Visualizzazione post con etichetta Precari. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Precari. Mostra tutti i post

giovedì 27 settembre 2018

Ingv, si dimette pure il responsabile anticorruzione. Il capo dell’ufficio legale: ‘Se denuncio vado a raccogliere le olive. - Thomas Mackinson

Ingv, si dimette pure il responsabile anticorruzione. Il capo dell’ufficio legale: ‘Se denuncio vado a raccogliere le olive’


A distanza di 20 giorni lasciano sia il Direttore del Dipartimento Terremoti ("Manca trasparenza") che il responsabile anticorruzione. Da un fascicolo alla procura di Roma spuntano gli audio sulle mancate denunce del responsabile degli affari legali, all'epoca precario: "Non sono in condizioni di poter dire queste cose perché dopo sei mesi mi trovo in mezzo a una strada (…) Sinceramente me ne guardo bene perché mi fanno ritorsioni.

Dopo la direttrice del Dipartimento Terremoti si dimette anche il garante dell’anticorruzione. E intanto, si apprende che il responsabile dell’Ufficio Affari Legali a conoscenza di possibili illeciti non li denunciava perché “sennò mi mandano a raccogliere le olive”. Non c’è pace per l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia che subisce un altro scossone a distanza di una manciata di giorni. Il 5 settembre, come anticipato dal fattoquotidiano.it, ha lasciato l’incarico per “mancanza di trasparenza” Daniela Pantosti, da due anni a capo del Dipartimento più delicato e importante dell’Istituto. Ieri si è appreso che anche il garante del Piano triennale anticorruzione, Gianluca Valensise, ha presentato le sue dimissioni e in circostanze tali da confermare la sensazione che un vaso di Pandora vada scoperchiandosi: Valensise era stato nominato poco più di un anno fa (l’incarico è triennale), e il caso è tale che il cda dell’Ingv ha convocato una riunione d’urgenza nella stessa giornata, modalità alquanto singolare e contraria alle previsioni degli statuti degli Enti di ricerca. Insomma, nel centro di monitoraggio del rischio sismico in Italia è allarme rosso.

Raggiunto al telefono, Valensise sceglie di non commentare ma conferma la sua decisione, mentre dentro l’ente non si fa più mistero di una situazione al limite dell’ingestibile dovuta alla concomitanza di due situazioni esplosive. Da una parte starebbero venendo al pettine i nodi delle crescenti difficoltà gestionali accompagnate anche da più gravi ipotesi di reato, segnalate in denunce e fascicoli aperti dalle procure di Roma e Napoli. Dall’altra – come nulla fosse – si sta procedendo ai concorsi interni per nominare direttori di struttura e di sezione. Selezioni per posti a tempo indeterminato che vanno avanti a oltranza anche mentre cadono come birilli figure chiave dell’ente, tutte con ruoli di presidio e funzioni delicatissimi.
Il nome di Valensise, tra l’altro, spunta anche in un fascicolo alla procura di Roma. È contenuto in una registrazione depositata a integrazione delle numerose denunce della dirigente Fedora Quattrocchi che al telefono, già due anni fa, contesta varie situazioni opache. Sui concorsi a direttore di sezione e di struttura Ingv lo stesso responsabile della trasparenza ammetteva irregolarità, tanto  che “sarebbero invalidi, anzi hai ragione, sono non validi”. Nella stessa dava poi degli “incapaci” ai vertici che si sarebbero macchiati anche di un presunto falso in bilancio. Il presidente Carlo Doglioni, del resto, era “non adatto a quel lavoro”. Parole di chi avrebbe dovuto vigilare sulla trasparenza e garantire la legalità nell’ente. Ma, a quanto è dato sapere, è rimasto in silenzio.

