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mercoledì 20 novembre 2019

Ex Ilva, i finanzieri negli uffici di Arcelor. L’accusa: materie prime comprate a prezzi alti, prodotti finiti svenduti a società del gruppo. - Francesco Casula

Ex Ilva, i finanzieri negli uffici di Arcelor. L’accusa: materie prime comprate a prezzi alti, prodotti finiti svenduti a società del gruppo

Agli investigatori toccherà studiare i documenti per comprendere come sia stato possibile che in soli 12 mesi la costola italiana del gruppo abbia accumulato il doppio delle perdite rispetto a quelle certificate dai commissari. Mercoledì nuova delega della procura ai carabinieri del Noe per le verifiche su operazioni di bonifica, situazione dello stabilimento, attività di manutenzione finora eseguite e sicurezza sul lavoro.

Sono entrati poco dopo le 10 i finanzieri di Taranto e Milano negli uffici dello stabilimento ex Ilva e nella sede di ArcelorMittal in via Brenta, nel capoluogo lombardo. I militari delegati dalle due rispettive procure hanno passato al setaccio materiale cartaceo e dispositivi elettronici alla caccia di una serie di documenti della contabilità di ArcelorMittal per verificare le questioni sollevate dai commissari straordinari nei palazzi di giustizia. In particolare gli investigatori delle fiamme gialle tarantine, guidati dal tenente colonnello Marco Antonucci, hanno sequestrato i documenti di acquisto delle materie prime e quelli di vendita dei prodotti finiti nei periodi di gestione di ArcelorMittal e in quelli della precedente gestione commissariale: l’obiettivo è quello di comprendere come sia stato possibile che in soli 12 mesi ArcelorMittal Italia abbia accumulato il doppio delle perdite rispetto a quelle certificate dai commissari. I reati ipotizzati dal procuratore capo Carlo Maria Capristo, l’aggiunto Maurizio Carbone e il pm Mariano Buccoliero sono distruzione di mezzi di produzione e di appropriazione indebita.


Il fronte milanese: l’ipotesi della ‘crisi pilotata’.

A Milano l’aggiunto Maurizio Romanelli e i pm Stefano Civardi, che in mattinata ha sentito come persone informate sui fatti due dirigenti dell’area commerciale di ArcelorMittal, e Mauro Clerici si stanno concentrando sull’aggiotaggio informativo, ossia alle presunte false comunicazioni al mercato negli ultimi 3 mesi, e la distrazione di beni del fallimento in relazione al magazzino (valore 500 milioni) ‘scomparso’ secondo i commissari. In sostanza, l’ipotesi è quella di una “crisi pilotata” per lasciare solo “macerie” dell’acciaieria, come ipotizzato dai commissari nel ricorso d’urgenza presentato al Tribunale civile di Milano. Un fascicolo a parte riguarda l’omessa dichiarazione dei redditi di una società del gruppo con sede in Lussemburgo.

L’ipotesi al vaglio degli investigatori di Taranto è invece che la multinazionale dell’acciaio abbia operato con una serie di escamotage per far lievitare le perdite. I finanzieri dovranno accertare se davvero c’è stata una svendita a prezzi eccessivamente bassi dei prodotti finiti presenti nei magazzini dell’Ilva: acciaio che sarebbe stato venduto a società del gruppo a prezzi bassissimi, particolarmente fuori mercato. Le società del gruppo poi li avrebbero rimessi sul mercato a prezzi regolari. Al contrario andrà invece fatta la verifica per le materie prime: carbone e minerale di ferro, infatti, sembrerebbero essere state acquistate a prezzi più alti di quanto non facessero i commissari. In questo modo, secondo quanto ipotizzato in queste ore, ArcelorMittal Italia avrebbe segnalato perdite maggiori mentre il gruppo non ne risulterebbe per nulla danneggiato, anzi. Non solo: un faro è acceso anche sulle quantità acquistate negli ultimi mesi per comprendere se queste siano state sufficienti per consentire agli impianti di marciare in maniera regolare e senza essere danneggiati. Tutto da verificare, insomma. I prezzi degli uni e degli altri dovranno chiaramente essere confrontati con le oscillazioni di mercato, i prezzi di acquisto di altre società che operano nel mercato dell’acciaio per comprendere se siano state scelte obbligate oppure se davvero queste operazioni facessero parte di quel disegno “preordinato” che secondo i commissari mira a chiudere la fabbrica di Taranto.


