Visualizzazione post con etichetta democrazia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta democrazia. Mostra tutti i post

mercoledì 26 giugno 2024

Potere, democrazia, uguaglianza, utopia.

 

"Vuolsi cosi' colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare..."

E il "libero arbitrio", dettato da Dio secondo la religione cristiana, che fine ha fatto?
Perchè è lapalissiano che vale la regola di chi comanda, alla faccia dell'utopistica* "democrazia", parola ormai svuotata di significato.
Qui, da noi, il popolo elegge qualcuno che crede di conoscere e che, una volta seduto sullo scranno conquistato, gli volta le spalle ed esercita il proprio volere acquisendo potere e creando quelle sostanziali differenze contrastanti con l'articolo 3 della Costituzione che recita:

"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8, 19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."

e che, come è evidente, è stato emendato più volte ad uso e consumo di chi non accetta le uguaglianze espressamente citate e volute da chi le ha scritte.

cetta


utopia*
Dizionario
/u·to·pì·a/
sostantivo femminile
Quanto costituisce l'oggetto di un'aspirazione ideale non suscettibile di realizzazione pratica.
"è un'u. la perfetta uguaglianza tra gli uomini"
PARTICOLARMENTE
Ideale etico-politico destinato a non realizzarsi sul piano istituzionale, ma avente ugualmente funzione stimolatrice nei riguardi dell'azione politica, nel suo porsi come ipotesi di lavoro o, per via di contrasto, come efficace critica alle istituzioni vigenti.

mercoledì 31 maggio 2023

Mattarella - DEMOCRAZIA. - Renata Girardi

 

Mattarella ama raccontarci la democrazia nello stesso modo con cui un nonno legge favole al nipotino, per addormentarlo.

Poi chiude il libro e se ne va via.
Noi abbiamo sperimentato chi lui sia dopo aver vinto le politiche del 2018, deve avergli tolto il sonno.
Il M5S lui lo vede come il fumo negli occhi da sempre.
Dopo gli esiti delle Politiche 2018 mentre si cercava di mettere assieme un governo, impresa resa quasi impossibile con il Rosatellum, Di Maio chiese udienza a Mattarella.
Lui gliela nego' e ricevette per contro Berlusconi.
Dopo l' incontro B. Dira' :
" Ci provino a fare un governo che li mando a schiantare"
Incassato l' ok a destra si lancia nel tentativo
Del golpettino tecnico...l' uomo col trolley
ben funzionale all' austerità ,Cottarelli, uomo di sistema , dura 3 giorni come quasi-premier.
Arrivati alla definizione di un accordo di
governo giallo verde, dopo la nomina di Giuseppe Conte dirà indignato:
" HO dovuto persino accettare un PDC non votato in Parlamento"...ogni riferimento a Monti e Renzi è puramente casuale.
Per dire come la sua rielezione sia vista come
medicina anti M5S.
I suoi moniti contro il populismo e la sua predisposizione ai tanti sacrifici cui ci esorta sono noti e presenti in ogni discorso di circostanza ; parla di dignità e diritti poi a Meloni che li cancella firma tutto senza fare un plisse' .
Oggi in un suo intervento, il suo endormement
a favore di Roccella, le contestazioni gli fanno
venire l'orticaria ed il dissenso va sciolto nella melensa retorica che esterna in ogni occasione.
Ma quanti sorrisi riserva alla Meloni ?
Avete notato?
Io non lo reggo.
Scrivo per non dimenticare ed invitarvi a ricordare, non so di chi e di cosa lui sia Garante, ma non siamo noi di certo.

sabato 1 aprile 2023

Assange e la democrazia a stelle e strisce - Giuseppe Salamone

 

Non si tengono più da quando è uscita la notizia dell'arresto di Evan Gershkovich, trentaduenne giornalista americano del Wall Street Journal arrestato dai servizi d'intelligence Russi perché sospettato di essere una spia USA.

Politici, giornalisti, opinionisti e atlantisti compulsivi vari si stanno stracciando le vesti a reti unificate per questo giornalista. Non fanno altro che parlare di libertà di stampa, di democrazia e chi più ne ha che più ne metta. Alla Casa Bianca hanno iniziato a dare lezioni subito seguiti a ruota dai loro vassalli che ripetono a pappagallo ciò che impone Washington.

In tutto ciò c'è un uomo che sta morendo soffrendo come un cane, quest'uomo si chiama Julian Assange: privato della libertà da oltre un decennio e oggi rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh. Tutto ciò solo perché ha avuto il coraggio di svelare i crimini di guerra delle stelle e strisce.

Se aveste dedicato per Assange solo un decimo del tempo che avete dedicato per questa vicenda, a quest'ora Julian sarebbe libero di giocare con i suoi figli, di stare con sua moglie e di informarci sulle porcate che fanno i potenti occidentali. Invece è lì che sta morendo piano piano. O per meglio dire, che sta venendo ucciso da ipocriti guerrafondai senza scrupoli. Vergognatevi perché siete dei grandissimi miserabili!

T.me/GiuseppeSalamone
Giuseppe Salamone
Giuseppe Salamone II

https://www.facebook.com/photo?fbid=584482677046411&set=a.390859653075382

sabato 24 settembre 2022

POLITICHE 2022/L’IMMATURITÀ DELLA DEMOCRAZIA. - GUSTAVO ZAGREBELSKY

 

In nessuna “democrazia matura” c’è stato, o c’è, un turbinio di leggi elettorali come in Italia. Ma, l’Italia è una democrazia matura? Se la maturità è il tempo della stabilità, della consapevolezza di sé, della fiducia che abbiamo in noi stessi e ispiriamo negli altri, dell’affidabilità e della serietà, c’è da dubitare. Le riforme elettorali, talora in prossimità delle elezioni, perfino imposte con il voto di fiducia di chi è momentaneamente al governo per restarci, sono segno di smarrimento della bussola o tentativi di truccare i risultati a proprio favore. Furbizie, non istituzioni.

In meno di venticinque anni, a partire dai referendum del 1991 e del 1993 contro “la proporzionale”, abbiamo avuto vari sistemi elettorali strampalati di cui ci facciamo beffe perfino nel gergo: mattarellum, porcellum, italicum (dichiarato incostituzionale prima ancora d’avere la possibilità d’essere applicato), rosatellum, salvo poi, in fine, da parte di molti che si erano dati da fare, auspicare il ritorno al punto di partenza: la proporzionale!

Il paradosso è che coloro che si sono prodigati, l’hanno sempre fatto, per l’appunto, con l’intento di farci ‘maturare’: cittadino-arbitro, scettro al principe, democrazia dell’alternanza e decidente, bipolarismo, governabilità e altre parole d’ordine piene di nobili intenzioni, guarnite dai suggerimenti tecnici degli esperti, volta a volta infatuati da questa o quella “esperienza” raccolta in giro per il mondo, dal Regno Unito a San Marino, passando per la Germania, la Francia e la Spagna, oppure compiaciuti per avere escogitato qualcosa di propriamente italiano che tutta Europa ci avrebbe invidiato.

E ora, attendendo il 25 settembre, tratteniamo il respiro: non perché tutti gli esperti di umori elettorali prevedono la vittoria di una parte che può piacere più, meno o nulla. Questi sono giudizi politici. Ma perché si prospetta l’eventualità che una coalizione elettorale, stimata intorno al 45 per cento dei votanti, in presenza di un altro 45 per cento di astenuti – dunque una esigua minoranza del totale ottenga in parlamento un numero di seggi abnorme che le permetterebbe di fare qualsiasi cosa, anche di cambiare da sola, volendo, la Costituzione.

La legge elettorale vigente (a differenza di quelle precedenti) non parla di “premi di maggioranza”; tuttavia consente una tale distorsione della rappresentanza da fare impallidire le leggi precedenti che li prevedevano. Questa legge non è piovuta dal cielo ma è stata imposta addirittura con voti di fiducia, ed è comprensibile che venga ora la l’allarme da parte di chi l’ha ereditata per evitare o limitare un disastro democratico (ma è meno comprensibile se proviene da coloro che ne hanno determinato le premesse).

Dicono: votate per noi se, quel guaio che si prospetta a causa della legge che noi stessi abbiamo fatto, volete evitarlo. Abbiamo stabilito che tanti seggi siano attribuiti ai candidati che prevalgono anche solo per un voto in ciascun collegio e non immaginavamo ciò che ora le previsioni mettono davanti agli occhi: che quasi tutti, così, saranno appannaggio di candidati del raggruppamento avverso. Siamo pifferi di montagna venuti per suonare e rischiamo d’essere suonati.

Non basta. La legge con la quale voteremo è conforme alla Costituzione? La Corte costituzionale si è pronunciata più volte sulla genuinità e libertà dell’esercizio del diritto di voto, caposaldo di democrazia. Ora, la legge che abbiamo è un ibrido o meglio, un mostro, un ircocervo in parte capro e in parte cervo. Mette insieme due logiche antitetiche. È maggioritaria per 1/3 e proporzionale per 2/3. Sebbene dal 1993 con diversi dosaggi sia stato così, ciò non impedisce di vedere che il mostro ha due teste che pensano l’una all’opposto dell’altra. La testa maggioritaria dice agli elettori: a chi farete prevalere sugli altri, anche per pochi voti, darò la vittoria e agli altri toccherà la sconfitta.

La testa proporzionale, invece, non promette vittorie, né minaccia sconfitte, ma dice benevolmente: otterrete in seggi quanto avrete ottenuto in voti, sia pure in miniatura. Sono due concezioni politiche che hanno, ciascuna, una loro logica, ma sono logiche che si escludono, non si sommano.

Non si può volere vittoria e sconfitta e, al tempo stesso, né vittorie né sconfitte ma “a ciascuno il suo”. Sono in gioco due alternativi atteggiamenti psicologici degli eletti e, prima ancora, degli elettori. L’elettore consapevole del meccanismo duplice che è chiamato a far funzionare si trova facilmente nel dubbio: voto per “vincere” o voto per “rappresentare”? Questo elettore resta poi sbalordito quando viene a sapere che, sebbene gli si chieda di partecipare a due consultazioni, l’una per la quota maggioritaria e l’altra per quella proporzionale, gli si dà in mano un solo voto che vale per l’una e per l’altra parte.

