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giovedì 8 luglio 2021

La Sicilia devastata dagli incendi dolosi nel silenzio generale: così la transizione ecologica è a rischio. - Stephanie Brancaforte

 

Oltre 400 incendi in Sicilia nelle ultime due settimane. Domenica 4 luglio 2021 l’area industriale di Melilli è stata distrutta dalle fiamme, che hanno rischiato di raggiungere anche un oleodotto e che hanno portato su Siracusa un pesante fumo nero e una pioggia di cenere.

Nella Sicilia sud-orientale, aree residenziali, uliveti e agrumeti sono stati incendiati. Alcuni tratti autostradali si sono trasformati in muri di fuoco. Grandi distese di grano sono state date alle fiamme.

Le città e i territori della Sicilia sono sotto aggressione continua, con attacchi che, per la frequenza e i luoghi, sembrano guidati da strategie criminali che stanno impoverendo sempre più il territorio.

Nel 2021 la situazione è notevolmente peggiorata, e gli incendi sono stati appiccati intenzionalmente in tutta l’isola. Ma ciò che è stato preso di mira più intensamente è stata la rete di riserve, parchi e oasi naturali.

Lunedì 5 luglio sono stati incendiati i preziosi pantani Granelli, all’estremità meridionale della Sicilia, gettando nel panico e nella confusione fenicotteri e uccelli migratori. Chissà quanti nidi di uccelli protetti sono andati in fumo con la distruzione del loro habitat. E assieme a loro migliaia di ore di impegno di chi ha voluto proteggere queste specie ed ecosistemi.

La riserva naturale della Valle dell’Anapo, che ospita le necropoli di Pantalica (risalente all’età del bronzo), patrimonio dell’umanità designato dall’Unesco, è bruciata per giorni: una notizia che avrebbe dovuto avere risonanza internazionale.

Le riserve naturali di Cava Grande del Cassibile e della Valle dell’Anapo sono annoverate tra i principali gioielli del costituendo Parco Nazionale degli Iblei, un progetto inviato a dicembre 2020 al Ministero dell’Ambiente e non ancora finalizzato e approvato. Oltre 12mila persone chiedono l’istituzione immediata del Parco Nazionale degli Iblei, per permettere maggiori tutele e la valorizzazione di queste zone importanti.

Ad oggi l’unico parco nazionale in Sicilia è il Parco Nazionale di Pantelleria, istituito proprio dopo una lunga serie di roghi.

È difficile esprimere a parole la sensazione di disperazione e panico che attanaglia molte parti della Sicilia. Sembra come se tutto fosse in fiamme o a rischio di incendio doloso.

Con il Movimento Antincendio Ibleo, che aiuto a coordinare, ci rendiamo conto che qualcuno sta cercando di terrorizzarci, letteralmente. Infatti, una petizione chiede proprio di definire gli incendi dolosi come atti terroristici.

Non sappiamo dove colpiranno i piromani, oppure lo possiamo intuire, ma mancano le forze per sorvegliare e proteggere le riserve a rischio. In molti casi non sappiamo chi siano o quale sia il loro movente, ma sentiamo di essere nelle mani di una grande conspiracy, una cospirazione della terra bruciata.

Le nostre istituzioni sono state assenti e incompetenti – forse complici – mentre gli incendi infuriavano. Un vero e proprio ecocidio delle zone con più biodiversità d’Europa, che mette a rischio la sopravvivenza di specie animali e vegetali, alcune delle quali uniche in queste zone.

A Pantalica la terra stessa bruciava, consumando le radici. C’è qualcosa nel sottosuolo che non possiamo vedere, che consuma quest’isola e mette in pericolo il suo presente e il futuro.

Gli incendi che attraversano la Sicilia sono più frequenti e più gravi di quanto non abbiamo mai visto prima, e come attivisti ci chiediamo quale mano malvagia potrebbe causare questa devastazione. Chi li sta appiccando, e perché?

Ci sono diverse teorie, e fino a quando le varie autorità giudiziarie non investiranno nelle inchieste approfondite, non si potrà dare una risposta certa.

