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martedì 16 aprile 2019

Noam Chomsky : Auguri Professore!

Noam Chomsky  ha compiuto 90 anni. A Boston parla di Oggi, guarda al Futuro e ci ricorda il Passato.
Riportiamo qui di seguito la traduzione della trascrizione di una trasmissione televisiva, andata in onda su Democracy Now, sulla conferenza tenuta a Boston il 12 aprile da Noam Chomsky. Per comodità di esposizione la trascrizione della conferenza è stata suddivisa  in quattro sezioni e presentata  da AMY GOODMAN  in forma di intervista
 Qui il Video
AMY GOODMAN: stiamo trasmettendo da Boston e oggi passeremo la nostra ora con  Noam Chomsky, che questa settimana è tornato nella sua città Boston dove è stato professore al Massachusetts Institute of Technology per più di cinquant’anni, ora insegna alla University of Arizona di  Tucson. Giovedì scorso più di 700 persone si sono affollate nella  Old South Church  per ascoltare il noto linguista e dissidente politico, padre della moderna linguistica  che ha parlato sulle minacce alla democrazia:  ha parlato  della questione Israelo-Palestinese, dell’arresto di Julian Assange, della guerra nucleare e del cambiamento climatico. Dopo aver visto un frammento  di un nuovo film  che parla di lui “Internationalism or Extinction” Noam Chomsky ha parlato degli ultimi due anni e della presidenza  Trump.
Parte 1. Dobbiamo confrontarci con i movimenti  “Ultranazionalisti reazionari”  che stanno crescendo in tutto il mondo
Noam Chomsky ha parlato ricordando le origini del fascismo nel 20º secolo e il  germogliare di movimenti ultranazionalisti dal  Brasile agli  USA, da Isreaele all’ Arabi Saudita.
NOAM CHOMSKY:  Se me lo concedete, avrei piacere a cominciare con una breve reminiscenza di un periodo che è stranamente simile a oggi, sotto molti sgradevoli aspetti. Mi riferisco esattamente a 80 anni fa, ricordo che fu proprio di questi giorni che scrissi il mio primo articolo che parlava di politica. E’ facile ricordare la data, fu subito dopo la caduta di Barcellona nel febbraio 1939.
L’articolo parlava di quella che sembrava essere l’inesorabile avanzata del fascismo in tutto il mondo. Nel 1938, l’Austria era stata annessa alla Germania nazista. Pochi mesi dopo, la Cecoslovacchia fu tradita e abbandonata in mano ai nazisti, dopo la Conferenza di Monaco. In Spagna, una città dopo l’altra stava cadendo in mano ai franchisti. A febbraio 1939 cadde anche Barcellona e quella fu la fine della Repubblica spagnola. Quella che era stata una grande rivoluzione popolare, la rivoluzione anarchica del 1936, ’37, ’38, era già stata annientata con la forza. Sembrava che il fascismo si sarebbe allargato a macchia d’olio.
Non è esattamente quello che sta succedendo oggi, ma, se possiamo prendere in prestito la celebre frase di Mark Twain, “La storia non si ripete ma a volte fa rima“.  Ci sono troppe analogie per non volerle vedere.
Quando cadde Barcellona, ​​ci fu un’enorme ondata di profughi che scapparono dalla Spagna. La maggior parte se ne andò in Messico, circa 40.000. Qualcuno andò a New York e una libreria dove si vendevano libri usati, sulla 4° Avenue, divenne la sede degli anarchici. È lì, girovagando da quelle parti, che io cominciai a sentir parlare di politica. Questo succedeva 80 anni fa.
All’epoca nessuno riusciva a capirlo, ma sembra che anche il governo degli Stati Uniti stesse cominciando a cercare di comprendere come mai questa marcia del fascismo potesse sembrare ormai inarrestabile. Il governo di allora non vedeva questo fenomeno con lo stesso senso di allarme che poteva sentire un bambino di 10 anni. Ora sappiamo che l’atteggiamento del Dipartimento di Stato era piuttosto confuso nel comprendere quale fosse il significato del movimento nazista. In realtà, c’era un console a Berlino, il console statunitense a Berlino, che stava inviando a Washington dei commenti piuttosto contraddittori sui nazisti, suggerendo che forse non erano così male come dicevano tutti. Rimase lì fino al Pearl Harbour Day, quando fu richiamato, era il famoso diplomatico George Kennan. In fondo non era una sbagliato esprimere  lo stato di profonda confusione in cui versava chiunque cercasse di comprendere quegli eventi.
Oggi scopriamo che, anche se all’epoca non potevano saperlo, già nel 1939, lo State Department ed il Council on Foreign Relations cominciarono a pianificare il dopoguerra, cominciarono a pensare come sarebbe stato il mondo del dopoguerra. E subito dopo, nei primissimi anni, cominciarono a ipotizzare che il mondo del dopoguerra sarebbe stato diviso tra un mondo controllato dalla Germania  -un mondo sotto il controllo nazista- composto da buona parte dell’Eurasia e un mondo  sotto il controllo Usa, che avrebbe incluso l’emisfero occidentale, l’ex impero  britannico, che gli Usa avrebbero  preso in consegna. e parte dell’estremo oriente. Quello sarebbe stato il modello del mondo post bellico e questa panoramica, che noi oggi conosciamo, restò valida fino a quando i russi non entrarono in azione e cambiarono il corso della storia. Stalingrado nel 1942, poco dopo,  la grande battaglia fatta con i carri armati a Kursk, che rese ben chiaro che i russi avrebbero potuto sconfiggere i nazisti e fu allora che l’orizzonte americano cambiò: l’immagine del mondo del dopoguerra cambiò e prese le sembianze di quello che noi abbiamo visto negli anni  che sono succeduti a quel momento. Bene questo era ottant’anni fa.
Oggi non è così —noi non ci troviamo di fronte a qualcosa che è il Nazismo, ma siamo di fronte ad un dilagare di quello che a volte viene chiamato reazione internazionale ultranazionalista, sbandierato apertamente dai suoi sostenitori, compreso Steve Bannon, l’ impresario del movimento.  Proprio ieri c’è stata una sua vittoria: Le elezioni di Netanyahu in Israele che hanno reso più solida l’alleanza reazionaria che sta prendendo forma in tutto il mondo, sotto l’egida degli USA, gestita dal triumvirato Trump-Pompeo-Bolton — potrei facilmente prendere in prestito una frase di  George W. Bush per descriverli, ma per delicatezza, preferisco non farlo. L’alleanza del medio oriente è formata dagli Stati più reazionari della regione — Arabia Saudita, Emitati Arabi Uniti, Egitto sotto la più brutale delle dittature di tutta la sua storia e  Israele che si trova nel centro — contro l’Iran. Altre gravi minacce vengono anche dall’America Latina. L’elezione di  Jair Bolsonaro in Brasile ha insediato  al potere il più estremista, il più oltraggioso dei governi ultranazionalisti di destra che ora stanno affliggendo l’intero emisfero. Ieri Lenín Moreno dell’ Ecuador ha compiuto un passo decisivo che lo porta ad aderire a questa alleanza di estrema destra, cacciando Julian Assange dalla ambasciata dellì’Ecuador. Presto gli USA se faranno consegnare quest’uomo che andrà incontro a un brutto periodo a meno che  non si metta in moto una importante protesta popolare. Il Messico è uno dei paesi dell’ America latina che fa eccezione a tutto ciò sta accadendo, come in Europa occidentale, dove i partiti di estrema destra stanno crescendo e alcuni di questi mettono davvero paura.
Ma si intravedono delle controindicazioni. Yanis Varoufakis, ex Ministro delle Finanze della Grecia, una persona molto interessante, insieme a Bernie Sanders, ha cercato di dar vita ad una formazione Progressista Internazionale per contrastare l’internazionale di estrema destra che si sta creando. A livello di Stati,  c’è uno schiacciante sbilanciamento nella direzione sbagliata. Ma gli stati non sono le uniche entità che contano, a livello delle persone è tutta un’altra cosa. E questo potrebbe fare la differenza. Significa che bisogna dare una protezione agli Stati che funzionano democraticamente per migliorarli, per sfruttare le opportunità che questi Stati offrono a quelle tipologie di attivismo che hanno portato nel passato a raggiungere importanti progressi e che potrebbero salvare il nostro futuro. 
Parte 2 :Armi Nucleari, Cambiamenti Climatici & Minacce alla Democrazia nel Futuro del Pianeta
Mentre il Presidente Trump si ritira dagli accordi nucleari con la Russia e si accinge ad ampliare l’arsenale nucleare Usa, Noam Chomsky vede come la minaccia di guerra nucleare resti una delle questioni più importanti per l’umanità. Nel suo discorso alla Old South Church ha parlato anche dei cambiamenti climatici e dei rischi per la democrazia in tutto il mondo.
NOAM CHOMSKY: Vorrei  fare un paio di osservazioni sulle grosse difficoltà per riuscire a mantenere in vita le nostre istituzioni democratiche, sulle poderose forze che si sono da sempre opposte e sui risultati che in qualche modo  devono permettere di tenerle in vita, di valorizzarle e sul significato che tutto ciò costituisce per il futuro. Ma prima, vorrei dire un paio di parole sulle sfide che dobbiamo fronteggiare,  sfide delle quali avete già sentito parlare e che già conoscete. Pertanto una discussione seria sul futuro dell’umanità  deve cominciare riconoscendo un fatto essenziale, un fatto che la specie umana deve affrontare oggi, una domanda che non si era mai presentata finora nella storia dell’umanità, la domanda a cui dobbiamo rispondere e presto è: per quanto tempo riuscirà ancora a sopravvivere la società umana?
Bene, come tutti ben sapete, da 70 anni viviamo sotto l’ombra di una guerra nucleare. Tutti quelli che hanno avuto l’opportunità di comprendere quello che è successo, non possono far altro che esprimere tutto il loro stupore per il fatto che siamo riusciti a sopravvivere fino ad oggi. Ogni minuto che passa l’ora del disastro finale  sembra avvicinarsi sempre più rapidamente. È quasi un miracolo il fatto che siamo sopravvissuti, ma i miracoli non durano per sempre. Questa storia deve essere risolta e presto. La recente Nuclear Posture Review  fatta dall’amministrazione Trump fa aumentare in modo drammatico le minacce di uno scoppio  della conflagrazione, cosa che in effetti porterebbe  alla fine della specie. Potremmo ricordare che questa Nuclear Posture Review è stata sponsorizzata da Jim Mattis, che è considerato troppo acculturato per restare a far parte di questa amministrazione:  questo può darci un’idea di che cosa può essere tollerato nel mondo dei Trump-Pompeo-Bolton.
Bene, c’erano tre importanti trattati sulle armi: il trattato ABM, il trattato sui missili anti-balistici – il trattato INF, Intermediate Nuclear Forces –  il nuovo trattato START.
Gli Stati Uniti si sono ritirati dal Trattato ABM nel 2002. E chiunque creda che i missili anti-balistici siano delle armi di difesa resterebbe deluso dalla natura di questi sistemi. Gli Stati Uniti sono appena usciti dal trattato INF, che fu firmato da Gorbaciov e Reagan nel 1987 e che fece diminuire drasticamente quelle minacce di guerra in Europa, che si sarebbero diffuse in breve tempo. Il background della firma di quel trattato sono le dimostrazioni che avete appena visto nel film che è stato proiettato. Quelle massicce dimostrazioni pubbliche hanno fatto da sfondo a un trattato che ha cambiato le cose in modo significativo. Vale la pena ricordare che sia quello che avete visto che molti altri casi sono stati importanti esempi di una presa di coscienza popolare che fece una enorme differenza. Le lezioni sono troppo ovvie per essere ricordate una ad una. Bene, l’amministrazione Trump si è appena ritirata dal Trattato INF; i russi si sono ritirati subito dopo. Se osservate attentamente, scoprirete che ognuna  delle parti ha trovato una specie di alibi credibile per poter dire che è stato l’avversario a non rispettare il trattato. Per chi volesse farsi un’idea di come potrebbero averla vista i russi, il Bulletin of Atomic Scientists, la principale rivista sui problemi di controllo degli armamenti, aveva pubblicato un  articolo di piombo scritto da Theodore Postol un paio di settimane fa,  articolo che sottolineava quanto fossero pericolose le installazioni anti- missili balistici USA posizionate sul confine russo: quanto siano pericolose queste istallazioni e come possano essere percepite dai russi.  Come un cartello messo sul confine russo e le tensioni stanno aumentando sul quel confine. Tutte e due le parti stanno facendo azioni provocatorie. In un mondo razionale, quello che dovremmo immaginare sono negoziati tra le due parti, con degli esperti indipendenti che  valutino le accuse che ciascuna parte sta facendo contro l’altra, in modo da arrivare  a una risoluzione per mettere fine a  queste accuse e per ripristinare il trattato. Questo accadrebbe in un mondo razionale. Ma sfortunatamente questo non è il mondo in cui stiamo vivendo. Non è stato fatto nessuno sforzo in questa direzione. E non ce ne sarà nessuno, a meno che i governi non  siano messi sotto una fortissima pressione.