Un voto che vale due: se scegli una lista per la parte proporzionale ciò vale automaticamente per il candidato per la parte maggioritaria, e viceversa. In breve: i partiti manipolano il 50 per cento della libertà del tuo voto e lo fanno per assicurarsi i posti per i candidati che interessa a loro che siano eletti. La sacrosanta libertà elettorale è così platealmente violata. L’elettore consapevole avverte d’essere strumentalizzato. Tanto più, poi, in quanto nella quota proporzionale si presentano “liste bloccate” e l’elettore non può fare scelte di preferenza tra i candidati. In sostanza, crede di essere libero ma, in buona parte, è un prigioniero di scelte altrui: se gli piace un certo candidato nella quota maggioritaria, il suo voto trascina la lista nella quota proporzionale, anche se non gli piace affatto; se gli piace la lista proporzionale, il suo voto trascina il candidato nella quota maggioritaria, anche se ne farebbe volentieri a meno. In più, non può far valere alcuna scelta sulla quota proporzionale perché i candidati sono predisposti in un ordine ch’ egli non può modificare.

I partiti già non godono di molto credito, ma possiamo pensare che un sistema elettorale come questo li avvicini ai cittadini, come dovrebbe accadere in ogni occasione in cui li si convoca al voto, e non invece li allontani? Le leggi elettorali non dovrebbero essere fatte per i partiti e per i candidati, ma per i cittadini. In Italia, da troppi anni non è così. Dovrebbero, più di tutte le altre, essere stabili e semplici. Invece, quando ci si riesce, le si cambia in prossimità delle elezioni e si guarda ai vantaggi che si spera di trarne nell’immediato. Dovrebbero essere ispirate a un solo e chiaro principio fondamentale di giustizia elettorale nel quale l’elettore possa capirci qualcosa. Le leggi elettorali dovrebbero essere le più istituzionali tra tutte le leggi ordinarie, ed invece sono tra le più occasionali.

Riprendiamo dall’inizio, dal bisogno di maturità della nostra democrazia. Gli “statisti” dimostrerebbero d’essere tali se non si facessero travolgere dagli argomenti di convenienza, e i “costituzionalisti” dimostrerebbero d’essere tali se non si facessero coinvolgere, con le loro competenze, nelle croci e nelle delizie di politici che statisti non sono.

http://www.libertaegiustizia.it/2022/09/19/politiche-2022limmaturita-della-democrazia/

domenica 7 agosto 2022

LA COALIZIONE CONTRO LE DESTRE È UN GIOCO AL RIBASSO. - Alessandra Algostino

 

Elezioni Il rischio di un ulteriore attacco frontale alla Costituzione, dopo lo svuotamento del progetto costituzionale e la sua sostituzione con politiche all’insegna della razionalità neoliberale esiste.

Del pericolo che la destra ottenga, con un sistema elettorale, il Rosatellum, un vulnus alla rappresentanza e alla sovranità popolare, i numeri per una revisione che annienti la Costituzione, hanno scritto in modo chiaro su queste pagine, Floridia, Azzariti, Migone, Gianni. Un no antifascista è il primo a insorgere se si pensa ad un governo Meloni, all’idea che la democrazia parlamentare nata dalla Resistenza sia occupata dalle destre, da partiti razzisti. Il rischio di un ulteriore attacco frontale alla Costituzione, dopo lo svuotamento del progetto costituzionale e la sua sostituzione con politiche all’insegna della razionalità neoliberale esiste.

Che fare? La proposta di assumere come programma l’attuazione della Costituzione, per i principi che essa veicola, potrebbe non solo difendere la carta costituzionale, ma determinare una radicale inversione di rotta: centralità della persona, solidarietà, redistribuzione, controllo e programmazione dell’economia a fini sociali (e ambientali), lavoro come strumento di dignità, partecipazione effettiva, diritti sociali, progressività nella tassazione, diritto di asilo a chiunque sia impedito l’esercizio delle libertà democratiche, ripudio della guerra, perseguimento della pace e disarmo.

Sono i principi, i diritti, la visione del mondo, che sono vissuti nelle lotte del Collettivo di fabbrica della Gkn, nei movimenti territoriali che si oppongono alle grandi opere, nelle proteste degli studenti, nelle azioni non violente di Extinction Rebellion, nella solidarietà di chi aiuta i migranti, nelle reti che collegano associazioni e luoghi di pensiero critico (dalla Società della cura alla Rete dei numeri pari, per limitarsi a due esempi). Da qui occorre ripartire, da una forza politica radicata nei territori, nei conflitti, nella costruzione di alternative, e che senza infingimenti si proponga di traghettare una visione del mondo dalla parte dell’eguaglianza, dell’emancipazione, della giustizia sociale e ambientale nelle istituzioni.

Una utopia, per quanto concreta, che, dato il sistema elettorale e la mancanza di forze ampie che la sostengano, nell’immediato presente può consegnare il paese, e la Costituzione, alle destre? La neutralizzazione della Costituzione è perseguita da anni, con toni differenti, ma senza soluzione di continuità, dalle maggioranze di centrodestra e di centrosinistra, sino al governo di “unità nazionale” dell’agenda Draghi. Un governo di destra fa paura, ma fa paura anche questo scivolamento progressivo e avvitamento in se stesso del sistema in una spirale dantesca in cui, mentre letteralmente il caldo infernale ci avvolge, la guerra si normalizza, le diseguaglianze crescono, la democrazia si riduce a strumento dell’egemonia neoliberista.

Un fronte unico per l’attuazione effettiva della Costituzione, contro la guerra, alternativo al dominio della competitività in nome del profitto, non si vede; un mero apparentamento elettorale per far fronte alle costrizioni del Rosatellum (che abbiamo non per punizione divina ma per ignavia politica) rischia di fornire la sponda ad un altro passo nella rivoluzione passiva, di partecipare ad un gioco al ribasso che nel voler tutelare un livello essenziale di democrazia ne mantiene unicamente la parvenza, di occultare la necessità di alternative radicali. Occorre un po’ di speranza ribelle, il coraggio di dire no alla china mistificatoria del male minore, immaginare un futuro radicalmente diverso e iniziare a costruirlo, con chi, e da chi, lo sta praticando, nei conflitti sociali e ambientali, nella solidarietà, nella ricerca della pace.

La Costituzione si difende con chi la vive e attua, il nesso fra democrazia politica, economica e sociale richiede di preservare la democrazia parlamentare e insieme perseguire il progetto di emancipazione dell’art. 3, comma 2, ad evitare che la democrazia si riduca a maschera del potere; la sinistra si costruisce con un progetto chiaro di giustizia sociale e ambientale, con una fantasia della realtà che la dialettica della storia restituisce alla sfera del possibile. Un governo di destra fa paura, ma ancor di più è da temere la fine della speranza che possa esserci una via radicalmente alternativa allo stato delle cose presente.

da Il Manifesto, 2 agosto 2022

http://www.libertaegiustizia.it/2022/08/05/la-coalizione-contro-le-destre-e-un-gioco-al-ribasso/

domenica 19 settembre 2021

“Renzi ha sabotato un’alleanza di vera sinistra. Per conto terzi”. - Silvia Truzzi

 

Nel suo ultimo manuale (Conversazioni sulla Costituzione, Cedam) Lorenza Carlassare scrive che se si assume l’implicito che solo alcuni abbiano le capacità per governare, viene messa in discussione l’idea stessa di democrazia.

Professoressa, il “governo dei sapienti” da Platone in poi è spesso stato riproposto: perché?

È una concezione autoritaria del potere. Non bisogna andare molto indietro nel tempo per ritrovarla nella nostra storia. Secondo Alfredo Rocco, padre del codice penale nonché ministro Guardasigilli di Mussolini, lo Stato fascista supera la democrazia perché si riserva “di far decidere i problemi essenziali della vita dello Stato a coloro che hanno la possibilità d’intenderli, sollevandosi sopra la considerazione degli interessi contingenti degli individui”. L’idea dell’infallibilità di un capo fa paura: per fortuna se il “capo” è Draghi non corriamo alcun pericolo. La concezione acritica del potere però è in sé estremamente pericolosa.

Si parla del governo dei migliori: chi sono?

Proviamo a ragionare al contrario. Ovviamente nessuno auspica un “governo dei peggiori”: ne abbiamo visti in passato di peggiori, per esempio dal punto di vista della condotta non sempre specchiata, della mancanza di disciplina e onore e perfino della fedina penale macchiata! È giusto, per certi versi perfino ovvio, che si cerchino per i ruoli chiave persone che abbiano capacità e conoscenze. La competenza è indispensabile: personalmente non metterei al ministero dell’Università e della Ricerca una persona che non ha nemmeno la licenza superiore come avvenne non molti anni fa. Però pensare che esista un’élite destinata a governare le masse rompe l’idea di uguaglianza su cui si fonda la democrazia costituzionale.

E poi: chi seleziona i migliori? Sulla base di quali criteri?

Questo è il punto cruciale che spiega bene perché la democrazia non ha alternative. Oggi ci troviamo in una situazione particolare causata dall’estrema debolezza del sistema politico. La crisi della rappresentanza dipende anche da leggi elettorali che in qualche modo hanno sottratto o attenuato la possibilità per i cittadini di scegliere i propri eletti, selezionati dai leader dei partiti in base a convenienze e fedeltà. Prima i partiti avevano un radicamento sociale importante e concorrevano alla preparazione della classe politica, formando il personale parlamentare e di governo. Adesso si bada solo al consenso, qui e ora.

Lei crede alla tecnica che non ha colore politico?

Non esistono decisioni neutre: tutte le decisioni sono politiche. Questa crisi è stata alimentata da un soggetto che ha un nome e un cognome, Matteo Renzi, che ha agito per sé e io credo anche per conto terzi: in troppi erano preoccupati dal possibile consolidamento di un’alleanza 5Stelle-Pd per timore di uno scivolamento a sinistra del Paese. Basta vedere come si affannano nel chiedere che le risorse non vengano sprecate nei sussidi. Ma non si tratta di “sprecare”: la Costituzione prevede l’intervento dello Stato in caso di disoccupazione involontaria e anche il diritto a una retribuzione che garantisca al lavoratore una vita dignitosa.

Aboliranno il reddito di cittadinanza?