Stando a una prima teoria, in certe zone della regione la mafia dei pascoli sta cercando di impossessarsi di aree per sfamare le mucche. Fanno uso sistematico degli incendi ai fini di pascolo, senza alcun rispetto per i suoli, soggetti così ad erosione e conseguente depauperamento della Macchia mediterranea e a quello – estremo – della gariga, ultima difesa dalla desertificazione. Operano sotto gli occhi di tutti ma non sono ancora stati fermati. E terrorizzano la gente, nonostante le innumerevoli denunce. Si può ipotizzare che solo la presenza dell’esercito possa essere l’unica, valida, estrema soluzione.

Secondo altre ricostruzioni, i campi di grano vengono dati a fuoco in certi territori quando i proprietari non pagano il pizzo. Terza teoria sull’origine dei roghi: i mezzi aerei di spegnimento (inclusi i famosi Canadair) sono gestiti da privati, una situazione che favorirebbe incentivi perversi e sprechi di denaro pubblico. Si dovrebbe passare alla gestione pubblica, come chiesto da 8mila persone.

C’è poi una quarta ipotesi che potrebbe spiegare l’aggressione sistemica alle riserve naturali. Da vari anni si vocifera della privatizzazione della gestione di parchi, riserve, oasi ecc… Insomma, della gestione del demanio pubblico a favore degli appalti ai privati.

Nulla vieta che questo disegno implichi anche la diffusione di fuochi, a fronte dei quali la Forestale si trova in difficoltà. Ma, invece di potenziare, ammodernare e riqualificare il pubblico, si pensa alla privatizzazione totale del bene comune, cosa che sicuramente aggraverebbe la gestione della situazione in materia di prevenzione e spegnimento degli incendi. I soldi del Pnrr sarebbero poi richiesti per potenziare questa forza privata.

Una quinta teoria attribuisce l’origine degli incendi ad alcuni dipendenti precari stagionali della Forestale, addetti alle pulizie e alle opere boschive e strutturali dei terreni demaniali, nonché addetti allo spegnimento (in realtà la Forestale in Sicilia è nata anni Sessanta per motivi occupazionali). Gli incendi precoci (marzo-giugno), infatti, potrebbero spingere la Regione ad anticipare le assunzioni, che avvengono di norma dopo l’approvazione – sempre tardiva – del bilancio regionale. Alcuni anni fa ci sono state condanne per flagranza di reato in merito.

In certi casi, l’incendio “scappa” a chi brucia frasche per “pulire” il terreno, anche se ci sarebbero modi per valorizzare invece di bruciare i resti agricoli. Chiaramente l’incuria del territorio e la mancanza di prevenzione tempestiva, come la non assunzione regolare dei forestali, ha favorito e continua a favorire gli incendi.

Non c’è dubbio che gran parte di questi roghi siano dolosi. Non a caso, spesso divampano in zone molto difficili da raggiungere per i Vigili del fuoco. Sono pianificati ed eseguiti per causare il massimo danno.

È difficile descrivere la profonda tragedia del perdere una valle con biodiversità unica e alberi maturi. L’ecocidio su vasta scala in Sicilia non solo continua senza sosta, ma prosegue nel silenzio quasi generale.

Sappiamo tutti che, se non ci uniamo adesso per agire, presto vivremo in un deserto che sarà economicamente assai meno vivibile, avrà meno biodiversità, attirerà meno i turisti e sarà meno ospitale per noi stessi e per le future generazioni.

Noi del Movimento Antincendio Ibleo siamo oltre 170 persone che vigilano sul territorio, alcune delle quali sono attive anche personalmente nello spegnimento degli incendi, me compresa. Nel nostro movimento affermiamo che “spegnere gli incendi è già un fallimento”. Dobbiamo concentrare i nostri sforzi sulla prevenzione, sullo sviluppo della cultura del rispetto e sulla crescita del nostro ecosistema comune.

I movimenti in Sicilia sono stati estremamente attivi quest’anno – scrivendo esposti e lettere, facendo comunicati e flash mob. Ma il governo regionale ancora non ha risposto alle numerose sollecitazioni della cittadinanza.

Può sembrare strano che in Europa nel 2021 le persone imparino a combattere gli incendi con mezzi rudimentali come il battifuoco. E in effetti è davvero strano, ma siamo in una situazione straordinaria, che richiede una mobilitazione fisica più organizzata.

Nelle ultime settimane i volontari sono intervenuti dozzine di volte, aiutando a spegnere fino a cinque o sei grossi incendi in un giorno. Spesso hanno controllato le fiamme fino a quando i mezzi di spegnimento ufficiali potevano arrivare sulla scena.

