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venerdì 5 febbraio 2021

Conte: “Il governo sia politico”. E si candida a leader giallorosa. - Luca De Carolis

 

L’ultima, classica scena dell’era Conte potrebbe essere l’inizio della nuova fase. A Mario Draghi per fare un governo servivano i Cinque Stelle dubbiosi e lacerati, e glieli porta in dote l’unico che poteva riuscirci, Beppe Grillo, sentito via telefono. Poi però c’è Giuseppe Conte, che dopo essersi sentito proprio con Grillo all’ora di pranzo parla davanti a palazzo Chigi, circondato da giornalisti assembrati, per dire che “serve un nuovo governo, politico”. E si rivolge innanzitutto “agli amici dei 5Stelle, a cui dico che ci sono e sarò sempre”. Perché sarà ancora in politica, magari anche come leader del M5S. Di certo come mastice e futuribile candidato premier giallorosa.

E infatti: “Agli amici Pd e di Leu dico che dobbiamo lavorare tutti insieme perché l’alleanza per lo sviluppo sostenibile che abbiamo iniziato a costruire è un progetto forte e concreto”. Da qui vuole ripartire Conte, dal patto anche con quei dem che in queste ore gli avevano chiesto in tutti i modi il sostegno al governo che verrà. Da quella coalizione che Matteo Renzi voleva disfare, con lo strappo che è già costato l’incarico all’avvocato. Così eccolo, il presidente uscente, che quasi lo giura: “Ho sempre lavorato perché si possa formare un nuovo governo. Mi descrivono come un ostacolo, evidentemente non mi conoscono o parlano in mala fede. I sabotatori cerchiamoli altrove”.

Non poteva essere lui a mettersi di mezzo. Ma il suo riferimento al governo politico, “che prenda decisioni politiche”, imperniato su ministri e punti di programma concordati con i partiti, non è proprio ciò che appare, un via libera. Fonti qualificate raccontano che quel riferimento sia anche e forse soprattutto un modo per sottolineare che questo esecutivo dovrà avere precise caratteristiche. Cioè si potrà fare solo concordando i temi con le forze politiche, “e finora nelle consultazioni di temi Draghi non sta parlando” assicurano le stesse fonti. Tradotto, Conte non fa muro. Ma ieri non voleva spingere le vele di Draghi. Piuttosto, rivendicare le ragioni e i temi dei giallorosa. Lo ha fatto dopo aver incontrato Draghi, mercoledì, e dopo aver (ri)sentito Grillo, convintosi ad appoggiare il nuovo esecutivo dopo una telefonata con l’economista romano. Un incastro a tre che cambia l’inerzia dentro il Movimento. Fino a mercoledì notte, in maggioranza per il no, secco. Ma già nell’ennesima assemblea del M5S, all’una della notte tra mercoledì e giovedì, il reggente Vito Crimi aveva di fatto aperto a Draghi. Un segnale che aveva colpito molto i parlamentari collegati via Zoom. Anche in questo caso per nulla casuale, visto che Crimi aveva parlato dopo aver ricevuto apposita telefonata di Grillo. Ieri, attorno alle 12.30, il segno dell’aria che tira lo dà una nota dell’ex capo ma leader di fatto, Luigi Di Maio: “Oggi si aprono le consultazioni di Mario Draghi e il Movimento ha il diritto di partecipare, ascoltare e assumere poi una posizione sulla base di quello che decideranno i parlamentari”. Tradotto, bisogna sedersi a quel tavolo, trattare.

Poco dopo, sul Foglio.it, la sindaca di Roma Virginia Raggi: “Il M5S apra a Draghi”. Quindi Conte, con microfoni su un tavolino in mezzo alla piazza e il portavoce Rocco Casalino che esorta le telecamere a inquadrare il Parlamento. Comunque vada i 5Stelle qualche eletto lo perderanno. Soprattutto in Senato, pieno di veterani che si sono esposti contro l’economista. “Chi crede che si possa creare un vero governo politico è cieco” ringhia Alberto Airola. Per ricucire si muovono due big, Paola Taverna e l’ex capogruppo Stefano Patuanelli. Ma lì fuori c’è sempre Alessandro Di Battista, contrarissimo a Draghi.

Mercoledì sera aveva capito la piega degli eventi, e si era appellato pubblicamente ai suoi: “Non cedete alle pressioni”. Ieri l’ex deputato si è incollato al telefono, chiamando molti maggiorenti. Ma l’inversione di marcia pare difficile. E comunque poi si torna sempre a Conte. “Nel suo intervento si è rivolto innanzitutto a noi, è la conferma che vuole essere il nostro leader” dicono in diversi.

Ma proprio per questo ora dal M5S risale forte la richiesta che l’avvocato entri ufficialmente nel Movimento, che si iscriva. “Giuseppe c’è, resta con noi” sillaba con soddisfazione dentro la Camera Federico D’Incà. Buon per loro.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/05/conte-il-governo-sia-politico-e-si-candida-a-leader-giallorosa/6091003/

giovedì 14 gennaio 2021

La crisi sulla stampa internazionale. “Renzi sinonimo di slealtà”. “Un uomo disperato, più il partito affonda più lotta per avere attenzione”. “Mette a rischio l’opportunità data dai fondi europei”.