Non credo che la Consulta lo permetterà. La giurisprudenza della Corte negli ultimi tempi ha ben chiarito che la Corte stessa può sindacare le scelte del legislatore in ordine all’allocazione delle risorse alla luce di principi fondamentali come quelli di uguaglianza e solidarietà. Se si oltrepassa la soglia del principio di ragionevolezza nell’abolire misure di solidarietà sociale in momenti in cui crescono disoccupazione e povertà, la Corte potrebbe intervenire.

Cosa pensa del governo di tutti o quasi tutti?

Che è impossibile. Ogni decisione è politica: accontenta e scontenta qualcuno, tocca interessi spesso contrastanti, favorendone alcuni e sfavorendone altri quindi non credo che partiti con posizioni diametralmente opposte possano mettersi d’accordo su ogni decisione. Non penso che possa essere efficiente un esecutivo sostenuto da tutti; mi piacerebbe, in questo difficile momento, ma mi sembra complicato. Sarebbe essenziale delimitare un’area politica di sostegno e giovarsi delle astensioni di chi non si oppone.

ILFQ 11.2.2021

venerdì 4 giugno 2021

CAPITALISMO E DEMOCRAZIA: TASSARE LE RICCHEZZE PER USCIRE DAL NUOVO FEUDALESIMO. - Nadia Urbinati


 
Ci abbiamo mai fatto caso che il discorso sulla crisi ha in questi anni marciato su due binari paralleli? Crisi della democrazia e crisi del capitalismo. Sulla prima si è accumulato materiale che potrebbe riempire alcuni scaffali. Sulla seconda, la produzione è meno abbondante ma non se si include la trattatistica sulla disuguaglianza.

Realismo critico.

Recentemente Carlo Trigilia ha curato un volume per il Mulino, Capitalismi e democrazie, che offre un’analisi comparativa di come le democrazie elettorali hanno risposto alla crisi economica; il bilancio non è necessariamente negativo: i percorsi dei Paesi europei mostrano come la “macchina complessa” della democrazia possa rispondere alla sfida “durissima” che viene dalle relazioni tra lo stato e il mercato.

Proviamo a fare un esperimento mentale: che cosa succede se invece di tener distinti i due termini – capitalismo e democrazia, mercato e stato – li trattiamo come parti di un sistema integrato? È questo che si propone di fare nel suo ambizioso e, dice Claus Offe, potenzialmente sovversivo, Capitalism on Edge: How Fighting Precarity Can Achieve Radical Change Without Crisis of Utopia (Columbia University Press, 2020).

L’autrice, docente nell’università del Kent, con una biografia di attivista e dissidente negli anni della caduta del regime comunista in Bulgaria, ha studiato alla New School e ad Harvard e ha una formazione francofortese. Il quadro teorico e concettuale nel quale situa la sua ricerca socio-politica è quello del realismo critico, che potremmo sintetizzare con le parole di Paul Valery: «Il modo migliore per far sì che i sogni diventino realtà è svegliarsi».

Realismo critico significa, in questo caso, evitare di guardare il capitalismo da un punto di vista morale o desiderativo. Per questo, parlare di crisi ha poco senso, perché presume che vi sia una condizione stabile o di buona salute (ma buona per chi?) alla quale riportare il capitalismo. Secondo Azmanova non di crisi si dovrebbe parlare ma di cicli di mutamento delle condizioni di generazione del profitto.

Il capitalismo che molti dipingono in agonia o propongono di rendere “buono” sta benissimo come motore di prosperità selettiva. Ed è l’attenzione al problema “sistemico” che consente di vedere i segni delle trasformazioni epocali: nel nostro tempo, il populismo xenofobo o le rivolte dei disperati segnalano una “pena crescente” di molte persone che la retorica del benessere generalizzato e della crescita aveva per qualche decennio alleviato.

Conservatori e progressisti trattano il capitalismo come un fenomeno morale che può essere piegato alle ragioni della giustizia che stanno prima e sopra di esso. Secondo Azmanova questa lettura non aiuta a capire il nostro tempo e neppure la logica di sistema. I discorsi sulla crisi derivano da una teoria della giustizia che si propone di lenire le grandi sofferenze con i mezzi che il capitalismo offre, muovendo cioè le leve o della liberalizzazione o dell’intervento statale.

Dall’uguaglianza all’oligarchia. 

È possibile uscire da questo circolo chiuso? Secondo Azmanova è possibile se si resta marxianamente all’interno del processo immanente del capitalismo, che non è istigato da menti o volontà perverse o esterne ad esso. Si tratta di una pratica di pensiero radicale. Primo passo: trattare le nostre società come ordini istituzionali che combinano la democrazia come sistema politico al capitalismo come sistema sociale.

La democrazia capitalistica comprende due ordini, economico e politico, che si sostengono a vicenda perché azionati dalla stessa logica, come diceva Schumpeter: generazione competitiva del profitto e generazione competitiva della classe politica. Alcuni anni fa, Francesco Galgano tracciò la storia del principio di maggioranza a partire dalla Compagnia delle Indie, della quale John Locke era un azionista.

L’evoluzione delle democrazie come del capitale azionario è, da allora, andata da soluzioni di uguaglianza orizzontale a soluzioni miste di oligarchia e democrazia. O l’elettore è un uguale in senso aritmetico (una testa/un voto) o invece la sua uguaglianza è proporzionale all’interesse o al potere da rappresentare (peso del voto secondo le quote di capitale).

Democrazia e capitalismo hanno seguito un andamento dall’uguaglianza all’oligarchia, pur restando l’uguaglianza degli individui il principio che giustifica la competizione. Azmanova propone una lettura simile: la democrazia elettorale attuale, dice, è generatrice di oligarchia proprio per le pratiche competitive che la muovono. E offre valvole di sfogo, lasciando aperti spazi di contestazione della disuguaglianza, come con Occupy Wall Street o gli Indignados.

Secondo Azmanova queste sono reazioni innocue, anche perché traducono le afflizioni e le condizioni di assoluta precarietà, in una denuncia fuori tiro, sbagliata – la disuguaglianza – senza mai andare alla radice dell’ordine che la genera. Quindi il capitalismo continua a prosperare a dispetto della insoddisfazione pubblica che genera.

Allenarsi a resistere.

Del resto, nonostante le dichiarazioni di crisi del capitalismo c’è generale consenso sulle strategie di intervento (alternanza di deregolamentazione e liberalizzazione e di cicli di intervento pubblico in momenti di instabilità). Fino a ora, tutti i governi democratici, di destra o di sinistra, hanno perseguito l’obiettivo di salvare il capitale finanziario e il “big business” implementando programmi di austerità, con il risultato di generare più povertà e più precarietà.

E le rivolte, a tratti anche violente, come quella dei gilets jaunes francesi o le reazione populiste, non cambiano questa situazione: sono allenamenti alla resistenza al peggio, cioè resilienza. Incanalare la frustrazione contro i poveri non nostri e contro i super-ricchi del mondo: xenofobia e invidia sociale. Due strade che non portano a nulla se non a restare dove si è.

Ha scritto Harry Frankfurt in Inequality (2015) che siamo fuori tiro quando lamentiamo la disuguaglianza. Dovremmo in effetti preoccuparci della povertà: il povero soffre perché non ha abbastanza di che vivere. Dargli di che vivere è l’obiettivo materiale, anche a costo di togliere a chi ha di più. L’obbligo morale sarebbe quindi non quello di conquistare più uguaglianza, ma di eliminare la povertà.

L’oscena accumulazione della ricchezza è offensiva non rispetto all’uguaglianza (di che cosa? In relazione a che cosa? Tra chi?) ma alla povertà, al fatto empirico ed evidente della miseria che non consente sofismi. Eppure tutti parlano della disuguaglianza, dai presidenti delle banche e degli organismi economici internazionali ai riformatori liberal.

Perché la disuguaglianza, che è una caratteristica delle società di mercato da sempre, all’improvviso è tanto discussa da tutti? Perché siamo disturbati più da chi è ricco che da chi è povero? Se insistessimo sulla povertà saremmo meno inconcludenti e daremmo più spazio ai discorsi materiali; se cessassimo di parlare di crisi del capitalismo vedremmo meglio che questo sistema è basato sulla produzione di povertà, di ingiustizie e di dominio.

Nella Favola delle api (1723) di Bernard de Mandeville, si legge che la ricchezza nasce dalla povertà, la prosperità dal lavoro salariato; il benessere delle nazioni è misurato dalla massa dei poveri laboriosi che faticano senza aspirare ad investire in bellezza e cultura, merci di lusso non a buon mercato.

La religione della sopportazione e il mito della condizione umana sempre uguale a sé stessa sono serviti per secoli a lenire il senso disperante di non aver altro che la propria miseria. Nel nostro tempo che sembra aver eternizzato il capitalismo, quale risposta si può dare a Mandeville per il quale la storia è storia di sfruttamento e di ricchezza che si ripete sempre uguale perché l’antropologia non cambia?

Si può in effetti rispondere che questa storia non si ripete mai sempre uguale perché gli esseri umani, dopo tutto, non sanno rinunciare, diceva Jean-Jacques Rousseau, a perfezionarsi e, così facendo, scompaginano la loro stessa antropologia e il corso delle cose, creano senza premeditazione crepe nel sistema. Cambiare le gerarchie Non c’è nessuna regia della storia, sono gli umani a non poter essere addomesticati.

Pertanto, pur senza un disegno che determina il corso delle cose, vale il detto che il diavolo si annida nei dettagli. E la libertà è il dettaglio sovversivo. Qualche scintilla qui è là, manifestazioni di scontento sempre meno sporadiche valgono a mettere in circolo l’idea che si può interrompere la legge ferrea della povertà e della perversa ideologia della precarietà come condizione che meritiamo.

Il movimento del Sessantotto fu un assaggio della possibilità sempre aperta di scompaginare l’ordine della gerarchia. Oggi l’insoddisfazione per la massiccia ed espansa precarietà può aprire una nuova possibilità. Segni ne sono anche le reazioni xenofobe e protezionistiche, risposte alla precarietà e alla povertà inadeguate e capaci di mettere la democrazia a rischio.

Tassare le ricchezze è invece il punto da cui partire, scrive Azmanova, non per invidia di chi ha molto o per rendere tutti ugualmente ricchi, ma perché esse sono disfunzionali in quanto rappresentano un feudalesimo di ritorno e un’oligarchia auto-protetta, condizioni che stridono con le premesse competitive del sistema capitalismo e della democrazia.

