Non ha torto Giulio Tremonti quando ironizza sul G20 dello scorso ottobre, che ha partorito poche righe su quella che era già l’esplosiva crisi Mosca-Kiev. E quando dice che “i grandi della Terra sembrano turisti della storia” (La Verità). In questi giorni è tutto un fiorire di analogie con l’aggressione di Putin all’Ucraina paragonata alla occupazione dei Sudeti da parte della Germania di Hitler. Con la non piccola differenza che, allora, più la guerra si avvicinava e più le relazioni tra il capo nazista e le democrazie dell’epoca si azzeravano. Mentre, fino all’altroieri, allo zar Vlad era riservato un posto d’onore al tavolo dei Grandi, accanto a Biden, Macron, Merkel, Johnson, Draghi. Un carissimo nemico con il quale il numero uno di Parigi e quello di Berlino intrattenevano rapporti anche personali. Vero è che al vertice di Roma l’autocrate russo partecipò (come il collega cinese) in videoconferenza: un gelido distacco che, a maggior ragione, avrebbe dovuto mettere in allarme gli altri partecipanti. Apparsi invece più concentrati sulle vacanze romane che sul pericolo di un imminente conflitto nel cuore dell’Europa. Perché mentre la guerra si allarga a dismisura, fino a mettere in preallarme gli apparati atomici, una domanda sorge spontanea. Come è stato possibile che i governi, le diplomazie e le intelligence del fronte occidentale siano rimasti per tutto questo tempo a guardare il fuoco della miccia che rapidamente si avvicinava al detonatore, salvo cercare di spegnerlo quando ormai era troppo tardi? Del resto, che la conquista di Kiev facesse parte dei piani non più rinviabili di Putin lo aveva messo lui stesso nero su bianco, e in tempi sospetti, in un lungo saggio dal titolo Sull’unità storica di russi e ucraini messo in Rete sul sito del Cremlino il 12 luglio 2021 (e che il Domani ha pubblicato ieri). Sono gli stessi argomenti con i quali, nella diretta televisiva di qualche giorno fa, l’autocrate russo ha fornito al mondo la giustificazione ideologica dell’annessione del Donbass, mentre i blindati riscaldavano i motori. Ci sarà tempo (ci auguriamo) per indagare a fondo sull’impreparazione (e/o sottovalutazione) dimostrata dai leader “buoni” mentre il “cattivo” caricava il kalashnikov. Infatti, quel G20 passerà alla storia con essi che lanciano festosamente le monetine nella Fontana di Trevi. Di spalle. Preferivano non guardare.