Bene, ci resta solo il nuovo trattato START. Il nuovo trattato START è già stato definito dalla figura in carica  — colui che si è modestamente descritto come il più grande presidente della storia americana — con i soliti titoli che dà a  tutto ciò che è stato fatto dai suoi predecessori: il peggior trattato che sia mai stato stipulato in tutta la storia, quindi  dobbiamo sbarazzarcene. Se, come in effetti è, questo contratto dovrà essere rinnovato subito dopo le prossime elezioni, molto è ancora in gioco. Molto sarà ancora in gioco, se questo trattato sarà rinnovato. Questo accordo è riuscito a ridurre in modo molto significativo il numero delle armi nucleari, certo saranno sempre molto più di quante dovrebbero essere, ma comunque  molto al di sotto di quante erano prima. E potrebbe essere prorogato.
Bene, nel frattempo, il riscaldamento globale procede nel suo inesorabile corso. Durante questo millennio, ogni singolo anno, con una unica eccezione,  è stato più caldo del precedente. Ci sono recenti articoli scientifici –  James Hansen e altri – che dicono che il ritmo del riscaldamento globale, che sta aumentando continuamente dal 1980 circa, potrebbe subire delle brusche impennate e passare da una crescita lineare a una crescita esponenziale, il che significa che potrebbe raddoppiare ogni due decenni . Ci stiamo già avvicinando alle condizioni di 125.000 anni fa, quando il livello del mare era di circa 25 piedi più alto di oggi, con lo scioglimento, il rapido scioglimento dell’Antartico, e delle sue enormi distese di ghiaccio. Potremmo arrivare a quel punto. Le conseguenze di quello che sto dicendo sono quasi inimmaginabili. Voglio dire, non cercherò nemmeno di descriverle, ma si potrà  capire presto di cosa sto parlando.
Bene, intanto, mentre stanno succedendo tutte queste cose, leggiamo tutti i giorni sulla stampa articoli euforici di come gli Stati Uniti stanno progredendo nella produzione di combustibili fossili. Ora hanno superato la produzione dell’Arabia Saudita. Siamo in testa nella produzione di combustibili fossili. Le grandi banche, JPMorgan, Chase e altre stanno pompando altro denaro nei nuovi investimenti sui combustibili fossili, compresi i più pericolosi, come le sabbie bituminose del Canada. E tutto questo viene presentato con grande euforia, con una specie di eccitazione. Stiamo raggiungendo l’indipendenza energetica. Possiamo controllare il mondo, possiamo decidere che devono essere usati i combustibili fossili nel mondo.
Devo dire almeno una parola sul significato di queste affermazioni, benché sia abbastanza ovvio. Non è che i giornalisti e i commentatori non lo sappiano, non è che i CEO delle banche non lo sappiano. Certo che lo sanno. Ma sono tutti soggetti a certe pressioni istituzionali dalle quali è estremamente difficile districarsi. Provate a mettervi nei panni di –  per esempio –  il CEO di JPMorgan Chase, o del Ceo di una delle  banche che stanno spendendo cifre enormi  in investimenti sui combustibili fossili. Certamente, anche voi, come CEO, siete a conoscenza di quello che sanno tutti sul riscaldamento globale. Non è un segreto per nessuno: Ma che autonomia di scelta avete? Fondamentalmente avete due scelte. Una scelta sarebbe fare esattamente quello che stanno facendo oggi tutti i CEO. L’altra scelta sarebbe dimettersi ed essere sostituiti da qualcun altro che farebbe esattamente quello che stanno facendo oggi tutti i CEO. Non è un problema individuale. È un problema istituzionale, che può essere affrontato, ma solo se il sistema sarà messo sotto una tremenda pressione pubblica.
E lo abbiamo visto da poco, molto chiaramente, come cio è possibile – come si può raggiungere  un obiettivo. Un gruppo di giovani, il Sunrise Movement, è arrivato al punto di sedersi negli uffici del Congresso, ci sono state nuove figure progressiste che hanno suscitato interesse e che sono riuscite a presentarsi al Congresso. Grazie a una forte pressione popolare, Alexandria Ocasio-Cortez, affiancata da Ed Markey, è riuscita a far inserire il Green New Deal nell’agenda del Congresso. Questo è un risultato importante. Ovviamente, deve fronteggiare attacchi ostili che arrivano da qualsiasi parte, ma non importa. Un paio di anni fa sarebbe stato inimmaginabile che questo sarebbe stato discusso, ma questo è il risultato dell’attivismo di questo gruppo di giovani, è ora un loro punto è al centro dell’agenda. In un modo o nell’altro dovrà essere implementato. È un punto essenziale per la sopravvivenza, forse non è essenziale esattamente nella forma in cui sarà approvato, forse servirà qualche modifica, ma questo è già un enorme cambiamento ottenuto grazie all’impegno di un piccolo gruppo di giovani. Questo deve farci comprendere che tipo di azioni devono essere intraprese.
Nel frattempo, il Doomsday Clock del Bulletin of Atomic Scientists lo scorso gennaio è arrivato a due minuti prima di mezzanotte. Questo è il punto più vicino alla catastrofe finale mi raggiunto dal 1947. Questo annuncio — dei due minuti a mezzanotte  — è dovuto all’esistenza sia delle due minacce maggiori che ci sono familiari: la minaccia della guerra nucleare e la minaccia del riscaldamento globale, che stanno entrambe aumentando sempre di più, ma ora si sta aggiungendo per l prima volta anche  una nuova minaccia: l’indebolimento della democrazia. Con  questa sono tre le minacce. E questo sembra un fatto abbastanza normale, perché una democrazia che funziona bene costituisce l’unica speranza con cui si possono sconfiggere queste minacce. Non si vince con i trattati firmati dalle istituzioni dello Stato, o dalle istituzioni private o muovendosi senza avere alle spalle una massiccia pressione dell’opinione pubblica. Per questo bisogna che i mezzi che garantiscono il funzionamento democratico siano sempre mantenuti in vita e usati come ha fatto il Sunrise Movement, come hanno dimostrato le grandi manifestazioni di massa all’inizio degli anni ’80 e il modo in cui questi ragazzi stanno muovendosi oggi.
Parte 3 : L’Arresto di  Assange è  “Scandaloso”  e spiega lo scioccante Potere Extraterritoriale U.S.A.
Gli avvocati del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange,  promettono di dare battaglia contro la possibile estradizione negli Stati Uniti, dopo l’arresto a Londra, dopo essere stato prelevato con la forza  dall’ambasciata equadoregna, dove era rimasto in asillo per quasi sette anni.  Amy Goodman di Democracy Now ha parlato con Noam Chomsky  sull’ arresto di Assange, su WikiLeaks e sul potere americano.
AMY GOODMAN: Sono Amy Goodman da Boston  e sono seduta accanto a  Noam Chomsky per una conversazione pubblica. Gli ho chiesto dell’arresto di Julian Assange.
NOAM CHOMSKY: L’arresto di Assange è scandaloso sotto molti aspetti. Basta pensare solo allo sforzo dei governi, e non è solo a quello del governo degli Stati Uniti. Gli inglesi stanno collaborando. L’Ecuador, ovviamente, ora sta collaborando. La Svezia, prima, aveva collaborato. Gli sforzi per mettere a tacere un giornalista che produceva materiale che gli uomini del potere non volevano che fosse conosciuto dalla moltitudine del volgo – Capito? – questo è praticamente quanto  è successo. WikiLeaks stava divulgando informazioni che la gente dovrebbe conoscere su chi è al potere, ma questo non piace alle persone al potere  e quindi dobbiamo metterlo a tacere. Capito? Questo è il tipo di cosa, il tipo di scandalo, a cui stiamo assistendo, purtroppo, ancora una volta.
Per fare un altro esempio, andiamo proprio in un paese vicino all’Ecuador, in Brasile, dove quello che è successo è  estremamente sintomatico. Il Brasile è il paese più importante dell’America Latina, uno dei più importanti del mondo. Sotto il governo Lula all’inizio di questo millennio, il Brasile era il paese forse maggiormente rispettato al mondo. Era diventato la voce del Global South sotto la guida di Lula da Silva. Guardate bene cosa è successo. C’è stato un colpo di stato, un colpo di stato-soft, per eliminare gli effetti nefasti del partito laburista, il Partito dei Lavoratori. Questi effetti sono stati descritti dalla Banca Mondiale – non da me, dalla Banca Mondiale – che parla di un “decennio d’oro” nella storia del Brasile, di una radicale riduzione della povertà, di un aumento massiccio dell’inclusione di popolazioni emarginate, di vaste parti della popolazione afro-brasiliana e di indigeni che sono stati fatti entrare nella società, un senso di dignità e di speranza per il popolo. Questo non poteva essere tollerato.
Dopo che Lula ha completato il suo mandato, ha avuto luogo una specie di “colpo di stato”, non entrerò nei dettagli, ma l’ultima mossa è stata lo scorso settembre quando Lula da Silva, il protagonista e figura più popolare del Brasile, che era quasi certo di vincere le prossime elezioni, è stato messo in prigione, in isolamento, come per una condanna a morte, 25 anni di carcere, senza poter più leggere un libro o una rivista e, essenzialmente con il divieto di rilasciare dichiarazioni pubbliche, nemmeno fosse stato un serial killer nel braccio della morte. Questo solo per mettere a tacere la persona che avrebbe probabilmente vinto le elezioni. È il prigioniero politico più importante del mondo. Ne avete sentito parlare?
Bene, Assange è un caso simile: abbiamo dovuto mettere a tacere questa voce. Torniamo a parlare di storia  Qualcuno si ricorderà di quando il governo fascista di Mussolini mise in prigione Antonio Gramsci. Il PM dichiarò: “Dobbiamo mettere a tacere questa voce per 20 anni. Non possiamo lasciarlo parlare“.   E’ quello che è successo a  Assange, a  Lula e ci sono altri casi.  Questo è uno scandalo.
Altro scandalo è la portata extraterritoriale del potere esercitato dagli Stati Uniti che è scioccante. Voglio dire, perché dovrebbero gli Stati Uniti — o meglio, perché dovrebbe qualsiasi stato — poter esercitare questo potere? Perché gli Stati Uniti dovrebbero avere il potere di controllare quello che si sta facendo in un altro posto del mondo?  Voglio dire, è una situazione bizzarra, ma così va avanti così da tempo e ormai non ci facciamo più nemmeno caso e comunque nessuno ne parla.
Per esempio, prendiamo gli accordi commerciali con la Cina. OK? Di cosa parlano gli accordi commerciali? Sono uno sforzo per evitare lo sviluppo economico della Cina. È proprio di questo che si tratta. Ora, la Cina ha un modello di sviluppo che non piace all’amministrazione Trump. Quindi, dobbiamo fare in modo di  indebolire quel modello di sviluppo. Proviamo a chiederci: cosa accadrebbe se la Cina non osservasse le regole che gli Stati Uniti stanno cercando di imporre? Se la Cina, per esempio, quando la Boeing o la Microsoft, o un’altra importante azienda, che investe in Cina, pretendesse di avere un certo controllo sulla natura dell’investimento. Se pretendesse un certo grado di trasferimento tecnologico. Se volesse ottenere qualcosa dalla tecnologia. Ci sarebbe  qualcosa di sbagliato in queste richieste? In fondo è così che si sono sviluppati gli Stati Uniti, rubando – rubando tecnologia come dicono in Inghilterra. È così che si è sviluppata l’Inghilterra, prendendo la tecnologia da altri paesi più avanzati: dall’India, dai Paesi Bassi, persino dall’Irlanda. È così che ogni paese sviluppato ha raggiunto lo stadio di sviluppo avanzato. Se la Boeing e la Microsoft non gradiscono questo tipo di accordi, non devono investire in Cina. Nessuno gli sta  puntando  una pistola alla nuca. Se qualcuno credesse veramente nel capitalismo, dovrebbe essere libero di firmare qualsiasi accordo con la Cina. E se questi accordi prevedono un trasferimento di tecnologia, OK.
Gli Stati Uniti vogliono bloccare questi trasferimenti e quindi la Cina non può svilupparsi.
Prendiamo ad esempio quelli che vengono chiamati diritti di proprietà intellettuale, diritti di brevetto esorbitanti sui farmaci. Oppure la Microsoft che ha il monopolio sui sistemi operativi, grazie all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Supponiamo che la Cina non voglia osservare questi diritti di proprietà intellettuale. Chi ci guadagnerebbe e chi ci perderebbe? Bene, il fatto è che i consumatori negli Stati Uniti ci guadagnerebbero. Significherebbe che le medicine costerebbero di meno. Significherebbe che quando si compra un computer, non si resta bloccati senza Windows. Si potrebbe trovare un sistema operativo migliore. Bill Gates farebbe un po’ di soldi in meno. Le società farmaceutiche non sarebbero tanto ricche, sarebbero solo un po ‘meno ricche. Ma i consumatori ci guadagnerebbero. Che cosa c’è di sbagliato in questo? Qual è il problema?