Non si può pensare a una transizione ecologica in una terra bruciata. Abbiamo bisogno di un servizio forestale gestito bene, che possa proteggere i beni pubblici con le attrezzature necessarie. Il Parco Nazionale degli Iblei andrebbe costituito al più presto: sarebbe un risultato concreto per il governo nazionale.

La gente esige che questo sia l’ultimo anno in cui accadano simili devastazioni. Vogliamo dedicare i nostri sforzi al rimboschimento e alla rinascita della nostra terra con la cooperazione di tutti gli abitanti di questa isola.

TPI

sabato 6 giugno 2020

Grandi opere e vincoli: il liberismo spacca l’Italia - Vittorio Emiliani

2 Giugno, manifestazione centrodestra a Roma: per Salvini raffica ...
“Al Matteo a gh’è scapà la vaca in tal prà”, avrebbe detto un lumbard. “Gli è scappata la vacca nel prato”, nel senso che in piazza del Popolo, Matteo Salvini le ha sparate grosse, le più grosse possibili: sulle grandi opere niente gare d’appalto, niente controlli tecnici, niente intralci di vincoli, niente di niente, si fanno e basta.
Sentendolo parlare, anzi blaterare in quel modo, in piazza del Popolo, gioiello della pianificazione urbanistica napoleonica, mi sono venute alla mente le immagini agghiaccianti della Liguria che, a ogni pioggia appena più violenta, subisce ovunque alluvioni devastanti. Perché? Perché – come mi spiegò negli anni Sessanta il grande geografo Lucio Gambi – “stanno tagliando con le gallerie dell’autostrada la costa a metà senza curarsi di farci studiare e quindi incanalare il corso delle acque sotterranee, così queste, trovando ostruito il cammino verso il mare, prenderanno le direzioni più impensate scassando il sottosuolo e anche il suolo…”. Facile profezia purtroppo mentre in Liguria dilagavano le seconde e terze case di milanesi e torinesi. Diecimila vani in più all’anno solo a Rapallo che Giorgio Bocca sul Giorno chiamò sarcasticamente “Lambrate sul Tigullio”.
Del resto il Verbo paesaggistico di Matteo Salvini è questo da anni. Due anni fa, in campagna elettorale, discutendone con l’allora sottosegretario Pd, Maria Elena Boschi, disse che lui le Soprintendenze le avrebbe abolite. Era furibondo con un soprintendente lombardo che aveva bocciato una nuova variante sul Lago di Como, la Tremezzina. E Maria Elena gli aveva fatto presente che anche il Pd era d’accordo nel ridurre i poteri di interdizione e di vincolo delle Soprintendenze.
Ecco il punto: dov’è la sinistra o il centrosinistra alternativo alla barbarie del centrodestra salviniano?
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/06/06/grandi-opere-e-vincoli-il-liberismo-spacca-litalia/5826251/#

martedì 8 luglio 2014

Buonanotte Palermo Cronache di una città allo sbando. - Roberto Puglisi



   







Niente risveglia Palermo dal coma profondo in cui è piombata. Dalle catacombe non arrivano notizie confortanti. Nel frattempo, la vita è sempre più complicata.


L'unica paradossale e fantastica notizia del risveglio a Palermo, città sonnambula, si specchia nello sguardo di una bambina quasi centenaria che, dopo un lungo periodo di immobilità, ha aperto le sue pupille pietrificate nel buio di una cripta, secondo gossip e credulità popolare. Rosalia Lombardo, celebre mummia, vanto dell'ossario dei Cappuccini, è finita suo malgrado sui giornali, nella diceria dell'oltretomba, per uno scatto che la ritrae con gli occhi socchiusi, in posa da viva e, appunto, da sveglia. Fenomeno surreale, impregnato di mistero solo letterario, essendo Rosalia morta e conservata sugli scaffali del tempo, da quando il destino la rapì che era piccola e suo padre col cuore spezzato la affidò alle cure di un noto imbalsamatore, affinché la morte somigliasse alla vita.
Povera Rosalia, passata nell'istante di un respiro alla giovinezza immutabile, all'eternità di ciò che non può crescere più.

