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martedì 1 marzo 2022

L’impreparazione dei leader buoni contro il “caro” nemico Vladimir. - Antonio Padellaro

 

Non ha torto Giulio Tremonti quando ironizza sul G20 dello scorso ottobre, che ha partorito poche righe su quella che era già l’esplosiva crisi Mosca-Kiev. E quando dice che “i grandi della Terra sembrano turisti della storia” (La Verità). In questi giorni è tutto un fiorire di analogie con l’aggressione di Putin all’Ucraina paragonata alla occupazione dei Sudeti da parte della Germania di Hitler. Con la non piccola differenza che, allora, più la guerra si avvicinava e più le relazioni tra il capo nazista e le democrazie dell’epoca si azzeravano. Mentre, fino all’altroieri, allo zar Vlad era riservato un posto d’onore al tavolo dei Grandi, accanto a Biden, Macron, Merkel, Johnson, Draghi. Un carissimo nemico con il quale il numero uno di Parigi e quello di Berlino intrattenevano rapporti anche personali. Vero è che al vertice di Roma l’autocrate russo partecipò (come il collega cinese) in videoconferenza: un gelido distacco che, a maggior ragione, avrebbe dovuto mettere in allarme gli altri partecipanti. Apparsi invece più concentrati sulle vacanze romane che sul pericolo di un imminente conflitto nel cuore dell’Europa. Perché mentre la guerra si allarga a dismisura, fino a mettere in preallarme gli apparati atomici, una domanda sorge spontanea. Come è stato possibile che i governi, le diplomazie e le intelligence del fronte occidentale siano rimasti per tutto questo tempo a guardare il fuoco della miccia che rapidamente si avvicinava al detonatore, salvo cercare di spegnerlo quando ormai era troppo tardi? Del resto, che la conquista di Kiev facesse parte dei piani non più rinviabili di Putin lo aveva messo lui stesso nero su bianco, e in tempi sospetti, in un lungo saggio dal titolo Sull’unità storica di russi e ucraini messo in Rete sul sito del Cremlino il 12 luglio 2021 (e che il Domani ha pubblicato ieri). Sono gli stessi argomenti con i quali, nella diretta televisiva di qualche giorno fa, l’autocrate russo ha fornito al mondo la giustificazione ideologica dell’annessione del Donbass, mentre i blindati riscaldavano i motori. Ci sarà tempo (ci auguriamo) per indagare a fondo sull’impreparazione (e/o sottovalutazione) dimostrata dai leader “buoni” mentre il “cattivo” caricava il kalashnikov. Infatti, quel G20 passerà alla storia con essi che lanciano festosamente le monetine nella Fontana di Trevi. Di spalle. Preferivano non guardare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/01/limpreparazione-dei-leader-buoni-contro-il-caro-nemico-vladimir/6511131/

sabato 28 gennaio 2017

Ma davvero la Russia di Putin ha deciso di legalizzare la violenza domestica?


russiaduma

Siamo tornati nella guerra fredda? Così sembra osservando la campagna di disinformazione contro la Russia che vediamo su tutti i media occidentali, di destra e di “sinistra”, statali e privati che non fanno altro che copia-incollare le news senza alcuna verifica o approfondimento e anzi banalizzando tutto per mera propaganda.

L’ultima ‘fake news’ è che la tirannica Russia “depenalizza le violenze domestiche”. In pratica “si potranno liberamente picchiare mogli e figli”. E’ ovvio che così non è, ma ormai si è abituati a credere alla propaganda di guerra dell’UE e degli USA contro la Russia che ci si casca senza pensare che le informazioni non sono mai neutrali politicamente.
Nella sua conferenza stampa del 23 dicembre scorso che potete leggere qui il presidente russo Vladimir Putin ha affermato chiaramente: “Non dobbiamo schiaffeggiare i bambini e giustificarlo sulla base di alcune vecchie tradizioni (…)”. Eppure è lui il mostro che promuoverebbe la violenza domestica. In realtà la proposta di revisione della legge che chiede maggiore lassismo circa le punizioni corporali in famiglia non arriva da Putin ma da un gruppo di genitori spalleggiati dalla Chiesa Cristiano-Ortodossa.
In pratica la Duma di Stato, cioè il parlamento russo, aveva votato una legge durissima contro le violenze domestiche: chi in famiglia alzava le mani veniva severamente punito con l’incarcerazione fino a due anni. Il problema è che le pene previste erano superiori a quelle inflitte a chi avrebbe commesso lo stesso reato fuori casa. In alcuni casi un genitore che sgridava suo figlio con uno schiaffo veniva arrestato senza troppi complimenti. Mentre se il bambino veniva schiaffeggiato dal vicino di casa, quest’ultimo se la cavava in pratica solo con una multa.
E’ quindi stato approvato un emendamento – promosso fra l’altro da una deputata donna – che equipara le pene: il marito che picchia sua moglie o il padre che tira una sberla al figlio subirà ora la stessa condanna di chi dà un pugno per strada alla moglie di un altro. Lo stesso varrà per chi maltratta un bambino. La legge russa dice ora che chi picchia una persona per la prima volta senza provocare lesioni dovrà pagare una multa di 30mila rubli e prestare un lavoro forzato di “pubblica utilità” per sei mesi. In caso di recidiva la multa sale a 40mila rubli e oltre ai lavori forzati va preso in considerazione l’arresto per tre mesi. Qualora invece il maltrattamento comporti lesioni alla vittima, il colpevole sarà condannato penalmente. Si può essere d’accordo o meno con questa riforma, certamente però non si tratta di “depenalizzare” alcunché!