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venerdì 5 luglio 2019

Il Cazzaro Verde è un Cazzaro Verde. - Marco Travaglio


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È ufficiale: da ieri si può dire che il vicepresidente del Consiglio, nonché ministro dell’Interno, nonché capo della Lega, al secolo Matteo Salvini, è un Cazzaro Verde. E il merito di questa storica acquisizione si deve, per quanto strano possa apparire, proprio a lui: al Cazzaro Verde. Era stato lui, infatti, a querelare il sottoscritto per diffamazione, contestando davanti al Tribunale di Milano un editoriale satirico del 6 maggio 2018 intitolato appunto “Il Cazzaro Verde”, in cui si dimostrava per tabulas la sua essenza di Cazzaro Verde che fa politica a suon di “supercazzole” anziché lavorare. L’articolo riscosse un certo successo fra i lettori, tant’è che produsse una rubrica pressoché quotidiana sul Fatto, in cui, anziché inseguire con commenti e cronache sdegnate la sua incessante attività cazzara e supercazzolara sui social, a cura dell’apposita struttura comunicativa denominata orgogliosamente La Bestia, raccogliamo il meglio del peggio delle sue sparate via Twitter e Facebook su tutto lo scibile subumano: dalle colazioni a base di pane e Nutella agli sbarchi dei migranti, dal festival di Sanremo ai vari dl Sicurezza, dagli insulti a chi lo critica alla Flat tax, dalle recensioni del Grande Fratello Vip e di simili programmi culturali agli altri punti programmatici della Lega (che momentaneamente ci sfuggono).
Le querele, si sa, sono armi a doppio taglio: si possono vincere, ma anche perdere; e chi le perde autorizza chi le vince a rivendicare come lecito ciò che chi perde riteneva diffamatorio. È proprio quel che è accaduto al Cazzaro Verde, che ieri s’è visto archiviare la sua denuncia dal gip Luigi Gargiulo, il quale ha accolto la richiesta della Procura di Milano e del mio difensore Caterina Malavenda e respinto il ricorso del suo difensore Claudia Eccher. La Procura riteneva che dare a Salvini del Cazzaro Verde esperto in supercazzole non fosse diffamazione, ma uso legittimo di “espressioni veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira” che “consistono in un’argomentazione che esplicita le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e non si risolve in un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui”. Ora il gip va oltre e nota che il Cazzaro Verde, nella sua querela, “non nega mai i fatti oggetto dell’articolo”, anzi arriva ad ammettere che “nella vita politica la critica può assumere toni aspri di disapprovazione”, pur opinando che “cazzaro verde” e “supercazzola” superino il “requisito della continenza”. E invece no, il giudice Gargiulo ritiene che io non sia (ancora) incontinente.
Alla luce della giurisprudenza della Cassazione sul diritto di critica e di satira, quelle espressioni possono essere “ineleganti, pungenti, inadeguate”, ma non certo diffamatorie in un linguaggio politico ormai “greve e imbarbarito”. Anche grazie al Cazzaro Verde, che non è proprio lord Brummel, anche se ha la querela facile (con noi ne ha già perse otto). E qui il giudice piazza un colpo da maestro, citando una frase di Di Maio che accusa la Lega di avallare “la supercazzola” del Tav Torino-Lione; ma soprattutto due dichiarazioni di Salvini: “Il sindaco di Napoli… ha fatto tutta una supercazzola sulla prevenzione”; “Il piano B del governo per affrontare l’emergenza immigrazione mi sa tanto di supercazzola”.
Cos’abbia indotto il Cazzaro Verde a querelare un giornalista perché gli imputa delle supercazzole, quando è lui stesso a imputare delle supercazzole ad altri, resta un mistero. Spiegabile solo con la sua essenza di Cazzaro Verde. Anche perché – ricorda il gip – “il termine ‘supercazzola’ nel 2015 è persino entrato a far parte del dizionario Zingarelli” (senza offesa per il nostro fiero nemico dei rom). In più, le mie accuse di supercazzolismo sono formulate “a corredo di un ragionamento logico di critica politica”, dunque non ho “mai inutilmente e gratuitamente offeso la sfera morale” del Cazzaro Verde, “impiegando invero termini privi di idoneità lesiva, utilizzati in maniera ironica”. Tantopiù che, con un altro memorabile autogol, è il Cazzaro Verde medesimo a riconoscere nella sua querela che “cazzaro” è “in uso nel linguaggio giovanile per indicare un millantatore di presunte capacità, virtù e successi, di fatto un fanfarone”. Un autoritratto che più somigliante non si poteva, infatti proviene da uno che si conosce bene: “esattamente il profilo tracciato dall’indagato (il sottoscritto, ndr) quando ricordava l’irrealizzabilità delle promesse fatte dal querelante”. Conclusione: “Tale definizione non può certo essere considerata lesiva dell’onore e della reputazione” del Cazzaro Verde, “soprattutto in quanto si tratta di un uomo politico che, per sua natura, è sottoposto non solo alla più feroce critica, ma anche alla satira”. Ergo “la condotta dell’indagato (sempre io, ndr) risulta scriminata dal legittimo esercizio di critica politica” e “si ritiene di dover aderire alla richiesta di archiviazione avanzata dal pm, rilevata l’infondatezza della notitia criminis”. A noi non rimane che ringraziare il Cazzaro Verde per averci querelati: se non l’avesse fatto, non avremmo mai saputo che dargli del Cazzaro Verde e del supercazzolaro è legittimo e avremmo continuato a chiamarlo così col timore di esagerare. Ora invece lo faremo senza più remore. Anche tutti i giorni, prima e dopo i pasti. E siamo lieti di comunicarlo coram populo, affinché chiunque voglia provare la stessa liberatoria ebbrezza segua il nostro esempio sui social, a cena con gli amici, al bar, sui mezzi pubblici, nelle piazze, negli striscioni da balcone che accolgono il Cazzaro Verde nel suo frenetico giro d’Italia per non lavorare. Da oggi dire che il Cazzaro Verde è un Cazzaro Verde si può: grazie al Cazzaro Verde.

