La notizia (improvvisa) della morte di Umberto Eco lascia di stucco il mondo della cultura e dell’editoria, italiana ed internazionale, oltre ai milioni di lettori che lo amavano in tutto il mondo e va ad aggiungersi a quella della scomparsa (annunciata) della scrittrice statunitense Harper Lee che trasformerà quest’ultimo 20 febbraio in una data triste, ma a suo modo indimenticabile. Già quando era in vita, Umberto Eco era una ‘leggenda’ e si sapeva benissimo che andandosene ce ne avrebbe solo dato conferma.
Del resto, chi in Italia ha studiato, scritto e analizzato tutto quello che ha fatto lui, grande appassionato e dispensatore a trecentosessanta gradi di cultura attraverso le sue lezioni, i suoi convegni, i suoi seminari e le (poche) presentazioni dei suoi (tanti) libri? Saggi di estetica medievale, di linguistica e di filosofia perlopiù, ma soprattutto romanzi, molti dei quali veri e propri cult letterari, da Il nome della Rosa - uscito nel 1980, uno dei più venduti e tradotti al mondo, Il Pendolo di Foucault, da Diario Minimo a L’isola del giorno prima e Il cimitero di Praga, tradotti in oltre 46 lingue, per un totale di 10 milioni di copie vendute di cui 7 solo in Italia.
L'ultimo, Numero Zero, pubblicato (come gli altri, da Bompiani) nel 2015, proprio il giorno del suo compleanno, è un libro giallo, pieno di ironia e di colpi di scena, ambientato nel 1992 che parla di una immaginaria redazione di un giornale, con forti riferimenti alla storia politica, giornalistica, giudiziaria e complottistica italiana, da Tangentopoli a Gladio, passando per la P2 e il terrorismo rosso. In quelle pagine, poco più di duecento, si legge che il giornalismo è “una macchina del fango”, che non occorre inventare le notizie “perché basta riciclarle" e che il quotidiano è destinato ad "assomigliare sempre di più ad un settimanale".
Avrebbe continuato, sicuramente, a scriverne tanti altri, vista la sua decisione di abbandonare Bompiani e il gruppo Mondadori-Rcs, da lui ribattezzato ‘Mondazzoli’, per dare vita, insieme ad altri ‘coraggiosi’ guidati da Elisabetta Sgarbi, alla Nave di Teseo, una nuova realtà editoriale finanziata, tra gli altri, anche da lui (con due milioni di euro), un ottantaquattrenne che continuava a fare progetti con lo stesso entusiasmo di un giovane, perché – come disse a Repubblica – “il progetto è l'unica alternativa alla Settimana Enigmistica, il vero rimedio contro l'Alzheimer". Siamo dei velleitari? Peggio, siamo pazzi”.
Ieri sera, subito dopo la sua scomparsa, gli amici della sua nuova casa editrice lo hanno salutato con un tweet dall’account ufficiale ("La nave di Teseo saluta il suo capitano. Grazie Umberto"). Ironica, a volte, la sorte, visto che lui, proprio riguardo a Twitter, aveva dichiarato, qualche mese fa (dopo aver ricevuto all’Università di Torino la laurea honoris causa in ‘Comunicazione e Cultura dei media’) che "i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”, a quelli che “prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino rosso, senza danneggiare la collettività e che venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l'invasione degli imbecilli".
Ma Eco era così, “un mio grande amico, un uomo straordinario che amava stupire, anche per cose molto lontane da quell’immagine che aveva”, ha spiegato un addolorato Gianni Vattimo all’HuffPost, ed è lui stesso a ricordare, come ha scritto anche nella sua autobiografia, Non Essere Dio (Ponte alle Grazie), che oltre ad essere stato per lui il suo “ultimo padre”, nel privato era un uomo di grande spirito: “mi ha insegnato tante cose, principalmente le barzellette, un repertorio di barzellette da far invidia a Berlusconi”, si legge, “se si comportasse un po’ meno da monumento sarebbe meglio, ma nessuno è perfetto”.
Più passerà il tempo e più quell’uomo di ampie vedute - grande filosofo, medievista, semiologo e scrittore che amava definirsi “fabbricante di parole” – ci mancherà, eccome se ci mancherà. Peccato che non potrà sapere come andrà a finire la questione del riconoscimento dei matrimoni gay e delle coppie di fatto, ma lui questo lo aveva – a suo modo – anticipato già in ‘Tre racconti’, una raccolta del 1962 ripubblicata in versione economica prima di Natale, in cui si legge: “Avevano capito che sulla terra, come sugli altri pianeti, ciascuno ha i propri gusti, ma è solo questione di capirsi a vicenda”.