 

Gli osservatori stranieri scrivono che nessuno capisce le motivazioni dell'ex premier. Per l'agenzia Reuters "Renzi completa la trasformazione da riformatore a distruttore". Der Spiegel: "Duello quasi tragico: da una parte Conte, il premier più popolare da 25 anni, dall'altra Renzi, uno dei politici più impopolari". Guardian e Ft rispolverano la definizione di "Demolition Man" riservatagli dall'Economist quando uscì dal Pd. Le Figaro mette in evidenza l'ambiguità degli annunci di mercoledì. Handelsblatt sottolinea che il "ricatto" sul Recovery plan "ha dato frutti, ma questo non gli è bastato".

Il Financial Times e il Guardian rispolverano la definizione di “Demolition Man“, riservata a Matteo Renzi dall’Economist nel settembre 2019, quando lasciò il Pd per fondare Italia viva. Il quotidiano della City sottolinea che la mossa potrebbe “facilmente ritorcersi contro di lui”. Ma, quel che più conta, la crisi italiana “minaccia di ostacolare il Recovery plan di Bruxelles”. Per l’agenzia Reuters “Renzi completa la trasformazione da riformatore a distruttore” e il suo nome è ormai “quasi sinonimo di slealtà e spietate manovre politiche”. mentre El Pais annota che l’Italia deve ora “trovare la formula per un probabile terzo governo di questa legislatura nel mezzo di una pandemia, proprio quando si decide il destino di quasi 230 miliardi di euro che arriveranno dall’Unione Europea per uscire dalla crisi e il Paese deve presiedere il G-20“.

Sulla stampa internazionale la reazione nettamente prevalente davanti alla crisi di governo innescata dal leader di Italia viva è lo sconcerto, lo stesso che emergeva già nei giorni scorsi davanti alle minacce renziane nel bel mezzo di una pandemia globale e di una grave recessione. Anche perché nessuno capisce le motivazioni dell’ex premier: l’unica spiegazione, secondo il Ft, è che Renzi abbia “messo sottosopra Roma” nel tentativo di “rafforzare il potere di interdizione del suo piccolo partito e la sua stessa immagine personale” . La manovra “largamente impopolare” di Renzi arriva “nel momento peggiore possibile per l’Italia” e “lascia gli osservatori perplessi riguardo alle motivazioni”, spiega il Guardian, ricordando che “la sua popolarità è crollata da quando ha dovuto dimettersi da premier dopo il fallito referendum del 2016. Italia viva nei sondaggi ha meno del 3% dei voti“.

Der Spiegel: “Disperato, il più impopolare lotta contro il premier più popolare” – E Der Spiegelil più influente e venduto settimanale tedesco, sul proprio sito prova a fare una diagnosi partendo proprio dai consensi in caduta libera: “Sembra la battaglia di un uomo disperato. E un duello quasi tragico: da una parte Conte, il premier più popolare da 25 anni, dall’altra Renzi, uno dei politici più impopolari. Più il suo partito affonda, più lui lotta per avere attenzione“. Quasi tutti i giornali stranieri tornano più volte sul punto della evidente impopolarità di Renzi accentuata dalla conferenza stampa di mercoledì sera: nella corrispondenza per Reuters Gavin Jones annota che se “un tempo entusiasmava italiani e osservatori stranieri con le sue promesse di riforme“, oggi “è tra le figure più impopolari del Paese” e “in un sondaggio Ipsos martedì il 73% degli elettori ha dichiarato che vuole perseguire i propri interessi” personali.

“Mette a rischio la storica opportunità di riformare il Paese” – “Difficile da individuare”, ribadisce Jones, “la ragione” per cui l’ex premier ha “gettato l’Italia nel caos politico nel mezzo di una nuova emergenza coronavirus”. L’altro refrain è appunto quello delle motivazioni di fondo per nulla chiare. Il quotidiano economico tedesco Handelsblatt sottolinea che il “ricatto” sul Recovery plan “ha dato frutti”, perché l’ultima versione “contiene molte delle richieste di modifica di Renzi, ma questo non è bastato al suo partito”. Frank Hornig, che scrive da Roma per lo Spiegel, si chiede esplicitamente “perché Renzi stia mettendo a rischio” la “storica opportunità di riformare il Paese” con i 200 miliardi di euro del Recovery fund. “Perché il fan di Machiavelli rompe la coalizione rischiando di andare all’opposizione e portare al potere il populista di destra Matteo Salvini?“.

