Mai come di questi tempi abbiamo bisogno di affidarci all’ottimismo della volontà. Perché i segnali che costringono la nostra ragione al più cupo pessimismo sono ormai troppi. La discussione sull’elezione del Presidente della Repubblica non fa eccezione.
Se dovessimo fare un esempio volutamente eretico, la discussione sembra limitarsi esclusivamente alla disputa sui nomi, come se si trattasse di calciomercato. Tempo sprecato a discutere sui nomi, senza pensare davvero a cosa questi nomi possano significare, se essi rappresentino un’idea intorno alla quale uno Stato si può riconoscere nella sua unitarietà, come suggerisce la nostra Costituzione. Il loro “valore politico” è del tutto sganciato da questa funzione rappresentativa, dipende dal cinismo della conta dei voti, nient’altro. La surreale candidatura di Silvio Berlusconi dimostra paradigmaticamente questo sganciamento quasi schizofrenico tra il valore politico, a cui un nome dovrebbe riferirsi, e la sua quotazione mercantile.
A questa deriva vorremmo reagire, appunto, con l’ottimismo della volontà. Cioè con un discorso altro, in cui depuriamo anche le nostre parole da una deriva che appare ormai irreversibile e che noi, per il solo fatto che proviamo a parlare altrimenti, non riconosciamo affatto come irreversibile.
Abbiamo chiesto ad alcuni amici di donarci delle parole che siano già una sorta di ricusazione politica del linguaggio prevalente. C’è qualcuno che ancora prova a parlare dell’elezione del Presidente della Repubblica in forma più nobile e più corrispondente a quell’“entusiasmo civile” trasmesso dall’art. 87 della nostra Costituzione: il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.
Ma con questo ‘gioco’ proviamo anche a suggerire qualcosa che può essere utile nei tempi a venire, che non saranno meno difficili per la nostra ragione già così sofferente di pessimismo. Gramsci non basta più. Non possiamo accontentarci dell’ottimismo della volontà. A esso dobbiamo sapere affiancare qualcosa che ci consenta di recuperare una qualche forma di immaginazione politica. Perché la volontà non basta, se non siamo più in grado di immaginare una scena differente da quella che prevale. Se non riconosciamo nella Costituzione qualcosa cui guardare non soltanto con nostalgia – come fosse un segnaposto di un mondo che abbiamo conosciuto e abbiamo visto sparire – ma anche con speranza, come fosse un mondo per cui resistere e di cui continuare a parlare, semplicemente perché continuiamo a immaginarlo.
Ecco, se uniamo l’ottimismo della volontà al coraggio dell’immaginazione possiamo usare l’occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica per guardare oltre. Per custodire quel legame pubblico che la Costituzione suggella e che il Presidente della Repubblica incarna. È questo il gioco, e non è solo retorico. La democrazia si fa e si disfa col farsi e disfarsi dei discorsi pubblici. Non vogliamo cedere al ricatto della disperazione ma osare volere e osare immaginare.
A questo servono le parole: a ricordare a una politica incapace di assolvere al suo compito che quel compito è insostituibile.
*Presidente di Libertà e Giustizia.
http://www.libertaegiustizia.it/2022/01/18/chi-salira-al-colleil-presidente-che-vorrei/