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domenica 11 agosto 2019

“In Parlamento dovrai guardarmi in faccia e poi votarmi contro”. - Salvatore Cannavò

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Il giorno dopo - Ecco il racconto di una fine prematura. Conte si prepara a un discorso parlamentare che non risparmierà nulla.

“In Parlamento tu ci dovrai essere, non come hai fatto sulla Russia, mi dovrai passare davanti, guardare in faccia e votare contro”. Quando dice in faccia a Matteo Salvini queste parole, con il suo solito stile pacato, Giuseppe Conte sa che la sfida al leader leghista è lanciata. Che possa trasferirsi in una contesa elettorale è cosa che il presidente del Consiglio non dice a nessuno. Nessuno sa se potrà essere lui il candidato premier del M5S né se sia realizzabile l’idea di una lista civica a suo nome da far correre accanto a una lista 5 Stelle.
Quello che appare chiaro nella ricostruzione dei due incontri che il premier ha avuto con Salvini è l’irresponsabilità spensierata del secondo e il tentativo del primo di farlo ragionare e di evitare in tutti i modi l’epilogo che ora appare segnato.
“Matteo, pensaci bene, non hai consiglieri?”
Gli incontri sono stati due. Il primo, il giorno del voto sulla mozione Tav, avviene di pomeriggio, a Palazzo Chigi. Salvini non parla di rimpasti anche se si lamenta dei vari ministri e Conte lo incalza subito: “Ti avevo già detto dopo le Europee che volendo saremmo potuti andare al voto anche il giorno dopo. Tra l’altro avevi il pretesto degli attacchi ricevuti dal M5S in campagna elettorale. Ma tu hai detto no, perché oggi vuoi le elezioni?”.
Le giustificazioni di Salvini sembrano fragili: parla di “casini interni” del bisogno di una “campagna elettorale per compattare la Lega, sai c’è anche chi vuol farmi fuori, ora non si può più rinviare”.
Conte invita il suo vicepremier a “pensarci bene”. E comunque mette le mani avanti: “Sappi che comunque si va in Parlamento, io sono una persona corretta, non vado in aula a cercare altre maggioranze” e poi, non dismettendo gli abiti del professore, gli fa anche una piccola lezione di diritto parlamentare. “La via maestra è tornare dove ho ricevuto la fiducia, cominciando dal Senato. In passato le crisi si facevano nei corridoi di Palazzo o nelle riunioni riservate delle segreterie dei partiti, io voglio fare tutto alla luce del sole”. E qui lancia la freccia in pieno volto dell’alleato-avversario: “Tu ci dovrai essere, al contrario del dibattito sulla Russia e dovrai spiegare, guardandomi negli occhi, il motivo per cui ritiri la fiducia. Dovrai andare a votare passandomi davanti, guardandomi in faccia e poi votandomi contro”.
Salvini, in un sussurro, dice “va bene” e se ne va. A quel punto Conte inizia a riflettere sul quel che è successo alla ricerca di una spiegazione logica. Salvini ha parlato di problemi interni alla Lega, forse con Giancarlo Giorgetti, forse, soprattutto, con i governatori leghisti, tutti molto preoccupati per l’impossibilità di approvare una legge hard sulle Autonomie.
“C’è chi mi vuole fare fuori, devo farlo”
Ma ha fatto riferimento anche alle proteste dei propri parlamentari contrari al taglio dei seggi che sarà approvato in via definitiva il 9 settembre. E sembra che si accorga solo ora che quella legge costituzionale si porta dietro l’obbligo di ridisegnare i collegi elettorali e anche la necessità di una nuova legge elettorale. In modo tale che prima di sei mesi sarebbe impossibile andare al voto. Tempo che dilata anche lo spazio in cui Salvini rischia di essere esposto a possibili inchieste: quella su Savoini e il Metropol russo, del resto, è ancora lì che pende.
Ma, riflette Conte, nell’ultimo periodo si è visto anche un certo attivismo di quel partito degli affari che lo ha eletto come nuovo idolo: l’intervista dell’ex ad dell’Eni Paolo Scaroni sul Foglio, la prontezza con cui Confindustria si è recata ai vertici sociali del Viminale, l’insistenza a completare le grandi opere inutili, tutti segnali di interessi in cerca di una solida sponda e di insofferenza per gli ostacoli frapposti dal M5S. Infine, tra i motivi che potrebbero aver consigliato la fretta elettorale, anche la sensazione che una campagna elettorale infinita potesse iniziare a stancare. Meglio raccogliere i frutti . “Capitalizzare il consenso” come lo stesso Salvini ha detto al premier.
“Andiamo alle elezioni, facciamo in fretta”
Poi c’è il secondo incontro, giovedì 8 agosto, dopo che Conte torna dal faccia a faccia con Sergio Mattarella. Salvini a questo punto non ha dubbi: “Andiamo alle elezioni, basta, facciamo in fretta”.
Conte risponde ancora con la sua consueta calma: “Scusami, pensi davvero che si vada a votare domani? La finestra elettorale di settembre te la sei giocata, ora i tempi tecnici dicono che si arriva a fine ottobre e, se ti va bene, riuscirai a formare un governo non prima di dicembre. Cioè addio legge di bilancio in tempo per fine anno, cioè esercizio provvisorio”.