La nuova delega ai carabinieri del Noe.
Nell’esposto firmato dal l’avvocato Angelo Loreto che ha dato il via a un’indagine contestando i reati di distruzione di prodotti o industriali o di mezzi di produzione che danneggerebbero l’economia italiana e l’appropriazione indebita. L’esposto oltre a ripercorrere i fatti salienti descritti nel documento arrivato ai giudici milanesi, sottolinea come i commissari, nei giorni scorsi, avessero comunicato d ArcelorMittal l’intenzione di effettuare una visita ispettiva nell’impianto di Taranto a cui la multinazionale avrebbe risposto che “essendo stato risolto il contratto con la comunicazione del 4 novembre 2019” non era più tenuta rispettare l’obbligo di garantire l’accesso ai commissari. A questo si aggiunge la “scomparsa” delle materie prime: al momento della presa in consegna dei rami d’azienda, secondo i commissari, Arcelor “ha ricevuto un magazzino del valore di circa euro 500 milioni” e ora si appresta a riconsegnare lo stabilimento senza giacenze e rifiutandosi “di procedere ad alcun ulteriore acquisto”. Un punto che potrebbe essere stato temporaneamente superato dalla comunicazione diffusa lunedì con la quale l’ad Lucia Morselli ha annunciato che la regolare ripresa delle attività e degli ordini commerciali in attesa di una definitiva decisione della Procura di Taranto. Tutto quanto, però, passerà ora al vaglio dei finanzieri e già nei prossimi giorni potrebbero arrivare clamorosi risvolti. Tenuto conto, tra l’altro, che i magistrati tarantini mercoledì delegherà i carabinieri del Noe a nuove indagini riguardanti le operazioni di bonifica, la situazione dello stabilimento, le attività di manutenzione finora eseguite e la sicurezza sul lavoro.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/19/ex-ilva-i-finanzieri-negli-uffici-di-arcelor-laccusa-materie-prime-comprate-a-prezzi-alti-prodotti-finiti-svenduti-a-societa-del-gruppo/5570051/?fbclid=IwAR1hX7eJfcz-co6ZEY6M7yGFrMjMoBpwmvwrpiei79Ijh6gG6N0d4O76dY8

martedì 19 novembre 2019

Ex Ilva, i finanzieri negli uffici di Arcelor. L’accusa: materie prime comprate a prezzi alti, prodotti finiti svenduti a società del gruppo. - Francesco Casula