Bene, potreste chiedervi: Ma che cosa c’è nascosto dietro tutte queste discussioni e queste trattative? Questo è il vero problema. Di quasi qualsiasi problema vogliamo cominciare a parlare, la domanda è sempre la stessa: perché viene accettato tutto questo? Quindi, in questo caso, perché troviamo accettabile che gli Stati Uniti abbiano anche solo il potere per cominciare a suggerire una proposta di estradare qualcuno il cui crimine è stato di esporre al pubblico delle informazioni che la gente al potere non vuole che vengano esposte? Fondamentalmente questo è ciò intorno a cui tutto gira.
Parte 4 : Trump ha interferito profondamente sulla rielezione di Netanyahu in Israele       
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sta cominciando il suo quinto mandato, dopo aver sconfitto l’ex Capo militare Benny Gantz.  In una discussione con Amy Goodman di Democracy Now!, Noam Chomsky parla di come il presidente Trump abbia interferito direttamente sulle elezioni israeliane aiutando più volte Netanyahu, trasferendo l’ambasciata USA a Gerusalemme e riconoscendo la sovranità di Israele sulle alture del Golan, in spregio al diritto internazionale.
AMY GOODMANNoam, che è successo in Israele, il primo ministro Netanyahu ha conquistato il record di un  quinto mandato. Poco prima delle elezioni ha annunciato che annetterà gli insediamenti illegali israeliani nella West Bank occupata. Il mese scorso, Trump ha ufficialmente riconosciuto la sovranità di Israele sulle alture del Golan.
NOAM CHOMSKYBeh, prima di tutto, se Benny Gantz fosse stato eletto al posto di Netanyahu, non ci sarebbe stata una grande differenza. La differenza tra i due candidati non è sostanziale in termini di politica. Netanyahu: ecco un altro esempio della portata extraterritoriale degli Stati Uniti. Netanyahu è un po’ più estremista. Gli Stati Uniti volevano disperatamente che venisse eletto. E l’amministrazione Trump gli ha fatto un regalo dopo l’altro per fare in modo che fosse rieletto. Bastava farlo arrivare vicino al 50/50, prima delle elezioni.
Uno di questi regali è stato, naturalmente, lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, in violazione non solo della legge internazionale, ma anche delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza a cui gli Stati Uniti avevano partecipato. Uno spostamento molto drammatico.
Un secondo regalo, altrettanto drammatico, è stato quello di autorizzare l’annessione a Israele delle alture del Golan. Le alture del Golan siriano sono, secondo il diritto internazionale, territori occupati da  Israele. Tutte le principali istituzioni, tutte le istituzioni competenti, il Consiglio di Sicurezza, la Corte Internazionale di Giustizia, tutti sono d’accordo su questo punto. Israele si è formalmente annesso le alture del Golan. Ma il Consiglio di Sicurezza, il Consiglio di Sicurezza, dell’ ONU, con la partecipazione degli Stati Uniti, ha dichiarato che questa annessione è nulla. OK?  Trump ha smentito unilateralmente, le istituzioni internazionali,  un altro regalo a Netanyahu, dimostrando, con questo gesto al popolo di Israele che, con il sostegno degli Stati Uniti, può ottenere tutto quello che vuole.
L’ultimo regalo di Trump, poco prima delle elezioni, è stata la dichiarazione di Netanyahu  che se fosse stato eletto, avrebbe annesso  le zone della West Bank, con la tacita autorizzazione degli Stati Uniti.
Queste sono misure forti che sono state prese per interferire decisamente con elezioni straniere. Avete sentito qualcosa su quanto sia considerata una cosa terribile interferire nelle elezioni straniere? Penso che forse ne abbiate già sentito parlare da qualche parte. Qui, è stato fatto con decisione, e sembra  che non ci sia niente di male. Ma quali sono esattamente le conseguenze di questo comportamento in termini di evoluzione della politica? Alla fine dei conti non sono molte.
Quindi, prendiamo l’annessione delle alture del Golan. In effetti, questa decisione è stata dichiarata nulla dal Consiglio di sicurezza. È stata condannata dalla Corte internazionale di giustizia. Ma a parte queste dichiarazioni  c’è qualcuno che abbia fatto qualcosa di concreto? È stata fatta qualche mossa per impedire che Israele prenda possesso delle alture del Golan?  che vengano fatti degli insediamenti, che vengano aperte delle imprese, che si costruiscano  delle stazioni sciistiche sul monte Hermon? Nulla. Nessuno ha alzato un dito. E nessuno ha alzato un dito per una semplice ragione: gli Stati Uniti non lo permettono. Nessuno lo dice, ma questo è il fatto. Bene, ora è formalmente autorizzato, e non è solo un fatto che è accaduto.
Prendiamo questa proposta di Netanyahu di annettere le parti della West Bank. E’ una storia che sta andando avanti da 50 anni, letteralmente. Subito dopo la guerra del ’67, sia i partiti politici, sia i principali raggruppamenti in Israele – l’ex partito laburista, il conglomerato basato sul Likud – hanno politiche leggermente diverse, ma sostanzialmente portano tutti avanti un programma di espansionismo in Cisgiordania orientato verso un obiettivo  molto chiaro:  creare quella che sarà una specie di Grande Israele, in cui Israele prenderà possesso di qualsiasi cosa abbia valore in Cisgiordania, lasciando che le concentrazioni di popolazione palestinese, come a Nablus e Tulkarm. restino isolate. Nel resto della regione ci sono circa 150 enclave palestinesi, più o meno circondate da posti di blocco, e la gente che vive spesso lontano dai campi dove lavora, riesce a malapena a sopravvivere.
Nel frattempo, gli insediamenti ebraici si sono sviluppati. Sono state costruite nuove città – una città importante, Ma’ale Adumim, costruita durante il periodo di Clinton, casualmente, a est di Gerusalemme. La strada che porta a questa città divide in due la West Bank. Poi Gerusalemme stessa si è estesa verso nord  ed ora è forse cinque volte più grande di quanto sia mai stata. Tutte queste nuove infrastrutture sono collegate da progetti altamente sviluppati. Potete fare un viaggio e andare a vedere quanto siano piacevoli i nuovi quartieri che stanno sorgendo attorno a Tel Aviv e a Gerusalemme nella West Bank. Si può  andare da Ma’ale Adumim a Tel Aviv con una grande autostrada— riservata agli israeliani e ai turisti, ma non ai palestinesi — più comoda della strada che va da South Shore a Boston — senza mai vedere un arabo.
Tutto questo è stato fatto costantemente, anno dopo anno, con il tacito supporto degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti forniscono il loro appoggio diplomatico, gran parte del sostegno economico, l’aiuto militare. E nel frattempo, il governo dice “Non ci piace quello che state facendo, fermatevi ” ma continua a fornire i mezzi. Bene, l’unica differenza nella dichiarazione di Netanyahu con il tacito appoggio di Trump è: “Ho intenzione di andare avanti e di annettere i territori, di annettere tutto, non voglio continuare a costruire, aspettando una eventuale annessione”. Queste sono le cose vere che sono successe.
Ora, la vittoria di Netanyahu, come ho detto prima, consolida un’alleanza — che è già in atto — e che in qualche modo, tacitamente va avanti da anni, non formale, ma funzionale, ora sta venendo allo scoperto sotto gli occhi degli stati arabi più reazionari come, in primo luogo, l’Arabia Saudita, uno degli stati più reazionari del mondo,  dell’Egitto di Sisi, il peggior dittatore della storia egiziana, degli Emirati Arabi Uniti. Ora Israele, si trova proprio al centro di tutto ciò. Fa parte del sistema delle alleanze internazionali di destra, del sistema di alleanza reazionario internazionale ultranazionalista che sta prendendo forma con la leadership degli Stati Uniti, una specie di nuovo sistema globale che sta nascendo. L’America del Sud, con Bolsonaro, è un’altro pezzo di questo sistema.
AMY GOODMAN: Eppure, negli Stati Uniti, c’è una crescente consapevolezza. Per esempio, il voto repubblicano-democratico contro la guerra dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti nello Yemen, alimentata dagli Stati Uniti. Questo le dà qualche speranza?
NOAM CHOMSKY: Questo è uno punto molto interessante ed in realtà è Bernie Sanders. Questo è  — guardiamolo bene — uno sviluppo molto importante, ma osserviamo che cosa è successo. La guerra tra Emirati Arabi Uniti e Emirati Arabi Uniti nello Yemen è stata una terribile atrocità. Probabilmente, nessuno lo sa, forse 60.000, 70.000 sono state le persone uccise, metà della popolazione riesce in qualche modo a sopravvivere. L’ONU descrive questa guerra come il peggior disastro umanitario del mondo. È una vera mostruosità. Sta andando avanti anno dopo anno, e l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti stanno impiegando armi statunitensi — e poi armi britanniche — c’è l’appoggio diretto e indiretto dell’intelligence USA che lavora a stretto contatto con i sauditi per colpire e bombardare e così via. Tutto questo sta succedendo senza nessuna protesta.
Poi è arrivata l’uccisione di Khashoggi, l’uccisione brutale di un giornalista del The Washington Post. Omicidio che ha causato indignazione. OK? Questo non dovrebbe essere il motivo per cui all’improvviso si accendono i riflettori sulla guerra in Yemen, non dovrebbe essere così, ma così è stato. Poi è arrivato Bernie Sanders, con un paio di altre persone, e ha dato il  via alla legislazione che ha cominciato a mettere qualche freno sul sostegno diretto degli Stati Uniti per questa guerra. Il che è significativo, ma dovremmo inserirlo meglio in tutto il contesto di quanto è successo realmente. E penso che possiamo essere abbastanza fiduciosi che il triumvirato Trump-Pompeo-Bolton troverà un modo per aggirare quelle regole e continuare questa guerra, a meno che a gente non cominci a protestare seriamente.
Ora, c’è qualche altra cosa a cui  vale la pena prestare attenzione. Il sostegno all’espansionismo di Israele, alla repressione, all’intera alleanza che si sta sviluppando, questo  sostegno negli USA si è spostato dai settori più liberali – grosso modo, il Partito Democratico – all’estrema destra. Non molto tempo fa, il sostegno a Israele contava sulla passione dei settori liberali della popolazione. Era una questione democratica. Ora, in effetti, non è più così se si guarda ai sondaggi, le persone che si identificano come democratiche tendono più a sostenere i diritti dei palestinesi che non quelli di Israele. Questo è un cambiamento drammatico. Il sostegno per Israele ora poggia sulla parte più reazionaria della popolazione: cristiani evangelici, ultranazionalisti. Fondamentalmente, è diventato un problema di estrema destra. Tra i più giovani questo sentimento è ancora più forte.
Voglio dire, posso vederlo sulla mia persona, in base alla mia personale esperienza. Fino a  10 o 15 anni fa, se dovevo tenere un discorso in un’università su Israele-Palestina, anche nella mia stessa università, il MIT, dovevo avere la protezione della polizia, letteralmente. La polizia doveva cercare di impedire che l’evento venisse rotto. Non mi permettevano di tornare verso la mia macchina da solo. Dovevo essere accompagnato dalla polizia. Le conferenze venivano interrotte e nessuno si opponeva a questi fatti che succedevano ogni volta. Ora questo è cambiato totalmente ed è un cambiamento molto importante. Penso che prima o poi, spero prima, questo possa portare a un cambiamento nella politica degli Stati Uniti.
Ci sono alcune mosse molto semplici che potrebbero essere fatte nella politica degli Stati Uniti che farebbero cambiare radicalmente la situazione in Medio Oriente. Quindi, per esempio, una semplice proposta è che il governo degli Stati Uniti dovrebbe rispettare la legge degli Stati Uniti. Non sembra troppo difficile. Gli Stati Uniti hanno delle leggi, come la cosiddetta legge Leahy o la Patrick Leahy Law, che prevedono che nessun aiuto militare possa essere dato a organizzazioni militari coinvolte in sistematiche violazioni dei diritti umani. Bene, l’esercito israeliano è coinvolto in massicce violazioni dei diritti umani. Se gli Stati Uniti dovessero rispettare la legge degli Stati Uniti, taglieremmo gli aiuti alle IDF, le forze di difesa israeliane. Questo passo da solo avrebbe un effetto importante, non solo toglierebbe gli aiuti materiali, ma avrebbe anche un  significato simbolico. Ed è del tutto possibile che con lo spostamento dell’opinione pubblica, specialmente tra i più giovani, potrebbe arrivare un momento in cui ci sarà un appello per chiedere che gli Stati Uniti rispettino le proprie leggi. OK? Ancora una volta, non parliamo di richieste molto drammatiche. E non si dovrebbe pensare troppo.
AMY GOODMAN: Noam Chomsky. Abbiamo parlato  con lui alla Old South Church, giovedì sera, quando è tornato alla sua vecchia casa di Boston. È stato professore al Massachusetts Institute of Technology per oltre 50 anni e alla fine dell’evento, abbiamo festeggiato il suo 90° compleanno.

