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lunedì 31 maggio 2021

Disastro ambientale aIl'Ilva di Taranto, condanne pesanti per i Riva, 3 anni e mezzo a Vendola. Confiscati gli impianti. - Paolo Russo , Gino Martina , Francesca Savino

 

La sentenza di Ambiente svenduto: venti e ventidue anni agli ex proprietari. L'ex governatore pugliese è accusato di concussione aggravata in concorso. Alla lettura della sentenza hanno esultato gli ambientalisti e i genitori tarantini in presidio. 

La Corte d'Assise di Taranto ha condannato a 22 e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell'Ilva, tra i 47 imputati (44 persone e tre società) nel processo chiamato Ambiente Svenduto sull'inquinamento ambientale prodotto dallo stabilimento siderurgico. Rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Disposta anche la confisca degli impianti, nel frattempo passati prima attraverso una gestione commisariale e poi acquisiti da Arcelor Mittal.

La pubblica accusa aveva chiesto 28 anni per Fabio Riva e 25 anni per Nicola Riva. Tre anni e mezzo di reclusione sono stati inflitti  all'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola. I pm avevano chiesto la condanna a 5 anni. Vendola è accusato di concussione aggravata in concorso, in quanto, secondo la tesi degli inquirenti, avrebbe esercitato pressioni sull'allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per far "ammorbidire" la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall'Ilva. Assennato è stato condannato a 2 anni per favoreggiamento.

Il presidio di mamme e operai.

Alla lettura della sentenza hanno esultato gli ambientalisti e i genitori tarantini in presidio dalla mattina. Tra gli altri, ci sono anche rappresentanti del movimento Tamburi Combattenti e delle associazioni che aderiscono al Comitato per la Salute e per l'Ambiente (Peacelink, Comitato Quartiere Tamburi, Donne e Futuro per Taranto Libera, Genitori Tarantini, LiberiAmo Taranto e Lovely Taranto). Sono circa mille le parti civili. Tra queste c'è il consigliere comunale Vincenzo Fornaro, ex allevatore che subì l'abbattimento di circa 600 ovini contaminati dalla diossina. "E' il giorno - osserva - in cui si stabilirà dopo 13 anni chi ha ragione tra un manipolo di pazzi sognatori che continuano a immaginare un futuro diverso per questa città e chi resta industrialista convinto. Grazie a tutti quelli che in questi anni si sono battuti per arrivare a questo punto. Abbiamo fatto il massimo e continueremo a farlo".

Le richieste della Procura.


La pubblica accusa aveva invocato 35 condanne per quasi quattro secoli di carcere. Per i fratelli Fabio Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell'Ilva, sono stati chiesti 28 e 25 anni; per l'ex governatore della Puglia, Nichi Vendola, cinque anni. La condanna a 28 anni di reclusione era stata chiesta anche per l'ex responsabile delle relazioni istituzionali dell'Ilva Girolamo Archinà, e l'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso. Chiesti 20 anni di reclusione per il dirigente del Siderurgico Adolfo Buffo e cinque imputati che avevano il ruolo di "fiduciari aziendali"; 17 anni per l'ex presidente di Ilva Bruno Ferrante, per l'ex consulente della procura Lorenzo Liberti (accusato di aver intascato una "mazzetta" da 10mila euro per ammorbidire una perizia sull'inquinamento), e per cinque ex responsabili degli impianti che furono sequestrati dal gip Patrizia Todisco.

Le responsabilità politiche.


Per quanto riguarda le presunte responsabilità della politica l'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata in concorso in quanto, secondo gli inquirenti, avrebbe esercitato pressioni sull'allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato (a sua volta condannato a un anno per favoreggiamento) per far "ammorbidire" la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive dell'Ilva. Rischiano la condanna a 4 anni l'ex presidente della Provincia Gianni Florido e l'ex assessore provinciale all'Ambiente Michele Conserva (ipotesi di concussione per l'autorizzazione all'esercizio della discarica per rifiuti speciali "Mater Gratiae"), mentre era stata chiesta la prescrizione per l'ex sindaco di Taranto Ippazio Stefàno a cui era contestato l'abuso d'ufficio perché, secondo l'accusa, pur essendo a conoscenza delle criticità ambientali e sanitarie causate dall'Ilva, non avrebbe adottato provvedimenti per tutelare la popolazione. Tra gli altri imputati di favoreggiamento è stata chiesta la condanna a 8 mesi per l'ex assessore regionale e attuale segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni; per l'assessore regionale Donato Pentassuglia e l'allora capo di gabinetto di Vendola, Francesco Manna. Infine, il pm Buccoliero ha proposto la trasmissione degli atti alla procura per l'ipotesi di falsa testimonianza per cinque persone che hanno deposto durante il processo. Tra queste c'è l'ex arcivescovo di Taranto, Benigno Luigi Papa.

