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martedì 5 marzo 2019

Aids, l'annuncio degli scienziati: "Cancellate le tracce del virus in un paziente sieropositivo".

Aids, l'annuncio degli scienziati: "Cancellate le tracce del virus in un paziente sieropositivo"

E' il secondo caso al mondo. La cura nel Regno Unito grazie a un trapianto da un donatore con una rara mutazione genetica che resiste all'infezione da Hiv. I medici: "Ma è ancora presto per dire che è guarito".

Un uomo sieropositivo in Gran Bretagna è diventato il secondo adulto conosciuto in tutto il mondo ad essere liberato dal virus dell'Aids dopo aver ricevuto un trapianto di midollo osseo da un donatore resistente all'Hiv. Quasi tre anni dopo aver ricevuto cellule staminali di midollo osseo - da un donatore con una rara mutazione genetica che resiste all'infezione da Hiv, e più di 18 mesi dopo aver eliminato i farmaci antiretrovirali - i test effettuati non mostrano ancora alcuna traccia della precedente infezione da Hiv. I risultati della ricerca sono stati pubblicati oggi su Nature.

"Non c'è nessun virus che possiamo rilevare", ha detto Ravindra Gupta, professore e biologo dell'Hiv che ha diretto un team di medici che curano l'uomo. I medici hanno assicurato che un giorno la scienza sarà in grado di porre fine all'Aids, ma oggi non si può ancora affermare che sia stata trovata una cura per l'Hiv.


Gupta ha descritto il suo paziente come "funzionalmente curato" e "in remissione", ma ha ammonito: "È troppo presto per dire che è guarito". L'uomo viene chiamato "il paziente di Londra", in parte perché il suo caso è simile al primo caso conosciuto di una cura funzionale dell'HIV - in un uomo americano, Timothy Brown, che divenne noto come il paziente di Berlino quando subì un simile trattamento in Germania nel 2007.

Brown, che viveva a Berlino, da allora si è trasferito negli Stati Uniti e, secondo i medici, non ha più presentato segni di contagio. Gupta, ora all'Università di Cambridge, ha curato la paziente di Londra quando lavorava all'University College di Londra. L'uomo aveva contratto l'Hiv nel 2003, ha detto Gupta, e nel 2012 è stato diagnosticato anche un tipo di tumore del sangue chiamato Linfoma di Hodgkin. Nel 2016, quando il cancro non lasciava più speranze, i medici hanno deciso di cercare un donatore per il trapianto. "E' stata la sua ultima possibilità di sopravvivenza", ha detto Gupta a Reuters. Il donatore - che non era correlato - aveva una mutazione genetica nota come "CCR5 delta 32", che conferisce resistenza all'Hiv. Il trapianto è andato relativamente liscio, ha detto Gupta, ma ci sono stati alcuni effetti collaterali.


La maggior parte degli esperti afferma che è inconcepibile che tali trattamenti possano essere un modo per curare tutti i pazienti. La procedura è costosa, complessa e rischiosa.I donatori della corrispondenza esatta dovrebbero essere trovati nella piccolissima percentuale di persone - la maggior parte discendenti dell'Europa settentrionale - che hanno la mutazione CCR5 che le rende resistenti al virus.

https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2019/03/05/news/aids_l_annuncio_degli_scianziati_americani_guarito_paziente_malato_-220746702/

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https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2018/12/01/news/aids_al_via_sperimentazione_in_3_continenti_del_primo_vaccino_terapeutico_per_i_bambini-213133857/

https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2019/02/13/news/aids_vaccino-terapia_italiano_riduce_virus_inattacabile-219017000/

venerdì 3 ottobre 2014

In Congo l'origine dell'Aids, ricostruita grazie a genoma

AIDS conference

Torna malattia in bimbo che sembrava guarito.


E' scoccata in Congo, negli anni Venti del secolo scorso, la prima scintilla della pandemia di Hiv: da lì è divampato il violento 'incendio' che finora ha causato più di 75 milioni di contagi in tutto il mondo. Un flagello che nessun farmaco sembra ancora in grado di debellare: proprio in Italia si è registrato il secondo caso al mondo di guarigione 'apparente' in un bambino che, dopo essersi liberato del virus per tre anni grazie alle terapie, è tornato ad essere nuovamente sieropositivo.

