ex presidente della Commissione (2004-2014) trasferitosi con armi e bagagli alla Goldman Sachs. L’iniziativa, va da sé, solleva vari problemi e altrettanti imbarazzi.

Il primo è che le regole valgono per gli stessi commissari che le devono approvare in palese conflitto di interessi, visto che saranno i primi a sperimentarne i benefici potenzialmente equivalenti anche al triplo di ciò che attualmente ricevono. Non a caso, ed è il secondo elemento della storia, l’iniziativa è passata sotto silenzio. A segnalarla è stato un quotidiano tedesco, non atti ufficiali, non comunicazioni interne, nulla di nulla. Il 18 aprile scorso la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha pubblicato un articolo che dava conto dei benefit citando alcuni punti del trattamento allo studio. Da lì è partita anche la corsa a codificare politicamente la mossa. Da più parti viene attribuita infatti allo stesso presidente Jean Claude Junker e alla sua volontà di far quadrato attorno alla nomina (a sorpresa e indigesta a molti) a segretario generale della Commissione del suo capo di capo di gabinetto, il potente Martin Selmayr. La lettura malevola suggerisce che l’elargizione sia un viatico per rabbonire gli animi dei commissari contrari a tale scelta: perché rischiare di mordere la mano che ti darà ancora da mangiare?
Il terzo è che, come detto, di altre concessioni forse i commissari avrebbero in realtà ben poco bisogno, visto il trattamento d’oro che ricevono mentre sono in carica, grazie a stipendi da 20mila a 25mila euro al mese per cinque anni, rigorosamente esentasse così come i tanti benefit. Vista poi la sontuosa liquidazione. Ulteriori benefici economici finiscono fatalmente per stridere con l’idea romantica da “Europa solidale dei popoli”. Ma di cosa si tratta realmente?
“L’indennità di transizione” sarebbe pagata per tre o cinque anni e non due come è stato dal 2016. Questa indennità, che varia dal 40 al 65% dello stipendio base in base alla durata dei compiti precedente, vale a dire un minimo compreso tra 8.400 e 13.500 euro al mese, viene aggiunta a quella di “reinsediamento“, corrispondente al salario di un mese. Soprattutto, a queste somme, si aggiungeranno una serie di prestazioni in natura: un ufficio presso la Commissione (in precedenza solo gli ex presidenti avevano diritto), una macchina aziendale con autista e due assistenti. Grazie a questa operazione, un ex commissario riceverà effettivamente il doppio, se non il triplo, di ciò che attualmente riceve. Il tutto grazie anche a un’ulteriore piccola astuzia: mentre l’allungamento della durata del risarcimento (o il suo aumento) richiede l’accordo del Consiglio dei ministri (dove siedono gli Stati), questo non è il caso per le “prestazioni in natura” che dipendono dal bilancio della Commissione.
L’astuzia rischia di costare parecchio ai contribuenti e di dare un segnale contrario alle consuete rampogne di Bruxelles agli Stati spendaccioni e di aiutare gli antieuropeisti nell’opera di demolizione dell’immagine delle istituzioni europee. Non a caso c’è chi pretende immediate spiegazioni. Il 24 aprile scorso la presidente della Commissione controllo di bilancio del parlamento europeo Ingeborg Grässle (PPE) ha mandato una lettera al Commissario al Bilancio Günther Oettinger chiedendo spiegazioni. Sbigottito anche Marco Valli, membro della stessa commissione in quota M5s: “Siamo venuti a conoscenza della proposta di questi nuovi privilegi per i Commissari uscenti, grazie ad un articolo pubblicato da un giornale tedesco. Per questo chiediamo, attraverso una lettera della Commissione controllo dei bilanci del Parlamento europeo l’accesso al documento di lavoro. Vogliamo vedere le carte ed evitare abusi e conflitti di interesse. Non è la prima volta che la Commissione prende decisioni discutibili in modo opaco, basti vedere il recente caso di nomina diretta dell’uomo di fiducia di Juncker, Martin Selmayr come Segretario generale”.

martedì 21 luglio 2015

Uniti per spartirsi le poltrone. Alessandro Di Battista.





Sono meravigliosi. In TV Vendola dà del “fascista” a Salvini il quale risponde con un modernissimo “comunista”. In commissione invece, fuori dalla portata delle telecamere, vedi deputati di SEL e della LEGA seduti di fianco, con carta e penna. Li senti dire frasi straordinarie: “questo a te e questo a me”. "Tu segretario e io vice-presidente. Basta che al M5S non vada nulla".