La Repubblica.

martedì 19 novembre 2019

Ex Ilva, i finanzieri negli uffici di Arcelor. L’accusa: materie prime comprate a prezzi alti, prodotti finiti svenduti a società del gruppo. - Francesco Casula



Ex Ilva, i finanzieri negli uffici di Arcelor. L’accusa: materie prime comprate a prezzi alti, prodotti finiti svenduti a società del gruppoAgli investigatori toccherà studiare i documenti per comprendere come sia stato possibile che in soli 12 mesi la costola italiana del gruppo abbia accumulato il doppio delle perdite rispetto a quelle certificate dai commissari.Sono entrati poco dopo le 10 i finanzieri di Taranto e Milano negli uffici dello stabilimento ex Ilva, nel capoluogo ionico. I militari delegati dalle due rispettive procure stanno acquisendo una serie di documenti della contabilità di ArcelorMittal per verificare le questioni sollevate dai commissari straordinari nei palazzi di giustizia. In particolare agli investigatori delle fiamme gialle, guidati dal tenente colonnello Marco Antonucci, toccherà studiare i documenti di acquisto delle materie prime e quelli di vendita dei prodotti finiti nei periodi di gestione di ArcelorMittal e in quelli della precedente gestione commissariale: l’obiettivo è quello di comprendere come sia stato possibile che in soli 12 mesi ArcelorMittal Italia abbia accumulato il doppio delle perdite rispetto a quelle certificate dai commissari.L’ipotesi è infatti che Arcelor abbia operato con una serie di escamotage per far lievitare le perdite. I finanzieri dovranno accertare se davvero c’è stata una svendita a prezzi eccessivamente bassi dei prodotti finiti presenti nei magazzini dell’Ilva: acciaio che sarebbe stato venduto a società del gruppo a prezzi bassissimi, particolarmente fuori mercato. Le società del gruppo poi li avrebbero rimessi sul mercato a prezzi regolari. Al contrario andrà invece fatta la verifica per le materie prime: carbone e minerale di ferro, infatti, sembrerebbero essere state acquistate a prezzi più alti di quanto non facessero i commissari. In questo modo, secondo quanto paventato in queste ore, ArcelorMittal Italia avrebbe segnalato perdite maggiori mentre il Gruppo non ne risulterebbe per nulla danneggiato, anzi. Tutto da verificare, insomma. I prezzi degli uni e degli altri dovranno chiaramente essere confrontati con le oscillazioni di mercato, i prezzi di acquisto di altre società che operano nel mercato dell’acciaio per comprendere se siano state scelte obbligate oppure se davvero queste operazioni facessero parte di quel disegno “preordinato” che secondo i commissari mira a chiudere la fabbrica di Taranto.Com’è noto sono due i fascicoli di indagine avviati nel capoluogo lombardo e in quello ionico. A Milano, la procura è entrata nel procedimento civile avviato dopo l’istanza di recesso avviata da Arcelor e nel quale i commissari straordinari hanno depositato un ricorso di 70 pagine in cui, con parole durissime, hanno accusato gli attuali gestori di voler “consapevolmente cancellare” l’Ilva di Taranto attraverso una restituzione degli impianti, resa nota il 4 novembre e comunicata ufficialmente undici giorni dopo, con modalità che “non possono che comportarne la distruzione”. Per gli avvocati Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni le azioni messe in campo rappresentano un “preordinato illecito disegno” per ottenere l’“illegittimo intento” di sciogliere il contratto d’affitto che avrebbe conseguenze in grado di arrecare a Ilva, all’Italia e all’Unione Europea “il maggior possibile livello di devastante offensività”.A Taranto, invece, è stato l’avvocato Angelo Loreto a depositare un esposto che ha dato il via a un’indagine contestando i reati di distruzione di prodotti o industriali o di mezzi di produzione che danneggerebbero l’economia italiana e l’appropriazione indebita. L’esposto oltre a ripercorrere i fatti salienti descritti nel documento arrivato ai giudici milanesi, sottolinea come i commissari, nei giorni scorsi, avessero comunicato d ArcelorMittal l’intenzione di effettuare una visita ispettiva nell’impianto di Taranto a cui la multinazionale avrebbe risposto che “essendo stato risolto il contratto con la comunicazione del 4 novembre 2019” non era più tenuta rispettare l’obbligo di garantire l’accesso ai commissari. A questo si aggiunge la “scomparsa” delle materie prime: al momento della presa in consegna dei rami d’azienda, secondo i commissari, Arcelor “ha ricevuto un magazzino del valore di circa euro 500 milioni” e ora si appresta a riconsegnare lo stabilimento senza giacenze e rifiutandosi “di procedere ad alcun ulteriore acquisto”. Un punto che potrebbe essere stato temporaneamente superato dalla comunicazione diffusa ieri con la quale l’ad Lucia Morselli ha annunciato che la regolare ripresa delle attività e degli ordini commerciali in attesa di una definitiva decisione della Procura di Taranto. Tutto quanto, però, passerà ora al vaglio dei finanzieri e già nelle prossime ore potrebbero arrivare clamorosi risvolti.https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/19/ex-ilva-i-finanzieri-negli-uffici-di-arcelor-laccusa-materie-prime-comprate-a-prezzi-alti-prodotti-finiti-svenduti-a-societa-del-gruppo/5570051/

giovedì 14 novembre 2019

ArcelorMittal chiude stabilimenti in Sudafrica, Polonia e Usa: il colosso dell’acciaio è in fuga non solo da Taranto. “Il mercato si deteriora”.

ArcelorMittal chiude stabilimenti in Sudafrica, Polonia e Usa: il colosso dell’acciaio è in fuga non solo da Taranto. “Il mercato si deteriora”