''L'infezione da Hiv non è ad oggi da considerarsi guaribile'', spiega amaramente Mario Clerici, l'immunologo dell'Università di Milano e della Fondazione Don Gnocchi che con il suo gruppo di ricerca pubblica sulla rivista The Lancet il caso del bambino curato senza successo all'Ospedale Sacco di Milano. ''Malgrado i farmaci a nostra disposizione possano diminuire la morbilità e la mortalità - aggiunge - al momento non sono in grado di eliminare veramente il virus. La ricerca di una cura deve continuare''. Lo sforzo della comunità scientifica dunque continua, e si arricchisce anche grazie alla ricerca condotta da un altro gruppo di esperti, coordinati dall'università belga di Lovanio, che hanno puntato dritto alla 'culla' africana in cui la pandemia ebbe origine quasi un secolo fa.
Per localizzarla nello spazio e nel tempo, i ricercatori hanno analizzato varie sequenze del genoma del virus Hiv-1 appartenente al gruppo M (il più diffuso), incrociando queste informazioni con dati epidemiologici e geografici. Il loro studio, pubblicato su Science, dimostra che il contagio globale è partito negli anni Venti da Kinshasa, l'attuale capitale della Repubblica democratica del Congo: il rapido sviluppo della città africana, trasformata in quel tempo in un crocevia di viaggiatori e commerci, avrebbe scatenato la 'tempesta perfetta' alla base della diffusione del virus. ''I dati genetici ci dicono che tra gli anni '30 e '50 il virus si è diffuso rapidamente nel Congo grazie alle persone che viaggiavano lungo le linee ferroviarie e le vie d'acqua per raggiungere Mbuji-Mayi e Lubumbashi nel sud e Kisangani nel nord'', spiega il coordinatore dello studio Nuno Faria. ''Questo ha permesso la formazione di focolai secondari in centri ben collegati con gli altri Paesi africani del sud e dell'est. Pensiamo che con i cambiamenti sociali avvenuti negli anni '60 con l'indipendenza - conclude - il virus abbia iniziato a infettare una popolazione sempre maggiore''.

martedì 22 luglio 2014

Aids, il “vaccino” italiano scomparso. E l’investimento pubblico finisce ai privati. - Duccio Facchini

Aids, il “vaccino” italiano scomparso. E l’investimento pubblico finisce ai privati

Negli anni Novanta la grande promessa sulla sconfitta della malattia del secolo. Dopo 49 milioni di euro stanziati dallo Stato, resta solo un farmaco terapeutico ancora da sperimentare. Ma l'Istituto superiore della sanità "regala" il brevetto alla società privata guidata da chi ha condotto la ricerca: Barbara Ensoli. Poi ci ripensa. E lei reagisce male: "Si è cagato sotto".
Vaccino anti-Aids: l’Italia è prima”, “Aids, la nuova speranza del vaccino made in Italy”. Così l’informazione italiana fece eco a quella che dal 1998 è stata presentata come la ricetta del secolo: un vaccino tutto italiano contro l’Aids, fiore all’occhiello della ricerca da sostenere con uno stanziamento di 49 milioni di euro pubblici (tra ministero della Salute e dicastero degli Esteri). Del resto si era dinanzi a una “grande e autentica missione”, come ebbe a dire nel 2005 la ricercatrice che da almeno trent’anni è considerata all’interno dell’Istituto superiore di Sanità (ISS) la depositaria della svolta: Barbara Ensoli (nella foto), direttore del Centro nazionale Aids. Il punto però è che a 16 anni di distanza il “vero” vaccino, cioè quello preventivo, non si vede, mentre i gli unici risultati raggiunti con sforzi pubblici per la componente terapeutica -di fatto, un nuovo farmaco- rischiano di finire (sotto forma di brevetti) nelle mani di una piccola società chiamata Vaxxit, posseduta per oltre il 60% proprio da Ensoli. 