Poveri noi che abbiamo provato un sussulto, una scossa elettrica, mediati da coriaceo stupore difensivo, nell'apprendere che la bambina dei Cappuccini si era risvegliata. Un segno del cielo pareva. Un modo per dire: alzati, Palermo, non dormire più.
La storia si è spenta come una fiammella. E' rimasta soffocata nei fondali dell'anima irrazionale. Era, ovviamente, un'illusione ottica. Una metafora inutilizzabile. Siamo ripiombati nel sonnambulismo, nel vizio che scambiamo per virtù, nel nostro consueto dormire a occhi spalancati, nel sonno dinamico che ci consente di scavalcare macerie e corpi, mettendo a tacere i conati dell'indignazione. E' la sopravvivenza al minimo sindacale garantita ai palermitani: dormire, per non vedere. Non guardare, per non soffrire. Procedere con gli occhi serrati, per non immaginare di meglio. Non hanno luce i nostri occhi, né la cercano. Sono puntini neri dipinti sulla corteccia di burattini che siamo diventati, noi, imbalsamati, disperati e soddisfatti. Palermitani, morti e contenti. In piena (in)coscienza. E non c'è contraddizione.

La morte civile della città sonnambula non è un modo di dire, è uno stato di catatonia individuale e generale. Chiunque, in qualunque parte del mondo segnata a dito sulla cartina geografica, aprirebbe gli occhi per cominciare un percorso di rinnovamento, per demolire il brutto, sottraendosi all'alibi della lamentazione, proprio perché il brutto non ci dà più scampo, invade le case, dai marciapiedi. Né è più sufficiente lo scudo dell'insigne intellettuale che proclamò: "Io non sto a Palermo. Io sto a casa mia". Non siamo fatti per la fatica, per i mattoni sollevati a spalla, per la luminosità di una cittadinanza rinascimentale. Ci vuole un condottiero-capro espiatorio a cui affidarsi, sapendo che per fortuna fallirà, uno che regali perline colorate, mentre si prepara il gran finale in cui sta scritto che siamo immutabili. A sipario chiuso, si leverà un ronf ronf di sollievo, dalla platea di dormienti. Conviviamo con l'orrore e con la felicità del disastro. Il sonnambulismo è una disgrazia, ma è pure l'antidoto contro pericolosi sintomi di  una vivacità che ci obblighi a fare i conti nel modo giusto. Hai visto mai che si cambi rotta sul serio, che secoli di autocannibalismo siano sostituiti dalla misura di una buona amministrazione, in grado di pensare rivoluzioni sensate, non rivolte senza capo né coda?

La politica cittadina è funzionale alla proclamazione del naufragio, a confermare Palermo come luogo della decadenza: è questa la sicurezza che pretendiamo, nello spazio del cuore nascosto, sotto il cuore di superficie che mente a se stesso, lì, nel posto della vergogna. Dove non c'è una città, non ci sono cittadini, né doveri, né obblighi. Non ci sono neanche i diritti. Ci sono i furbi che si giustificano con lo stato di necessità. E' una categoria generosa, quella dei furbi. Si accettano le iscrizioni di tutti, soprattutto degli ex duri e puri.

Da condottiero a condottiero, da fante a fante, da sottogoverno a sottogoverno, Palermo non cambia. Si compiace della sua sporcizia, del suo caos, della sua degradazione. Possono cambiare parole, promesse e trucchi. Può cambiare l'abilità del prestigiatore pro tempore sulla scena. Ma Palermo non cambia. E' una catacomba gigantesca, senza un filo d'aria. I morti viventi che la abitano non hanno l'istinto di socchiudere mezza palpebra. I cammini si confondono nelle ripetizioni, nell'eco di altri cammini egualmente destinati alla sconfitta e alla sua rassegnata accettazione. La reiterazione obbligata della speranza ha il pallore di un trapasso. Il suono di sottofondo che invita alla lotta, alla battaglia per la legalità, alla sacra crociata, appartiene alla ruggine di un registratore rotto. Non è soltanto la politica, l'inutile e retorica politica, la mano che stringe il cappio.
La favola di una palingenesi impossibile si celebra perché garantita dall'indifferenza delle orecchie che ascoltano la musica, noncuranti del senso. La puntura di spillo della coscienza dura un attimo. Prestiamo fede alle bugie, ai santissimi salvatori, ai ciarlatani, ai miracoli subito smentiti, alla piccola Rosalia, alla suora che - altro gossip dell'oltretomba - appare al Capo, non si sa se per impartire benedizioni o anatemi dall'alto di un campanile. Perfino  la Grande Rosalia, nel senso della Santuzza, ha abdicato e non ci protegge più dalla peste.