La multinazionale dà seguito a quanto detto durante la presentazione della trimestrale, quando il presidente e ceo Lakshmi Mittal aveva spiegato che di fronte alla contrazione della domanda il colosso sarebbe rimasto "concentrato sulle nostre iniziative per migliorare le prestazioni e la nostra priorità è ridurre i costi". Dal 23 novembre stop a tre altoforni tra Cracovia e Dabrowa Gornicza, spenta anche una fornace vicino a Chicago e addio all'acciaieria di baia di Saldanha.
Liquidazione in Sudafrica, stop alla produzione in Polonia e negli Stati UnitiArcelorMittal è in fuga non solo da Taranto, ma anche da Cracovia Dabrowa GorniczaIndiana Harbor e baia di Saldanha. Una raffica di chiusure e spegnimenti di altoforni è stata annunciata dal colosso dell’acciaio negli ultimi giorni. Dando seguito a quanto detto durante la presentazione della trimestrale, quando il presidente e ceo Lakshmi Mittal aveva spiegato che di fronte alla contrazione della domanda la multinazionale sarebbe rimasta “concentrata sulle nostre iniziative per migliorare le prestazioni e la nostra priorità è ridurre i costi, adattare la produzione e concentrarci per garantire che il flusso di cassa rimanga positivo”. Tradotto: fermare la produzione in diverse parti del mondo, dopo un primo rallentamento in primavera, e l’addio all’ex Ilva, una ‘zavorra’ sui conti secondo Moody’s che ha avvisato ArcelorMittal del rating a rischio se non si perseguirà, velocemente, all’addio all’acciaieria italiana.
Così nel giro di pochi giorni sono arrivate tre mosse, oltre a quella su Taranto, per passare dalle parole ai fatti. In Polonia l’azienda ha bloccato la produzione nei tre altoforni a Cracovia e Dabrowa Gornicza, dando seguito a quanto aveva già previsto in primavera quando alla fine vennero fermati gli altoforni nelle Asturie. La multinazionale si è detta “costretta a interrompere temporaneamente le operazioni primarie” dal 23 novembre. Un blocco a tempo indeterminato: si ripartirà “quando le condizioni del mercato miglioreranno” a sufficienza.
“Le nostre tre fornaci – ha spiegato l’ad di ArcelorMittal Polonia, Geert Verbeeck – stanno al momento lavorando al loro minimo tecnico, quindi non possiamo ridurre ulteriormente i volumi di produzione. Dal momento che la situazione del mercato dell’acciaio continua a deteriorarsi e le previsioni restano cupe, purtroppo non abbiamo altra scelta”. La sovrapproduzione mondiale si attesta attorno alle 400 milioni di tonnellate e, secondo Eurofer, la domanda di acciaio in Europa è attesa in calo del 3,1% nel 2019, contro le previsioni precedenti di una flessione dello 0,4%. Tutto a causa di dazi e crisi del settore automotive. Le rassicurazioni di Verbeeck sull’occupazione non hanno convinto i sindacati polacchi. Per Krzysztof Wójcik, leader di Nszz, si tratta del “martedì nero del nostro centro siderurgico” e ha quindi lanciato un appello al premier Mateusz Morawiecki, nonché alle autorità regionali, per salvaguardare gli 800 posti di lavoro e i livelli salariali.
Se in Polonia, almeno nelle intenzioni, ArcelorMittal parla di una fermata legato ai cicli del mercato, in Sudafrica ha invece deciso di liquidare il suo stabilimento nella baia di Saldanha entro il primo trimestre del 2020. Con un comunicato stampa diffuso dai media locali, la compagnia ha dichiarato che l’acciaieria “sta subendo gravi perdite finanziarie che si prevede continueranno per il prossimo futuro”, perciò intraprende “una liquidazione condotta a condizioni normali delle attività commerciali legate alle operazioni siderurgiche”. Secondo ArcelorMittal, il siderurgico – nel quale sono occupate circa 1.000 persone – “ha perso il proprio vantaggio strutturale in termini di costi per competere efficacemente sul mercato di esportazione” a causa, in primis, “della materia prima e dei prezzi regolamentati”.
Ma i tagli della famiglia Mittal toccano anche il mercato statunitense. La multinazionale ha deciso di spegnere uno dei tre altoforni nell’impianto di Indiana Harbour, vicino a Chicago., zona già colpita dalla chiusura di un altoforno di US Steel all’inizio del 2019. La decisione di ArcelorMittal, a sentire l’azienda, non comporterà licenziamenti, ma è dettata dalla fine del ciclo di vita della fornace che avrebbe bisogno di “investimenti significativi” per la ristrutturazione. L’ipotesi di ammodernamento verrà presa in considerazione solo nel caso in cui la domanda dovesse essere tale da richiedere un intervento.

martedì 5 novembre 2019

Arcelor/Mittal lascia Ilva. 5 Stelle capro espiatorio. - Roberta Labonia



Strano Paese l’Italia. Tutti pensano di poter fare il cavolo che gli pare. Il Paese del Bengodi fu per i Riva, i precedenti titolari dell’Ilva di Taranto, l’Italia. Prima di venire arrestati per disastro ambientale ed altre amenità, fecero in tempo a provocare la morte di oltre 11mila tarantini per tumori da diossina e patologie neurologiche. Ora la nuova proprietà, la franco indiana ArcelorMittal, subentrata dopo un periodo di commissariamento dell’azienda, pretende di portare avanti il piano di risanamento ambientale sottoscritto con lo Stato Italiano, protetta da uno scudo penale che la metta al riparo da ogni bega giudiziaria per tutta la sua durata. E gioca sporco. Neanche il tempo, giusto il 2 novembre scorso, che Mattarella promulgasse la legge di conversione del DL Imprese che ne ha sancito l’annullamento (lo scudo era stato reintrodotto, pur con delle limitazioni, agli sgoccioli del governo giallo verde), che sul tavolo del Mise Patuanelli, l’attuale Ministro 5 Stelle, si è ritrovato una nota di recesso, indirizzata dall’ArcelorMittal ai Commissari, dal contratto d’affitto d’azienda. Un ricatto bello e buono perché sono in gioco quasi 11mila posti di lavoro.