Ex Ilva, i finanzieri negli uffici di Arcelor. L’accusa: materie prime comprate a prezzi alti, prodotti finiti svenduti a società del gruppoAgli investigatori toccherà studiare i documenti per comprendere come sia stato possibile che in soli 12 mesi la costola italiana del gruppo abbia accumulato il doppio delle perdite rispetto a quelle certificate dai commissari.Sono entrati poco dopo le 10 i finanzieri di Taranto e Milano negli uffici dello stabilimento ex Ilva, nel capoluogo ionico. I militari delegati dalle due rispettive procure stanno acquisendo una serie di documenti della contabilità di ArcelorMittal per verificare le questioni sollevate dai commissari straordinari nei palazzi di giustizia. In particolare agli investigatori delle fiamme gialle, guidati dal tenente colonnello Marco Antonucci, toccherà studiare i documenti di acquisto delle materie prime e quelli di vendita dei prodotti finiti nei periodi di gestione di ArcelorMittal e in quelli della precedente gestione commissariale: l’obiettivo è quello di comprendere come sia stato possibile che in soli 12 mesi ArcelorMittal Italia abbia accumulato il doppio delle perdite rispetto a quelle certificate dai commissari.L’ipotesi è infatti che Arcelor abbia operato con una serie di escamotage per far lievitare le perdite. I finanzieri dovranno accertare se davvero c’è stata una svendita a prezzi eccessivamente bassi dei prodotti finiti presenti nei magazzini dell’Ilva: acciaio che sarebbe stato venduto a società del gruppo a prezzi bassissimi, particolarmente fuori mercato. Le società del gruppo poi li avrebbero rimessi sul mercato a prezzi regolari. Al contrario andrà invece fatta la verifica per le materie prime: carbone e minerale di ferro, infatti, sembrerebbero essere state acquistate a prezzi più alti di quanto non facessero i commissari. In questo modo, secondo quanto paventato in queste ore, ArcelorMittal Italia avrebbe segnalato perdite maggiori mentre il Gruppo non ne risulterebbe per nulla danneggiato, anzi. Tutto da verificare, insomma. I prezzi degli uni e degli altri dovranno chiaramente essere confrontati con le oscillazioni di mercato, i prezzi di acquisto di altre società che operano nel mercato dell’acciaio per comprendere se siano state scelte obbligate oppure se davvero queste operazioni facessero parte di quel disegno “preordinato” che secondo i commissari mira a chiudere la fabbrica di Taranto.Com’è noto sono due i fascicoli di indagine avviati nel capoluogo lombardo e in quello ionico. A Milano, la procura è entrata nel procedimento civile avviato dopo l’istanza di recesso avviata da Arcelor e nel quale i commissari straordinari hanno depositato un ricorso di 70 pagine in cui, con parole durissime, hanno accusato gli attuali gestori di voler “consapevolmente cancellare” l’Ilva di Taranto attraverso una restituzione degli impianti, resa nota il 4 novembre e comunicata ufficialmente undici giorni dopo, con modalità che “non possono che comportarne la distruzione”. Per gli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni le azioni messe in campo rappresentano un “preordinato illecito disegno” per ottenere l’“illegittimo intento” di sciogliere il contratto d’affitto che avrebbe conseguenze in grado di arrecare a Ilva, all’Italia e all’Unione Europea “il maggior possibile livello di devastante offensività”.A Taranto, invece, è stato l’avvocato Angelo Loreto a depositare un esposto che ha dato il via a un’indagine contestando i reati di distruzione di prodotti o industriali o di mezzi di produzione che danneggerebbero l’economia italiana e l’appropriazione indebita. L’esposto oltre a ripercorrere i fatti salienti descritti nel documento arrivato ai giudici milanesi, sottolinea come i commissari, nei giorni scorsi, avessero comunicato d ArcelorMittal l’intenzione di effettuare una visita ispettiva nell’impianto di Taranto a cui la multinazionale avrebbe risposto che “essendo stato risolto il contratto con la comunicazione del 4 novembre 2019” non era più tenuta rispettare l’obbligo di garantire l’accesso ai commissari. A questo si aggiunge la “scomparsa” delle materie prime: al momento della presa in consegna dei rami d’azienda, secondo i commissari, Arcelor “ha ricevuto un magazzino del valore di circa euro 500 milioni” e ora si appresta a riconsegnare lo stabilimento senza giacenze e rifiutandosi “di procedere ad alcun ulteriore acquisto”. Un punto che potrebbe essere stato temporaneamente superato dalla comunicazione diffusa ieri con la quale l’ad Lucia Morselli ha annunciato che la regolare ripresa delle attività e degli ordini commerciali in attesa di una definitiva decisione della Procura di Taranto. Tutto quanto, però, passerà ora al vaglio dei finanzieri e già nelle prossime ore potrebbero arrivare clamorosi risvolti.https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/19/ex-ilva-i-finanzieri-negli-uffici-di-arcelor-laccusa-materie-prime-comprate-a-prezzi-alti-prodotti-finiti-svenduti-a-societa-del-gruppo/5570051/

giovedì 14 novembre 2019

ArcelorMittal chiude stabilimenti in Sudafrica, Polonia e Usa: il colosso dell’acciaio è in fuga non solo da Taranto. “Il mercato si deteriora”.

ArcelorMittal chiude stabilimenti in Sudafrica, Polonia e Usa: il colosso dell’acciaio è in fuga non solo da Taranto. “Il mercato si deteriora”