Che la sorte del vaccino preventivo fosse segnata l’aveva già predetto nel 1995 la comunità scientifica internazionale. Robert Gallo -virologo statunitense che nel 1983 contese a Luc Montagnier la scoperta del virus Hiv – diede conto degli effetti assolutamente modesti del “pezzo forte” della ricetta di Barbara Ensoli: la proteina Tat. Tra chi più si è speso per il vaccino c’è Gianni Letta, che il primo dicembre 2010 va al Tg1 per esprimenre parole di “gratitudine” all’indirizzo del team della ricercatrice. Il sostegno dei vertici dell’Iss -l’allora presidente è Enrico Garaci – è totale.
Ma la “parola di donna” spesa da Ensoli nel 2008 su l’Unità traballa. I risultati pubblicati ad aprile 2014 sulla tabella sullo “stato dell’arte delle sperimentazioni” messa a disposizione dall’Istituto superiore di Sanità sono magri. Il “vaccino terapeutico” (un ossimoro, secondo lo stesso Gallo) è entrato nella seconda fase di sperimentazione su 200 “partecipanti” in Sudafrica ed è attualmente “in corso”, mentre quello preventivo – ripartito dalla prima fase nel settembre 2011 e testato su 11 persone – è stato sospeso il 24 marzo 2014.
Il cammino del vaccino preventivo, dunque, si è di nuovo inceppato. La componente “terapeutica”, invece, ha imboccato la strada che parte dall’Istituto superiore della Sanità e porta a una società dal capitale sociale di 10mila euro costituita nel luglio del 2012: la Vaxxit Srl. Ed è la società cui, a seguito della richiesta della dottoressa Ensoli, è stato attribuito il brevetto del TatImmuneTM – la componente vaccinale in uso nella sperimentazione per il vaccino terapeutico-. Fino alla metà del marzo di quest’anno il 70% delle quote della società fa capo alla dottoressa Barbara Ensoli, cui si affianca, con il restante 30%, la 3 I Consulting Srl, amministrata da Giovan Battista Cozzone. Quest’ultimo è un esperto di brevetti che dal maggio del 2009 ha ricoperto l’incarico quadriennale di consulente dell’ISS in materia di “trasferimento tecnologico” (per un importo complessivo dichiarato di 393mila euro).
All’inizio del marzo di quest’anno il cda dell’Istituto superiore di sanità presieduto prima del commissariamento da Fabrizio Oleari (subentrato nel 2013 ad Enrico Garaci) dà il via libera, concedendo una “opzione di licenza esclusiva (della durata di 18 mesi) per l’utilizzo dei suddetti brevetti”: e cioè i brevetti Tat di proprietà (pubblica) dell’Iss. La decisione è assunta “all’unanimità”, e il ministero della Salute, ora guidato da Beatrice Lorenzin, tace. Del “vaccino preventivo” nessuna traccia ma il settore pubblico – l’Iss, il contribuente – posticipa addirittura ogni “negoziazione dei relativi accordi economici”.
La costituzione della Vaxxit è definita “coerente” con il disciplinare che regola gli spin-off dell’Istituto e il duo Ensoli-Cozzone inizia a cercare capitali (40 milioni di euro) sul mercato. E per farlo chiama nella compagine di Vaxxit otto nuovi soci. C’è il fratello di Ensoli, Fabrizio, l’ex marito e – tra gli altri – il più grande fondo di fondi canadese (Teralys capital) e una multinazionale del credito con domicilio nello Stato Usa a fiscalità agevolata del Delaware (la Ferghana Securities Inc).
A maggio, però, il mensile Altreconomia dà conto dell’operazione allora ancora sotto traccia e un’interrogazione parlamentare di Emilia De Biasi (Pd), presidente della commissione Igiene e sanità del Senato, rompe il giocattolo. Il 10 giugno l’ISS è costretto a un passo indietro, ritrovandosi a dover dichiarare “non idonea” la delibera del 4 marzo con la quale aveva giudicatola costituzione della società Vaxxit  ”coerente” con il disciplinare dello spin off. Tocca ripartire da capo.
La retromarcia dell’ISS è mal digerita da Barbara Ensoli, che giunge a “diffidare” formalmente quell’ente che l’ha sempre sostenuta, definendolo ai primi di luglio un coacervo di “dinosauri” che al primo inciampo si è “cagato sotto”. “Sono l’anticristo”, aggiunge nel corso di una conferenza organizzata il 10 luglio a Bologna da Associazione Plus onlus, e “ho anche paura fisica”.
A chi le contesta l’ossimoro “vaccino terapeutico” il capo del Centro nazionale Aids ribatte nel 2014 con un “discorso filosofico” giudicato “sconvolgente” da Vittorio Agnoletto, medico, ricercatore, già fondatore e presidente della Lega italiana per lotta contro l’Aids (Lila) nonché autore del libro inchiesta “Aids, lo scandalo del vaccino italiano” (Feltrinelli 2012). “Si chiama preventivo perché va nel soggetto sano, si chiama terapeutico perché va nel soggetto già infettato -ha detto Ensoli-. Mica deve essere un prodotto vaccinale differente”. Quel che conta, secondo la ricercatrice, è il “concetto patogenetico”, indipendentemente dal fatto che il soggetto ricevente sia sano o infettato. “Dov’è la differenza?”. Semplice: avere un vaccino o non averlo del tutto. Un po’ come aver potuto contare su 30 milioni di euro circa di sostegno (e sforzo) pubblico o meno.