Quando si tratta di rimborsi elettorali o poltrone non sono più fascisti ne comunisti. Diventano alleati. Tipo Renzi e B.

Oltretutto dovete sapere che oltre agli indegni stipendi i parlamentari che hanno cariche nelle commissioni prendono un'altra indennità. 800 euro in più al mese ai presidenti, 500 ai vice e 300 ai segretari di commissione.

Il M5S è stato escluso più o meno da tutti gli uffici di presidenza (gli organi di governo) delle Commissioni parlamentari. E sapete perché? Perché NOI ABBIAMO RINUNCIATO A TUTTE LE DOPPIE INDENNITA' DI CARICA. Vogliono i soldi ma soprattutto temono il buon esempio!

Io, il giorno stesso della mia elezione a vice-presidente della Commissione Affari esteri sono passato all'ufficio competenze per i parlamentari per rinunciare all'assegno. Oggi non mi sarà più possibile rinunciare e far risparmiare migliaia di euro all'anno ai cittadini. LEGA, SEL e FORZA ITALIA si sono messi d'accordo e si terranno tutto il malloppo. Mi raccomando, rivotateli!


https://www.facebook.com/dibattista.alessandro/photos/a.310988455679892.65829.299413980170673/735042179941182/?type=1&theater

mercoledì 11 settembre 2013

Bologna, la Regione paga tre stipendi per un solo seggio da consigliere. - Annalisa Dall'Oca

Bologna, la Regione paga tre stipendi per un solo seggio da consigliere

L'Assemblea ha ridotto gli emolumenti del 50% a Giampaolo Lavagetto, condannato per peculato. Ora, oltre a quest'ultimo, sono altri due gli eletti stipendiati con soldi pubblici per ricoprire lo stesso seggio: l'ex capogruppo Villani, sospeso dopo gli arresti domiciliari per l'inchiesta Public Money e Cinzia Camorali, nominata dopo l'entrata in vigore del decreto anti corruzione.

