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giovedì 14 aprile 2016

Siamo ancora più piccoli nel nuovo albero della vita. - Eleonora Degano

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L’albero della vita come ci appare oggi, inclusa la diversità degli organismi di cui non abbiamo che il genoma. Da Nature Microbiology

L'albero ha guadagnato rami per oltre 1000 nuovi tipi di batteri e archei scoperti negli ultimi 15 anni. Su Nature Microbiology il lavoro degli scienziati di Berkeley.

SCOPERTE – L’albero della vita, che ci mostra le relazioni fondamentali di discendenza tra i diversi gruppi tassonomici di organismi, ha appena cambiato volto. E si è fatto decisamente più complesso, una volta guadagnati i “rami” di oltre 1000 nuovi tipi di batteri e archei scoperti nel corso degli ultimi 15 anni dai ricercatori di Berkeley. “La nuova rappresentazione non tornerà utile solo ai biologi che si occupano di ecologia microbica, ma anche ai biochimici alla ricerca di nuovi geni e ai ricercatori al lavoro sull’evoluzione e sulla storia del pianeta Terra”, commenta Jill Banfield, tra gli autori del nuovo albero appena pubblicato su Nature Microbiology.
Per “leggerlo” funziona sempre allo stesso modo: le estremità dei rami rappresentano la vita sulla Terra oggi, mentre i rami che li collegano al tronco segnalano le relazioni evolutive tra i vari organismi. Un ramo che si divide in due in prossimità delle punte significa che gli organismi hanno un antenato comune recente, mentre uno che si biforca più vicino al tronco implica una divergenza evolutiva che risale a un passato più lontano.
La vera rivoluzione ha avuto inizio quando gli scienziati hanno potuto ricercare il genoma dei batteri direttamente nell’ambiente, senza la necessità di coltivarli in laboratorio: molte specie dipendono in maniera simbiotica – come spazzini o parassiti – da altri batteri o animali, perciò non riescono a sopravvivere da sole. Il nuovo albero della vita e ci dimostra, una volta in più, che gli eucarioti non sono che una minuscola parte della biodiversità, un termine che usiamo sempre più spesso ma senza davvero considerare l’enorme quantità di organismi che abbraccia. Da una seconda visualizzazione per il nuovo albero, in cui gli organismi vengono raggruppati in base alla distanza evolutiva e non sfruttando la tassonomia, emerge che circa un terzo della biodiversità deriva dai batteri, un terzo dai batteri che non siamo in grado di coltivare in laboratorio e meno di un terzo da archei ed eucarioti.
Il gruppo di Banfield ha lavorato in collaborazione con più di dieci colleghi che hanno sequenziato le nuove specie, aggiungendo ai genomi già noti più di un migliaio di altri non ancora pubblicati. Hanno costruito un albero fondato su 16 geni che codificano per proteine nei ribosomi, includendovi più di 3000 organismi, uno per ogni genere di cui abbiamo un genoma del tutto (o quasi del tutto) sequenziato a disposizione. Piante, esseri umani e animali non-umani sembrano molto meno importanti, ora. “È il primo albero a tre domini basato sul genoma a incorporare questi organismi non coltivabili”, conferma Banfield, “e rivela l’enorme portata di queste linee di discendenza ancora poco conosciute”. Perché in effetti di loro non abbiamo che il genoma, che è comunque sufficiente a offrirci una prospettiva nuova sulla storia della vita sul pianeta.
Dove li abbiamo trovati?
Questi batteri non solo rendono ardua la coltura in laboratorio, ma spesso provengono da luoghi che ai nostri occhi appaiono piuttosto inospitali. Sono i cosiddetti organismi estremofili, che vivono in condizioni di temperatura, salinità o pH estremamente bassi (o alti) e vi prosperano. Un esempio sono quelli delle sorgenti termali di Yellowstone, scoperti sempre dai ricercatori di Berkeley, o i batteri delle distese saline nel deserto di Atacama, in Cile, o ancora quelli che se la spassano nei geiser, nel nostro intestino, sotto i rifiuti tossici o all’interno della bocca di animali come i delfini.
A capire per primo l’importanza di una rappresentazione di questo tipo fu Charles Darwin, che nel 1837 provò a immaginarla in un disegno sul suo taccuino per poi crearne una versione più strutturata, comparsa sul suo libro L’Origine delle specie (1859).
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L’albero della vita di Darwin (1859). Wikimedia Commons public domain
La sua intuizione era proprio quella di mostrare come gli animali, le piante e i batteri fossero correlati gli uni agli altri. Gli archei non hanno fatto la loro comparsa fino al 1977, quando fu dimostrato che pur essendo monocellulari come i batteri erano organismi separati, e da allora l’albero non ha fatto che arricchirsi fino a includere le scoperte di genomica e biologia molecolare, che hanno integrato le conoscenze tassonomiche. A oggi nel database dell’Integrated Microbial Genomes del Joint Genome Institute sono compresi 30 437 genomi dei tre domini della vita (Bacteria, Archaea ed Eukarya).
Da quella prima di bozza di Darwin l’albero è cambiato parecchio, come abbiamo visto. A saltare subito all’occhio, in quello nuovo, è un grosso ramo descritto dagli scienziati di Berkeley come “candidate phyla radiation”, scoperto solo di recente e composto unicamente da batteri simbionti. Apparentemente, al suo interno troviamo circa la metà della diversità evolutiva dei batteri a noi nota. “Quest’incredibile diversità significa che esiste un numero a dir poco incredibile di organismi di cui stiamo appena iniziando a conoscere le peculiarità, il che potrebbe cambiare la nostra comprensione della biologia”, dice Brett Baker, co-autore dello studio e oggi ricercatore al Marine Science Institute dell’Università del Texas ad Austin.