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domenica 30 gennaio 2022

Il Sabato delle Salme. - Marco Travaglio

 

Se ci fosse il bicchiere, potremmo dire che è mezzo pieno, perché ci siamo risparmiati tutti i peggiori al Quirinale. Ma non è rimasto più nulla, neppure il bicchiere. Non è la “sconfitta della politica” (come cianciano i presunti nemici dell’“antipolitica”), perché alcuni politici hanno provato fino all’ultimo a darci una degna presidente della Repubblica. È la sconfitta degli italiani per mano degli altri politici che han fatto di tutto per impedirlo e, non avendo la forza di realizzare le loro cattive intenzioni, si contentano di bruciare le poche buone e buttare la palla in tribuna imbalsamando il Mattarella bis. Che ora tutti i lanciatori di cappelli spacciano per un proprio successo personale: peccato che non lo volesse nessuno (neppure l’interessato), tranne i gruppi parlamentari 5Stelle (per salvare le poltrone) e il pd Orfini.

Mattarella (bis). Aveva ripetuto in tutte le salse di ritenere la rielezione una sgrammaticatura istituzionale, e lo è (per giunta con un tecnico al governo e un politico nell’unico posto dove non dovrebbe stare: la Consulta). Più sgrammaticato del bis ci sarebbe solo una presidenza a tempo in stile Napolitano per scaldare la poltrona a Draghi: speriamo che almeno quella ce la risparmi.

Draghi. Forte (si fa per dire) dell’appoggio del potere finanziario-editoriale e dei suoi camerieri Letta sr. e jr., Di Maio, Giorgetti&C. (più Salvini, ma solo nei giorni pari), il premier ha provato con ogni mezzo a farsi incoronare presidente di una Repubblica presidenziale, travolgendo regole, prassi e buona creanza, a costo di spappolare la sua maggioranza e i relativi partiti e di esporre il governo e l’Italia alla tempesta. Ma non ce l’ha fatta: i primi sconfitti sono lui e i suoi trombettieri. Se la Casellati non avesse fatto peggio, la sua sarebbe la carica istituzionale più delegittimata. La ubris, nella tragedia greca e nella commedia politica, è un peccato mortale.

Conte. Oltre a B., non voleva Draghi né gli invotabili Amato, Casini, Cartabia, Casellati, Cassese&C.: e li ha sventati, dando sponda al no di Salvini sul premier (nei giorni dispari). Come piano B, non gli dispiaceva il Mattarella bis invocato a gran voce dai gruppi M5S: e l’ha avuto. Il suo piano A erano tre nomi di livello e non di parte: Riccardi, Belloni e Severino. Ma giocava con due handicap: non poter votare nessuno dei candidati altrui e dover trattare col coltello di Di Maio conficcato nella schiena. Venerdì sera poteva fare strike dopo il vertice con Letta e Salvini, concordi sulla rosa che includeva la Belloni: l’unica candidata che non aveva veti da nessuno, anzi godeva da giorni dei consensi di tutto il centrosinistra e della Meloni, cui si era aggrappato in corsa pure Salvini dopo lo sfracello Casellati.

Un compromesso “alto” e innovativo, gradito anche a Draghi ormai rassegnato a restare premier. Poi non la “crisi della politica”, ma alcuni politici con nome e cognome – Letta, Di Maio, Tajani e Renzi – l’hanno sabotata e affossata per puri interessi di bottega. Gli elettori se ne ricorderanno, si spera.

Salvini. Da quando qualcuno gli ha parlato del kingmaker senza spiegargli cosa sia, è rientrato in modalità Papeete senza mai azzeccarne una. Ha incenerito una dozzina di candidati, fino al capolavoro Casellati. Poi, per coprirne le tracce, ha avuto un lampo di lucidità sulla Belloni. Ma è stato un attimo. Ieri ha detto che il Mattarella bis è il suo trionfo: come no.

Letta jr. C’è chi aveva diversi candidati, chi molti, chi troppi: lui non ne aveva nessuno. Anzi uno – Draghi – ma non poteva dirlo per non sfasciare il Pd e il centrosinistra. Ha chiesto un presidente condiviso tra i due poli, ha dato tre volte il via libera alla Belloni (“scelta onorevole”) finché non s’è concretizzata e lì, quando l’hanno condivisa i due leader del centrodestra e quello del primo partito, l’ha bocciata perché lui voleva Draghi e Renzi, i renziani Pd e B. volevano Casini. Con i mirabili risultati di spaccare la maggioranza e il centrosinistra, apparire un po’ meno responsabile di Salvini e far incazzare Mattarella. Ora dovrà spiegare agli eventuali elettori perché, grazie a lui, l’Italia non ha la sua prima presidente della Repubblica, ma lo stesso di prima.

Meloni. Ha lasciato che Salvini girasse a vuoto fino a rintronarsi e schiantarsi, poi l’ha portato dove voleva lei: sulla Belloni. E s’è pure concessa il lusso di dare del sessista a Letta e di distinguersi dagli altri non votando Mattarella. Con B. al San Raffaele e Salvini al Papeete, si conferma l’unica testa pensante del fu centrodestra.

Renzi. Esistendo ormai solo su tv e giornali, fino a un anno fa era il perfetto Demolition Man: infatti distrusse tre governi (tra cui il suo), il Pd, Iv e se stesso. Ora non riesce più neppure a demolire: la Belloni l’ha affossata il Pd. Ha sponsorizzato fino all’ultimo Casini (che non meritava, poveretto) escludendo il Mattarella bis, e ora finge di averlo voluto lui. Non fiori, ma opere di bene.