Un consigliere regionale al prezzo di tre. A luglio il pacchetto “anti – casta” proposto all’Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna dal Movimento 5 Stelle era stato bocciato quasi all’unanimità. Eppure, fosse passato, il provvedimento avrebbe risparmiato a centrodestra e centrosinistra più di qualche “imbarazzo”, e un rapido dietrofront. Perché oggi, successione dopo successione, e condanna dopo condanna, sono 3 i consiglieri stipendiati dalla Regione con soldi pubblici per ricoprire lo stesso seggio in viale Aldo Moro: l’ex capogruppo Pdl Luigi Villani, sospeso dopo gli arresti domiciliari seguiti all’inchiesta Public Money di Parma, il suo successore, l’ex assessore della giunta guidata da Pietro Vignali, Giampaolo Lavagetto, condannato in primo grado per peculato nell’uso del cellulare di servizio, e infine Cinzia Camorali, recentemente nominata a svolgere l’incarico rimasto vacante dopo che il decreto “anti corruzione” ha imposto a Lavagetto, subentrato in maggio, un passo indietro.
“Il problema – spiega Andrea Defranceschi, unico consigliere a 5 Stelle della Regione – è che secondo la normativa vigente i consiglieri sospesi hanno diritto a un’indennità pari al 50% del loro stipendio”. Quindi, sempre sulla base del regolamento votato a luglio dall’Assemblea legislativa, quello che il pacchetto “anti casta” del Movimento 5 Stelle intendeva modificare, Villani e Lavagetto, pur sospesi, percepiscono ancora il 50% del loro stipendio, cifra che si somma al compenso che viene regolarmente riconosciuto al nuovo consigliere, l’unico che effettivamente ricopre l’incarico in viale Aldo Moro. Insomma, “un consigliere al prezzo di tre”. “Noi avevamo chiesto di ridurre quell’indennità dal 50% al 10% non potendola eliminare in toto per legge – continua Defranceschi – ma con me, allora, aveva votato a favore solo Gian Guido Naldi, presidente di Sinistra, Ecologia e Libertà”.
Tuttavia oggi, a quanto pare, la situazione è cambiata e, almeno in viale Aldo Moro, l’asse Pd – Pdl si è spaccato. La Regione, in seguito alla sospensione di Lavagetto, ha richiesto al consigliere di restituire quanto percepito a partire dal 21 maggio 2013, data del suo insediamento in Assemblea, trattenendo il 50% dell’indennità che gli spetta. Ma la questione, come precisa Defranceschi, “è difficile da spiegare all’opinione pubblica”. Così, durante la prima seduta autunnale dell’Assemblea gli eletti hanno optato per un rapido cambio di rotta, votando un ordine del giorno, passato a larga maggioranza – favorevoli Pd, Lega Nord, Udc, il consigliere ex ‘grillino’ Giovanni Favia e il Movimento 5 Stelle – per ridurre, non al 10%, come proposto dai 5 Stelle, ma a ‘zero’ quell’indennità, e modificare così la legge approvata a luglio.
“Finalmente ci hanno dato ragione – chiosa Defranceschi – spero che l’impegno sia portato avanti dall’Assemblea come preannunciato in aula, e che già entro settembre l’indennità sia eliminata”. I tempi tecnici, infatti, richiedono circa 3 settimane e un paio di passaggi in Commissione, ma la forza politica questa volta c’è. Anche perché l’unico partito contrario al cambio di rotta è il Pdl. Che in aula, per bocca del capogruppo Gianguido Bazzoni, ha letto una lettera di Villani, scritta a bocciare “quell’esborso caritatevole” che sarebbe il taglio al 10% dell’indennità, etichettandolo come una proposta “giustizialista e ipocrita” che non considera “la presunzione di innocenza”.
“Mi sembra che le leggi regionali parlino sufficientemente chiaro su quanto si debba assegnare ma avverto un’aria giustizialista e ipocrita – ha scritto Vignali – intendo rinunciare a qualunque forma di indennità per la mia situazione di sospeso fino a quando non potrò rientrare nelle mie funzioni di consigliere regionale. Sono infatti a conoscenza – continua la missiva – che si vorrebbe ridurre tale emolumento dalla metà dell’indennità di carica fino ad ora prevista, al 10%, nella pratica un esborso caritatevole. Preciso, infatti, a scanso di equivoche e superficiali notizie diffuse anche da alcuni media, che ricevo un assegno di circa 1.560 euro netti e che quindi se passasse la linea dell’ulteriore drastica riduzione, ammonterebbe in tutto a circa 310 euro. Come hanno sottolineato recentemente e pubblicamente alcuni consiglieri di diverse sensibilità politica – prosegue Villani – si dovrebbe stare attenti a non cadere nell’arbitrio verso una persona che non ha ancora subito alcun tipo di condanna. Mi preme peraltro ricordare che il nostro ordinamento giuridico è formalmente garantista, anche se lo dovrebbe essere molto di più sostanzialmente, proprio grazie a quella Costituzione che per molti anche nella nostra Assemblea legislativa regionale è una specie di bibbia intangibile e appunto stabilisce la presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva”.

venerdì 30 novembre 2012

Lo stenografo del Senato come il re di Spagna Busta paga da 290 mila euro. - Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella


A fine carriera stipendi quadruplicati. Ai commessi fino a 160 mila euro.