La morte civile, compiuta, di Palermo è narrata dalla cronaca abitudinaria, dalle intercettazioni delle operazioni che conducono in galera file chilometriche di mafiosi, con un'abbondanza da fare invidia al prefetto Mori. Eppure, neanche la decimazione del mafioso antropologico provoca l'ingresso di aria fresca nella cripta. Per uno scarafaggio schiacciato ce ne sono altri dieci, partoriti dal fango e dall'immondizia.

Il sonnambulismo è spiegato benissimo dal contesto omertoso dell'omicidio di Daniele Discrede, il commerciante assassinato davanti alla sua bambina. Sangue ingoiato e digerito. Non un comitato spontaneo, non un cenno di rabbia, non un moto cittadino di protesta e di richiesta di verità. Un corteo con la gente del quartiere, poi basta. La morte violenta, corollario della morte civile, torna a rivestire panni privati. Un affare della famiglia, di quelli presi in mezzo, degli amici e dei conoscenti. Ci pensino loro a percorrere la strada oscura nella cripta verso un filo di spiegazione, nell'intreccio dei perché. Non avranno nessuno accanto, stati di Facebook esclusi. Non ci sarà alcun piede in transito, accanto ai piedi delle vittime ingiustamente offese in viaggio verso l'ignoto.

Ma non c'è bisogno di citare episodi eclatanti. Questa città cade a pezzi, per quanto si volga lo sguardo altrove. E' defunta nella sua quotidianità. Sporca. Priva di servizi elementari. Intasata. Spogliata del più flebile anelito di riscatto. Preda di personaggi che dettano legge nei vicoli, corroborati da protervia e arroganza, senza che alcuno osi frapporsi tra la violenza e il raggiungimento di un risultato abusivo. Gli esempi di scuola abbondano. Provate a gironzolare con la macchina, un martedì a caso, in viale Francia, zona di palazzoni borghesi. Provateci e scoprirete che non si può passare. C'è il mercatino a invadere la carreggiata. I residenti non escono. I forestieri non entrano. E ci sono i vigili. E c'è un assessore. E c'è un sindaco. E c'è la legalità. Viale Francia, nei suoi martedì, subisce un provvedimento di custodia cautelare. Lo stesso accade nei mercoledì di viale Campania, nei giorni qualsiasi di una capitale rubata a se stessa. In ogni paesello italiano scoppierebbe un'insurrezione, per sottrazione di suolo pubblico. Da noi no. Accettiamo il fa(t)to. Chiniamo la testa. Siamo sonnambuli. Dormiamo. Palermo sonnecchia in custodia cautelare, con le manette ai polsi, tra i negozi con le saracinesche calate e un plumbeo annuncio di tracollo.

E che raccontare di nuovo di Mondello, simbolo dei simboli, al culmine della stagione estiva? La cittadella che costeggia il mare sarebbe un forziere di bellezza, dappertutto, non qui. La martoriata Mondello è assediata dall'incuria, dalla munnizza. Il mare si conserva intatto, con una magia che non sappiamo amare abbastanza, fino ai primi giorni di luglio e per tutto settembre. Nel resto della stagione assume una tonalità inquietante, un colorito ambiguo, da sedimentazione delle urine. Vengono convocati esperti al capezzale dell'acqua marcia. Variabilmente sentenziano, ma ciò ha poca importanza. E' invece importante che il palermitano si senta rassicurato nel suo calvario estivo, che ricominci a tuffarsi, senza il disagio di onde stranamente pulite. E' importante che le spiagge, ridotte a campo di sterminio della bellezza, diano il consueto colpo d'occhio desolante. E' importante sapere di essere a casa, a Palermo, la città sporca e invivibile, dove basta dormire o vagare da sonnambuli per adattarsi. Il sonnambulismo è l'arte che si impara per campare, guai a metterla da parte.