domenica 26 giugno 2016

Brexit, Varoufakis: “È la rivolta dei deboli contro l’establishment. Anche l’Italia vicina al collasso”. - Roberta Zunini

Brexit, Varoufakis: “È la rivolta dei deboli contro l’establishment. Anche l’Italia vicina al collasso”

Per l’ex ministro delle Finanze della Grecia, che ha fatto campagna per Remain, "non bisogna distruggere ma cambiare l'Europa perché uniti si è più forti e si pesa di più. La sua ricetta? Per contrastare "Eurocrazia", populismi e razzismo la Ue "deve diventare una federazione".


“Sono preoccupato. La situazione mi pare ormai fuori controllo. I populismi e il razzismo stanno aumentando esponenzialmente mentre le maggiori economie dell’Unione, Italia per prima, stanno collassando, nonostante ciò che dice il vostro primo ministro Renzi”. L’economista Yanis Varoufakis, ex ministro delle Finanze greco oggi leader del movimento paneuropeo DiEm da lui fondato, nonché consulente dei laburisti inglesi da quando è segretario Jeremy Corbyn, è a Roma in questa giornata che passerà alla storia e ha scelto di commentare la Brexit con Il Fatto.
Lei conosce bene il Regno Unito, ha insegnato all’Università dell’Essex: come legge questo risultato?
È una reazione contro l’establishment britannico più che europeo. Il ceto medio e la classe lavoratrice sono andati a votare contro l’ormai ex premier Cameron perché sono i più danneggiati dal progressivo taglio dello stato sociale e dall’aumento delle tasse, in linea con i diktat di Bruxelles. Non hanno rigettato l’Europa ma le modalità dell’eurocrazia. Se le cose non cambiano, vedremo il trionfo dei nazionalismi. Per questo un populista come Donald Trump festeggia.
La sinistra non ha colpe?
Non ho detto questo. La sinistra inglese ha commesso errori madornali, ma Corbyn ha cercato di far capire ai più disagiati che i loro problemi non sono causati dall’appartenere all’Unione bensì dalla politica non democratica di Bruxelles. Non è un caso che i banchieri e la City tifassero per il Remain.
E allora perché Corbyn, lei e tutti gli intellettuali come Noam Chomsky, persino il regista portavoce della classe operaia Ken Loach, peraltro tutti firmatari del manifesto del suo movimento, eravate a favore del Remain? Non è una contraddizione?
Non lo è. Se nella sua famiglia ci fossero dei problemi, sarebbe un buon motivo perché ognuno dei suoi membri se ne andasse per i fatti propri? In questi mesi sono stato spesso nel Regno Unito a fare campagna a favore del Remain nelle zone più disagiate e ho faticato molto a convincere gli abitanti che non bisogna distruggere ma cambiare l’Europa perché uniti si è più forti e si pesa di più.
E perché dunque non è riuscito a convincerli?
Perché i conservatori come Cameron e tutti i responsabili della politica sciagurata che sta rovinando l’Unione – cioè la troika, la Bce, il Fmi – erano dalla nostra parte, cioè erano contrari all’uscita del Paese dall’Unione. Se Cameron fosse andato in vacanza per un anno, oggi il risultato sarebbe probabilmente l’opposto.
Il 5 luglio di un anno fa, quando lei era ancora il ministro delle Finanze, il referendum greco sull’Ue l’ha costretta alle dimissioni. Non sarebbe meglio evitare referendum su questioni così delicate?
No. Io sono a favore dei referendum. Le ragioni di chi lo ha voluto in Gran Bretagna erano sbagliate, noi invece l’avevamo indetto non per uscire dall’Europa, bensì per renderla più giusta e coesa. Chi voleva la nostra uscita dall’Eurozona era il ministro delle Finanze tedesco Schäuble. L’unico che ha un’agenda per l’Europa. Schäuble ha fatto di tutto per fomentare i britannici a lasciare l’Unione. Vuole creare una piccola Europa basata su una permanente austerity.
La Brexit aiuterà Podemos a vincere in Spagna?
Non necessariamente. Anche se Podemos propone un modello contro l’austerity non ha un’agenda europea. Così come non ce l’hanno i suoi avversari. Questo è il cuore del problema europeo.
Non gli immigrati?
Sono diventati il capro espiatorio della crisi europea, economica e politica.
Il Leave ha prevalso, ma dalle urne emerge una Gran Bretagna divisa in due.
Tutta l’Europa è polarizzata: tutti hanno capito che, pur vivendo in paesi democratici, i loro governi non decidono più nulla.
DiEM cosa propone?
Di fortificare l’Europa, facendola diventare una federazione e indebolendo l’establishment.

Ma a noi italiani non è concesso il diritto di decidere.
Hanno creato una poltiglia informe che ha debilitato economicamente i paese più deboli ai quali non è stato lanciato un canotto di salvataggio nei momenti più critici, vedi la Grecia; da quando è entrato in vigore l'euro noi italiani abbiamo visto dimezzato il potere d'acquisto del nostro denaro, siamo stati costretti a cedere la dignità di lavoratori perchè lo imponeva la UE...se questa è l'unione che vogliono che ce lo dicano e ci diano la possibilità di decidere se accettare o meno.

lunedì 13 luglio 2015

Yanis Varoufakis: La Germania non risparmierà dolore greco – ha interesse a rompere con noi.


Pubblichiamo la traduzione dell’articolo di Yanis Varoufakis pubblicato sul Guardian venerdì 10 luglio 2015.  Fotografa molto bene le difficoltà che sta affrontando Syriza e anticipava l’atteggiamento della Germania. 

La ristrutturazione del debito è sempre stato il nostro obiettivo nei negoziati – ma per alcuni leader dell’eurozona la Grexit è l’obiettivo.
Il dramma finanziario della Grecia ha dominato i titoli dei giornali per cinque anni per un motivo: l’ostinato rifiuto dei nostri creditori a offrire un’essenziale riduzione del debito. Perché, contro il buon senso, contro il verdetto del FMI e contro le pratiche quotidiane dei banchieri di fronte a debitori stressati, resistono a una ristrutturazione del debito? La risposta non può essere trovata in economia perché risiede in profondità nella politica labirintica dell’Europa.

Nel 2010, lo Stato greco è diventato insolvente. Due opzioni compatibili con il continuare a essere membri della zona euro si presentavano: quella sensibile, che ogni banchiere decente consiglierebbe – ristrutturazione del debito e riformare l’economia; e l’opzione tossica – estendere nuovi prestiti a un’entità in bancarotta fingendo che resti solvibile.