Si ripropone in tutta la sua tragicità l’eterno conflitto mai risolto dai diversi Governi italiani, quello di dover scegliere fra la salute dei suoi cittadini tarantini e il loro lavoro. Come non fossero due diritti, entrambi, garantiti dalla nostra carta costituzionale. Eppure questi signori, questi francoindiani, che hanno il loro quartier generale nel paradiso fiscale del Lussemburgo, oggi pretendono di avere indietro la “licenza di uccidere” altrimenti se ne vanno. Una clausola inesistente in ogni angolo d’Europa e che, ne sono sicura, prima o poi la nostra Consulta dichiarerà incostituzionale.

Può anche darsi, come ventila il Ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli, che questa mossa in realtà nasconda altri obiettivi dei manager aziendali: spararla grossa per poi, magari, ottenere il via libera ad un corposo taglio dei livelli occupazionali e/o dei livelli di produzione, il che tradirebbe l’inefficienza dell’attuale board a capo dell’ex Ilva, incapace di tenere fede agli impegni assunti con il Governo italiano neanche 18 mesi fa. Motivo in più oggi, per recriminare sul fatto che il precedente Governo, nella persona dell’allora ministro Calenda (ministro volutamente minuscolo), non avesse voluto prendere in considerazione l’altra cordata di imprenditori, con a capo Cassa Depositi e Prestiti, interessata a rilevare L’Ilva di Taranto. Una scelta che avrebbe garantito la presenza dello Stato a presidio degli interessi di tutta la comunità tarantina. Trovo infatti intollerabile che uno Stato sovrano possa ritrovarsi nelle condizioni di essere ricattato da un soggetto privato. C’è qualcosa di profondamente marcio in un sistema che consente si possano generare certi paradossi, come è stato quello di Autostrade del resto. Aziende di natura strategica come è L’ex Ilva di Taranto, l’acciaieria più grande d’Europa, per l’Italia, non possono sottostare alla sola logica del profitto, non possono e non devono poter dettare legge, ripeto, ad uno Stato sovrano.

Questi sono, lo dico a posteriori, gli effetti nefasti, le distorsioni, che ha portato con sé un’economia ispirata al liberismo puro, dove l’unico motore ad agire è quello del capitale e della sua remunerazione e in nome delle cui logiche sono stati calpestati i diritti e le tutele di intere generazioni di lavoratori, di intere comunità, come, in questo caso, quella tarantina. E ciò che più mi disgusta in queste ore, è il sentir levarsi le voci indignate di più parti sociali del Paese che, anziché parlare con un unica voce di biasimo a questi capitani di ventura senza scrupoli, dando manforte all’operato del Governo, si schierano dalla loro parte e  attaccano il Governo, reo evidentemente ai loro occhi, di avere ristabilito la supremazia della legge, davanti alla quale ogni soggetto deve essere uguale.

Ho assistito al levarsi di scudi unanime contro il Governo di Confindustria, il che non mi sorprende, fra cani non si mordono, ma anche dei Sindacati, quelli che, per definizione, dovrebbero in primis tutelare la salute e il lavoro dei loro iscritti. Hanno fatto la loro scelta mandando il loro ultimatum al Governo: mantenere i posti di lavoro a tutti i costi, ridiamo lo scudo ad Arcelor e fanculo alle tutele ambientali. Ed infine, ma anche questo non mi sorprende, ho ascoltato tutta una corte di nani e ballerine dire la loro. Uno come Calenda, quello che da pavido ministro aveva firmato per lo Stato un contratto capestro a tutto vantaggio di Arcelor Mittal, spargere fango su Luigi Di Maio (che quel contratto l’aveva fatto modificare in extremis a tutela dei lavoratori) e, addirittura, ricevere il plauso di uno scribacchino servo di Berlusconi come Sallusti e della Gruber, quella di casa al Bilderberg. Poteva un ex bibitaro come Di Maio, essere all’altezza del suo ruolo? Le colpe sono tutte le sue, hanno sentenziato trionfi della loro boria. Cose che voi umani…

Ho ascoltato Renzi (quello che lo scudo penale l’aveva introdotto nel 2015, quando era primo ministro), oggi attaccare il suo stesso governo per averlo tolto, dimenticandosi che solo pochi giorni prima l’annullamento dello scudo l’aveva votato anche lui.

Ho letto nelle facce di Salvini e Meloni la malcelata contentezza di vedere una tegola così grossa cadere sul Conte II. Tifano, questi personaggi, perché su Ilva il Governo finalmente cada per mettersi loro ai posti di comando e poi, magari, continuare ad avallare altre schifezze come il TAV o come il Mose, che fu l’orgia dei tangentari.

Ho ascoltato mezze calzette tipo la Gelmini, la Bernini, dire le loro scempie banalità per guadagnarsi il loro pezzetto di scena, perché non se le caga più nessuno.

Ognuno di questi soggetti ha i suoi buoni motivi personali o di bottega per remare contro questo Governo e, da bravi amici del giaguaro, sostengono le pretese di soggetti che pretendono di dettare legge in casa nostra. E in tutto questo vociare confuso sto qui, seduta, a chiedermi a chi interessa veramente del destino di Taranto e dei tarantini. Forse ai 5 Stelle? Credo di sì, ma temo di non sbagliare se dico che saranno proprio loro a pagarne lo scotto più alto.

https://infosannio.wordpress.com/2019/11/05/arcelor-mittal-lascia-ilva-5-stelle-capro-espiatorio/

sabato 6 ottobre 2018

Taranto, i «furbetti» del ricovero «La clinica restituisca 13 milioni». - Massimiliano Scagliarini

Taranto, i «furbetti» del ricovero«La clinica restituisca 13 milioni»Taranto,

L’Asl: trattamenti di ossigeno-terapia pagati come interventi chirurgici.