Libertàgiustizia

mercoledì 3 febbraio 2021

Democrazia? Oligarchia!

 

Benvenuti in Oligarchia, altro che Democrazia!
I politici italiani ci hanno fatto capire che il nostro voto, la nostra volontà, valgono nulla e che a comandare e godere di privilegi sono loro, Infatti, anche i meno influenti tra loro possono decidere sulle nostre sorti.
Siamo sudditi obbligatari nei loro confronti e costretti a mantenerli anche se vorremmo mandarli a pascolare...
Sono pecore al soldo di chi ha il potere economico, sono cagnolini in cerca di ossa da spolpare, non hanno la più pallida idea di che cosa significhi amministrare un paese.
La prova l'ha data il bulletto purulento con il suo 2%.
In Italia non c'è solo qualcosa che non va, in Italia non c'è più nulla che vada nel verso giusto.
E' tutto da rifare!

cetta

venerdì 25 settembre 2020

Non solo tagli: il referendum ha rafforzato la democrazia. - Gian Giacomo Migone













La maggioranza del popolo italiano, che malgrado la pandemia, è andata a votare, ha conseguito alcuni risultati per la democrazia, non soltanto nostra. Vediamo quali.

1. In un momento cruciale, il sistema elettorale, che sta scricchiolando in alcune culle della democrazia (Stati Uniti e Regno Unito), ancora una volta ha funzionato in maniera esemplare nel nostro Paese. Non solo l’alta percentuale dei votanti che hanno capito l’entità della posta in gioco – per il contenuto del referendum, l’importanza di alcune elezioni regionali (Puglia e Toscana), la solidità di un governo che ha bene operato – ma il corretto funzionamento, senza contestazioni di rilievo, di oltre 61.000 sezioni a cui aggiungerne 3.000 ospedaliere, in piena pandemia.

2. Finalmente i reiterati tentativi di ridurre il numero prolifico dei nostri parlamentari hanno sortito un risultato concreto che apre la strada alla modifica di una scandalosa legge elettorale, opera di governi multicolori precedenti; che, tra premi di maggioranza e listini, sortisce centinaia di parlamentari nominati che non rispondono se non a centri di potere partitici che li distribuiscono a piacere, senza radicamento territoriale. Una prova ulteriore di serietà, in controcanto rispetto agli stereotipi negativi nei nostri confronti, tuttora circolanti in Europa. Ma attenzione ai Germanicum e ai Brescianum in agguato!

3. Sono stati sonoramente sconfitti i potentati economici, esemplarmente rappresentati dai giornali posseduti dalla famiglia Elkann, a null’altro interessati se non a continuare a puppare soldi pubblici italiani ed europei, magari con l’aiuto di qualche cambiamento di governo o, quantomeno, rimpasto compiacente. È ripreso un balletto osceno di dichiarazioni da parte di presunti vincitori, ingrandito e stimolato da giornali i cui editori sfruttano il bisogno di visibilità dei politici per ottenerne dei vantaggi con un gioco di bastone e carota.

4. Sono stati egualmente sconfitti Salvini, Renzi e altri protagonisti minori di una pseudosinistra, pariolina e di vocazione aretina, premiando coloro che con coerenza hanno sostenuto il molto di buono conseguito dal governo in carica, la sua politica antipandemica ed europeista. Non soltanto Conte, ma il prudente e sagace Zingaretti che, contrariamente a quanto sostenuto in prima pagina da Repubblica (22.09) e dal G7, ha rifiutato di lasciarsi tentare dai bocconi avvelenati che gli sono stati lanciati in diretta, quali il Mes e richieste ultimative, in grado di minare la necessaria alleanza tra Pd e un M5S, in evidente difficoltà, in cui con fatica ha prevalso una gestione responsabile.

Invece, Recovery Fund a tutta birra, come occasione per riformare e rilanciare un’economia più giusta e più sana; sostenere una sanità non più a sostegno di profitti privati, incapaci di gestire la pandemia; eliminare ingenti sprechi di denaro pubblico (cosa fece il prof. Cottarelli, quando presiedeva alla spending review, se non parole?) in modo da legittimare e investire nella scuola e nella ricerca come nella semplificazione delle procedure pubbliche e nel rafforzamento della giustizia civile.

Come ovvio, nulla è scontato. Per uscire, più liberi e forti, da una situazione di grande sofferenza sociale, aggravata dalla crescita mondiale della pandemia e da crescenti minacce alla sopravvivenza del pianeta, la strada è lunga, irta e piena d’insidie. Occorrerà anche il valido contributo di molte persone oneste e intelligenti che si sono lasciate ingannare dalla propaganda avversaria. Ma, come diceva Rhett Butler, domani è un altro giorno.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/25/non-solo-tagli-il-referendum-ha-rafforzato-la-democrazia/5943309/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-25

giovedì 12 settembre 2019

Mediocrazia - Roberto Cataldi

Publio Cornelio Scipione nell'eredità storica culturale - Wikipedia

La tendenza generale del mondo è quella di fare della mediocrità la potenza dominante (John Stuart Mill)


Nel discettare sulle diverse possibili forme di Governo, Platone aveva messo in guardia dalle loro possibili degenerazioni. Il filosofo greco, però, non avrebbe mai immaginato che il degrado di un sistema democratico moderno potesse avere a che fare con la progressiva perdita di "spessore" dei rappresentanti del popolo e con la banalizzazione dei ruoli e delle istituzioni.
Questo lento e progressivo declino verso la mediocrità diventa tanto più preoccupante quanto più si acquisisce la consapevolezza che tra una "buona" politica e una politica priva di "valore" (e di "valori") vi è in bilico la sorte di un intero Paese.
Ma proviamo a riavvolgere il nastro. Che cosa è successo a quel modello di democrazia sapientemente messo a punto dai nostri padri costituenti? Non siamo più di fronte allo stesso Parlamento, non vi è dubbio, ma se quel concetto alto di democrazia inizialmente ipotizzato è ormai tramontato, forse tutto è partito da un equivoco di fondo: l'idea che chiunque debba essere messo nelle condizioni di poter fare politica è stata confusa con l'idea che il merito potesse essere definitivamente accantonato. Un pò come avallare l'ipotesi di mettere alla guida di una nave chi non la sa condurre e non ha mai conseguito la patente nautica.
Per ricoprire un ruolo così delicato, come quello di legiferare, occorrerebbe innanzitutto un gesto di onestà intellettuale di chi si mette in gioco. Un candidato dovrebbe prima guardarsi allo specchio e chiedersi se è davvero capace del ruolo che vuol ricoprire. Ma non illudiamoci, siamo noi cittadini a dover acquisire una sempre maggiore capacità critica dato che, in ultima analisi, siamo noi a scegliere ed eleggere i nostri rappresentanti.
Se non diamo il giusto valore al merito, rischiamo di banalizzare il ruolo stesso della politica i cui principali "attori" non diventano altro che dei "bravi politicanti" alla ricerca più di consensi che di soluzioni ai problemi del Paese. Ai politicanti non serve il merito, basta saper "incantare" le masse, cavalcare l'onda del malcontento, banalizzare la comunicazione ed ottenere consensi.
Torniamo a Platone. Secondo un mito che trae origine da uno dei suoi dialoghi, Zeus dovette intervenire perché gli uomini senza la politica non erano in grado di vivere insieme ed erano quindi esposti agli attacchi delle belve. Decise quindi di mandare loro Ermes per portare il rispetto e il senso della giustizia. Ermes chiede a Zeus come deve dare agli uomini questi doni "Nel modo in cui sono distribuite le altre arti? Uno che possiede l'arte medica basta per molti profani, e così gli altri mestieri: anche dike (giustizia) e aidòs (rispetto) devo porre così negli uomini, o distribuirli a tutti?". Zeus risponde "a tutti e tutti ne partecipino". Platone parla di "partecipazione" all'attività politica. Ma attenzione, "partecipazione" alla vita politica è cosa ben diversa dall'"esercizio" in concreto della politica, esercizio che ovviamente richiede qualche dote in più. La partecipazione di cui parla Platone, si compie nel momento in cui si da luogo a un dialogo costante e costruttivo tra rappresentanti e rappresentati.
Sin dall'infanzia ci viene insegnato che è necessario "meritare" per ottenere qualcosa. E la vita, fin da subito, prende il sapore di una sfida. Si forma in noi l'idea del merito dia diritto a una sorta di "riconoscimento" sociale. Crescendo, però, questo mito comincia a vacillare. Specialmente quando a poco a poco ci si rende conto che ad avere la meglio, in genere, non sono i migliori ma i più furbi. Ed ecco che il concetto di merito si incontra e si scontra con la realtà dei fatti e l'anelito alla meritocrazia diventa una sorta di "bisogno di giustizia" in una società che dovrebbe premiare le competenze e le doti umane piuttosto che le astuzie.
Noi tutti vorremmo vivere in un mondo in cui sia dato il dovuto spazio per chi è il migliore nel suo campo. E noi tutti vorremmo che questo possa accadere anche in politica.
Ma è sempre così? La risposta la conosciamo bene. Del resto, si sa, le banalità ottengono più facilmente consensi ed applausi ed è molto più facile parlare alla pancia di un popolo che al suo cervello. Così, se ancora oggi si fanno avanti persone prive di qualità umane ma abili nella comunicazione è perché il politico che asseconda i "desiderata" dell'uomo mediocre ha molta più probabilità di avere successo. Ed ecco che si passa da una politica "meritocratica" a una sorta di "mediocrazia" dove prevale il degno rappresentante dell'uomo medio e dove le banalità prendono il sopravvento. Siamo così di fronte alla peggiore delle distorsioni del sistema democratico, quella che Richard Yates definì come una "malattia sociale" dove la gente "ha smesso di pensare, di provare emozioni, di interessarsi alle cose; nessuno che si appassioni o creda in qualcosa che non sia la sua piccola, dannata, comoda mediocrità".
Sono tanti i rappresentanti dei cittadini. Li troviamo nelle istituzioni, negli enti territoriali, in Parlamento. E sono diversi sotto ogni punto di vista, non solo in fatto di ideologie. Eppure davanti ad una buona idea, davanti ad una soluzione efficace essi dovrebbero reagire dimostrando di essere "meritevoli" del ruolo che gli è stato assegnato anche solo imparando a dare il giusto valore alle buone idee, a quelle idee che si mostrano "valide" a prescindere da chi le ha messe in campo. Mai come oggi il mondo politico ha bisogno di fare il pieno di persone così, intellettualmente oneste e di incontrovertibile spessore umano. Allo stesso tempo bisogna tenere alla larga gli affabulatori e i ciarlatani che sanno solo illudere le piazze con l'abilità dei saltinbanchi o dei prestigiatori.
Se non si riconosce il demerito - scriveva Vittorio Zucconi - "non si potrà mai valorizzare il merito". Uno sforzo in tale direzione dobbiamo assolutamente farlo se vogliamo munirci degli "anticorpi" necessari per non cadere più nelle trappole del passato, per non replicare quegli errori che tragicamente si ripropongono ogni volta che ci lasciamo trasportare da una retorica malsana e fanatica, rinunciando ad esercitare il benché minimo senso critico.
Se la storia ci ha insegnato qualcosa allora dovremmo riscoprire dentro di noi il senso vero della democrazia, di una democrazia intesa come una "orchestrazione delle differenze" dove il potere non è la risposta a un'ambizione del singolo ma un servizio per la collettività. Oggi l'analisi sociologica e antropologica del potere ci consente di guardare, in una nuova prospettiva interpretativa, all'impalcatura filosofica e concettuale che ha sostenuto lo spirito di potenza dei totalitarismi di massa dei primi del novecento. Ma esistono aspetti che le scienze umane possono trarre solo dal fondo oscuro della psicologia individuale e collettiva. E' li che dobbiamo rivolgere le nostre attenzioni, perché il nostro futuro dipende solo e principalmente da quello che siamo e dalle persone a cui decidiamo liberamente di affidare la nostra rappresentanza.