domenica 14 dicembre 2014

Metodo Supercazzola. - Marco Travaglio

Il Metodo Supercazzola, tutto chiacchiere e distintivo, non l’ha certo inventato Renzi: la cosiddetta seconda Repubblica è piena di annunciatori, promettitori, declamatori che a parole ci hanno salvati non una, ma cento volte, poi nei fatti ci han rovinati. Renzi l’ha solo affinato ed elevato alla massima potenza. 
Funziona a tappe. 
1. Scoppia uno scandalo o giunge una notizia negativa. 
2. Il piè veloce Matteo lancia subito un messaggio di segno opposto – via Twitter, Facebook, slide, conferenza stampa, Leopolda, video – per scacciare o declassare il precedente dai titoli di tg e giornali. 
3. La stampa più credulona del mondo abbocca compiacente e strombazza la reazione del premier oscurando l’azione che l’ha provocata: “svolta”, “stretta”, “giro di vite”, “linea dura”, “così cambierà”, “rivoluzione”, “subito”, “ora”, “scatta”, “spunta”. 
4. Le rare volte in cui la tradizione orale diventa scritta, e cioè il messaggio si traduce in testo di legge, tg e giornali ripetono paro paro i titoli già fatti sull’annuncio renziano. Chi legge si divide fra due possibili reazioni: 
“ah, allora era proprio vero, questo Renzi è un uomo di parola”, 
oppure “ah, credevo che la legge ci fosse già, vabbè comunque ora c’è”. Naturalmente la legge non c’è nemmeno ora: è solo un ddl che il governo lancia come un aeroplanino di carta nell’oceano delle aule parlamentari e va a marcire sui fondali senza lasciar traccia di sé. 
5. Al primo nuovo scandalo o fatto negativo, la maggioranza ripesca quel che resta dell’aeroplanino e annuncia che il ddl è in discussione e verrà presto approvato, anzi adesso, subito. I giornali riannunciano: è fatta. Intanto il Parlamento ha altro da fare (di solito qualche decreto o legge delega da approvare alla svelta con la fiducia: roba perlopiù inutile tipo le ferie dei giudici o dannoso come il Jobs Act), o comunque la maggioranza si spacca (di solito per le norme davvero utili o urgenti, tipo contro la corruzione e la mafia); segue bombardamento di emendamenti e il ddl torna sul binario morto. 
6. All’ennesimo nuovo scandalo o fatto negativo, confidando nella smemoratezza generale e nella complicità della stampa, Renzi riannuncia lo stesso annuncio già annunciato qualche mese prima, strappando gli stessi titoli nei tg e sui giornali, e riparte la rumba.

Risultato: zero, nessuna legge sulla Gazzetta Ufficiale. E, anche nel caso rarissimo in cui la legge venga approvata, dopo mesi o anni si scopre che: 
a) nessuno s’è curato di varare i decreti delegati o le norme attuative, dunque il provvedimento è rimasto lettera morta e nulla è cambiato; 
b) oppure la legge contiene un codicillo infilato all’ultimo momento che la rende inapplicabile o sortisce l’effetto opposto a quello annunciato (vedi legge Severino e voto di scambio).
Ora torna di gran moda l’anticorruzione.
Martedì: “Renzi: non lasceremo la Capitale ai ladri, chi sbaglia paga” (La Stampa).
Mercoledì: “Corruzione, pene più dure” (Corriere), “Stretta sui corrotti: carcere più duro e soldi restituiti”, “Il giro di vite di Renzi” (Repubblica).
Venerdì: “Ecco il piano anticorruzione: pene aumentate del 50% e prescrizione più lunga” (Repubblica), “Pene più alte e beni da restituire” (Corriere).
Sabato: “Corruzione, pene più dure. In cella anche chi patteggia”, “Sì alla stretta anticorruzione: pene più alte e beni confiscati. Il premier: ora processi veloci” (Repubblica), ”Stretta del governo sulla corruzione”, “Corruzione, così aumenta la pena” (Corriere), “La svolta di Renzi: ‘Pronto a mettere la fiducia’”, “Renzi: ‘Non daremo tregua’” (La Stampa).
Leggendo meglio, si scopre che gli ora e i “subito” sono balle: non è un decreto, è il solito ddl che non ha i numeri in Parlamento, perché Ncd e FI non lo voteranno mai e, se Renzi chiedesse aiuto ai 5Stelle, farebbero cadere il governo. Un’altra pera di droga ed estrogeni nelle vene esauste del Paese, aspettando che passi la nuttata. 
Come diceva Sabina Guzzanti ai tempi di un altro celebre supercazzolaro: “Il canale di Sicilia è pieno di auto di cittadini convinti che il Ponte sullo Stretto sia stato costruito”.
Il Fatto Quotidiano, 14 Dicembre 2014.