L’Europa ufficiale ha scelto la seconda opzione, mettendo il salvataggio delle banche francesi e tedesche esposte al debito pubblico greco al di sopra della vitalità socio-economica della Grecia. Una ristrutturazione del debito avrebbe perdite implicite per i banchieri nelle loro quote del debito greco. Desiderosi di evitare di confessare ai parlamenti che i contribuenti avrebbero dovuto pagare di nuovo per le banche per mezzo di insostenibili nuovi prestiti, i funzionari dell’UE hanno presentato l’insolvenza dello stato greco come un problema di mancanza di liquidità, e giustificato il “salvataggio” come un caso di “solidarietà” con i greci.
Per incorniciare il trasferimento cinico di irreparabili perdite private sulle spalle dei contribuenti, come un esercizio di “amore duro”, austerità da record è stata imposta alla Grecia, il cui reddito nazionale, a sua volta – da cui i nuovi e vecchi debiti dovevano essere rimborsati – diminuiva di più di un quarto. Basta l’esperienza matematica di un bambino di otto anni per capire che questo processo non poteva finire bene.
Una volta che la sordida operazione fu completata, l’Europa aveva acquisito automaticamente un altro motivo per rifiutare di discutere la ristrutturazione del debito: essa avrebbe ora colpito le tasche dei cittadini europei! E così dosi crescenti di austerità sono state somministrate mentre il debito è diventato più grande, costringendo i creditori a dare più prestiti in cambio di ancora più austerità.
Il nostro governo è stato eletto su un mandato per porre fine a questo circolo vizioso tra banche e stati (doom loop nel testo); per chiedere la ristrutturazione del debito e la fine dell’austerità paralizzante. I negoziati hanno raggiunto il loro molto pubblicizzato impasse per un semplice motivo: i nostri creditori continuano a escludere qualsiasi tangibile ristrutturazione del debito pur insistendo che il nostro debito impagabile sia rimborsato “in modo parametrico” da parte della parte più debole dei Greci, dei loro figli e dei loro nipoti.
Nella mia prima settimana come ministro delle finanze sono stato visitato da Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo (i ministri delle finanze della zona euro), che mi sottopose una scelta netta: accettare “logica” del piano di salvataggio e rinunciare a qualsiasi richiesta di ristrutturazione del debito o il vostro accordo di prestito farà “Crash” – la ripercussione non detta era che le banche della Grecia sarebbero state sbarrate.
Cinque mesi di trattative seguirono in condizioni di asfissia monetaria e di assalto agli sportelli bancari indotto supervisionate e gestite dalla Banca centrale europea. La scritta era sul muro: a meno che non capitoliamo, presto saremmo stati di fronte a controlli sui capitali, bancomat quasi-funzionanti, una prolungata chiusura festiva delle banche e, in ultima analisi, la Grexit.
La minaccia della Grexit ha avuto una breve storia sulle montagne russe. Nel 2010 ha messo il timore di Dio nel cuore e nella mente dei finanzieri poiché le loro banche erano piene di debito greco. Anche nel 2012, quando il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, decise che i costi della Grexit erano un “investimento” utile come un modo per disciplinare la Francia e gli altri, la prospettiva ha continuato a spaventare a morte quasi tutti.
I Greci, a ragione, tremano al pensiero dell'amputazione dall’unione monetaria. L’uscita da una moneta comune non è come troncare un piolo, come ha fatto la Gran Bretagna nel 1992, quando Norman Lamont notoriamente cantò sotto la doccia la mattina che la sterlina usciva dal meccanismo di cambio europeo (ERM). Ahimè, la Grecia non ha una moneta il cui piolo con l’euro può essere tagliato. Ha l’euro – una valuta estera completamente amministrata da un creditore ostile alla ristrutturazione del debito insostenibile della nostra nazione.
Per uscire, dovremmo creare una nuova moneta da zero. Nell’Iraq occupato, l’introduzione della nuova carta moneta ha impiegato quasi un anno, 20 o giù di lì Boeing 747, la mobilitazione della potenza delle forze armate Usa, tre aziende di stampa e centinaia di camion. In assenza di tale sostegno, la Grexit sarebbe l’equivalente di annunciare una grande svalutazione più di 18 mesi in anticipo: una ricetta per liquidare tutto lo stock di capitale greco e trasferirlo all’estero con ogni mezzo disponibile.
Con la Grexit che rafforza la corsa agli sportelli indotta dalla Bce, i nostri tentativi di porre la ristrutturazione del debito di nuovo sul tavolo dei negoziati è caduto nel vuoto. Di volta in volta ci hanno detto che si trattava di una questione da affrontare in un futuro non specificato che avrebbe seguito il “successo nel completamento del programma” – uno stupendo Comma 22 dal momento che il “programma” non avrebbero mai potuto avere successo senza una ristrutturazione del debito.
Questo fine settimana segna il culmine dei colloqui quando Euclide Tsakalotos, il mio successore, si sforza, ancora una volta, di mettere il cavallo davanti al carro – per convincere un ostile Eurogruppo che la ristrutturazione del debito è un prerequisito del successo nel riformare la Grecia, non un premio ex-post per questo. Perché è così difficile da far capire? Vedo tre ragioni.
Uno è che l’inerzia istituzionale è difficile da battere. 
Un secondo, che il debito insostenibile dà ai creditori immenso potere sui debitori – e il potere, come sappiamo, corrompe anche i migliori. 
Ma è il terzo che mi sembra più pertinente e, anzi, più interessante.
L’euro è un ibrido di un regime di tassi di cambio fissi, come l’ERM degli anni ’80, o il gold standard degli anni ’30, e una moneta di stato. Il primo si basa sulla paura dell’espulsione per tenere insieme, mentre il denaro statale comporta meccanismi per riciclare eccedenze tra gli Stati membri (per esempio, un bilancio federale, obbligazioni comuni). La zona euro cade fra questi sgabelli – è più di un regime di tassi di cambio e meno di uno stato.
E qui sta il problema. Dopo la crisi del 2008/9, l’Europa non sapeva come rispondere. Dovrebbe preparare il terreno per almeno una espulsione (cioè, la Grexit) per rafforzare la disciplina? O passare a una federazione? Finora non ha fatto nessuna delle due, la sua angoscia esistenziale sempre crescente. Schäuble è convinto che allo stato attuale, ha bisogno di una Grexit per pulire l’aria, in un modo o nell’altro. Improvvisamente, un permanentemente insostenibile debito pubblico greco, senza il quale il rischio di Grexit sarebbe svanito, ha acquisito una nuova utilità per Schauble.
Cosa voglio dire con questo? Sulla base di mesi di negoziati, la mia convinzione è che il ministro delle finanze tedesco vuole che la Grecia sia spinta fuori dalla moneta unica per mettere il timore di Dio nei francesi e fargli accettare il suo modello di euro zona inflessibile.

traduzione di Maurizio Acerbo

mercoledì 6 maggio 2015

Dalla Francia con amore: il gruppo ecologista delle cinque terre ci fa sapere, via Parigi, che cosa davvero sta accadendo per ciò che riguarda la Grecia. - Sergio Di Cori Modigliani

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Oggi arriva a Roma il ministro greco delle finanze Yanis Varoufakis. Si incontrerà con il nostro ministro dell’economia Padoan, concludendo il suo tour politico europeo. Mentre da Draghi e dalla Troika ci andrà il sottosegretario Dragasakis, l’uomo che il governo greco ha provveduto a nominare come “tecnico” per aggirare le polemiche e il fuoco di sbarramento da parte di olandesi, finlandesi e tedeschi. In Italia i media avevano presentato questa nuova scelta dei greci con la dizione “Tsipras commissaria Varoufakis e si arrende” cercando di dare ad intendere che il ministro greco era stato emarginato e allontanato da Tsipras il quale, finalmente, avrebbe potuto eseguire gli ordini teutonici.
Non è così.
Con grande abilità politica, Tsipras ha creato un doppio binario (è stato proprio lui a spiegarlo di persona alla televisione greca): su una rotaia i tecnici che se la vedono con la Troika e i burocrati, e su un’altra rotaia i politici, ovvero personalità dotate di delega ufficiale che trattano direttamente con i loro omologhi in tutta Europa perché -sostiene Tsipras- “il punto centrale della vicenda sul quale non intendiamo mollare neppure di un millimetro consiste nell’approccio: noi riteniamo che il nodo vada affrontato politicamente per restituire alla Politica l’egemonia sull’economia, cominciando a mettere le briglia sul collo del cavallo pazzo liberista. E’ una vicenda politica e quindi va gestita politicamente. L’economia è, e deve essere, una conseguenza di scelte politiche e non viceversa. Perché così deve funzionare l’Unione Europea“.
Varoufakis ha incontrato la Merkel, poi Hollande, poi David Cameron a Londra (l’incontro più lungo, durato ben quattro ore e finito con grandi sorrisi) e infine a Roma da Padoan. Nei prossimi giorni sapremo gli esiti di questi colloqui.
Ma dalla Francia, dove i media sono più liberi che da noi in Italia, arriva un documento e un’informazione che penso possano essere davvero molto interessanti. A firmarlo è il Collectif pour un audit citoyenun movimento di cittadini di base che opera in Francia e il cui obiettivo consiste nell’esigere, pretendere e cercare di imporre la totale chiarezza e trasparenza delle scelte politiche ed economiche con un programma che si chiama “audit pubblico aperto all’intera cittadinanza” raccogliendo l’eredità della tradizione storica gallica delle prime assemblee costitutive nel corso della rivoluzione francese. E’ un testo molto interessante il cui titolo è: “Ciò che vogliono farvi credere sul debito della Grecia“. In Francia è diventato pubblico in data 11 Marzo 2015. Da lì è passato in Olanda il 15 Marzo e il 15 Aprile è arrivato in Germania dove ha avuto una diffusione virale.
E’ stato ampiamente diffuso in tutti i paesi europei, e in Germania i Grunen (verdi tedeschi) hanno provveduto a garantire massiccia e virale condivisione. Questo testo sta influenzando in maniera molto forte la trattativa in corso, a dimostrazione del fatto di quanto possa incidere ancora oggi un movimento di base organizzato, un’informazione dei cittadini per i cittadini, e allo stesso tempo è l’ennesima prova della totale latitanza dell’informazione libera in Italia. Da notare -ed è uno dei motivi per cui lo sottopongo alla vostra attenzione- la modalità semplice di scrittura, densa di argomenti sostanziali, che fornisce strumenti di comprensione per ogni cittadino europeo che voglia essere pensante in maniera autonoma. Un sito on line che si chiama Pop Off (popoffquotidiano.itlo ha pubblicato subito, in data 16 Marzo, ma non ha avuto alcuna diffusione.
In compenso c’è un gruppo che si sta muovendo: ed è il soggetto del post di oggi.
A pubblicare per intero il testo del collettivo francese, in Italia, è stato qualche giorno fa il “Gruppo delle Cinque Terre” forse il più solido e antico movimento politico-ecologico-libertario-ambientalista attivo da molti anni e costituitosi come movimento politico di base radicato sul territorio nel 2009.
Qui di seguito la presentazione di questo gruppo, il link di riferimento e poi, per intero, l’articolo del collettivo francese, con diversi link di riferimento. Nel resto d’Europa l’hanno letto tutti. Se vi piace e vi convince, diffondetelo. La partita in corso tra la Grecia e la Troika è fondamentale, ed è anche a nome nostro. Lì, ad Atene, 3000 anni fa, è nata la grande civiltà mediterranea che ha gettato le fondamenta dell’Europa e lì, ad Atene, sugli scogli di quel piccolo paese, quest’Europa sta andando a sbattere: lì verrà rifondata.
O affondata, nel caso dovesse andare male.
Buona lettura.