BARI - Dovrà essere il primario della Neurofisiopatologia del Policlinico romano di Tor Vergata a riesaminare le cartelle cliniche della clinica San Camillo di Taranto, cui la Asl ha chiesto di restituire 13,5 milioni di euro a fronte di prestazioni diverse da quelle realmente erogate ai pazienti. Lo ha deciso il Tar di Lecce, in un caso emblematico dei rapporti tra aziende sanitarie e ospedali privati pugliesi: i controlli sull’appropriatezza dei ricoveri, che arrivano (se arrivano) ad anni di distanza, spesso sono parziali e non riescono a stroncare il fenomeno della codifica opportunistica. Quello di indicare nelle cartelle cliniche un codice «Drg» (il listino prezzi della sanità) più favorevole per il privato.
In questa vicenda, però, la Asl di Taranto fino ad ora ha lavorato con impegno, pur scontrandosi con la casa di cura: nel 2015 l’amministratore, l’avvocato Carlo Fiorino, è stato condannato a quattro mesi per interruzione di pubblico servizio, in quanto aveva impedito agli ispettori dell’Uvar di accedere alle cartelle. «Oggi - garantisce il direttore generale della Asl, Stefano Rossi - i controlli si svolgono regolarmente, e su una buona percentuale delle cartelle».
La vicenda affrontata dal Tar riguarda il Drg 532, intervento chirurgico sull’ernia del disco che costa alla sanità pubblica 8.413 euro e che la San Camillo aveva dichiarato di aver effettuato in anestesia totale. Ma la quantità di interventi effettuati aveva insospettito la Asl. Quel Drg - secondo la letteratura - è un esito collegato ai reparti di neurochirurgia, mentre alla San Camillo riguardava l’ortopedia per ricoveri molto brevi. Si trattava, in realtà, di «trattamenti di ossigeno-ozono terapia» che valgono 500 euro, peraltro effettuati in un reparto che - sempre secondo la Asl - risultava avere percentuali di occupazione superiori al 100% e che svolgeva questi interventi sotto la supervisione di un medico (nel frattempo deceduto) molto noto in città.
La Asl ha riqualificato gli interventi «523» in «234», che è un Drg medico e vale 4.600 euro. La richiesta di restituzione dei 13 milioni riguarda il periodo dal 2009 al 2013, e dagli atti di causa emerge che la San Camillo avrebbe impedito i controlli dal 2011: per questo la Asl, all’epoca, ha mandato le carte in Procura.
La San Camillo ha tuttavia impugnato la richiesta di restituzione, segnalando di aver ottenuto tre decreti ingiuntivi nei confronti della Asl in relazione proprio a somme contestate. E i giudici amministrativi hanno ritenuto opportuno nominare un tecnico terzo cui affidare la verifica della «regolarità tecnica delle ri-codifiche operate dalla Asl», sia «sul piano - per così dire - “qualitativo” (e dunque riferibile alla condivisibilità, nel merito, delle ragioni che - caso per caso - a parere della Asl le giustificavano)», sia «su quello “quantitativo” (riferibile, cioè, al quantum delle somme - almeno su base percentuale rispetto ai 13,5 milioni circa richiesti - di cui la Asl è, in base all’esito della verifiche qualitative, legittimata a chiedere la restituzione)». Sui decreti ingiuntivi, però, i giudici hanno osservato che «non è chiaro se e in che percentuale i decreti siano pertinenti alla somme oggi in contestazione». Sarà dunque il primario romano Nicola Biagio Mercuri a dover rivedere le cartelle.
Peraltro, in parallelo, il Consiglio di Stato si è occupato del caso che riguarda gli interventi effettuati dalla Bernardini di Taranto: qui la Asl chiede la restituzione di 1,3 milioni. I giudici hanno ordinato alla Finanza, che aveva svolto le verifiche nel 2016, di depositare una relazione di chiarimenti.
Fonte www.lagazzettadelmezzogiorno.it del 6 ottobre 2018.

martedì 17 maggio 2016

Ilva, l’Italia va a processo alla Corte di Strasburgo. “Non ha protetto la salute dei cittadini di Taranto”.

Ilva, l’Italia va a processo alla Corte di Strasburgo. “Non ha protetto la salute dei cittadini di Taranto”

Nel giorno in cui inizia il processo ai vertici dell'azienda per disastro ambientale, dall'Europa arriva una nuova stangata per il nostro Paese. Secondo l'accusa, lo Stato ha violato il proprio diritto alla vita e all'integrità psico-fisica, per non avere prevenuto gli effetti dell'inquinamento prodotto dall'impianto siderurgico.