Poi l’accusa: “Sei un ingenuo o uno sprovveduto anche perché mica decidi tu la data delle elezioni”. Conte ne approfitta per difendere orgogliosamente l’operato suo e del governo: “Questo non è il governo dei no, lunedì scorso con la fiducia al decreto Sicurezza ne hai avuto la conferma: non ci provare a screditare il lavoro mio e dei miei ministri”.
Il premier cerca di rendere evidente anche il quadro europeo, la figura che farà l’Italia e il nodo del Commissario ancora non indicato per i veti di Salvini: “Guarda che così ti giochi anche quel nome. Se fai cadere il governo avrò le mani libere e finalmente potrò indicare un nome che vada bene all’Italia e non solo alla Lega”.
Conte pensa di poter riuscire ancora a strappare il dicastero della Concorrenza, anche se, per adattare la nomina a un profilo indicato dalla Lega, stava orientandosi a richiedere il Commercio: “Ho un buon rapporto con Ursula Von der Leyen e, dopo il dibattito parlamentare, proporrò un nome di alto profilo e di competenza per cercare di avere la Concorrenza”.
Ma a Salvini sembra non importare, fa spallucce. Si limita a giustificarsi con il premier: “Non pensare che per me non sia difficile, sono due notti che non dormo, non lo so se faccio bene, ma devo farlo”.
“Pensaci molto bene” prova ancora a convincerlo Conte: “La speculazione di agosto è quella più insidiosa, ma non hai economisti che ti consiglino bene? Fatti ragguagliare sulle conseguenze, sull’esercizio provvisorio, sul rischio dell’aumento dell’Iva. E poi, come farai a discutere con la Commissione europea, senza di me, l’ennesima procedura d infrazione? Senza interlocutori quelli ti massacrano e ci va di mezzo l’Italia. Pensaci davvero, stai rischiando di portare il Paese al disastro”.
Salvini uscendo da palazzo Chigi sembra perplesso, fa finta di prendere tempo: “D’accordo, faccio ancora qualche telefonata”. Ma pochi minuti dopo viene diramata la nota della Lega che chiede le elezioni e in serata il vicepremier lancia le sparate sul governo dei no e del non fare e sui parlamentari che devono tornare di corsa dalle vacanze, a lavorare come “fanno milioni di italiani”.
“Lui se ne sta in spiaggia, noi qui lavoriamo”
Conte a quel punto perde il suo aplomb e inizia a preparare il discorso che farà la sera: “Proprio lui che se ne sta in spiaggia da giorni tratta gli altri come degli ‘scioperati’? Io non sto in spiaggia, sto qui a lavorare”. Il discorso che farà in Parlamento inizia a delinearsi. Lo metterà a punto nel week-end, quando cercherà di staccare un po’. Dovrebbe pronunciarlo nella settimana successiva a Ferragosto, nonostante gli evidenti tentativi di Salvini di accelerare i tempi.
Quanto al futuro, per ora Conte non fa trapelare nulla. È preoccupato anche lui, come il Quirinale, del fatto che Salvini possa gestire la campagna elettorale da ministro dell’Interno. Del resto, il leghista, anche durante la campagna europea non ha dato prova di affidabilità, con i viaggi elettorali su voli di Stato col pretesto di incontri nelle prefetture. Conte pensa che occorrerà sorvegliare anche questo aspetto.
Quanto al proprio futuro politico le cose sono ancora molto incerte. Il premier è rimasto colpito dalle manifestazioni di solidarietà e affetto ricevute via social dopo il suo discorso dell’altra sera e si è anche accorto che sulla bacheca di Salvini, invece, fioccano gli insulti. Non ha ancora idee su cosa fare del proprio futuro politico. È grato ai 5 Stelle, ma non è un uomo del Movimento, ci tiene a ribadire la propria terzietà.
Se potrà capeggiare, da candidato premier, una lista del M5S oppure, come si dice da più parti, essere il leader di una lista civica, è questione che al momento non viene considerata. Conte ripete ai suoi di essere una figura terza, istituzionale, non adatta a campagne elettorali di parte. E di adorare il lavoro di avvocato.

Ma, spesso, la forza delle cose, e dei consensi, finisce col prevalere sulle migliori intenzioni. Si vedrà. La sfida con Salvini è già nelle cose. Quella non potrà essere evitata.

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giovedì 4 aprile 2019

Risarcimento danni a Formigoni, l’aula boccia la mozione M5S. Schiaffo ai lombardi da Lega, Forza Italia e PD.

Risarcimento danni a Formigoni, l’aula boccia la mozione M5S. Schiaffo ai lombardi da Lega, Forza Italia e PD

Il Consiglio regionale della Lombardia ha bocciato una mozione del M5S Lombardia che avrebbe impegnato la regione a chiedere i danni in sede civile all’ex Presidente Roberto Formigoni.
Luigi Piccirillo, consigliere regionale del M5S Lombardia dichiara: “Questo voto è uno schiaffo agli italiani e ai lombardi onesti. In Consiglio regionale la casta ha mostrato il suo vero volto e ha difeso un ex presidente condannato in via definitiva rifiutandosi di chiedere i danni in sede civile.
Chi ha difeso e continua a difendere Formigoni è complice di un sistema che per vent’anni ha danneggiato i lombardi.
Non c’è nessuna dignità nel corrompere e nel togliere risorse pubbliche ai cittadini e alla sanità. Un amministratore che si macchia di gravissimi reati contro la pubblica amministrazione non merita elogi, difese d’ufficio o manifestazioni di rimpianto.
Ci attendevamo che la nostra richiesta di danni fosse approvata all’unanimità, al contrario i partiti hanno espresso nostalgia per Formigoni piagnucolando sui bei tempi andati dell’eccellenza lombarda. Non esiste eccellenza dove c’è corruzione. Non c’è politica dove si intascano i soldi pubblici. Non c’è onestà nell’incapacità di prendere le distanze dall’amministrazione Formigoni che ha trascinato nel fango la nostra regione.
La Lombardia ha funzionato nonostante i Formigoni e i partiti che l’hanno amministrata che hanno perso l’ennesima occasione per fare gli interessi dei lombardi e cioè quello per cui sono stati votati”.