martedì 16 aprile 2019

Noam Chomsky : Auguri Professore!

Noam Chomsky  ha compiuto 90 anni. A Boston parla di Oggi, guarda al Futuro e ci ricorda il Passato.
Riportiamo qui di seguito la traduzione della trascrizione di una trasmissione televisiva, andata in onda su Democracy Now, sulla conferenza tenuta a Boston il 12 aprile da Noam Chomsky. Per comodità di esposizione la trascrizione della conferenza è stata suddivisa  in quattro sezioni e presentata  da AMY GOODMAN  in forma di intervista
 Qui il Video
AMY GOODMAN: stiamo trasmettendo da Boston e oggi passeremo la nostra ora con  Noam Chomsky, che questa settimana è tornato nella sua città Boston dove è stato professore al Massachusetts Institute of Technology per più di cinquant’anni, ora insegna alla University of Arizona di  Tucson. Giovedì scorso più di 700 persone si sono affollate nella  Old South Church  per ascoltare il noto linguista e dissidente politico, padre della moderna linguistica  che ha parlato sulle minacce alla democrazia:  ha parlato  della questione Israelo-Palestinese, dell’arresto di Julian Assange, della guerra nucleare e del cambiamento climatico. Dopo aver visto un frammento  di un nuovo film  che parla di lui “Internationalism or Extinction” Noam Chomsky ha parlato degli ultimi due anni e della presidenza  Trump.
Parte 1. Dobbiamo confrontarci con i movimenti  “Ultranazionalisti reazionari”  che stanno crescendo in tutto il mondo
Noam Chomsky ha parlato ricordando le origini del fascismo nel 20º secolo e il  germogliare di movimenti ultranazionalisti dal  Brasile agli  USA, da Isreaele all’ Arabi Saudita.
NOAM CHOMSKY:  Se me lo concedete, avrei piacere a cominciare con una breve reminiscenza di un periodo che è stranamente simile a oggi, sotto molti sgradevoli aspetti. Mi riferisco esattamente a 80 anni fa, ricordo che fu proprio di questi giorni che scrissi il mio primo articolo che parlava di politica. E’ facile ricordare la data, fu subito dopo la caduta di Barcellona nel febbraio 1939.
L’articolo parlava di quella che sembrava essere l’inesorabile avanzata del fascismo in tutto il mondo. Nel 1938, l’Austria era stata annessa alla Germania nazista. Pochi mesi dopo, la Cecoslovacchia fu tradita e abbandonata in mano ai nazisti, dopo la Conferenza di Monaco. In Spagna, una città dopo l’altra stava cadendo in mano ai franchisti. A febbraio 1939 cadde anche Barcellona e quella fu la fine della Repubblica spagnola. Quella che era stata una grande rivoluzione popolare, la rivoluzione anarchica del 1936, ’37, ’38, era già stata annientata con la forza. Sembrava che il fascismo si sarebbe allargato a macchia d’olio.
Non è esattamente quello che sta succedendo oggi, ma, se possiamo prendere in prestito la celebre frase di Mark Twain, “La storia non si ripete ma a volte fa rima“.  Ci sono troppe analogie per non volerle vedere.
Quando cadde Barcellona, ​​ci fu un’enorme ondata di profughi che scapparono dalla Spagna. La maggior parte se ne andò in Messico, circa 40.000. Qualcuno andò a New York e una libreria dove si vendevano libri usati, sulla 4° Avenue, divenne la sede degli anarchici. È lì, girovagando da quelle parti, che io cominciai a sentir parlare di politica. Questo succedeva 80 anni fa.
All’epoca nessuno riusciva a capirlo, ma sembra che anche il governo degli Stati Uniti stesse cominciando a cercare di comprendere come mai questa marcia del fascismo potesse sembrare ormai inarrestabile. Il governo di allora non vedeva questo fenomeno con lo stesso senso di allarme che poteva sentire un bambino di 10 anni. Ora sappiamo che l’atteggiamento del Dipartimento di Stato era piuttosto confuso nel comprendere quale fosse il significato del movimento nazista. In realtà, c’era un console a Berlino, il console statunitense a Berlino, che stava inviando a Washington dei commenti piuttosto contraddittori sui nazisti, suggerendo che forse non erano così male come dicevano tutti. Rimase lì fino al Pearl Harbour Day, quando fu richiamato, era il famoso diplomatico George Kennan. In fondo non era una sbagliato esprimere  lo stato di profonda confusione in cui versava chiunque cercasse di comprendere quegli eventi.
Oggi scopriamo che, anche se all’epoca non potevano saperlo, già nel 1939, lo State Department ed il Council on Foreign Relations cominciarono a pianificare il dopoguerra, cominciarono a pensare come sarebbe stato il mondo del dopoguerra. E subito dopo, nei primissimi anni, cominciarono a ipotizzare che il mondo del dopoguerra sarebbe stato diviso tra un mondo controllato dalla Germania  -un mondo sotto il controllo nazista- composto da buona parte dell’Eurasia e un mondo  sotto il controllo Usa, che avrebbe incluso l’emisfero occidentale, l’ex impero  britannico, che gli Usa avrebbero  preso in consegna. e parte dell’estremo oriente. Quello sarebbe stato il modello del mondo post bellico e questa panoramica, che noi oggi conosciamo, restò valida fino a quando i russi non entrarono in azione e cambiarono il corso della storia. Stalingrado nel 1942, poco dopo,  la grande battaglia fatta con i carri armati a Kursk, che rese ben chiaro che i russi avrebbero potuto sconfiggere i nazisti e fu allora che l’orizzonte americano cambiò: l’immagine del mondo del dopoguerra cambiò e prese le sembianze di quello che noi abbiamo visto negli anni  che sono succeduti a quel momento. Bene questo era ottant’anni fa.
Oggi non è così —noi non ci troviamo di fronte a qualcosa che è il Nazismo, ma siamo di fronte ad un dilagare di quello che a volte viene chiamato reazione internazionale ultranazionalista, sbandierato apertamente dai suoi sostenitori, compreso Steve Bannon, l’ impresario del movimento.  Proprio ieri c’è stata una sua vittoria: Le elezioni di Netanyahu in Israele che hanno reso più solida l’alleanza reazionaria che sta prendendo forma in tutto il mondo, sotto l’egida degli USA, gestita dal triumvirato Trump-Pompeo-Bolton — potrei facilmente prendere in prestito una frase di  George W. Bush per descriverli, ma per delicatezza, preferisco non farlo. L’alleanza del medio oriente è formata dagli Stati più reazionari della regione — Arabia Saudita, Emitati Arabi Uniti, Egitto sotto la più brutale delle dittature di tutta la sua storia e  Israele che si trova nel centro — contro l’Iran. Altre gravi minacce vengono anche dall’America Latina. L’elezione di  Jair Bolsonaro in Brasile ha insediato  al potere il più estremista, il più oltraggioso dei governi ultranazionalisti di destra che ora stanno affliggendo l’intero emisfero. Ieri Lenín Moreno dell’ Ecuador ha compiuto un passo decisivo che lo porta ad aderire a questa alleanza di estrema destra, cacciando Julian Assange dalla ambasciata dellì’Ecuador. Presto gli USA se faranno consegnare quest’uomo che andrà incontro a un brutto periodo a meno che  non si metta in moto una importante protesta popolare. Il Messico è uno dei paesi dell’ America latina che fa eccezione a tutto ciò sta accadendo, come in Europa occidentale, dove i partiti di estrema destra stanno crescendo e alcuni di questi mettono davvero paura.
Ma si intravedono delle controindicazioni. Yanis Varoufakis, ex Ministro delle Finanze della Grecia, una persona molto interessante, insieme a Bernie Sanders, ha cercato di dar vita ad una formazione Progressista Internazionale per contrastare l’internazionale di estrema destra che si sta creando. A livello di Stati,  c’è uno schiacciante sbilanciamento nella direzione sbagliata. Ma gli stati non sono le uniche entità che contano, a livello delle persone è tutta un’altra cosa. E questo potrebbe fare la differenza. Significa che bisogna dare una protezione agli Stati che funzionano democraticamente per migliorarli, per sfruttare le opportunità che questi Stati offrono a quelle tipologie di attivismo che hanno portato nel passato a raggiungere importanti progressi e che potrebbero salvare il nostro futuro. 
Parte 2 :Armi Nucleari, Cambiamenti Climatici & Minacce alla Democrazia nel Futuro del Pianeta
Mentre il Presidente Trump si ritira dagli accordi nucleari con la Russia e si accinge ad ampliare l’arsenale nucleare Usa, Noam Chomsky vede come la minaccia di guerra nucleare resti una delle questioni più importanti per l’umanità. Nel suo discorso alla Old South Church ha parlato anche dei cambiamenti climatici e dei rischi per la democrazia in tutto il mondo.
NOAM CHOMSKY: Vorrei  fare un paio di osservazioni sulle grosse difficoltà per riuscire a mantenere in vita le nostre istituzioni democratiche, sulle poderose forze che si sono da sempre opposte e sui risultati che in qualche modo  devono permettere di tenerle in vita, di valorizzarle e sul significato che tutto ciò costituisce per il futuro. Ma prima, vorrei dire un paio di parole sulle sfide che dobbiamo fronteggiare,  sfide delle quali avete già sentito parlare e che già conoscete. Pertanto una discussione seria sul futuro dell’umanità  deve cominciare riconoscendo un fatto essenziale, un fatto che la specie umana deve affrontare oggi, una domanda che non si era mai presentata finora nella storia dell’umanità, la domanda a cui dobbiamo rispondere e presto è: per quanto tempo riuscirà ancora a sopravvivere la società umana?