CHI E’ IL GRUPPO DELLE CINQUE TERRE
Il Gruppo delle Cinque Terre si è costituito nell’agosto 2009 ponendosi tre obiettivi:
  • la riunificazione dei vari gruppi e movimenti dell’area ecologista
  • contribuire alla realizzazione del nuovo programma ecologista
  • promuovere nuovi strumenti di comunicazione del Movimento Ecologista
Con il termine ECOLOGISTA non intendiamo ambientalista o semplicemente “verde”, intendiamo una area culturale e sociale più vasta, trasversale ad ogni schieramento politico e che rivendica il diritto-dovere ad una relazione armonica tra uomo e natura, tra esseri umani, tra uomo e donna, e all’interno dell’uomo tra vita e coscienza.
E’ una cultura che sta prendendo gradualmente coscienza di se stessa: in essa si esprimono i movimenti ambientalisti, i movimenti dei diritti civili, i movimenti di solidarietà e giustizia sociale, i movimenti di trasformazione della coscienza sino ai movimenti in difesa delle comunità e culture native.
Il nostro obiettivo è contribuire per l’affermazione in Italia di una grande forza ecologista, intesa come espressione politica, culturale, sociale ed economica dell’insieme dei movimenti, delle culture e delle pratiche volte ad una trasformazione armoniosa ed ecosostenibile della realtà attuale.
Come è affermato dal documento del Gruppo delle Cinque Terre intitolato IL CORAGGIO DI CAMBIARE:
“Vi è una benedetta irrequietezza che spinge un numero progressivamente crescente di uomini e donne del pianeta ad una condivisione ed alleanza di valori, pratiche e attività per l’affermazione di ciò che si riconosce come valido e irrinunciabile.
Un movimento della vita e dell’evoluzione umana che non riconosce facilmente ideologie e capi, si nutre di ogni cosa ritenga valido e si diffonde dappertutto. Esso è la forza determinante che può portarci alla scoperta del tempo presente e delle sue soluzioni.
I movimenti ambientalisti, i movimenti dei diritti civili, i movimenti di giustizia sociale, i movimenti di autonomia culturale si stanno intrecciando e tendono a diventare UNO superando i continenti, sia pure con forme e tempi differenti.
Il termine “ecologisti” è al momento il più idoneo a rappresentare questa varietà di esperienze, che vanno ben al di là del semplice ambientalismo e che hanno però un minimo comune denominatore.
Esso è dietro la vittoria di Obama negli USA, spinge ed alimenta la rivoluzione della Green Economy, è alla base della grande e nuova affermazione di formazioni tendenzialmente trasversali come Europe Ecologie in Francia, anima la moltitudine di movimenti culturali sociali e politici attivi su temi specifici e vive nello sforzo quotidiano di ognuno per una vita felice. E’ l’antidoto, unico oggi, all'intossicazione della politica e all'avvelenamento della società e delle coscienze.
Noi proponiamo la pratica di non essere per nessuno ma di essere con tutti. La volontà di una condivisa solidarietà attiva che è l’antidoto all'illusione del “credere di fare” e l’anteprima “per fare veramente qualcosa”. Sosteniamo la proposta e la necessità di una nuova formula: la federazione delle persone, dei progetti culturali, delle attività produttive ed insieme delle capacità, delle qualità, delle speranze, dei sogni e delle visioni, degli uomini e delle donne di buona volontà per costruire una società più armonica ed eco-orientata. Come Cittadini del Pianeta abbiamo urgente necessità di affrontare l’emergenza ecologica e climatica, di superare un sistema economico basato sulla crescita infinita, di riformare le organizzazioni e le istituzioni sociali liberi dai condizionamenti culturali delle ideologie del secolo scorso, di sconfiggere ogni pregiudizio culturale e sociale e di affrancarci da ogni cultura basata sull’egocentrismo. Siamo consapevoli che la vita è nelle nostre mani e andrà bene se sapremo con coraggio essere noi stessi e se nei nostri comportamenti saremo degni dei nostri sogni. Intendiamo affermare una ecologia ambientale, una ecologia sociale e politica ed una ecologia etica.
Solo attraverso una pratica dell’integrità e della giusta relazione potremo preservare e difendere l’autenticità di ogni cosa ed ogni essere vivente. Il XX secolo, sanguinoso e rovinoso più di ogni altro, ci ha dato in lascito una tecnologia potentissima ed uno smarrimento generale. Ma anche il senso di inadeguatezza di ogni teoria razionale o metafisica non sostenuta dalle ragioni del cuore e non supportata dalla naturale saggezza della vita e della natura. Intendiamo quindi l’ecologismo non come una nuova ideologia ma come un insieme di tendenze, pratiche, sentimenti, insegnamenti e visioni che possono sostenere e guidare verso la soluzione dei tanti problemi attuali. Esso può realizzarsi se saprà essere trasversale anche a se stesso, progredire dall’ambientalismo che pure tanti meriti ha ed ha avuto, in un movimento della giusta relazione che riformi la politica e l’economia e che liberi le potenzialità sane di espressione dell’uomo e della società. In Italia nello specifico vi è urgenza di una rottura con tutto ciò che è definito Casta,Corruzione, Mafie ed insieme anche una rottura con tutto il vecchio bagaglio culturale delle ideologie del ‘900, privo di innocenza perchè anche corresponsabile della progressiva degenerazione ecologica, economica e sociale. Nello stesso tempo occorrerà ampliare, mantenere e difendere i contenuti essenziali ed irrinunciabili della nostra Costituzione dalle degenerazioni del sistema partitico e dalle culture moderne dell’illusione.”
http://www.gruppocinqueterre.it/node/1574

cacGrecia, quello che vorrebbero farti credere sul debito

Otto false idee sul debito greco solo per far interiorizzare l’ineluttabilità del debito ai greci e ai Sud-Europei. Un audit pubblico svelerebbe il ricatto …

Collectif pour un audit citoyen

Nonostante l’ingerenza e la pressione dei dirigenti dell’Unione europea (UE), il popolo greco ha deciso di prendere in mano con coraggio il proprio destino e farla finita con le politiche di austerità, che hanno sprofondato il paese nella miseria e nella recessione. Nei paesi vittime della trojka [ribattezzata ora “Istituzioni europee”], ma anche in numerosi altri paesi europei, la vittoria [elettorale di Syriza] viene sentita come un incoraggiamento formidabile a battersi per porre fine a politiche che avvantaggiano i mercati finanziari e sono invece disastrose per le popolazioni. I nostri grandi mezzi di comunicazione, invece, non fanno che sostenere uno dopo l’altro l’assurda idea per cui l’annullamento del debito greco “costerebbe 600 euro a ogni singolo contribuente francese”. Via via che si inaspriscono le trattative tra la Grecia e la trojka, la propaganda va intensificandosi e il nostro lavoro di educazione popolare sul problema del debito pubblico diventerà sempre più decisivo. Le seguenti risposte alle idee indotte sul debito greco vorrebbero fornire un contributo al riguardo.

Idea indotta n.1 – Annullare il debito greco vuol dire 636 euro per ogni francese.


Il discorso ufficiale sulla Grecia
Inaccettabile trasferire il debito greco dal contribuente greco a quello francese» (Michel Sapin, ministro dell’Economia Europe, n.1, 2 febbraio 2015); «una tegola di 735 euro per ogni francese» (Le Figaro, 8 gennaio 2015); 636 euro secondoTF1 (2 febbraio 2015).


Perché è falso?
L’impegno francese verso la Grecia è di 40 miliardi di euro: una piccola parte è stata prestata al paese nel quadro di prestiti bilaterali, il resto (circa 30 miliardi di euro) è stata fornita a garanzia al Fondo europeo di solidarietà finanziaria (Fesf) che ha contratto il prestito sui mercati finanziari per prestare alla Grecia.
In entrambi i casi questi prestiti sono già contabilizzati nel debito pubblico francese (circa 2.000 miliardi), per cui il loro annullamento non aumenterebbe il debito.
La Francia dovrà sborsare quelle somme in caso di annullamento del debito greco? No, perché infatti la Francia, come la maggior parte dei paesi, non rimborsa mai veramente il proprio debito. Quando un prestito viene a scadere, la Francia lo rimborsa con un altro prestito. Si dice che la Francia fa “rotolare” il suo debito.
La sola cosa che perderebbero i contribuenti francesi sarebbero gli interessi versati per la Grecia, ossia 15 euro pro capite e per anno.[1]
La Bce potrebbe risolvere il problema con facilità. Potrebbe cancellare con un tratto di penna i 28 miliardi da lei detenuti. Potrebbe riacquistare dalle istituzioni pubbliche (Stati, Fesf) i titoli greci che detengono e ugualmente annullarli. Oppure potrebbe trasformarli – come chiede la Grecia – in obbligazioni perpetue, con un tasso di interesse fisso e affidabile, e non di rimborso del capitale. Ad ogni modo, una banca centrale non corre alcun rischio finanziario, perché si può rifinanziare da sola creando moneta.
Quali insegnamenti per la Francia e l’Europa?
Anche in Francia il debito pubblico è insostenibile e non si potrà rimborsare. I tassi d’interesse oggi sono bassi? Sì, ma perché la Francia porta avanti una politica d’austerità che piace ai mercati finanziari. E anche perché gli investitori finanziari non vogliono più correre il rischio di investimenti nel settore produttivo. Per farla finita con questa politica, in Francia e in Europa, bisognerà pure alleggerire in un modo o in un altro il gravame dei debiti: ristrutturazione, parziale rimborso con un prelievo eccezionale sui grandi patrimoni, parziale annullamento. ogni ipotesi va studiata e deve essere oggetto di scelte democratiche.


Idea indotta n.2 – Quando si deve qualcosa, va rimborsata.


Il discorso ufficiale sulla Grecia.
La Grecia dovrà rimborsare il suo debito» (Michel Sapin, 2 febbraio); «Un debito è un debito. Rimborsare è un dovere morale per uno Stato di diritto» (Marine Le Pen, 4 febbraio)


Perché è falso?
Tranne rare eccezioni, uno Stato non rimborsa il proprio debito, ma rinnova il prestito per far fronte alle scadenze. Nel bilancio dello Stato figurano gli interessi del debito, mai il rimborso della somma presa in prestito (la parte principale). Al contrario di un privato, lo Stato non è mortale, può indebitarsi all’infinito per pagare i suoi debiti. È la differenza con il prestito di una madre di famiglia che ha l’obbligo, lei sì, di rimborsare il suo debito.
Se però i mercati finanziari non vogliono più prestare a uno Stato, o esigono tassi d’interesse esorbitanti, e lo Stato non ha più accesso alla creazione di moneta da parte della Banca centrale del proprio paese, le cose si mettono male. Per questa ragione nel 2011, quando le banche si sono spaventate di fronte alle difficoltà greche, la Bce e gli Stati europei hanno dovuto concederle prestiti.
Ed è questo che oggi consente loro di esercitare un brutale ricatto, minacciando di tagliare i crediti alla Grecia se il suo governo mantiene le misure anti-austerità che ha promesso agli elettori: aumento dello Smic e delle pensioni, rientro al lavoro dei dipendenti pubblici licenziati, blocco delle privatizzazioni.
Numerose esperienze storiche di paesi sovra-indebitati (Germania 1953, Polonia 1991, Iraq 2003, Ecuador 2008, Islanda 2011, Irlanda 2013.) sono comunque approdate alla stessa conclusione: se il debito è troppo pesante (190% del Pil per la Grecia!), occorre annullarlo e/o ristrutturarlo per consentire una nuova ripresa.
Tutti sanno – anche il Fmi e la Bce – che l’attuale gravame del suo debito è troppo pesante per la Grecia. È indispensabile rinegoziarlo: rispetto al parziale annullamento, ai tassi di interesse, allo scadenzario. Occorre per questo una Conferenza europea sul debito, come è avvenuto nel 1953 per la Repubblica federale tedesca. Perché sia efficace, essa deve basarsi sui lavori di una Commissione internazionale di audit del debito greco, che stabilirà quale sia la parte legittima di cui conviene liberarsi (e anche la rinegoziazione dei tassi d’interesse e delle scadenze) e quella illegittima, che si può contestare.
È legittimo il debito contratto legalmente per finanziare investimenti o politiche che vadano a vantaggio della popolazione: È illegittimo quello che non ha servito gli interessi della popolazione ma ha invece avvantaggiato minoranze privilegiate. Secondo la giurisprudenza internazionale, un debito può addirittura avere un carattere odioso o essere illegale, a seconda del modo in cui lo si è contratto.
Quali insegnamenti per Francia ed Europa?
Anche in Francia è indispensabile condurre un procedimento ampio di “audit” civico per sensibilizzare l’opinione pubblica e far vedere chi sono i reali beneficiari del sistema del debito. La prima Relazione di audit civico pubblicata nel maggio 2014 ha dimostrato che il 59% del debito francese si poteva considerare illegittimo, per la sua origine (tassi di interessi eccessivi, regalie fiscali). Ristrutturare il debito francese libererebbe risorse per i servizi pubblici, per la transizione ecologica. Organizzeremo una Conferenza europea dei movimenti sociali sul debito, per generalizzare questa procedura.


Idea indotta n.3 – I greci si sono rimpinzati, ora devono pagare.