Figaro: “Rifiuta di assumersi la responsabilità della crisi” – Se El Pais dà conto del fatto che “il presidente della Repubblica è molto deluso“, Le Figaro mette in evidenza l’ambiguità degli annunci di mercoledì: “Chi si assumerà la responsabilità della caduta del governo italiano in un momento in cui l’Italia sta attraversando una crisi senza precedenti?”. Conte, scrive Valérie Segond da Roma, dopo l’incontro con Sergio Mattarella “ha abbassato i toni: “Sono fiducioso che si troverà un accordo, il governo può andare avanti solo con il sostegno di tutte le forze della maggioranza”. Mano tesa che Renzi non ha voluto afferrare”. Ma al tempo stesso “promettendo che voterà tutte le decisioni importanti delle prossime settimane, rifiuta di assumersi la responsabilità di questa crisi e si assicura che rimane aperto a un governo sostenuto dalla stessa maggioranza…con un altro presidente del Consiglio”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/14/la-crisi-sulla-stampa-internazionale-renzi-sinonimo-di-slealta-un-uomo-disperato-piu-il-partito-affonda-piu-lotta-per-avere-attenzione-aveva-il-potere-di-distruggere-e-non-ha-resistito/6065140/

mercoledì 3 giugno 2020

Il politico Toti e la dissimulazione. - Antonio Padellaro

Toti fra due sedie: le mosse sbagliate, Liguria allo sbando, e ...
Mettiamo che nel corso della campagna elettorale del prossimo autunno, quella per essere rieletto alla presidenza della Regione Liguria, Giovanni Toti se ne esca pubblicamente con queste parole: “Cari elettori, sappiate che non mi comporterò mai come un ipocrita a proposito di ciò che io intendo debba essere la politica. Infatti per fare le rivoluzioni bisogna saper fare compromessi, e per fare il bene talvolta saper coltivare anche il male. È la politica. Sennò è testimonianza, uno fa il prete o il volontario!”.
Tendiamo a escludere che Toti possa pronunciare mai questa frase in un comizio o in tv. Eppure il concetto sul rapporto tra rivoluzioni e i compromessi, e sul male che genera il bene gli appartiene tutto. È contenuto negli sms che Elisa Serafini ha trascritto nel libro Fuori dal Comune, dopo che si è dimessa nel luglio 2018 da assessore alla Cultura e al marketing del Comune di Genova in seguito alle pressioni ricevute per finanziare una mostra raccomandata dal centrodestra. Del caso (di cui si è scritto sul FQ di sabato scorso e attualmente oggetto di un’indagine della Procura di Genova) a noi interessano un aspetto e un interrogativo. Se cioè la politica possa convivere con la verità (e viceversa); e se l’uso della finzione, e dunque dell’ipocrisia e della dissimulazione, sia uno strumento irrinunciabile nella comunicazione di potere.
È nelle cose che la politica sia l’arte dei buoni compromessi (sulla rivoluzione ci andrei più cauto). Tutt’altro discorso, ovviamente, chiedere a un assessore di compromettersi a prezzo di una “marchetta per la Lega” (Serafini). Sarei cauto inoltre sul concetto di “saper coltivare il male per fare il bene”: poiché non è un caso frequentissimo e comunque succede soprattutto al cinema. Altra cosa, tuttavia è innaffiare e concimare “marchette” aspettandosi di raccogliere rose profumate. Se (per pura ipotesi) Toti volesse trarsi d’impaccio per quegli sms imbarazzanti potrebbe ricorrere al solito Machiavelli del fine giustifica i mezzi. Ci sta ma perché non dichiararlo apertamente invece di continuare a prendere per il naso la gente straparlando di un mondo che non c’è?
Lo spunto, ovviamente, è il caso denunciato da Elisa Serafini ma il problema riguarda la credibilità complessiva di chi fa politica che, come sappiamo, è vicina allo zero e certo non da oggi (il solito Voltaire: “La politica è il mezzo con cui uomini senza principi dirigono uomini senza memoria”). Un crollo accentuato dalla perdita di senso delle parole. E dalla concatenazione di complicità con cui si cerca di tappare la bocca a chi non vuole più stare al gioco. Racconta Serafini che il sindaco di Genova, Marco Bucci gli disse “che era consapevole che l’erogazione del fondo non fosse legittima, che era una porcata”; e “che se non facciamo questa cosa saltiamo tutti, Elisa”. E se una la porcata proprio non vuole farla si può fare leva sul sentimento di gratitudine tradita: “Ti sembra etico morale e coscienzioso fare quel gesto senza una telefonata dopo che ti abbiamo imposto in giunta?”, scrive Toti in un affranto messaggino. Delusione che può essere anche comprensibile per chi ragiona secondo lo spirito di uno di quei potenti clan che fanno e disfano carriere (ok ma per favore non si parli più di valori della politica o balle simili).
Quanto ai “preti” e ai “volontari”, astenersi perditempo. Ieri, La Verità ha pubblicato una lunga intervista al presidente della Liguria. Titolo: “Stiamo attenti alle spinte neo centraliste”. Zeppa sicuramente di elevati principi, ma ho capito che non parlava di Elisa Serafini.