Bene, come tutti ben sapete, da 70 anni viviamo sotto l’ombra di una guerra nucleare. Tutti quelli che hanno avuto l’opportunità di comprendere quello che è successo, non possono far altro che esprimere tutto il loro stupore per il fatto che siamo riusciti a sopravvivere fino ad oggi. Ogni minuto che passa l’ora del disastro finale  sembra avvicinarsi sempre più rapidamente. È quasi un miracolo il fatto che siamo sopravvissuti, ma i miracoli non durano per sempre. Questa storia deve essere risolta e presto. La recente Nuclear Posture Review  fatta dall’amministrazione Trump fa aumentare in modo drammatico le minacce di uno scoppio  della conflagrazione, cosa che in effetti porterebbe  alla fine della specie. Potremmo ricordare che questa Nuclear Posture Review è stata sponsorizzata da Jim Mattis, che è considerato troppo acculturato per restare a far parte di questa amministrazione:  questo può darci un’idea di che cosa può essere tollerato nel mondo dei Trump-Pompeo-Bolton.
Bene, c’erano tre importanti trattati sulle armi: il trattato ABM, il trattato sui missili anti-balistici – il trattato INF, Intermediate Nuclear Forces –  il nuovo trattato START.
Gli Stati Uniti si sono ritirati dal Trattato ABM nel 2002. E chiunque creda che i missili anti-balistici siano delle armi di difesa resterebbe deluso dalla natura di questi sistemi. Gli Stati Uniti sono appena usciti dal trattato INF, che fu firmato da Gorbaciov e Reagan nel 1987 e che fece diminuire drasticamente quelle minacce di guerra in Europa, che si sarebbero diffuse in breve tempo. Il background della firma di quel trattato sono le dimostrazioni che avete appena visto nel film che è stato proiettato. Quelle massicce dimostrazioni pubbliche hanno fatto da sfondo a un trattato che ha cambiato le cose in modo significativo. Vale la pena ricordare che sia quello che avete visto che molti altri casi sono stati importanti esempi di una presa di coscienza popolare che fece una enorme differenza. Le lezioni sono troppo ovvie per essere ricordate una ad una. Bene, l’amministrazione Trump si è appena ritirata dal Trattato INF; i russi si sono ritirati subito dopo. Se osservate attentamente, scoprirete che ognuna  delle parti ha trovato una specie di alibi credibile per poter dire che è stato l’avversario a non rispettare il trattato. Per chi volesse farsi un’idea di come potrebbero averla vista i russi, il Bulletin of Atomic Scientists, la principale rivista sui problemi di controllo degli armamenti, aveva pubblicato un  articolo di piombo scritto da Theodore Postol un paio di settimane fa,  articolo che sottolineava quanto fossero pericolose le installazioni anti- missili balistici USA posizionate sul confine russo: quanto siano pericolose queste istallazioni e come possano essere percepite dai russi.  Come un cartello messo sul confine russo e le tensioni stanno aumentando sul quel confine. Tutte e due le parti stanno facendo azioni provocatorie. In un mondo razionale, quello che dovremmo immaginare sono negoziati tra le due parti, con degli esperti indipendenti che  valutino le accuse che ciascuna parte sta facendo contro l’altra, in modo da arrivare  a una risoluzione per mettere fine a  queste accuse e per ripristinare il trattato. Questo accadrebbe in un mondo razionale. Ma sfortunatamente questo non è il mondo in cui stiamo vivendo. Non è stato fatto nessuno sforzo in questa direzione. E non ce ne sarà nessuno, a meno che i governi non  siano messi sotto una fortissima pressione.
Bene, ci resta solo il nuovo trattato START. Il nuovo trattato START è già stato definito dalla figura in carica  — colui che si è modestamente descritto come il più grande presidente della storia americana — con i soliti titoli che dà a  tutto ciò che è stato fatto dai suoi predecessori: il peggior trattato che sia mai stato stipulato in tutta la storia, quindi  dobbiamo sbarazzarcene. Se, come in effetti è, questo contratto dovrà essere rinnovato subito dopo le prossime elezioni, molto è ancora in gioco. Molto sarà ancora in gioco, se questo trattato sarà rinnovato. Questo accordo è riuscito a ridurre in modo molto significativo il numero delle armi nucleari, certo saranno sempre molto più di quante dovrebbero essere, ma comunque  molto al di sotto di quante erano prima. E potrebbe essere prorogato.
Bene, nel frattempo, il riscaldamento globale procede nel suo inesorabile corso. Durante questo millennio, ogni singolo anno, con una unica eccezione,  è stato più caldo del precedente. Ci sono recenti articoli scientifici –  James Hansen e altri – che dicono che il ritmo del riscaldamento globale, che sta aumentando continuamente dal 1980 circa, potrebbe subire delle brusche impennate e passare da una crescita lineare a una crescita esponenziale, il che significa che potrebbe raddoppiare ogni due decenni . Ci stiamo già avvicinando alle condizioni di 125.000 anni fa, quando il livello del mare era di circa 25 piedi più alto di oggi, con lo scioglimento, il rapido scioglimento dell’Antartico, e delle sue enormi distese di ghiaccio. Potremmo arrivare a quel punto. Le conseguenze di quello che sto dicendo sono quasi inimmaginabili. Voglio dire, non cercherò nemmeno di descriverle, ma si potrà  capire presto di cosa sto parlando.
Bene, intanto, mentre stanno succedendo tutte queste cose, leggiamo tutti i giorni sulla stampa articoli euforici di come gli Stati Uniti stanno progredendo nella produzione di combustibili fossili. Ora hanno superato la produzione dell’Arabia Saudita. Siamo in testa nella produzione di combustibili fossili. Le grandi banche, JPMorgan, Chase e altre stanno pompando altro denaro nei nuovi investimenti sui combustibili fossili, compresi i più pericolosi, come le sabbie bituminose del Canada. E tutto questo viene presentato con grande euforia, con una specie di eccitazione. Stiamo raggiungendo l’indipendenza energetica. Possiamo controllare il mondo, possiamo decidere che devono essere usati i combustibili fossili nel mondo.
Devo dire almeno una parola sul significato di queste affermazioni, benché sia abbastanza ovvio. Non è che i giornalisti e i commentatori non lo sappiano, non è che i CEO delle banche non lo sappiano. Certo che lo sanno. Ma sono tutti soggetti a certe pressioni istituzionali dalle quali è estremamente difficile districarsi. Provate a mettervi nei panni di –  per esempio –  il CEO di JPMorgan Chase, o del Ceo di una delle  banche che stanno spendendo cifre enormi  in investimenti sui combustibili fossili. Certamente, anche voi, come CEO, siete a conoscenza di quello che sanno tutti sul riscaldamento globale. Non è un segreto per nessuno: Ma che autonomia di scelta avete? Fondamentalmente avete due scelte. Una scelta sarebbe fare esattamente quello che stanno facendo oggi tutti i CEO. L’altra scelta sarebbe dimettersi ed essere sostituiti da qualcun altro che farebbe esattamente quello che stanno facendo oggi tutti i CEO. Non è un problema individuale. È un problema istituzionale, che può essere affrontato, ma solo se il sistema sarà messo sotto una tremenda pressione pubblica.
E lo abbiamo visto da poco, molto chiaramente, come cio è possibile – come si può raggiungere  un obiettivo. Un gruppo di giovani, il Sunrise Movement, è arrivato al punto di sedersi negli uffici del Congresso, ci sono state nuove figure progressiste che hanno suscitato interesse e che sono riuscite a presentarsi al Congresso. Grazie a una forte pressione popolare, Alexandria Ocasio-Cortez, affiancata da Ed Markey, è riuscita a far inserire il Green New Deal nell’agenda del Congresso. Questo è un risultato importante. Ovviamente, deve fronteggiare attacchi ostili che arrivano da qualsiasi parte, ma non importa. Un paio di anni fa sarebbe stato inimmaginabile che questo sarebbe stato discusso, ma questo è il risultato dell’attivismo di questo gruppo di giovani, è ora un loro punto è al centro dell’agenda. In un modo o nell’altro dovrà essere implementato. È un punto essenziale per la sopravvivenza, forse non è essenziale esattamente nella forma in cui sarà approvato, forse servirà qualche modifica, ma questo è già un enorme cambiamento ottenuto grazie all’impegno di un piccolo gruppo di giovani. Questo deve farci comprendere che tipo di azioni devono essere intraprese.
Nel frattempo, il Doomsday Clock del Bulletin of Atomic Scientists lo scorso gennaio è arrivato a due minuti prima di mezzanotte. Questo è il punto più vicino alla catastrofe finale mi raggiunto dal 1947. Questo annuncio — dei due minuti a mezzanotte  — è dovuto all’esistenza sia delle due minacce maggiori che ci sono familiari: la minaccia della guerra nucleare e la minaccia del riscaldamento globale, che stanno entrambe aumentando sempre di più, ma ora si sta aggiungendo per l prima volta anche  una nuova minaccia: l’indebolimento della democrazia. Con  questa sono tre le minacce. E questo sembra un fatto abbastanza normale, perché una democrazia che funziona bene costituisce l’unica speranza con cui si possono sconfiggere queste minacce. Non si vince con i trattati firmati dalle istituzioni dello Stato, o dalle istituzioni private o muovendosi senza avere alle spalle una massiccia pressione dell’opinione pubblica. Per questo bisogna che i mezzi che garantiscono il funzionamento democratico siano sempre mantenuti in vita e usati come ha fatto il Sunrise Movement, come hanno dimostrato le grandi manifestazioni di massa all’inizio degli anni ’80 e il modo in cui questi ragazzi stanno muovendosi oggi.
Parte 3 : L’Arresto di  Assange è  “Scandaloso”  e spiega lo scioccante Potere Extraterritoriale U.S.A.
Gli avvocati del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange,  promettono di dare battaglia contro la possibile estradizione negli Stati Uniti, dopo l’arresto a Londra, dopo essere stato prelevato con la forza  dall’ambasciata equadoregna, dove era rimasto in asillo per quasi sette anni.  Amy Goodman di Democracy Now ha parlato con Noam Chomsky  sull’ arresto di Assange, su WikiLeaks e sul potere americano.