Nel giorno in cui inizia il processo ai vertici dell’Ilva per disastro ambientale, dall’Europa arriva una nuova stangata per il nostro Paese. Lo Stato italiano è formalmente sotto processo di fronte alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, con l’accusa di non aver protetto la vita e la salute di 182 cittadini di Taranto dagli effetti negativi delle emissioni dell’Ilva. La Corte di Strasburgo ha ritenuto sufficientemente solide, in via preliminare, le prove presentate, e ha così aperto il procedimento contro lo Stato italiano.
A rivolgersi a Strasburgo sono stati, nel 2013 e nel 2015, 182 cittadini che vivono a Taranto e nei comuni vicini. Alcuni rappresentano i congiunti deceduti, altri i figli minori malati. A febbraio, la Corte aveva accettato la domanda di trattazione prioritaria del ricorso collettivo. Nel testo, i ricorrenti affermano che lo Stato ha violato il loro diritto alla vita, all’integrità psico-fisica e al rispetto della vita privata e familiare e che in Italia non possono beneficiare di alcun rimedio effettivo per vedersi riconoscere queste violazioni. Fonti della Corte, citate dall’agenzia Ansa, precisano che la decisione di comunicare i ricorsi al governo significa che le prove presentate dai ricorrenti contro l’operato dello Stato sono molto forti.
Nel ricorso, i cittadini di Taranto sostengono che “lo Stato non ha adottato tutte le misure necessarie a proteggere l’ambiente e la loro salute, in particolare alla luce dei risultati del rapporto redatto nel quadro della procedura di sequestro conservativo e dei rapporti Sentieri”. Le autorità nazionali e locali, secondo l’accusa, hanno omesso di predisporre un quadro normativo ed amministrativo idoneo a prevenire e ridurre gli effetti gravemente pregiudizievoli derivanti dal grave e persistente inquinamento prodotto dal complesso dell’Ilva. I ricorrenti contestano inoltre al governo il fatto di aver autorizzato la continuazione delle attività del polo siderurgico attraverso i cosiddetti decreti salva Ilva.
Intanto, al Palazzo di giustizia di Taranto ha preso il via la prima udienza del processo per il presunto disastro ambientale causato dall’Ilva. Alla sbarra ci sono 44 persone fisiche e tre società: tra gli imputati eccellenti, figurano i fratelli Fabio e Nicola Riva della proprietà Ilva (oggi in amministrazione straordinaria), l’ex governatore della Puglia, Nichi Vendola, il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, l’ex presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, l’ex responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà, l’uomo che rubò il microfono a un cronista che chiedeva conto a Emilio Riva dei morti di cancro causati dall’Ilva e ne rideva al telefono insieme a Vendola. Si sono costituite in giudizio circa mille parti civili, tra le quali la Regione Puglia rappresentata in aula dal governatore Michele Emiliano.
Quando l'uomo commette l'errore di anteporre il proprio tornaconto a quello di altri uomini dei quali si è assunto la responsabilità, è giusto che intervenga un organo superiore a correggere l'errore.

martedì 3 settembre 2013

Ilva - Quasi 9000 malati di cancro a Taranto?


Taranto - Sono 8.916, secondo fonte Asl, le persone che hanno l'esenzione dal ticket per malattie tumorali (contraddistinta dal 'codice 048') nella città di Taranto. 
Lo rende noto Peacelink, sottolineando che nel distretto sanitario 3, che comprende i quartieri più vicini all'Ilva (Tamburi, Paolo VI, Citta' vecchia e parte del Borgo), c'e' un malato di cancro ogni 18 abitanti. 
''Per la precisione - spiega in una nota il presidente dell'associazione ambientalista, Alessandro Marescotti - sono 4.328 malati su 78mila abitanti. 
Questo significa che se venti persone si riuniscono in una stanza nel quartiere Tamburi almeno una ha un tumore''. Nei restanti quartieri, quelli più lontani dalle industrie, c'e' ''un malato di cancro ogni 26. 
Infatti nel distretto sanitario 4 che comprende il resto della citta' - aggiunge Marescotti - vi sono 4.588 malati di tumore su 120mila abitanti. Questa e' la situazione attuale''. Peraltro, questi dati ''non possono calcolare tutti coloro che potrebbero avere un tumore latente o non diagnosticato. Il sindaco di Taranto, che e' un medico - attacca l'esponente ambientalista - avrebbe potuto compiere questa ricerca. Perche' non lo ha fatto?''.
 Peacelink rivolge un appello all'Ordine dei medici ''perche' venga compiuto un opportuno approfondimento su questi dati in modo da individuare le categorie di persone più esposte. E' venuto il momento - conclude Marescotti - di avere dati istantanei su tutte le malattie gravi, le diagnosi e i ricoveri. Disporre di un dato istantaneo e conoscerne la sua evoluzione temporale e' un primo passo per compiere ulteriori indagini più affinate da un punto di vista epidemiologico''.

domenica 30 dicembre 2012

Ilva, disinformazione al veleno contro il gip Todisco. - Alessandra Congedo



TARANTO – Certa stampa non resiste proprio alla tentazione di attaccare le toghe. Spesso lo fa a sproposito. Basta leggere cosa riporta il sito de “Il Foglio”, giornale diretto da Giuliano Ferrara: “Mentre le toghe più scintillanti d’Italia si buttano in politica c’è un  magistrato, a Taranto, che (ancora) non ha deciso di candidarsi. Ma  troverebbe la propria casa ideale tra i Verdi o tra i militanti  vendoliani di Sel. E’ Patrizia Todisco, magistrato della procura di  Taranto, che ha presentato alla Corte costituzionale un ricorso per  conflitto di attribuzione fra poteri dello stato contro il decreto legge  del governo che legifera sui temi ambientali, consentendo all’Ilva di  operare con i suoi altiforni a condizione che rispetti le nuove regole  che esso stabilisce” (http://www.ilfoglio.it/soloqui/16361).
Ai nostri (sempre attenti) lettori non sarà sfuggita la grossa inesattezza contenuta in queste righe: non è stato il gip Todisco a presentare il ricorso, ma il pool di magistrati (tutte toghe verdi, rosse o arancioni?) della Procura di Taranto che indaga sull’inquinamento prodotto dall’Ilva. Lascia senza parole questo attacco alla Todisco che viene tirata in ballo senza alcun senso, solo al fine di screditare lei e ciò che rappresenta: la giustizia. Inutile soffermarsi, poi, su ipotesi degne della più assurda fantapolitica.  Abbiamo già provveduto ad inviare una mail al direttore Ferrara e alla sua redazione per far notare il passo falso compiuto. Attendiamo risposta.

mercoledì 28 novembre 2012

Taranto, tromba d’aria sull’Ilva (video). Almeno 38 feriti, si cerca un disperso. - Francesco Casula


Taranto, tromba d’aria sull’Ilva (video). Almeno 38 feriti, si cerca un disperso


Il sindaco: "Si parla di tre vittime, ma non ci sono certezze". Poi si corregge: "Ufficialmente nessun morto". Sei bambini di un asilo all'ospedale. Una gru è finita in mare, sommozzatori al lavoro per individuare il lavoratore che stava manovrando in cabina.