Cosa c’è dietro le dimissioni a raffica, i silenzi e le mancate denunce? Possono i concorsi interni per la regolarizzazione delle carriere aver contribuito a generare un diffuso clima di omertà tra i laboratori in via di Vigna Murata? Qualche sospetto arriva sia dai sindacati silenti sia dalla reazione fulminea del collegio dei Direttori. All’indomani della pubblicazione della notizia delle dimissioni della Pantosti, il collegio composto dai direttori di dipartimento, di sezione e dei principali uffici per la ricerca e le attività istituzionali non esprimeva preoccupazione per la denuncia che si portava appresso (“mancanza di trasparenza”, “nessuna collaborazione”) ma se ne dissociava pubblicamente. Forse più illuminante ancora è però lo stralcio di un’altra conversazione agli atti della procura di Roma.
A parlare stavolta è il responsabile ufficio Affari Legali dell’ente, Pasquale Guidace. È appena stato assunto a tempo indeterminato ma il 12 marzo 2016, quando era precario,  parlava così a proposito di un presunto falso in atto pubblico che sarebbe stato commesso nel 2015 dall’allora presidente Stefano Gresta: “È un dato oggettivo (che ci sia stato il falso, ndr), lampante per chi acquisisce i documenti ma io non lo posso fare per un semplice motivo, perché io già sono precario, poi vado a raccogliere le olive”. E ancora: “Non sono in condizioni di poter dire queste cose perché dopo sei mesi mi trovo in mezzo a una strada (…) Se fossi stato a tempo indeterminato, come in qualsiasi altro ente, forse qualche passo in più l’avrei potuto fare, ma sinceramente me ne guardo bene perché io vorrei avere una vita professionale non interrotta, perché mi fanno ritorsioni contro di me”. La vittima costretta al silenzio però ci mette del suo: “A me non me ne fotte niente, perché se nessuno ha il coraggio di esporsi, a me che cazzo me ne frega?”. Parole del responsabile Affari Legali dell’istituto che dovrebbe garantire per la sicurezza dei cittadini.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/09/27/ingv-si-dimette-pure-il-responsabile-anticorruzione-il-capo-dellufficio-legale-se-denuncio-vado-a-raccogliere-le-olive/4647961/

lunedì 2 dicembre 2013

I call center ora restano in Italia. Contro le delocalizzazioni stipendi ridotti. - Salvatore Cannavò

I call center ora restano in Italia. Contro le delocalizzazioni stipendi ridotti


Un accordo sindacale di agosto prevede contratti a progetto con salari ridotti al 60% dei minimi. E la legge del governo Monti sospende l'erogazione degli incentivi per le aziende che trasferiscono le proprie attività all'estero.