Nel frattempo, i condottieri pro tempore sperimentano. Chiudono pezzi di viabilità in odio alle cavie della macchina, millantando l'esistenza di invisibili mezzi comunali a disposizione. Chiudono il parco della Favorita, infliggendo agli automobilisti una pena aggiuntiva, per garantire una corsia pedonale popolata da cani, zecche e radi ciclisti. Tutto viene contrabbandato come una svolta epocale, una gemma di educazione, un diadema di civiltà. E' proprio quello che ci voleva: infedele panormosauro sei, se non lo capisci da te. La neo-lingua della finzione tramite comunicato autorizza ogni paradosso. L'ordalia termina con un gioioso comunicatone finale in cui appunto si comunica che - certo, ma chi l'avrebbe mai pensato - c'è stata qualche criticità. Dunque si rimanda la soluzione del problema, scontentando i ciclomani che avevano fatto la bocca alla Favorita sgombra e i volantomani che non hanno mai capito l'origine di tale, gratuita sofferenza. Era un esperimento, siatene orgogliosi. In calce al comunicato non c'è traccia di un sommesso "scusate". Gli esperimenti costano. E, modestamente, non latitano, a condizione che siano almeno sufficientemente inutili, se non proprio meravigliosamente dannosi.

In calce alla devastazione, nel cuore nascosto della cripta di Palermo, nessuno apre gli occhi. Nessuno ha uno sguardo che non sia sonnambulo. Nessuno si affaccia oltre le grate della prigione per respirare un po'. Dormi tranquilla il sonno dei bambini per sempre. Dormi e non svegliarti, piccola Rosalia.

mercoledì 28 novembre 2012

Taranto, tromba d’aria sull’Ilva (video). Almeno 38 feriti, si cerca un disperso. - Francesco Casula


Taranto, tromba d’aria sull’Ilva (video). Almeno 38 feriti, si cerca un disperso


Il sindaco: "Si parla di tre vittime, ma non ci sono certezze". Poi si corregge: "Ufficialmente nessun morto". Sei bambini di un asilo all'ospedale. Una gru è finita in mare, sommozzatori al lavoro per individuare il lavoratore che stava manovrando in cabina.