Una violenta ondata di maltempo si è abbattuta su Taranto e una tromba d’aria ha causato il crollo del camino delle batterie 1 e 2 dello stabilimento Ilva, nel reparto cokerie, ma anche il crollo in mare di una gru. “Si parla di tre vittime – dice il sindaco Ippazio Stefano – ma non abbiamo certezze” salvo poi correggersi: “Al momento non ci sono notizie ufficiali di vittime”. I feriti, in ogni caso, sono almeno una quarantina (38 secondo la Protezione civile), mentre i sommozzatori sono al lavoro per cercare un disperso: si tratta del manovratore del mezzo meccanico che si trovava sulla banchina dell’acciaieria. Sul posto ambulanze, mezzi dei vigili del fuoco, carabinieri e polizia. Nel pomeriggio, ai microfoni di Tgcom24 è intervenuto anche il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante che ha spiegato: “I danni sono ingenti ma quello che più preoccupa sono le persone. Ci sono stati diversi feriti – ha aggiunto Ferrante – alcuni ricoverati in ospedali altri curati nell’infermeria interna. Ci preoccupa la situazione del ragazzo disperso e le condizioni del mare non consentono di intervenire. E’ una persona addetta al porto che lavorava sulla gru”.
La situazione è tornata ora alla normalità, ma si stanno cercando le persone che mancano all’appello (dentro e fuori dallo stabilimento) e si stanno calcolando i gravi danni che hanno subito le strutture dello stabilimento. Nella cittadina di Statte, a ridosso dell’Ilva, il maltempo ha investito una scuola: nove bambini sono rimasti feriti in modo lieve e sono ora nell’ospedale Moscati di Taranto dove vengono medicati. In tutto negli ospedali, compresi i bambini, dovrebbero esserci, secondo l’assessore regionale Fabiano Amati, 38 persone e nessuno è in pericolo di vita. Ad uno dei nove bambini feriti è stato diagnosticato un trauma cranico ed è stato sottoposto alla Tac. Tre persone politraumatizzate sono ricoverate in condizioni ‘critiche’ all’ospedale Santissima Annunziata di Taranto: due provengono da Statte, una da Crispiano. Altri due (operai dell’Ilva e dell’Enel) sono ricoverati a Martina Franca. Quattro operai dell’acciaieria sono stati condotti nello stesso ospedale per cure ed accertamenti, altri 20 sono stati medicati nell’infermeria del siderurgico. 
Vicino al camino spezzato si sono viste anche levarsi fiamme, forse prodotte dal fulmine che ha colpito la ciminiera. Molte lamiere sollevate da impianti Ilva hanno bloccato le strade adiacenti. I gasometri all’interno della fabbrica sono stati messi in sicurezza. All’esterno del siderurgico si sono notati gruppi di lavoratori che hanno abbandonato lo stabilimento. ”Non si segnalano vittime e la situazione è tornata sotto controllo” confermano fonti della questura. (La diretta di TeleNorba
Ilva, danni e feriti –  La tromba d’aria avrebbe provocato l’incendio dei gas di scarico di alcuni degli impianti, secondo quanto riferito dai vigili del fuoco. Da qui anche un possibile rischio di esplosioni. I pezzi di cemento caduti dalle ciminiere, infatti, si sarebbero riversati su due tralicci dell’alta tensione. E’ rimasta bloccata anche la linea ferroviaria Bari-Taranto e i passeggeri di un treno sono in attesa di trasbordo su autobus per raggiungere Taranto. I feriti provocati dalla tromba d’aria, in tutta la città, sarebbero una ventina, altre persone sono disperse. ”Stavo guidando un camion vicino alle batterie 7-12 – racconta un lavoratore rimasto illeso - All’improvviso ho visto un tornado, volare tutto e fumo. Non riuscivo a vedere più niente. Mi sono fermato e sono fuggito”.
Secondo l’azienda al momento sono 20 i feriti lievi in infermeria dello stabilimento, mentre due feriti sono stati portati in ospedale dal molo. L’azienda, si precisa ancora nella nota, ha messo in atto tutte le procedure di emergenza generale, gli impianti sono presidiati, in azienda sono presenti i comandanti dei vigili del fuoco provinciale e regionale. Non c’è stato alcun incendio. Le fiamme visibili dall’esterno – si precisa ancora nella nota – sono relative agli sfoghi di sicurezza provocati dalle candele di sicurezza degli impianti. Tutta l’area ghisa è sotto controllo, l’azienda ha subito gravi danni strutturali ancora da quantificare – si sottolinea ancora nella nota dell’Ilva – non c’è stata evacuazione, sono stati messi in circolo tutti i bus aziendali per raccogliere il personale non addetto alla gestione dell’emergenza generale e accompagnarlo alle portinerie e ai punti di incontro dell’azienda.
A quanto riferisce all’Adnkronos Mimmo Panarelli, responsabile territoriale dei metalmeccanici della Fim Cisl, sarebbe caduta in acqua una delle gru situate sopra uno dei pontili che affacciano sul mare e che si trovano all’interno dello stabilimento. Quattro persone sono rimaste ferite: sono due operai che erano sulla struttura finita in pezzi, ed altri due che invece si trovavano nell’area sottostante. Tuttavia “potrebbero esserci tre dispersi” per le conseguenze determinate nell’area portuale. “Intanto quasi tutti i lavoratori hanno lasciato lo stabilimento per lo spavento. Molti se ne sono andati. Non si può continuare a lavorare senza sicurezza”, spiega. La tromba d’aria “ha determinato lo sprigionarsi di fiamme altissime alte 50 o 60 metri” aggiunge Panarelli. Per questo è stato deciso il blocco di due estrattori che alimentano la rete del gas. “I lavoratori, preoccupati per le conseguenze, sono quindi usciti dalla fabbrica e ora i tecnici stanno effettuando dei controlli”, aggiunge. Secondo quanto riferisce Panarelli anche nel vicino comune di State la tromba d’aria ha causato danni ai tetti delle case che sono state scoperchiate.
Video di Luigi Piepoli
A causa del forte vento, nell’area portuale adibita al carico e scarico del materiale del siderurgico, sono crollati anche alcuni caricatori. La violenza della tromba d’aria è evidente anche dalle auto ribaltate sulle statali 106 e 100, che portano a Reggio Calabria e Bari. Sulla strada Taranto-Statte alcune auto si sono rovesciate. Lamiere e detriti hanno travolto un bus privato in transito davanti all’Ilva al passaggio della tromba d’aria che ha colpito la città. I vetri del mezzo sono andati in frantumi e l’autista è rimasto ferito. Sono stati abbattuti muretti, alberi e guard-rail. Ingenti i danni anche a una stazione di rifornimento carburanti.
In attesa di conferme sulle condizioni dei feriti,  è stata intanto ritrovata la gru presso la quale lavorava l’operaio dell’Ilva che al momento viene dato per disperso. Il mezzo è caduto in mare nei pressi del quarto sporgente del porto industriale. Era sotto venti metri, piena di fango.