sabato 1 dicembre 2012

Aids, 34 milioni di contagiati, il 10% sono under 15. Il vaccino ancora una chimera. - Davide Patitucci


Aids Bambini

Una malattia che è ormai divenuta cronica, ma non per questo meno insidiosa. Oggi è la Giornata mondiale contro l’Aids. Sul vaccino pareri contrastanti. Il professor Fernando Aiuti: "Impossibile stabilire una data" ma Guido Silvestri, direttore della divisione di Microbiologia e immunologia ad Atlanta è più ottimista: "Credo che ci vorranno 15-20 anni".

Più di 34 milioni di contagiati nel mondo, di cui la metà donne e 3,3 milioni bambini di età inferiore ai 15 anni. Meno di un quarto, circa 8 milioni, ha accesso ai farmaci salvavita. Superiore a 2 milioni il numero di decessi nel 2010 e di poco inferiore ai 17 miliardi di dollari la cifra investita solo lo scorso anno nelle nazioni più povere, le più colpite. Sono alcuni numeri della guerra dei trent’anni contro l’Aids, messi nero su bianco dal Rapporto 2012 sull’epidemia pubblicato dall’Unaids, il Programma dell’Onu per coordinare l’azione globale contro l’Aids.
Una malattia che è ormai divenuta cronica, ma non per questo meno insidiosa. Secondo le stime della XIX Conferenza internazionale sulla lotta all’Aids, che si è svolta a Washington lo scorso luglio, ogni anno 2,5 milioni di nuovi contagiati, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, si aggiungono alla folla di malati che attende da tempo un vaccino. A lungo ricercato, tra periodici annunci – l’ultimo, di alcune settimane fa, sulle pagine di “Nature”, relativo a un preparato messo a punto dal Ministero della salute thailandese e dall’esercito Usa, che ha mostrato un’efficacia del 31 per cento in test su 16 mila individui – e successive smentite. In occasione della Giornata mondiale contro l’Aids che si celebra ogni anno l’1 dicembre, abbiamo chiesto di fare il punto sulla ricerca e le speranze di una cura a due esperti che studiano da anni l’infezione da HivFernando Aiuti, professore emerito di Allergologia e Immunologia clinica all’Università La Sapienza di Roma e Guido Silvestri, direttore della divisione di Microbiologia e immunologia allo Yerkes National Primate Research Center, della Emory University di Atlanta.
Qual è lo stato della ricerca sull’Aids? Come sono cambiate le strategie di contrasto in questi anni?
Aiuti – Negli ultimi 15 anni sono stati scoperti nuovi farmaci antivirali che hanno assicurato una qualità di vita migliore rispetto al passato e sono riusciti a garantire la remissione clinica della malattia per molti anni. Oggi la ricerca continua nello sviluppo di nuovi farmaci meno tossici e più efficaci nel contrastare il virus, bloccandone i complessi meccanismi di replicazione o intervenendo nel chiuderne le porte di entrata preferite nelle cellule del sistema immunitario. Un altro filone di ricerca è volto all’eradicazione dell’infezione in persone malate usando vari farmaci antivirali associati a sostanze immunostimolanti, inclusi alcuni prototipi di vaccini cosiddetti terapeutici. In passato le strategie, ad esempio nelle donne, erano dirette a evitare il concepimento o l’allattamento, oggi si è riusciti con i farmaci a ridurre quasi a zero la trasmissione materno-fetale e materno-neonatale dell’infezione. L’informazione, la prevenzione, l’incentivazione dell’uso del profilattico e il counselling con invito al test Hiv hanno contribuito, insieme ai farmaci, a ridurre l’incidenza delle nuove infezioni nel mondo.
Silvestri – È la storia del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Ma siccome io sono un ottimista nato, direi un po’ più pieno che vuoto. Sicuramente sono stati fatti grandi progressi nella terapia e nella comprensione dei meccanismi molecolari e cellulari con cui il virus causa la malattia. Purtroppo, però, non abbiamo ancora né un vaccino veramente efficace, né un metodo per guarire l’infezione.
A cosa è dovuta la riduzione della mortalità dell’epidemia?