Delocalizzare o restare in Italia? Questo è il problema. Almeno per i call center, settore simbolo del precariato. Il trasferimento delle attività all’estero è noto da tempo e ha riguardato marchi come Sky, Fastweb, Vodafone oppure realtà del settore importanti come Almaviva. Tra i paesi preferiti la vicina Albania, con circa 60 aziende tra Durazzo, Valona e Tirana. Ma anche la Romania o la Tunisia. Se negli anni Duemila, come nel caso di Atesia, i lavoratori manifestavano soprattutto per regolarizzare il proprio lavoro, ora la protesta è contro le delocalizzazioni: lo hanno fatto quest’estate i dipendenti Fastweb oppure l’Almaviva di Palermo e, ancora, i dipendenti di E-Care.
In tempi di crisi ogni lavoro è essenziale, anche quello meno professionale dei call center, per quanto si tratti ormai di una occupazione rilevante. In Puglia, ad esempio, Teleperformance è la seconda azienda dopo l’Ilva con 3.000 dipendenti, mentre Almaviva (ex Atesia) ne occupa 24 mila in Italia. Contro le delocalizzazioni si sono affermate due soluzioni: una legislativa, l’altra sindacale.
La prima, ha posto dei limiti al processo con apposite restrizioni. La soluzione sindacale sembra invece aver adottato il principio: se il call center si sposta in Albania portiamo l’Albania qui da noi. Cioè, riduciamo drasticamente i salari. È quanto appare dalla lettura dell’ultimo contratto di settore siglato da Cgil, Cisl e Uil con le due strutture padronali, Assotelecomunicazioni e Assocontact in cui si prevede una sorta di “salario di ingresso” al 60 per cento della paga minima.
Con i 100 mila occupati – senza contare quelli interni alle aziende – i call center sono la vetrina per clienti in cerca di informazioni oppure da assoldare con proposte “allettanti”. Il contratto si riferisce a questi ultimi, i lavoratori a progetto (co.co.pro.) in outbound, cioè coloro che effettuano chiamate verso l’esterno (telemarketing e televendita, ricerche di mercato, ecc.). Si tratta di 30 mila addetti per i quali la riforma Fornero ha richiesto il ricorso alla contrattazione per determinarne la retribuzione. E così i datori di lavoro e i sindacati di categoria, Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil, hanno siglato un contratto che prevede il riconoscimento del minimo tabellare (circa 1.000 euro netti al mese) ma ridotto al 60 per cento fino a gennaio 2015. Da quella data, poi, si risale di anno in anno fino a raggiungere il 100 per cento del minimo nel 2018. Una forma originale di “salario di ingresso” prolungato nel tempo. Inoltre, per le nuove assunzioni al termine del contratto, l’azienda utilizzerà i lavoratori già assunti sulla base di una graduatoria. Ma per potervi accedere i collaboratori dovranno sottoscrivere “un atto di conciliazione individuale conforme alla disciplina prevista dagli articoli 410 e seguenti del Codice di procedura civile”. Si tratta della rinuncia a diritti pregressi che non vengono nemmeno specificati.
Sai da parte datoriale, sia da parte sindacale, l’accordo è stato difeso come “una importante novità nel panorama delle relazioni industriali”. Le parti hanno addirittura siglato un comunicato congiunto al Fatto, il presidente di AssTel, Cesare Avenia, spiega che “non era mai avvenuto prima che si stipulasse un accordo avente come oggetto dei lavoratori non dipendenti”. Avenia poi, insiste sull’importanza di “aver fissato una retribuzione minima” in un accordo che “amplia le certezze per i lavoratori”. Allo stesso tempo, però, fa notare una fonte sindacale, “si istituzionalizza una contrattazione separata per i co.co.pro che impedisce loro di accedere al contratto generale”.
L’altra misura, quella legislativa, è stata introdotta dal decreto del governo Monti del giugno 2012. Prevede che il cliente contattato da un call center sia immediatamente informato della collocazione estera di chi raccoglie i suoi dati. Ma soprattutto sospende l’erogazione degli incentivi “ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri”. Norma in parte mitigata dalla circolare interpretativa del 2 aprile di quest’anno con la quale il ministero del Lavoro ha limitato le restrizioni solo alle delocalizzazioni verso “paesi extracomunitari” in analogia con la legislazione Ue.
Nati impetuosamente agli inizi degli anni Duemila, i call center si sono evoluti confusamente con contratti “selvaggi”. La vertenza dell’Atesia nel 2005 ha costituito uno spartiacque, anche per la durezza dello scontro. Contemporaneamente sono usciti i film di Ascanio CelestiniParole sante (basato proprio sull’Atesia) e, in particolare, Tutta la vita davanti di Paolo Virzì tratto dal libro di Michela Murgia, Il mondo deve sapere. Il call center sembra la catena di montaggio degli anni Duemila. Nel 2006, l’allora ministro del Lavoro, Cesare Damiano, uno dei pochi che si occupa ancora di lavoro, con una circolare riuscì a stabilizzare “circa 24 mila lavoratori”. Lavoro distrutto dal successivo governo Berlusconi. Nel frattempo si è ampliato il fenomeno di delocalizzazione alla ricerca del costo del lavoro più basso. Fino a scoprire che quel costo si può ridurre anche qui.
Oltretutto, i call center rappresentano un buon, anzi, ottimo bacino di voti per i partiti, e a buon prezzo.
La politica è riuscita nel suo intento, schiavizzare i cittadini rendendoli formiche facilmente dominabili. E pensare che abbiamo sostenuto in passato dure lotte per ottenere qualche diritto in più, ma questa è un'altra storia.