domenica 7 ottobre 2012

Ecco il lodo “Salva Ilva”, bozza pronta per il prossimo Consiglio dei ministri. - Salvatore Cannavò


Ilva Taranto

Alla lettura del testo, che Il Fatto ha potuto consultare e che non è ancora ufficiale, appare chiaro, in effetti, che l'impatto delle nuove norme, se approvate, sarebbe quello di garantire l'attività produttiva allo stabilimento di Taranto, nonostante quanto stabilito dal Gip e la sostenibilità economica degli interventi di bonifica.

Il provvedimento è entrato l’altro ieri in Consiglio dei ministri, ma è stato rinviato alla prossima seduta. La bozza però è già scritta e prevede un pacchetto di semplificazioni normative che fanno discutere gli ambientalisti. In particolare i due articoli dedicati alla bonifica ambientale, ribattezzati articoli “salva Ilva”. Alla lettura del testo, che Il Fatto ha potuto consultare e che non è ancora ufficiale, appare chiaro, in effetti, che l’impatto delle nuove norme, se approvate, sarebbe quello di garantire l’attività produttiva allo stabilimento di Taranto, nonostante quanto stabilito dal Gip e la sostenibilità economica degli interventi di bonifica. Gli articoli “incriminati” sono due, il 21 e il 22. Con l’articolo 21 si tratta la “Gestione delle acque sotterranee emunte” cioè la messa in sicurezza della falda acquifera.
A essere oggetto di “semplificazione” è il decreto legislativo 152 del 2006, il cosiddetto Codice dell’Ambiente, di cui verrebbe sostituito l’articolo 243. “Nei casi in cui – si legge – le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre alla eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile (corsivo nostro, ndr) devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalità generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche”. L’intervento, insomma, è stabilito “ove possibile ed economicamente sostenibile” senza precisare nemmeno a chi spetti la valutazione circa la possibilità e l’economicità di tali misure. “Sarebbe una vergogna perché fa cadere il principio europeo secondo cui chi inquina paga” commenta al Fatto, il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli.
Va inoltre aggiunto che “gli interventi di conterminazione fisica o idraulica con emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate” – cioè gli unici realmente efficaci, secondo gli ambientalisti – sono ammessi solo nei casi in cui non è altrimenti possibile eliminare, prevenire o ridurre a livelli accettabili il rischio sanitario associato alla circolazione e alla diffusione delle stesse. Una diminuzione dell’efficacia, quindi, sancita per legge. All’articolo 22, invece, si passa a una norma che sembra scritta apposta per risolvere il contenzioso che si è aperto a Taranto in questi mesi. Sotto il titolo di “procedura semplificata per le operazioni di bonifica o di messa in sicurezza”, si legge che “Nei siti contaminati, in attesa degli interventi di bonifica e di riparazione del danno ambientale, possono essere effettuati tutti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di infrastrutturazione primaria e secondaria, nonché quelli richiesti dalla necessità di adeguamento a norme di sicurezza, e più in generale tutti gli altri interventi di gestione degli impianti e del sito funzionali e utili all’operatività degli impianti produttivi ed allo sviluppo della produzione”. Nessuno stop agli impianti, dunque, come l’Ilva chiede da mesi in relazione alle disposizione del Gip ma anche della Procura tarantina. “Si tratta di un gran favore economico fatto agli inquinatori d’Italia, non solo a Taranto” commenta ancora Bonellli. “Se non saranno economicamente sostenibili gli interventi non saranno fatti”.
Altre misure di alleggerimento vengono previste anche per quanto riguarda il permesso di costruire in caso di vincoli, per cui scatta il silenzio-assenso, ma anche per le norme che regolano la Valutazione di impatto ambientale (Via) per la quale scompare l’obbligo di pubblicazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale e nel Bur regionale. Basterà la pubblicazione sul sito web dell’Autorità competente.