Aiuti - Alla diagnosi precoce e ai nuovi farmaci antivirali che devono essere assunti in modo continuo. Le strategie della terapia intermittente sono fallite. Oggi il pericolo è rappresentato da alcune complicanze causate dall’uso continuo dei farmaci antivirali (infarti cardiaci, aterosclerosi, patologie ai reni e fegato, lipodistrofia) e dall’insorgenza di alcuni tumori a volte correlati con il grado di immunodeficienza.
Silvestri – Principalmente alla disponibilità di molti farmaci antivirali che bloccano la replicazione dell’Hiv in modo pressoché completo. Di conseguenza l’infezione, che fino al 1995-1996 era quasi sempre mortale, è diventata una malattia cronica con cui si può convivere per molti anni.
Quando potrà essere disponibile un vaccino contro l’Hiv?
Aiuti – Non è possibile al momento stabilire una data. Potrei rispondere che un vaccino contro l’Hiv esiste già, è l’unico che ha superato la fase III ed ha mostrato una protezione in volontari sani del 31 per cento. Si tratta del vaccino testato in circa 16000 persone in Thailandia, RV144 – ALVAC (associa il vettore ALVAC alla proteina del virus Hiv-l gp120). La maggior parte dei ricercatori ritiene, tuttavia, che questo livello di protezione sia insufficiente per utilizzare questo prodotto su larga scala. Anzi, secondo me, potrebbe essere persino dannoso perché le persone vaccinate potrebbero sentirsi falsamente rassicurate dall’immunizzazione. Un vaccino deve fornire una protezione superiore all’80 per cento per poter essere utilizzato su larga scala. La ricerca va avanti e i vaccini più interessanti ora pervenuti alle fasi II e III (finalizzate a valutarne l’efficacia terapeutica nell’uomo) sembrano quelli a base di plasmidi (piccole molecole di dna circolare) contenenti Dna virale o la combinazione di almeno tre subunità del virus Hiv (Gag, Env, Nef). Il problema è che in questa infezione non si conoscono i correlati della protezione, cioè quali siano i fattori immunologici in grado d’impedire l’infezione.
Silvestri – Io non sono particolarmente fiducioso, credo che ci vorranno almeno altri 15-20 anni. Ma certamente spero di sbagliarmi.  
Cosa pensa dei periodici annunci di una cura? Crede possano far abbassare la guardia in termini di prevenzione?
Aiuti – Negli ultimi anni non mi sembra che ci siano stati annunci di possibilità di guarigione dalla malattia, ma solo di sua cronicizzazione. Credo che i giovani a causa della mancanza di campagne d’informazione non sappiano più nulla di questa patologia e non si proteggano a sufficienza. L’epidemia è stabile ma ogni anno in Italia ci sono 4000 nuove infezioni e solo a Roma circa 700. Una delle poche campagne nelle scuole è quella in corso proprio a Roma, ad opera del Comune e di 12 associazioni. Dai questionari proposti risulta una notevole disinformazione, addirittura solo il 20 per cento dei giovani usa il preservativo regolarmente nei rapporti sessuali, mentre, secondo un sondaggio dell’Anlaids il 22 per cento ritiene addirittura che sia già stato scoperto il vaccino contro l’Aids.
Silvestri – In generale non è mai una buona idea fare annunci “clamorosi” di cure o vaccini per l’Aids, perché questi provocano entusiasmi ingiustificati, seguiti inevitabilmente da grosse delusioni. Purtroppo a volte anche noi scienziati cadiamo nella tentazione dei “15 minuti di celebrità” ed è veramente un peccato che sia così.
Quali sono le aspettative del “vaccino Tat” dell’Istituto superiore di sanità (Iss)?
Aiuti – Il vaccino Tat ha avuto una storia travagliata e lunga, la prima sperimentazione nelle scimmie risale al 1999, la fase I nell’uomo (per testare la tolleranza dell’organismo) è terminata tra molte polemiche nel 2005 a causa di una prematura interruzione della sperimentazione e di variazioni al protocollo criticate dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Se facciamo riferimento al vaccino preventivo Tat, cioè quello da utilizzare in persone sane, non mi risulta che abbia mai superato la fase I. Per quanto riguarda, invece, il vaccino Tat a uso terapeutico, in persone cioè già infette, la fase II in Italia è iniziata in circa 130 persone nell’agosto del 2008 e dopo quattro anni è stata pubblicata solo un’analisi ad interim a metà dello studio con dati per me incerti e non dimostrativi dell’efficacia terapeutica. In questa sperimentazione, eseguita in malati in terapia antivirale, risulta difficile separare gli effetti positivi del vaccino Tat da quelli indotti dai farmaci, anche perché i controlli non erano in contemporanea e in cieco (quando medico e paziente – doppio cieco – o solo quest’ultimo non conoscono la natura del farmaco testato), ma selezionati dai centri su base storica.