La multinazionale dà seguito a quanto detto durante la presentazione della trimestrale, quando il presidente e ceo Lakshmi Mittal aveva spiegato che di fronte alla contrazione della domanda il colosso sarebbe rimasto "concentrato sulle nostre iniziative per migliorare le prestazioni e la nostra priorità è ridurre i costi". Dal 23 novembre stop a tre altoforni tra Cracovia e Dabrowa Gornicza, spenta anche una fornace vicino a Chicago e addio all'acciaieria di baia di Saldanha.
Liquidazione in Sudafrica, stop alla produzione in Polonia e negli Stati UnitiArcelorMittal è in fuga non solo da Taranto, ma anche da Cracovia Dabrowa GorniczaIndiana Harbor e baia di Saldanha. Una raffica di chiusure e spegnimenti di altoforni è stata annunciata dal colosso dell’acciaio negli ultimi giorni. Dando seguito a quanto detto durante la presentazione della trimestrale, quando il presidente e ceo Lakshmi Mittal aveva spiegato che di fronte alla contrazione della domanda la multinazionale sarebbe rimasta “concentrata sulle nostre iniziative per migliorare le prestazioni e la nostra priorità è ridurre i costi, adattare la produzione e concentrarci per garantire che il flusso di cassa rimanga positivo”. Tradotto: fermare la produzione in diverse parti del mondo, dopo un primo rallentamento in primavera, e l’addio all’ex Ilva, una ‘zavorra’ sui conti secondo Moody’s che ha avvisato ArcelorMittal del rating a rischio se non si perseguirà, velocemente, all’addio all’acciaieria italiana.
Così nel giro di pochi giorni sono arrivate tre mosse, oltre a quella su Taranto, per passare dalle parole ai fatti. In Polonia l’azienda ha bloccato la produzione nei tre altoforni a Cracovia e Dabrowa Gornicza, dando seguito a quanto aveva già previsto in primavera quando alla fine vennero fermati gli altoforni nelle Asturie. La multinazionale si è detta “costretta a interrompere temporaneamente le operazioni primarie” dal 23 novembre. Un blocco a tempo indeterminato: si ripartirà “quando le condizioni del mercato miglioreranno” a sufficienza.
“Le nostre tre fornaci – ha spiegato l’ad di ArcelorMittal Polonia, Geert Verbeeck – stanno al momento lavorando al loro minimo tecnico, quindi non possiamo ridurre ulteriormente i volumi di produzione. Dal momento che la situazione del mercato dell’acciaio continua a deteriorarsi e le previsioni restano cupe, purtroppo non abbiamo altra scelta”. La sovrapproduzione mondiale si attesta attorno alle 400 milioni di tonnellate e, secondo Eurofer, la domanda di acciaio in Europa è attesa in calo del 3,1% nel 2019, contro le previsioni precedenti di una flessione dello 0,4%. Tutto a causa di dazi e crisi del settore automotive. Le rassicurazioni di Verbeeck sull’occupazione non hanno convinto i sindacati polacchi. Per Krzysztof Wójcik, leader di Nszz, si tratta del “martedì nero del nostro centro siderurgico” e ha quindi lanciato un appello al premier Mateusz Morawiecki, nonché alle autorità regionali, per salvaguardare gli 800 posti di lavoro e i livelli salariali.
Se in Polonia, almeno nelle intenzioni, ArcelorMittal parla di una fermata legato ai cicli del mercato, in Sudafrica ha invece deciso di liquidare il suo stabilimento nella baia di Saldanha entro il primo trimestre del 2020. Con un comunicato stampa diffuso dai media locali, la compagnia ha dichiarato che l’acciaieria “sta subendo gravi perdite finanziarie che si prevede continueranno per il prossimo futuro”, perciò intraprende “una liquidazione condotta a condizioni normali delle attività commerciali legate alle operazioni siderurgiche”. Secondo ArcelorMittal, il siderurgico – nel quale sono occupate circa 1.000 persone – “ha perso il proprio vantaggio strutturale in termini di costi per competere efficacemente sul mercato di esportazione” a causa, in primis, “della materia prima e dei prezzi regolamentati”.
Ma i tagli della famiglia Mittal toccano anche il mercato statunitense. La multinazionale ha deciso di spegnere uno dei tre altoforni nell’impianto di Indiana Harbour, vicino a Chicago., zona già colpita dalla chiusura di un altoforno di US Steel all’inizio del 2019. La decisione di ArcelorMittal, a sentire l’azienda, non comporterà licenziamenti, ma è dettata dalla fine del ciclo di vita della fornace che avrebbe bisogno di “investimenti significativi” per la ristrutturazione. L’ipotesi di ammodernamento verrà presa in considerazione solo nel caso in cui la domanda dovesse essere tale da richiedere un intervento.