Il discorso ufficiale sulla Grecia.
La Grecia ha una «amministrazione pletorica, il 7% del Pil rispetto al 3% in Europa», una «difficoltà a riscuotere le tasse e tenere a bada le spese (Claudia Senik, economista)


Perché è falso?
Secondo i dati Ocse, in Grecia i dipendenti pubblici rappresentavano il 7% del totale degli occupati nel 2001 e l’8% nel 2011, contro l’11% in Germania e il 23% in Francia (Previdenza sociale inclusa). Le spese pubbliche greche rappresentavano nel 2011 il 42% del Pil, contro il 45% (Germania) e il 52% (Francia).
Perché allora, anche prima della crisi finanziaria e della recessione, il debito pubblico greco era già al 103% del Pil nel 2007? Un recente saggio [Michel Husson, A L’encontre, 11 febbraio 2015] dimostra come l’impennata del debito non dipenda affatto dallo sperpero di dipendenti pubblici e prestazioni sociali. Come in Francia, le spese sono rimaste globalmente costanti in percentuale del Pil, dal 1990 al 2007. Come in Francia, sono i tassi di interesse eccessivi e i regali fiscali ad aver gonfiato il debito. Per giunta però, i diktat della trojka hanno affondato il Pil del 25% a partire dal 2010, provocando automaticamente un aumento del 33% del rapporto debito/Pil!
I tassi di interesse imposti dai prestatori tra il 1990 e il 2000 sono stati stravaganti: mediamente, il 7,5% (tasso reale con correzione dell’inflazione), per una crescita del Pil del 2,5%. Di qui l’effetto “valanga”: lo Stato greco si è indebitato per riuscire a pagare questi interessi esorbitanti. Se il tasso di interesse reale fosse rimasto limitato al 3%, il debito pubblico greco avrebbe costituito il 64% del Pil, non il 103%.
Per quanto riguarda le entrate pubbliche, per rispettare il criterio di Maastricht sul deficit massimo del 3%, la Grecia ha aumentato molto le tasse nel corso degli anni 1990: dal 28% al 42% del Pil. Tuttavia, dopo l’ingresso nell’eurozona, nel 2001, i greci ricchi hanno fatto festa. Ad esempio, nel 2004 e 2008 la Grecia ha ridotto l’imposta di successione, diminuito per due volte il tasso di imposta sul reddito e decretato tre leggi di sanatoria fiscale per gli evasori. (Studi economici Ocse, Grecia 2009). Le entrate fiscali sono ripiombate al 38% del Pil. Se avesse conservato il livello del 2000, il debito pubblico greco avrebbe costituito, nel 2007, l’86% del Pil, non il 103%.
Complessivamente, con tassi d’interesse “ragionevoli” e la semplice conservazione del livello delle entrate pubbliche, il debito greco sarebbe stato della metà, nel 2007. In altri termini: si può ritenere che, a quella data, metà del debito greco fosse illegittimo. È dipeso dall’avidità dei creditori, nazionali o stranieri, e dal ribasso delle tasse, in particolar modo a vantaggio dei più ricchi. Quanto all’esplosione del debito a partire dal 2007, la si deve interamente alla recessione inflitta dalla Trojka ed è, quindi, ancor più illegittima.
Quali insegnamenti per Francia ed Europa?
Il Collettivo per un audit civico del debito pubblico (Cac) ha già dimostrato come gli stessi meccanismi (eccessivi tassi d’interesse e regali fiscali) spieghino il 59% del debito pubblico francese. Anche in Francia si potrebbe farla finita con le politiche di austerità se si rimettesse in discussione il gravame di questo debito, per un suo parziale annullamento e/o per delle misure di ristrutturazione dello stesso.


Idea indotta n.4 – I Greci sono stati aiutati, devono ringraziare.


Il discorso ufficiale sulla Grecia
La Grecia deve smettere di essere un pozzo senza fondo (Wolfgang Schäuble, ministro tedesco delle Finanze, 12 febbraio 2012)


Perché è falso?
Dal 2010 al 2013, la Grecia ha ricevuto 207 miliardi di euro in prestiti degli Stati europei e delle istituzioni europee, accompagnati da piani di riforme. Si tratterebbe di “aiuti alla Grecia”.
Uno studio di Attac Austria [2] rivela le destinazioni delle 23 tranches di finanziamenti imposti alla Grecia dal 2010 al 2013. Il 77% di questi prestiti è servito a ricapitalizzare le banche private greche (58 miliardi di euro), o è stato direttamente versato ai creditori dello Stato greco (101 miliardi di euro), per l’essenziale banche europee o americane.
Per 5 euro prestati, 1 solo euro è entrato nelle casse dello Stato greco!
Il mensile Alternatives économiques (febbraio 2015) completa l’analisi: dal 2010 al 2014, 52,8 miliardi di questi prestiti sono andati a coprire gli interessi dei creditori. Solo 14,7 miliardi di euro sono serviti a finanziare spese pubbliche in Grecia.
Quei 207 miliardi hanno dunque “aiutato” molto le banche e i creditori ma ben poco la popolazione greca, che in compenso deve subire l’austerità imposta dalla Trojka nel corso dei negoziati sui prestiti. Lo Stato greco deve, inoltre, pagare gli interessi sull’insieme dei piani di aiuto. È indebitato ancora per 40 anni, fino al 2054 e 30 miliardi vanno versati nel 2015!
Chi sono i reali creditori del debito greco e chi decide della sua utilizzazione? Per un debito totale di 314 miliardi di euro i creditori sono: Il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf, ora rimpiazzato dal Mes, 142 miliardi), gli altri Stati europei (53), il Fmi (23), il settore privato (39), la Bce (27) e altri creditori privati (31).
Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), entrato in vigore nel 2012, gestisce ormai i prestiti agli Stati dell’Ue. Contrae prestiti sui mercati finanziari e decide la loro destinazione (principalmente il salvataggio delle banche private). Gli attori dei mercati finanziari si finanziano presso banche centrali, tra cui la Bce, a tassi d’interesse inflazionistici. La sede del Mes è in Lussemburgo, ben noto paradiso fiscale.
In nessun momento lo Stato greco mette mano ai fondi sottoscritti dal Mes. Oltre alle riforme imposte dalla Trojka, i greci pagano per prestiti che non gli sono stati versati e che avvantaggiano per l’essenziale il settore finanziario.
Quali lezioni per la Francia e l’Europa ?
Degli “aiuti” beneficiano di fatto le banche e sono pagati ad alto prezzo dalla popolazioni. Tra soddisfare i bisogno fondamentali (cibo, alloggio, protezione sociale, sanità, istruzione) o ingrassare i principali creditori, la scelta va da sé: la priorità non è il rimborso, ma l’audit dei debiti pubblici e la trasparenza sull’impiego dei fondi dei cosiddetti “salvataggi”.


Idea indotta n.5 – La Grecia deve continuare a portare avanti le riforme avviate.


Il discorso ufficiale sulla Grecia
Secondo Wolfgang Schäuble, ministro tedesco delle Finanze, la Grecia è tenuta a proseguire sulla strada delle riforme già avviate, senza alcuna alternativa, indipendentemente dal risultato elettorale (Le Monde, 4 gennaio 2014). Cosa che François Hollande ha confermato dopo la vittoria di Syriza: «si sono presi degli impegni e vanno mantenuti» (27/01).


Perché è falso?

L’austerità imposta non ha altro obiettivo se non quello di liberare capacità di rimborso per i creditori. L’insuccesso è però clamoroso! Sì, la Grecia ha bisogno di riforme economiche, sociali e politiche. Non quelle della Trojka, però – sempre meno Stato, sempre più mercato e disuguaglianze – che ahimè sono fallite. Contro le logiche finanziarie di breve termine, tre tracce di piste devono consentire al popolo greco di riappropriarsi del proprio futuro:
Un ambizioso piano di recupero dell’occupazione e di sviluppo economico, che ridelinei il sistema produttivo indirizzandolo verso la transizione ecologica. Un piano che, contrariamente alle affermazioni della trojka, sarebbe benefico, perché 1 euro di investimento pubblico avrebbe effetti moltiplicatori sull’investimento privato e l’attività economica, oggi completamente depressi. I poteri pubblici devono controllare il finanziamento delle attività: ad esempio, creando una banca pubblica di sviluppo, un massiccio investimento nell’economia sociale e solidale, lo sviluppo di monete complementari, la promozione di banche cooperative.
Priorità alla coesione sociale ed economica contro la competitività e la flessibilità. La trojka ha imposto la riduzione generalizzata dei redditi nonché la soppressione dei diritti sociali elementari, che hanno contratto l’attività senza con questo ridurre il debito. Lo Stato deve quindi recuperare il suo ruolo di regolatore e di accompagnamento per mantenere la coesione sociale e tener conto dei bisogni economico-sociali del paese. La redistribuzione del lavoro consentirebbe la creazione di posti di lavoro e sosterrebbe la domanda e la disoccupazione potrebbe scendere rapidamente. Queste riforme dovranno passare per una diversa redistribuzione delle ricchezze.
La rifondazione della democrazia e la riforma dello Stato al servizio dei cittadini e della giustizia sociale. La sovranità dello Stato passa per una fiscalità progressiva, la lotta alla corruzione, alla frode e all’evasione fiscale. Queste riforme permetteranno di restituire al bilancio margini di manovra per finanziare il piano di rilancio e per lottare contro le disuguaglianze[3]e la povertà. I privilegi detenuti dall’oligarchia greca, come gli armatori, devono perciò essere aboliti.
Quali lezioni per la Francia e l’Europa?
L’austerità è fallita, ma riforme ambiziose, radicalmente diverse, sono possibili e necessarie. Un audit dei debiti pubblici dei paesi europei potrà individuare piste per il loro decisivo alleggerimento. Occorre una politica economica volontaristica per riprendere una dinamica di investimenti con un futuro verso la transizione ecologica. Questo presuppone la redistribuzione delle ricchezza e la riconquista della sovranità democratica sull’economia, in particolare arrestando le privatizzazioni. Queste riforme debbono essere cooperative e non sottoposte alla logica della guerra economica.


Idea indotta n. 6 – L’austerità è dura, ma alla fine pagherà.


Il discorso ufficiale
L’austerità, paga! La Grecia sta ripartendo in tromba. Stando alle ultime previsioni di Bruxelles, quest’anno in Grecia la crescita sarà del 2,5% e del 3,6% l’anno prossimo, e questo farà di Atene l’asso della crescita dell’eurozona! La disoccupazione sta scendendo dal 28% al 26%. Insomma, a rischio di urtare, la tanto detestata trojka ha fatto un buon lavoro!» (Alexis de Tarlé, JDD, 8 febbraio)


Perché è falso?
Sarebbero tanto stupidi i greci ad aver posto fine a una politica che procedeva così bene? Nel 2014 il Pil della Grecia è inferiore del 25,8% rispetto al livello del 2007. L’investimento è sceso del 67%. Proprio un bel lavoro! Il tasso di disoccupazione è del 26%, proprio mentre tanti giovani e meno giovani sono stati costretti a lasciare il proprio paese per trovarsi un lavoro. Il 46% dei Greci è al di sotto della soglia di povertà, la mortalità infantile è aumentata del 43%. Quanto alle previsioni di Bruxelles, nell’autunno 2011 annunciavano la ripresa della Grecia per il 2013. Alla fine, il Pil greco è sceso del 4,7% in quell’anno.
Tutti gli economisti onesti adesso lo riconoscono: le politiche d’austerità imposte dalle istituzioni europee sono state catastrofiche per la Grecia e per l’insieme dell’eurozona.
Le classi dirigenti e la tecnocrazia europea hanno inteso sfruttare la crisi per realizzare il loro vecchio sogno: ridimensionare le spese pubbliche e sociali. Per ordine della trojka e sotto la minaccia dei mercati finanziari, i paesi del Sud Europa hanno dovuto attuare piani di drastica riduzione dei passivi pubblici, che li hanno portati alla depressione. Dal 2009 al 2014, il taglio delle spese è stato dell’11% del Pil per l’Irlanda, del 12,5% per la Spagna e il Portogallo, del 28% per la Grecia. Certamente i passivi sono stati ridotti, ma a un costo sociale ed economico mostruoso.
E il debito ha continuato a crescere! Per l’eurozona, è passato dal 65% al 94% del Pil tra il 2008 e il 20014. L’austerità non ha pagato, anzi ha sprofondato il continente nella crisi. Riducendo le tasse per i redditi più alti e per le imprese, gli Stati hanno aggravato il proprio passivo e poi hanno prestato ai ricchi per finanziare i famigerati passivi. Meno tasse versate, da un lato, più interessi percepiti dall’altro: i più ricchi hanno fatto bingo.
Quali insegnamenti per la Francia e l’Europa ?
Ai greci si chiede di pagare annualmente 4,5 punti della ricchezza nazionale per rimborsare il loro debito; ai cittadini europei, si chiedono “solo” 2 punti. Dappertutto l’effetto è lo stesso: sempre più disoccupazione e sempre meno di quegli investimenti pubblici che potrebbero preparare il futuro.
È l’insegnamento del calvario greco. Porvi fine riguarda tutti i paesi europei, perché bisogna fermare la recessione creata dappertutto dall’austerità, e ricavare gli insegnamenti della crisi per impegnarsi in un altro modello di sviluppo. Se austerità deve esserci, deve colpire i più ricchi, quell’”1%” che accaparra la ricchezza sociale ed ha tratto profitto dal sistema del debito. Debito e passivi vanno ridotti grazie a un’imposizione fiscale più progressiva e alla ristrutturazione dei debiti pubblici.