Silvestri – I dati iniziali sulle scimmie che sembravano promettenti non sono stati confermati e quelli sull’uomo mi sembrano finora poco convincenti. Concettualmente mi preoccupa il fatto che Tat sia una proteina in grado di assorbire mutazioni genetiche senza perdere funzioni, una qualità che la rende poco praticabile come target per un vaccino.
A quanto ammontano i costi di questa sperimentazione e quali sono i risultati già raggiunti?
Aiuti – Non conosco esattamente i finanziamenti impiegati per il vaccino Tat, ma in genere per una fase I sono necessari dai 3 ai 5 milioni di euro, per una fase II ne occorrono almeno 30 – 50, e ciò varia in base al numero delle persone arruolate, mentre per una eventuale fase III in volontari sani si stima almeno che ci vorrebbero dai 300 ai 500 milioni di euro, una cifra che solo le industrie farmaceutiche sono in grado d’investire. Quindi, dopo 13 anni dall’inizio della sperimentazione nelle scimmie del vaccino Tat dell’Iss non abbiamo ancora un vaccino preventivo, né un vaccino terapeutico e non mi risulta che le industrie farmaceutiche finora siano interessate alla sua eventuale produzione.
Silvestri – Sui costi non posso pronunciarmi perché non conosco i numeri esatti. Sui risultati ho alcuni dubbi.  
È possibile sconfiggere l’Aids con un unico vaccino come per il vaiolo o la polio, oppure occorre un approccio diversificato come per l’influenza?
Aiuti – Purtroppo il modello di queste malattie sopra citate, come quello di morbillo, varicella, tetano o dell’influenza, non è efficace. Infatti, nell’infezione naturale da Hiv, pur formandosi anticorpi, questi non sono in grado di neutralizzare il virus e di eliminarlo dall’organismo, cioè non esiste un’immunità adottiva efficace. Ci sono alcune persone che non s’infettano nonostante l’esposizione, ma questo dipende da una caratteristica di ereditarietà genetica e non ambientale e ci sono altre persone, poche, che se s’infettano sopravvivono al virus, hanno una buona immunità e non si ammalano di Aids. Si stanno studiando queste persone per capire i meccanismi di difesa immune anti-Hiv e per cercare di sfruttarli ai fini di un vaccino. Tra questi sembrano avere importanza gli anticorpi diretti verso le regioni interne più conservate del virus, sulle quali si sta puntando per trovare un vaccino efficace.
Silvestri - Credo che la strada più promettente per generare un vaccino contro l’Aids sia quella percorsa da vari gruppi negli Usa, basata sullo sviluppo di prodotti (immunogeni) che stimolano la produzione di anticorpi capaci di neutralizzare il virus. Questi anticorpi esistono in natura (anche se vengono prodotti solo da una minoranza di pazienti) e, se presenti prima dell’infezione, proteggono in maniera molto efficace nel modello delle scimmie. La difficoltà sta nell’educare il sistema immunitario a produrre anticorpi con un vaccino. Questo è un problema biologico molto complesso. Però i recenti progressi nella conoscenza della struttura e funzione di questi anticorpi mi rendono cautamente ottimista.
La via del vaccino è risolutiva o esistono altre strade potenzialmente più efficaci?
Aiuti - Come per tutte le malattie infettive controllate o sconfitte, la strada del vaccino sarebbe quella vincente. Ma, fino a quando non ci sarà un vaccino efficace, è meglio puntare sulla terapia delle persone con infezione (chi prende i farmaci infetta poco le persone dopo i rapporti sessuali) e sulla informazione e prevenzione, cercando di cambiare i comportamenti a rischio e la sudditanza delle donne nei confronti dell’uomo nei rapporti sessuali.
Silvestri – Credo che la prevenzione dell’Hiv debba esplorare non solo il vaccino, ma anche interventi di tipo “microbicida”, e naturalmente continuare a fare prevenzione di tipo comportamentale (educazione, uso del preservativo, siringhe monouso, ecc).