Una violenta ondata di maltempo si è abbattuta su Taranto e una tromba d’aria ha causato il crollo del camino delle batterie 1 e 2 dello stabilimento Ilva, nel reparto cokerie, ma anche il crollo in mare di una gru. “Si parla di tre vittime – dice il sindaco Ippazio Stefano – ma non abbiamo certezze” salvo poi correggersi: “Al momento non ci sono notizie ufficiali di vittime”. I feriti, in ogni caso, sono almeno una quarantina (38 secondo la Protezione civile), mentre i sommozzatori sono al lavoro per cercare un disperso: si tratta del manovratore del mezzo meccanico che si trovava sulla banchina dell’acciaieria. Sul posto ambulanze, mezzi dei vigili del fuoco, carabinieri e polizia. Nel pomeriggio, ai microfoni di Tgcom24 è intervenuto anche il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante che ha spiegato: “I danni sono ingenti ma quello che più preoccupa sono le persone. Ci sono stati diversi feriti – ha aggiunto Ferrante – alcuni ricoverati in ospedali altri curati nell’infermeria interna. Ci preoccupa la situazione del ragazzo disperso e le condizioni del mare non consentono di intervenire. E’ una persona addetta al porto che lavorava sulla gru”.
La situazione è tornata ora alla normalità, ma si stanno cercando le persone che mancano all’appello (dentro e fuori dallo stabilimento) e si stanno calcolando i gravi danni che hanno subito le strutture dello stabilimento. Nella cittadina di Statte, a ridosso dell’Ilva, il maltempo ha investito una scuola: nove bambini sono rimasti feriti in modo lieve e sono ora nell’ospedale Moscati di Taranto dove vengono medicati. In tutto negli ospedali, compresi i bambini, dovrebbero esserci, secondo l’assessore regionale Fabiano Amati, 38 persone e nessuno è in pericolo di vita. Ad uno dei nove bambini feriti è stato diagnosticato un trauma cranico ed è stato sottoposto alla Tac. Tre persone politraumatizzate sono ricoverate in condizioni ‘critiche’ all’ospedale Santissima Annunziata di Taranto: due provengono da Statte, una da Crispiano. Altri due (operai dell’Ilva e dell’Enel) sono ricoverati a Martina Franca. Quattro operai dell’acciaieria sono stati condotti nello stesso ospedale per cure ed accertamenti, altri 20 sono stati medicati nell’infermeria del siderurgico. 
Vicino al camino spezzato si sono viste anche levarsi fiamme, forse prodotte dal fulmine che ha colpito la ciminiera. Molte lamiere sollevate da impianti Ilva hanno bloccato le strade adiacenti. I gasometri all’interno della fabbrica sono stati messi in sicurezza. All’esterno del siderurgico si sono notati gruppi di lavoratori che hanno abbandonato lo stabilimento. ”Non si segnalano vittime e la situazione è tornata sotto controllo” confermano fonti della questura. (La diretta di TeleNorba
Ilva, danni e feriti –  La tromba d’aria avrebbe provocato l’incendio dei gas di scarico di alcuni degli impianti, secondo quanto riferito dai vigili del fuoco. Da qui anche un possibile rischio di esplosioni. I pezzi di cemento caduti dalle ciminiere, infatti, si sarebbero riversati su due tralicci dell’alta tensione. E’ rimasta bloccata anche la linea ferroviaria Bari-Taranto e i passeggeri di un treno sono in attesa di trasbordo su autobus per raggiungere Taranto. I feriti provocati dalla tromba d’aria, in tutta la città, sarebbero una ventina, altre persone sono disperse. ”Stavo guidando un camion vicino alle batterie 7-12 – racconta un lavoratore rimasto illeso - All’improvviso ho visto un tornado, volare tutto e fumo. Non riuscivo a vedere più niente. Mi sono fermato e sono fuggito”.
Secondo l’azienda al momento sono 20 i feriti lievi in infermeria dello stabilimento, mentre due feriti sono stati portati in ospedale dal molo. L’azienda, si precisa ancora nella nota, ha messo in atto tutte le procedure di emergenza generale, gli impianti sono presidiati, in azienda sono presenti i comandanti dei vigili del fuoco provinciale e regionale. Non c’è stato alcun incendio. Le fiamme visibili dall’esterno – si precisa ancora nella nota – sono relative agli sfoghi di sicurezza provocati dalle candele di sicurezza degli impianti. Tutta l’area ghisa è sotto controllo, l’azienda ha subito gravi danni strutturali ancora da quantificare – si sottolinea ancora nella nota dell’Ilva – non c’è stata evacuazione, sono stati messi in circolo tutti i bus aziendali per raccogliere il personale non addetto alla gestione dell’emergenza generale e accompagnarlo alle portinerie e ai punti di incontro dell’azienda.
A quanto riferisce all’Adnkronos Mimmo Panarelli, responsabile territoriale dei metalmeccanici della Fim Cisl, sarebbe caduta in acqua una delle gru situate sopra uno dei pontili che affacciano sul mare e che si trovano all’interno dello stabilimento. Quattro persone sono rimaste ferite: sono due operai che erano sulla struttura finita in pezzi, ed altri due che invece si trovavano nell’area sottostante. Tuttavia “potrebbero esserci tre dispersi” per le conseguenze determinate nell’area portuale. “Intanto quasi tutti i lavoratori hanno lasciato lo stabilimento per lo spavento. Molti se ne sono andati. Non si può continuare a lavorare senza sicurezza”, spiega. La tromba d’aria “ha determinato lo sprigionarsi di fiamme altissime alte 50 o 60 metri” aggiunge Panarelli. Per questo è stato deciso il blocco di due estrattori che alimentano la rete del gas. “I lavoratori, preoccupati per le conseguenze, sono quindi usciti dalla fabbrica e ora i tecnici stanno effettuando dei controlli”, aggiunge. Secondo quanto riferisce Panarelli anche nel vicino comune di State la tromba d’aria ha causato danni ai tetti delle case che sono state scoperchiate.
Video di Luigi Piepoli
A causa del forte vento, nell’area portuale adibita al carico e scarico del materiale del siderurgico, sono crollati anche alcuni caricatori. La violenza della tromba d’aria è evidente anche dalle auto ribaltate sulle statali 106 e 100, che portano a Reggio Calabria e Bari. Sulla strada Taranto-Statte alcune auto si sono rovesciate. Lamiere e detriti hanno travolto un bus privato in transito davanti all’Ilva al passaggio della tromba d’aria che ha colpito la città. I vetri del mezzo sono andati in frantumi e l’autista è rimasto ferito. Sono stati abbattuti muretti, alberi e guard-rail. Ingenti i danni anche a una stazione di rifornimento carburanti.
In attesa di conferme sulle condizioni dei feriti,  è stata intanto ritrovata la gru presso la quale lavorava l’operaio dell’Ilva che al momento viene dato per disperso. Il mezzo è caduto in mare nei pressi del quarto sporgente del porto industriale. Era sotto venti metri, piena di fango.