Può un senatore guadagnare la metà del suo barbiere di Palazzo Madama, come lamentano quei parlamentari che per ribattere ai cittadini furenti contro i mancati tagli dicono di prendere intorno ai 5 mila euro? No. Infatti non è così. Il gioco è sempre quello: citare solo l'«indennità». Senza i rimborsi, le diarie, le voci e i benefit aggiuntivi. Con i quali il «netto» in busta paga quasi quasi triplica.
Sono settimane che va avanti il tormentone. Di qua la busta paga complessiva portata in tivù dal dipietrista alla prima legislatura Francesco Barbato, che tra stipendio e diarie e soldi da girare al portaborse ha mostrato di avere oltre 12.000 euro netti al mese. Di là l'insistenza sulla sola «indennità». E la tesi che le altre voci non vanno calcolate, tanto più che diversi (230 contro 400, alla Camera) hanno fatto sul serio un contratto ai collaboratori e moltissimi girano parte dei soldi al partito. Una scelta spesso dovuta ma comunque legittima e perfino nobile: ma è giusto caricarla sul groppo dei cittadini in aggiunta ai rimborsi elettorali e alle spese per i «gruppi»? Non sarebbe più opportuno e più fruttuoso nel rapporto con l'opinione pubblica mostrare la busta paga reale, che dopo una serie di tagli è davvero più bassa di quella da 14.500 euro divulgata nel 2006 dal rifondarolo Gennaro Migliore?
Non ha molto senso, questa sfida da una parte e dall'altra centrata tutta su quanto prendono deputati e senatori. Peggio: rischia di distrarre l'attenzione, alimentando il peggiore qualunquismo, dal cuore del problema. Cioè il costo d'insieme di una politica bulimica: il costo dei 52 palazzi del Palazzo, il costo delle burocrazie, il costo degli apparati, il costo delle Regioni, delle province, di troppi enti intermedi, delle società miste, di mille altri rivoli di spesa che servono ad alimentare un sistema autoreferenziale.
Dice tutto il confronto con le buste paga distribuite, ad esempio, al Senato. Dove le professionalità di eccellenza dei dipendenti, che da sempre raccolgono elogi trasversali da tutti i senatori di destra e sinistra, neoborbonici o padani, sono state pagate fino a toccare eccessi unici al mondo. Tanto da spingere certi parlamentari (disposti ad attaccare Monti, Berlusconi, Bersani o addirittura il Papa ma mai i commessi da cui sono quotidianamente coccolati) ad ammiccare: «Siamo semmai gli unici, qui, a non essere strapagati».
Il questore leghista Paolo Franco lo dice senza tanti giri di parole: «Il contratto dei dipendenti di palazzo Madama è fenomenale. Consente progressioni di carriera inimmaginabili. Ed è evidente che contratti del genere non se ne dovranno più fare. Bisogna cambiare tutto». Come può reggere un sistema in cui uno stenografo arriva a guadagnare quanto il re di Spagna? Sembra impossibile, ma è così. Senza il taglio del 10% imposto per tre anni da Giulio Tremonti per i redditi oltre i 150 mila euro, uno stenografo al massimo livello retributivo arriverebbe a sfiorare uno stipendio lordo di 290 mila euro. Solo 2mila meno di quanto lo Stato spagnolo dà a Juan Carlos di Borbone, 50 mila più di quanto, sempre al lordo, guadagna Giorgio Napolitano come presidente della Repubblica: 239.181 euro.
Per carità, non «ruba» niente. Esattamente come Ermanna Cossio che conquistò il record mondiale delle baby-pensioni lasciando il posto da bidella a 29 anni col 94% dell'ultimo stipendio, anche quello stenografo ha diritto di dire: le regole non le ho fatte io. Giusto. Ma certo sono regole che nell'arco della carriera permettono ai dipendenti di Palazzo Madama, grazie ad assurdi automatismi, di arrivare a quadruplicare in termini reali la busta paga. E consentono oggi retribuzioni stratosferiche rispetto al resto del paese cui vengono chiesti pesanti sacrifici.
Al lordo delle tasse e dei tagli tremontiani, un commesso o un barbiere possono arrivare a 160 mila euro, un coadiutore a 192 mila, un segretario a 256 mila, un consigliere a 417mila. E non basta: allo stipendio possono aggiungere anche le indennità. Alla Camera un capo commesso ha diritto a un supplemento mensile di 652 euro lordi che salgono a 718 al Senato. Un consigliere capo servizio di Montecitorio a una integrazione di 2.101, contro i 1.762 euro del collega di palazzo Madama. Per non dire dei livelli cosiddetti «apicali». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai rapporti col Parlamento Antonio Malaschini, quando era segretario generale del Senato, guadagnava al lordo nel 2007, secondo l'Espresso, 485 mila euro l'anno. Arricchito successivamente da un aumento di 60 mila che spappolò ogni record precedente per quella carica. Va da sé che la pensione dovrebbe essere proporzionale. E dunque, secondo le tabelle, non inferiore ai 500 mila lordi l'anno.