Perché le scimmie infettate da un parente stretto dell’Hiv non si ammalano? È possibile replicare il fenomeno nell’uomo e sfruttarlo a scopo terapeutico?
Aiuti – Questo avviene solo per alcune specie di scimmie, mentre altre si ammalano e la differenza è rappresentata sia dal sistema immunitario più resistente che dalla minore virulenza del virus. Questo è vero anche per l’uomo. Infatti, il ceppo virale Hiv-2, diffuso solo in alcune regioni dell’Africa equatoriale occidentale è molto meno patogeno del virus Hiv-1.
Silvestri – Le scimmie africane infettate con Siv, una famiglia di virus molto simili all’Hiv, non si ammalano per due motivi collegati tra loro. Il primo è che il virus infetta prevalentemente dei sottogruppi delle cellule CD4 (il bersaglio dell’Hiv) che possono essere più facilmente rimpiazzati dal sistema immunitario, per cui l’organismo non ha necessità di aggredire il virus. Il secondo è che le scimmie africane hanno sviluppato dei meccanismi per evitare la cronica attivazione del sistema immunitario, che segue alla infezione da Hiv negli uomini e contribuisce alla progressione verso l’Aids. In pratica, è come se avessero trovato il modo di deviare il virus verso cellule poco importanti del sistema immunitario.
Qual è il segreto della strategia terapeutica adottata su Timothy Brown, considerato unico malato guarito dall’Aids? È riproducibile su altri pazienti ?
Aiuti – In realtà, non è proprio così. La guarigione clinica e l’assenza del virus nel sangue periferico o nel midollo non sono sufficienti a sostenere che la persona sia guarita, perché il virus potrebbe trovarsi in altri tessuti. Nel caso di questo paziente alcuni medici statunitensi hanno rilevato tracce di virus nell’intestino. Timothy Brown è stato trapiantato a Berlino con cellule di donatore con un sistema immunitario particolare, che rende queste cellule scarsamente infettabili dal virus Hiv per una mutazione al recettore del CCR5, una delle porte d’ingresso del virus. Ci sono, inoltre, altri due importanti fattori che rendono eccezionale l’evento e difficile la sua riproposizione: i donatori con queste caratteristiche immunologiche nella popolazione sono meno dell’1 per cento e in più c’è il grave rischio di usare il trapianto di midollo osseo tra persone non consanguinee e non compatibili, con il pericolo di rigetto o morte in oltre 2/3 dei casi.
Silvestri – Ci sono almeno due segreti. Avere fatto una terapia cosiddetta mielo-ablativa, che ha distrutto tutte o quasi le cellule latentemente infettate da Hiv, ed aver ricostruito il midollo con cellule provenienti da un donatore che aveva una rara variante genetica del recettore per Hiv (una molecola chiamata CCR5), che causa resistenza alla infezione. La riproducibilità di questo approccio è purtroppo molto limitata, visti i rischi connessi alla mieloablazione (che nel caso di Timothy Brown è stata fatta per trattare una leucemia) e la scarsità di donatori con questa variante speciale del gene CCR5. 
Qual è lo stato della ricerca e della prevenzione in Italia?
Aiuti – Dopo un grande successo iniziale tra gli anni 90 e fino al 2005, quando l’Italia era tra le prime sei nazioni al mondo per pubblicazioni internazionali e per varie attività scientifiche, ora il nostro contributo è molto diminuito. Sia per lo sviluppo della ricerca scientifica in altri paesi come quelli appartenenti ai BRICS o del Sud est asiatico, sia per la diminuzione degli investimenti pubblici su questo settore negli ultimi anni, a causa della crisi.
Silvestri – Direi molto buono per la ricerca clinica, con area di eccellenza nel settore dello studio delle resistenze ai farmaci antivirali e dei meccanismi per cui certi pazienti rispondono meglio (o peggio) di altri alla terapia antiretrovirale. Mi sembra, invece, che la ricerca di base soffra, sia per la cronica mancanza di fondi, che per una serie di difficoltà “logistiche” nel far crescere una nuova generazione di ricercatori italiani che siano competitivi a livello internazionale.