AMY GOODMAN: Sono Amy Goodman da Boston  e sono seduta accanto a  Noam Chomsky per una conversazione pubblica. Gli ho chiesto dell’arresto di Julian Assange.
NOAM CHOMSKY: L’arresto di Assange è scandaloso sotto molti aspetti. Basta pensare solo allo sforzo dei governi, e non è solo a quello del governo degli Stati Uniti. Gli inglesi stanno collaborando. L’Ecuador, ovviamente, ora sta collaborando. La Svezia, prima, aveva collaborato. Gli sforzi per mettere a tacere un giornalista che produceva materiale che gli uomini del potere non volevano che fosse conosciuto dalla moltitudine del volgo – Capito? – questo è praticamente quanto  è successo. WikiLeaks stava divulgando informazioni che la gente dovrebbe conoscere su chi è al potere, ma questo non piace alle persone al potere  e quindi dobbiamo metterlo a tacere. Capito? Questo è il tipo di cosa, il tipo di scandalo, a cui stiamo assistendo, purtroppo, ancora una volta.
Per fare un altro esempio, andiamo proprio in un paese vicino all’Ecuador, in Brasile, dove quello che è successo è  estremamente sintomatico. Il Brasile è il paese più importante dell’America Latina, uno dei più importanti del mondo. Sotto il governo Lula all’inizio di questo millennio, il Brasile era il paese forse maggiormente rispettato al mondo. Era diventato la voce del Global South sotto la guida di Lula da Silva. Guardate bene cosa è successo. C’è stato un colpo di stato, un colpo di stato-soft, per eliminare gli effetti nefasti del partito laburista, il Partito dei Lavoratori. Questi effetti sono stati descritti dalla Banca Mondiale – non da me, dalla Banca Mondiale – che parla di un “decennio d’oro” nella storia del Brasile, di una radicale riduzione della povertà, di un aumento massiccio dell’inclusione di popolazioni emarginate, di vaste parti della popolazione afro-brasiliana e di indigeni che sono stati fatti entrare nella società, un senso di dignità e di speranza per il popolo. Questo non poteva essere tollerato.
Dopo che Lula ha completato il suo mandato, ha avuto luogo una specie di “colpo di stato”, non entrerò nei dettagli, ma l’ultima mossa è stata lo scorso settembre quando Lula da Silva, il protagonista e figura più popolare del Brasile, che era quasi certo di vincere le prossime elezioni, è stato messo in prigione, in isolamento, come per una condanna a morte, 25 anni di carcere, senza poter più leggere un libro o una rivista e, essenzialmente con il divieto di rilasciare dichiarazioni pubbliche, nemmeno fosse stato un serial killer nel braccio della morte. Questo solo per mettere a tacere la persona che avrebbe probabilmente vinto le elezioni. È il prigioniero politico più importante del mondo. Ne avete sentito parlare?
Bene, Assange è un caso simile: abbiamo dovuto mettere a tacere questa voce. Torniamo a parlare di storia  Qualcuno si ricorderà di quando il governo fascista di Mussolini mise in prigione Antonio Gramsci. Il PM dichiarò: “Dobbiamo mettere a tacere questa voce per 20 anni. Non possiamo lasciarlo parlare“.   E’ quello che è successo a  Assange, a  Lula e ci sono altri casi.  Questo è uno scandalo.
Altro scandalo è la portata extraterritoriale del potere esercitato dagli Stati Uniti che è scioccante. Voglio dire, perché dovrebbero gli Stati Uniti — o meglio, perché dovrebbe qualsiasi stato — poter esercitare questo potere? Perché gli Stati Uniti dovrebbero avere il potere di controllare quello che si sta facendo in un altro posto del mondo?  Voglio dire, è una situazione bizzarra, ma così va avanti così da tempo e ormai non ci facciamo più nemmeno caso e comunque nessuno ne parla.
Per esempio, prendiamo gli accordi commerciali con la Cina. OK? Di cosa parlano gli accordi commerciali? Sono uno sforzo per evitare lo sviluppo economico della Cina. È proprio di questo che si tratta. Ora, la Cina ha un modello di sviluppo che non piace all’amministrazione Trump. Quindi, dobbiamo fare in modo di  indebolire quel modello di sviluppo. Proviamo a chiederci: cosa accadrebbe se la Cina non osservasse le regole che gli Stati Uniti stanno cercando di imporre? Se la Cina, per esempio, quando la Boeing o la Microsoft, o un’altra importante azienda, che investe in Cina, pretendesse di avere un certo controllo sulla natura dell’investimento. Se pretendesse un certo grado di trasferimento tecnologico. Se volesse ottenere qualcosa dalla tecnologia. Ci sarebbe  qualcosa di sbagliato in queste richieste? In fondo è così che si sono sviluppati gli Stati Uniti, rubando – rubando tecnologia come dicono in Inghilterra. È così che si è sviluppata l’Inghilterra, prendendo la tecnologia da altri paesi più avanzati: dall’India, dai Paesi Bassi, persino dall’Irlanda. È così che ogni paese sviluppato ha raggiunto lo stadio di sviluppo avanzato. Se la Boeing e la Microsoft non gradiscono questo tipo di accordi, non devono investire in Cina. Nessuno gli sta  puntando  una pistola alla nuca. Se qualcuno credesse veramente nel capitalismo, dovrebbe essere libero di firmare qualsiasi accordo con la Cina. E se questi accordi prevedono un trasferimento di tecnologia, OK.
Gli Stati Uniti vogliono bloccare questi trasferimenti e quindi la Cina non può svilupparsi.
Prendiamo ad esempio quelli che vengono chiamati diritti di proprietà intellettuale, diritti di brevetto esorbitanti sui farmaci. Oppure la Microsoft che ha il monopolio sui sistemi operativi, grazie all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Supponiamo che la Cina non voglia osservare questi diritti di proprietà intellettuale. Chi ci guadagnerebbe e chi ci perderebbe? Bene, il fatto è che i consumatori negli Stati Uniti ci guadagnerebbero. Significherebbe che le medicine costerebbero di meno. Significherebbe che quando si compra un computer, non si resta bloccati senza Windows. Si potrebbe trovare un sistema operativo migliore. Bill Gates farebbe un po’ di soldi in meno. Le società farmaceutiche non sarebbero tanto ricche, sarebbero solo un po ‘meno ricche. Ma i consumatori ci guadagnerebbero. Che cosa c’è di sbagliato in questo? Qual è il problema?
Bene, potreste chiedervi: Ma che cosa c’è nascosto dietro tutte queste discussioni e queste trattative? Questo è il vero problema. Di quasi qualsiasi problema vogliamo cominciare a parlare, la domanda è sempre la stessa: perché viene accettato tutto questo? Quindi, in questo caso, perché troviamo accettabile che gli Stati Uniti abbiano anche solo il potere per cominciare a suggerire una proposta di estradare qualcuno il cui crimine è stato di esporre al pubblico delle informazioni che la gente al potere non vuole che vengano esposte? Fondamentalmente questo è ciò intorno a cui tutto gira.
Parte 4 : Trump ha interferito profondamente sulla rielezione di Netanyahu in Israele       
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sta cominciando il suo quinto mandato, dopo aver sconfitto l’ex Capo militare Benny Gantz.  In una discussione con Amy Goodman di Democracy Now!, Noam Chomsky parla di come il presidente Trump abbia interferito direttamente sulle elezioni israeliane aiutando più volte Netanyahu, trasferendo l’ambasciata USA a Gerusalemme e riconoscendo la sovranità di Israele sulle alture del Golan, in spregio al diritto internazionale.
AMY GOODMANNoam, che è successo in Israele, il primo ministro Netanyahu ha conquistato il record di un  quinto mandato. Poco prima delle elezioni ha annunciato che annetterà gli insediamenti illegali israeliani nella West Bank occupata. Il mese scorso, Trump ha ufficialmente riconosciuto la sovranità di Israele sulle alture del Golan.
NOAM CHOMSKYBeh, prima di tutto, se Benny Gantz fosse stato eletto al posto di Netanyahu, non ci sarebbe stata una grande differenza. La differenza tra i due candidati non è sostanziale in termini di politica. Netanyahu: ecco un altro esempio della portata extraterritoriale degli Stati Uniti. Netanyahu è un po’ più estremista. Gli Stati Uniti volevano disperatamente che venisse eletto. E l’amministrazione Trump gli ha fatto un regalo dopo l’altro per fare in modo che fosse rieletto. Bastava farlo arrivare vicino al 50/50, prima delle elezioni.
Uno di questi regali è stato, naturalmente, lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, in violazione non solo della legge internazionale, ma anche delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza a cui gli Stati Uniti avevano partecipato. Uno spostamento molto drammatico.
Un secondo regalo, altrettanto drammatico, è stato quello di autorizzare l’annessione a Israele delle alture del Golan. Le alture del Golan siriano sono, secondo il diritto internazionale, territori occupati da  Israele. Tutte le principali istituzioni, tutte le istituzioni competenti, il Consiglio di Sicurezza, la Corte Internazionale di Giustizia, tutti sono d’accordo su questo punto. Israele si è formalmente annesso le alture del Golan. Ma il Consiglio di Sicurezza, il Consiglio di Sicurezza, dell’ ONU, con la partecipazione degli Stati Uniti, ha dichiarato che questa annessione è nulla. OK?  Trump ha smentito unilateralmente, le istituzioni internazionali,  un altro regalo a Netanyahu, dimostrando, con questo gesto al popolo di Israele che, con il sostegno degli Stati Uniti, può ottenere tutto quello che vuole.
L’ultimo regalo di Trump, poco prima delle elezioni, è stata la dichiarazione di Netanyahu  che se fosse stato eletto, avrebbe annesso  le zone della West Bank, con la tacita autorizzazione degli Stati Uniti.