È uno dei nodi: retribuzioni così alte, grazie a meccanismi favorevolissimi di calcolo, si riflettono in pensioni non meno spettacolari. Basti ricordare che gli assunti prima del '98 possono ancora ritirarsi dal lavoro (con penalizzazioni tutto sommato accettabili) a 53 anni. Esempio? Un consigliere parlamentare di quell'età assunto a 27 anni e forte del riscatto di 4 anni di laurea ha accumulato un'anzianità contributiva teorica di 38 anni. Di conseguenza può andare in pensione con 300 mila euro lordi l'anno, pari all'85% dell'ultima retribuzione. Se poi decide di tirare avanti fino all'età di Matusalemme (che qui sono 60 anni) allora può portare a casa addirittura il 90%: più di 370 mila euro sul massimo di 417 mila.
Funziona più o meno così anche per i gradi inferiori. A 53 anni un commesso è in grado di ritirarsi dal lavoro con un assegno previdenziale di 113 mila euro l'anno che, se resta fino al 60º compleanno, può superare i 140 mila. Con un risultato paradossale: il vitalizio di un senatore che abbia accumulato il massimo dei contributi non potrà raggiungere quei livelli mai. E tutto ciò succede ancora oggi, mentre il decreto salva Italia fa lievitare l'età pensionabile dei cittadini normali e restringere parallelamente gli assegni col passaggio al contributivo «pro rata» per tutti. Intendiamoci: sarebbe ingiusto dire che le Camere non abbiano fatto nulla. A dicembre il consiglio di presidenza del Senato, ad esempio, ha deciso che anche per i dipendenti in servizio si dovrà applicare il sistema del contributivo «pro rata». Ma come spiega Franco, è una decisione che per diventare operativa dovrà superare lo scoglio di una trattativa fra l'amministrazione e le sigle sindacali, che a palazzo Madama sono, per meno di mille dipendenti, addirittura una decina. Il confronto non si annuncia facile. Anche nel 2008, dopo mesi di polemiche sui costi, pareva essere passato un giro di vite, sostenuto dal questore Gianni Nieddu. Ma appena cambiò la maggioranza, quella nuova non se la sentì di andare allo scontro.
E tutto si arenò nei veti sindacali. Stavolta, poi, la trattativa ha contorni ancora più divertenti. Controparte dei sindacati è infatti la vicepresidente del Senato Rosy Mauro, esponente della Lega Nord, partito fortemente contrario alla riforma delle pensioni e sindacalista a sua volta: è presidente, in carica, del Sinpa, il sindacato del Carroccio. Nel frattempo, chi esce ha la strada lastricata d'oro. Il consigliere parlamentare «X» (alla larga dalle questioni personali, ma parliamo di un caso con nome e cognome) ha lasciato il Senato a luglio del 2010 a 58 anni. Da allora, finché non è entrato in vigore il contributo triennale di solidarietà per i maxi assegni previdenziali, palazzo Madama gli ha pagato una pensione di 25.500 euro lordi al mese: venticinquemilacinquecento.
Per 15 mensilità l'anno. Spalmandoli sulle 13 mensilità dei cittadini comuni 29.423 euro a tagliando. Da umiliare perfino l'ex parlamentare Giuseppe Vegas, oggi presidente della Consob, che da ex funzionario del Senato, sarebbe in pensione con 20 mila. Neppure il commesso «Y», assunto a suo tempo con la terza media, si può lamentare: ritiratosi nello stesso luglio 2010, sempre a 58 anni, ha diritto (salvo tagli tremontiani) a 9.300 euro lordi al mese. Per quindici. Vale a dire che porta a casa complessivamente oltre 20mila euro in più dello stipendio massimo dei 21 collaboratori più stretti di Barak Obama.
Sono cifre che la dicono lunga su dove si annidino i privilegi di un sistema impazzito sul quale sarebbe stato doveroso intervenire «prima» (prima!) di toccare le buste paga dei pensionati Inps. I bilanci di Camera e Senato del resto parlano chiaro. Nel 2010 la retribuzione media dei 1.737 dipendenti di Montecitorio, dall'ultimo dei commessi al segretario generale, era di 131.585 euro: 3,6 volte la paga media di uno statale (36.135 euro) e 3,4 volte quella di un collega (38.952 euro) della britannica House of Commons. E parliamo, sia chiaro, di retribuzione: non di costo del lavoro. Se consideriamo anche i contributi, il costo medio di ogni dipendente della Camera schizza a 163.307 euro. Quello dei 962 dipendenti del Senato a 169.550. E non basta ancora. Perché nel bilancio del Senato c'è anche una voce relativa al personale «non dipendente», che comprende consulenti delle commissioni e collaboratori vari, ma soprattutto gli addetti a non meglio precisate «segreterie particolari». Con una spesa che anche nel 2011, a dispetto dei tagli annunciati, è salita da 13 milioni 520 mila a 14 milioni 990 mila euro. Con un aumento, mentre il Pil pro capite affondava, del 10,87%: oltre il triplo dell'inflazione.