Idea indotta n. 7 – Una cura d’austerità, non si muore.


Il discorso ufficiale sulla Grecia
Christine Lagarde, che dirige il Fmi: No, penso piuttosto ai bambini di una scuola in un piccolo villaggio in Niger [.]; hanno più bisogno d’aiuto degli ateniesi, rispondendo alla domanda di una giornalista: Quando richiede misure che sa che faranno sì che le donne non possano ricorrere a una levatrice al momento del parto, o che dei pazienti non possano avere farmaci che potrebbero salvarne la vita, ha qualche esitazione? (The Guardian, 25 maggio 2012). Dovremmo perdere tutti un po’ del nostro benessere (Giorgio Papandreou,Reuters, 15 dicembre 2009).


Perché è falso?
A proposito dei tagli delle spese per il welfare, la Trojka ha imposta una riduzione del 40% al bilancio della Sanità greca. Risultato: «oltre un quarto della popolazione non ha più protezione sociale, gli ospedali pubblici sono sovraccarichi ed esangui. Il rigore di bilancio ha disorganizzato il sistema sanitario pubblico e sta provocando una crisi umanitaria» (4 gennaio 2015, JDD international).
Sono ricomparse la tubercolosi, la sifilide. I casi di Aids si sono moltiplicati per mancanza di mezzi di prevenzione. Uno studio uscito sul giornale medico britannico The Lancet,[4] ricava un bilancio terribile: la mortalità infantile è cresciuta del 43% tra il 2008 e il 20010, la malnutrizione infantile del 19%. Con i tagli delle spese per la prevenzione delle malattie mentali, i suicidi sono aumentati del 45% tra il 2007 e il 2011. Numerosi centri per la pianificazione familiare sono chiusi, quelli che restano funzionano con personale ridotto.
Secondo Nathalie Simonnot, di Médecins du Monde, «sono stati istituiti contributi forfettari di 5 euro per ogni visita medica all’ospedale pubblico. Per un/a pensionato/a a 350 euro mensili, è un costo enorme, soprattutto perché in genere si ha bisogno di più visite [.]. I medici chiedono ai pazienti di comprare direttamente materiali di pronto soccorso, bende, siringhe e garze, perché molti ospedali non hanno più riserve.
Un tempo, testimonianze del genere riguardavano l’Africa. La politica della trojka e dei governi greci hanno creato una catastrofe sanitaria che rende indispensabile un cambiamento politico, soprattutto per la sanità. Se le cose non stanno ancor peggio, è grazie alle centinaia di volontari dei dispensari greci, a Médecins du Monde, alla solidarietà internazionale, che hanno limitato i guai per chi non aveva più accesso alle cure. Il nuovo governo greco ha ragione quando intende far rientrare nei centri sanitari i 3.000 medici licenziati dalla Trojka.
Quali insegnamenti per la Francia e l’Europa?
Ora si sa che «l’austerità uccide».[5]I responsabili delle politiche d’austerità si rendono colpevoli di veri e propri crimini quando impongono massicci tagli alle spese sanitarie, come è accaduto in Grecia, in Spagna, in Portogallo. È indispensabile difendere ovunque i sistemi sanitari pubblici dalle privatizzazioni e dalle ristrutturazioni che puntano solo a tagliare i costi in spregio alla salute.


Idea indotta n.8 – Comunque, la Grecia ha già capitolato.


Discorso ufficiale
Sottoscrivendo l’intesa all’Eurogruppo, il 20 febbraio, contrariamente alle rodomontate, il governo greco ha finito per accettare le condizioni della trojka. Dura lezione per i populisti, sia d’estrema destra sia d’estrema sinistra (Eric Le Boucher, Slate.fr, 21 febbraio 2015).)


Perché è falso?
Il nuovo governo greco rifiuta le nuove riforme proposte dalla trojka alla fine del 2014: 160.000 ulteriori licenziamenti nell’amministrazione (Sanità, Istruzione), nuova riduzione del 10% delle pensioni, nuove tasse, nuovo aumento dell’Iva.
Sono ricette già applicate e che hanno condotto la Grecia al disastro. In meno di un quinquennio, ha chiuso il 30% delle imprese, sono stati soppressi 150.000 posti di lavoro nel settore pubblico, la disoccupazione è aumentata del 42%, le pensioni si sono ridotte del 45%, la mortalità infantile è cresciuta del 40%, è cresciuto di circa il 100% il numero delle persone al di sotto della soglia di povertà.
Viceversa, il programma di Syriza proponeva: 

1) la rinegoziazione dei contratti di prestiti e debito; 
2) un piano nazionale di immediata ricostruzione: misure per i più poveri (elettricità e cure mediche gratuite, buoni-pasto.), la reintroduzione del salario minimo di 751 euro e dei contratti collettivi; 
3) la ricostruzione democratica dello Stato: lotta contro l’evasione e la frode fiscali, contro la corruzione, la riassunzione dei dipendenti pubblici licenziati; 
4) un piano di ricostruzione produttiva, blocco delle privatizzazioni, industrializzazione e trasformazione dell’economia con criteri sociali ed ecologici.
Dopo un braccio di ferro con le istituzioni europee, il governo greco ha ottenuto l’abbandono degli obiettivi deliranti degli avanzi primari previsti dal memorandum sottoscritto dal precedente governo. Nuovi sussidi saranno creati per finanziare riscaldamento e alimentazione delle famiglie meno fornite. Si reintrodurranno i contratti collettivi. Frode ed evasione fiscale verranno combattute con forza. I piccoli proprietari indebitati non verranno sfrattati dalla loro residenza principale.
Tuttavia, la Grecia non viene liberata dall’austerità. Le nuove misure andranno finanziate senza aumentare il passivo. Le privatizzazioni rimarranno. La Grecia si impegna a pagare integralmente il debito e a non tornare indietro sulle privatizzazioni. L’aumento del salario minimo e la restaurazione dei negoziati salariali sono rinviati. Sono prevedibili nei prossimi mesi nuove prove di forza.

Quali insegnamenti per la Francia e l’Europa?
Le istituzioni europee vogliono impedire che l’essenziale del programma di Syriza venga tradotto in pratica. Ora, si tratta di sviluppare in tutt’Europa nuovi movimenti coordinati contro l’austerità, per la giustizia sociale, per impedire che la Trojka e i nostri governi soffochino la Grecia e le alternative sociali e politiche che emergono in Europa. Noi proponiamo soprattutto l’organizzazione da parte dei movimenti europei di una Conferenza internazionale sul debito e contro l’austerità.
L’audit civico dei debiti pubblici in Europa: uno strumento per sconfiggere l’austerità
Il Collettivo per l’audit civico del debito pubblico (Cac) saluta la scelta del popolo greco di respingere in massa le politiche d’austerità alle elezioni del 25 gennaio. Questa vittoria apre una breccia contro l’Europa della finanza, il diktat dei debiti pubblici e dei piani d’austerità. Infiliamoci in questa breccia: un’altra Europa diventa possibile!
Il Cac ha già pubblicato una prima Relazione di audit civico, dimostrando come larga parte del debito pubblico francese possa essere considerato illegittimo. Nel periodo che abbiamo di fronte, il nostro collettivo continuerà a proporre ai cittadini e all’insieme del movimento sociale europeo linee d’analisi giuridiche, economiche, sociali, argomenti e strumenti di mobilitazione contro i creditori che depredano sistematicamente le popolazioni.
Insieme ai nostri partner degli altri paesi europei, a cominciare dalla Grecia, il nostro collettivo intensificherà la sua attività per mettere in discussione la natura illegittima, insostenibile, illegale, od odiosa della maggior parte dei debiti pubblici in Europa.
Sosteniamo la proposta di una Conferenza europea sui debiti pubblici Nel 1953, l’intesa di Londra, annullando oltre il 60% del debito della Germania Ovest, ne ha consentito il rilancio, così come l’annullamento del debito dell’Ecuador nel 2008 o dell’Islanda nel 2011.
Sosteniamo la proposta di realizzare un audit dei debiti pubblici per individuare i responsabili e i beneficiari effettivi di questi debiti e le soluzioni per consentire ai paesi di liberarsi di questa palla al piede.
Sosteniamo anche il diritto della Grecia di disobbedire ai suoi creditori nel caso in cui questi respingessero l’applicazione di queste soluzioni. Ricordiamo che i memoranda imposti dalla trojka sono illegali secondo il diritto europeo e internazionale.
Tutti insieme, solleviamo il velo sulle responsabilità dei creditori che approfittano dei salassi effettuati a spese dei popoli. Tutti insieme, rafforziamo un procedimento civico di contestazione e di rimessa in discussione di questa Europa dell’1%, degli speculatori e dei banchieri. Spetta alle popolazioni, troppo a lungo vittime dei piani d’austerità, della competitività e di altri “memorandum”, decidere del loro futuro. Noi intendiamo mettere a loro disposizione tutti gli strumenti necessari per capire e decidere come uscire dalla morsa del debito, facendo pagare non i normali contribuenti ma i veri beneficiari di questo sistema.


(Parigi, 11 marzo 2015.)
*Collettivo per un audit civico del debito (CAC: www.audit-citoyen.org).
Autori della Guida: Jean-Claude Chailley, Thomas Coutrot, Alexis Cukier, Pascal Franchet, Michel Husson, Pierre Khalfa, Guillaume Pastureau, Henri Sterdyniak, Sofia Tzitzikou.
Traduzione di Titti Pierini
[1] Ivan Best, La Tribune, 5 febbraio 2015.
[2] Piani di salvataggio della Grecia: il 77% dei fondi sono stati destinati alla finanza: https://france.attac.org/nos-idees/mettre-au-pas-la-finance-les/articles/plans-de-sauvetage-de-la-grece-77-des-fonds-sont-alles-la-finance.
[3] Una maggiore giustizia sociale è fonte di efficacia, cosa che dimostra la stessa OCSE: http://tinyurl.com/kqgmq35.
[4] A. Kentikelenis, M.Karanikolos, A. Reeves, M. McKee, DSc, D. Stuckler,”Greece’s health crisis: from austerity to denialism”, The Lancet, 20 febbraio 2014.
[5] D. Stuckler & S. Basu(2014), Quand l’austérité tue, Prefazione degli Économistes atterrés, Ed. Autrement.
Tratto da http://popoffquotidiano.it/2015/03/16/grecia-quello-che-vorrebbero-farti-credere-sul-debito/
Grèce : petit guide contre les bobards médiatiques
Brochures, vendredi 13 mars 2015, par Collectif pour un audit citoyen de la dette publique