Queste sono misure forti che sono state prese per interferire decisamente con elezioni straniere. Avete sentito qualcosa su quanto sia considerata una cosa terribile interferire nelle elezioni straniere? Penso che forse ne abbiate già sentito parlare da qualche parte. Qui, è stato fatto con decisione, e sembra  che non ci sia niente di male. Ma quali sono esattamente le conseguenze di questo comportamento in termini di evoluzione della politica? Alla fine dei conti non sono molte.
Quindi, prendiamo l’annessione delle alture del Golan. In effetti, questa decisione è stata dichiarata nulla dal Consiglio di sicurezza. È stata condannata dalla Corte internazionale di giustizia. Ma a parte queste dichiarazioni  c’è qualcuno che abbia fatto qualcosa di concreto? È stata fatta qualche mossa per impedire che Israele prenda possesso delle alture del Golan?  che vengano fatti degli insediamenti, che vengano aperte delle imprese, che si costruiscano  delle stazioni sciistiche sul monte Hermon? Nulla. Nessuno ha alzato un dito. E nessuno ha alzato un dito per una semplice ragione: gli Stati Uniti non lo permettono. Nessuno lo dice, ma questo è il fatto. Bene, ora è formalmente autorizzato, e non è solo un fatto che è accaduto.
Prendiamo questa proposta di Netanyahu di annettere le parti della West Bank. E’ una storia che sta andando avanti da 50 anni, letteralmente. Subito dopo la guerra del ’67, sia i partiti politici, sia i principali raggruppamenti in Israele – l’ex partito laburista, il conglomerato basato sul Likud – hanno politiche leggermente diverse, ma sostanzialmente portano tutti avanti un programma di espansionismo in Cisgiordania orientato verso un obiettivo  molto chiaro:  creare quella che sarà una specie di Grande Israele, in cui Israele prenderà possesso di qualsiasi cosa abbia valore in Cisgiordania, lasciando che le concentrazioni di popolazione palestinese, come a Nablus e Tulkarm. restino isolate. Nel resto della regione ci sono circa 150 enclave palestinesi, più o meno circondate da posti di blocco, e la gente che vive spesso lontano dai campi dove lavora, riesce a malapena a sopravvivere.
Nel frattempo, gli insediamenti ebraici si sono sviluppati. Sono state costruite nuove città – una città importante, Ma’ale Adumim, costruita durante il periodo di Clinton, casualmente, a est di Gerusalemme. La strada che porta a questa città divide in due la West Bank. Poi Gerusalemme stessa si è estesa verso nord  ed ora è forse cinque volte più grande di quanto sia mai stata. Tutte queste nuove infrastrutture sono collegate da progetti altamente sviluppati. Potete fare un viaggio e andare a vedere quanto siano piacevoli i nuovi quartieri che stanno sorgendo attorno a Tel Aviv e a Gerusalemme nella West Bank. Si può  andare da Ma’ale Adumim a Tel Aviv con una grande autostrada— riservata agli israeliani e ai turisti, ma non ai palestinesi — più comoda della strada che va da South Shore a Boston — senza mai vedere un arabo.
Tutto questo è stato fatto costantemente, anno dopo anno, con il tacito supporto degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti forniscono il loro appoggio diplomatico, gran parte del sostegno economico, l’aiuto militare. E nel frattempo, il governo dice “Non ci piace quello che state facendo, fermatevi ” ma continua a fornire i mezzi. Bene, l’unica differenza nella dichiarazione di Netanyahu con il tacito appoggio di Trump è: “Ho intenzione di andare avanti e di annettere i territori, di annettere tutto, non voglio continuare a costruire, aspettando una eventuale annessione”. Queste sono le cose vere che sono successe.
Ora, la vittoria di Netanyahu, come ho detto prima, consolida un’alleanza — che è già in atto — e che in qualche modo, tacitamente va avanti da anni, non formale, ma funzionale, ora sta venendo allo scoperto sotto gli occhi degli stati arabi più reazionari come, in primo luogo, l’Arabia Saudita, uno degli stati più reazionari del mondo,  dell’Egitto di Sisi, il peggior dittatore della storia egiziana, degli Emirati Arabi Uniti. Ora Israele, si trova proprio al centro di tutto ciò. Fa parte del sistema delle alleanze internazionali di destra, del sistema di alleanza reazionario internazionale ultranazionalista che sta prendendo forma con la leadership degli Stati Uniti, una specie di nuovo sistema globale che sta nascendo. L’America del Sud, con Bolsonaro, è un’altro pezzo di questo sistema.
AMY GOODMAN: Eppure, negli Stati Uniti, c’è una crescente consapevolezza. Per esempio, il voto repubblicano-democratico contro la guerra dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti nello Yemen, alimentata dagli Stati Uniti. Questo le dà qualche speranza?
NOAM CHOMSKY: Questo è uno punto molto interessante ed in realtà è Bernie Sanders. Questo è  — guardiamolo bene — uno sviluppo molto importante, ma osserviamo che cosa è successo. La guerra tra Emirati Arabi Uniti e Emirati Arabi Uniti nello Yemen è stata una terribile atrocità. Probabilmente, nessuno lo sa, forse 60.000, 70.000 sono state le persone uccise, metà della popolazione riesce in qualche modo a sopravvivere. L’ONU descrive questa guerra come il peggior disastro umanitario del mondo. È una vera mostruosità. Sta andando avanti anno dopo anno, e l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti stanno impiegando armi statunitensi — e poi armi britanniche — c’è l’appoggio diretto e indiretto dell’intelligence USA che lavora a stretto contatto con i sauditi per colpire e bombardare e così via. Tutto questo sta succedendo senza nessuna protesta.
Poi è arrivata l’uccisione di Khashoggi, l’uccisione brutale di un giornalista del The Washington Post. Omicidio che ha causato indignazione. OK? Questo non dovrebbe essere il motivo per cui all’improvviso si accendono i riflettori sulla guerra in Yemen, non dovrebbe essere così, ma così è stato. Poi è arrivato Bernie Sanders, con un paio di altre persone, e ha dato il  via alla legislazione che ha cominciato a mettere qualche freno sul sostegno diretto degli Stati Uniti per questa guerra. Il che è significativo, ma dovremmo inserirlo meglio in tutto il contesto di quanto è successo realmente. E penso che possiamo essere abbastanza fiduciosi che il triumvirato Trump-Pompeo-Bolton troverà un modo per aggirare quelle regole e continuare questa guerra, a meno che a gente non cominci a protestare seriamente.
Ora, c’è qualche altra cosa a cui  vale la pena prestare attenzione. Il sostegno all’espansionismo di Israele, alla repressione, all’intera alleanza che si sta sviluppando, questo  sostegno negli USA si è spostato dai settori più liberali – grosso modo, il Partito Democratico – all’estrema destra. Non molto tempo fa, il sostegno a Israele contava sulla passione dei settori liberali della popolazione. Era una questione democratica. Ora, in effetti, non è più così se si guarda ai sondaggi, le persone che si identificano come democratiche tendono più a sostenere i diritti dei palestinesi che non quelli di Israele. Questo è un cambiamento drammatico. Il sostegno per Israele ora poggia sulla parte più reazionaria della popolazione: cristiani evangelici, ultranazionalisti. Fondamentalmente, è diventato un problema di estrema destra. Tra i più giovani questo sentimento è ancora più forte.
Voglio dire, posso vederlo sulla mia persona, in base alla mia personale esperienza. Fino a  10 o 15 anni fa, se dovevo tenere un discorso in un’università su Israele-Palestina, anche nella mia stessa università, il MIT, dovevo avere la protezione della polizia, letteralmente. La polizia doveva cercare di impedire che l’evento venisse rotto. Non mi permettevano di tornare verso la mia macchina da solo. Dovevo essere accompagnato dalla polizia. Le conferenze venivano interrotte e nessuno si opponeva a questi fatti che succedevano ogni volta. Ora questo è cambiato totalmente ed è un cambiamento molto importante. Penso che prima o poi, spero prima, questo possa portare a un cambiamento nella politica degli Stati Uniti.
Ci sono alcune mosse molto semplici che potrebbero essere fatte nella politica degli Stati Uniti che farebbero cambiare radicalmente la situazione in Medio Oriente. Quindi, per esempio, una semplice proposta è che il governo degli Stati Uniti dovrebbe rispettare la legge degli Stati Uniti. Non sembra troppo difficile. Gli Stati Uniti hanno delle leggi, come la cosiddetta legge Leahy o la Patrick Leahy Law, che prevedono che nessun aiuto militare possa essere dato a organizzazioni militari coinvolte in sistematiche violazioni dei diritti umani. Bene, l’esercito israeliano è coinvolto in massicce violazioni dei diritti umani. Se gli Stati Uniti dovessero rispettare la legge degli Stati Uniti, taglieremmo gli aiuti alle IDF, le forze di difesa israeliane. Questo passo da solo avrebbe un effetto importante, non solo toglierebbe gli aiuti materiali, ma avrebbe anche un  significato simbolico. Ed è del tutto possibile che con lo spostamento dell’opinione pubblica, specialmente tra i più giovani, potrebbe arrivare un momento in cui ci sarà un appello per chiedere che gli Stati Uniti rispettino le proprie leggi. OK? Ancora una volta, non parliamo di richieste molto drammatiche. E non si dovrebbe pensare troppo.
AMY GOODMAN: Noam Chomsky. Abbiamo parlato  con lui alla Old South Church, giovedì sera, quando è tornato alla sua vecchia casa di Boston. È stato professore al Massachusetts Institute of Technology per oltre 50 anni e alla fine dell’evento, abbiamo festeggiato il suo 90° compleanno.