Di Maio. È il Renzi dei 5Stelle. Beniamino dei giornaloni (quelli che gli davano del bibitaro), ma non più degli elettori (vedi insulti sui suoi social), ha giocato fin da subito per Draghi (che un anno fa voleva “uccidere in Parlamento”), contribuendo a mandarlo al massacro, contro il suo leader e il suo movimento. Ha incontrato, sentito e promesso voti a tutti, anche a quelli che quattro anni fa non voleva vedere neanche in cartolina. Ha definito “mia sorella” la Belloni, poi ha fatto di tutto per impallinarla. Per molto meno, se fosse ancora il capo dei 5Stelle, si sarebbe già espulso.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/30/il-sabato-delle-salme/6473751/

sabato 29 gennaio 2022

Quelle figuranti del capo leghista per la “carta rosa”. - Maddalena Oliva

 

È l’alba delle maratone tv. La giornata, nel suo epilogo, sembra avere dell’incredibile, ma sono ancora solo le 12. Un interrogativo avanza in diretta. Ci colleghiamo con Matteo Salvini, ha convocato alla Camera una conferenza stampa. “Ha accanto Erika Stefani e Laura Ravetto, non so se ci sia una ratio nelle posizioni…”, dicono da studio. “Nella stessa sala dove un altro Matteo aveva accanto due parlamentari di sesso femminile, ma almeno lì la presenza era dovuta al fatto che le due stavano per dimettersi da ministre. La presenza oggi di Ravetto e Stefani a cosa va attribuita?”. Già, a cosa andrà attribuita l’eccezionale presenza di due donne accanto al Segretario, se non “a sottolineare che è una candidatura femminile quella della presidente del Senato”? Donne come figuranti e pure in versione testimonial/supporter. E così, con tale premessa, tra i vari spettacoli che il grande gioco del Quirinale ci sta restituendo in questi giorni, abbiamo assistito anche a questo. Ovvero a un condensato di idiozie, arretratezze culturali, vittimizzazioni secondarie e stereotipi di genere, in formato conferenza stampa.

Salvini – Chi mi è vicino non è stato scelto a caso… (figurine sì, ma con ratio). Do la parola per un minuto a Laura Ravetto (in quanto capo io ti concedo, donna, il diritto di parlare, giusto per un minuto però) responsabile Pari opportunità e poi Erika Stefani, ministro alle disabilità (mistero del genere).

Ravetto – Sono orgogliosa di avere un leader che per primo nella storia (Ravetto, come predisposizione, deve essere rimasta ai tempi dell’adorazione di B.) propone il nome di una donna alla presidenza della Repubblica. Oggi c’è l’occasione di praticare davvero le pari opportunità (che vanno praticate, mi raccomando)… Avere una donna alla Presidenza della Repubblica permetterebbe di avere un’alleata ancora più forte (un uomo, no) sulle tematiche di questo settore (“settore”). Penso alle battaglie per un fondo per le giovani madri, al bonus bebè… (per chi avesse dubbi sul modello di donna del loro immaginario).

Stefani – Come ufficio della disabilità stiamo seguendo molti temi (ha esordito davvero così, ministra della Repubblica). C’è un Paese dove una parte di cittadini è stata dimenticata (per proprietà transitiva, l’equazione evidentemente è: disabile = soggetto debole; soggetto debole = donna; donna = disabile). Abbiamo previsto un fondo per l’autismo per interventi socio-assistenziali… E poi quello abbiamo fatto per l’accesso alle Ztl… La presidente Casellati ha dato prova di sensibilità sul tema, ha fatto visite… (attenta e caritatevole, come si vuole una donna).

Una conferenza stampa che mostra il livello della classe politica di un Paese, il nostro, in cui la questione della rappresentanza politica delle donne non è riuscita, almeno finora, a fare quel salto di “normalità” che altrove, invece, si è verificato. Tutto è eccezionale, se si parla di donne. Tutto è strumentale. Tutto diventa sminuente. Dietro i tanti appelli (più o meno retorici) per una donna al Colle – “Una donna al Quirinale” “E se fosse donna?” “Perché non una donna?” “Ipotesi donna” – c’è pure la stessa logica: la bandiera che diventa figurina. Basta che sia rosa, e che si possa scartare. Meglio senza nome (così è stato per giorni), e senza che si discuta del profilo. Essere donne non significa essere “categoria da proteggere” o “vittime”. Qualcuno a Salvini lo spieghi (e non solo a lui). E se alla fine, pur se per disperazione che convinzione, si arriverà a un Presidente della Repubblica dal profilo di Elisabetta Belloni o di Paola Severino, per i vari Matteo della nostra politica si chiuderà come per Riccardo III: disarcionati dal proprio destriero, a terra. “Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo!”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/29/quelle-figuranti-del-capo-leghista-per-la-carta-rosa/6472727/

Quelli che… - Marco Travaglio

 

Quelli che votano scheda bianca per non sporcare, oh yeah (Enzo Jannacci).

Quelli che prendono la scheda dall’urna e se la passano di mano in mano e sono otto e poi la sera devono pure raccontarlo in famiglia.

Quelli che facevano i portaborse e si vergognavano, poi li hanno promossi a portaborsette della Casellati e si bagnano tutti.

Quelli che vedrete, lei piacerà a tutti, anche se sta sulle palle pure a se stessa.

Quella che, siccome è sicuro che mi eleggono presidente della Repubblica, me ne sto lì in aula per assistere al mio trionfo in diretta tv e faccio una figura di merda in mondovisione.

Quella che la presidenza del Senato le stava stretta e infatti, se avesse una faccia, avrebbe perso pure quella.

Quelli che gli scatoloni delle foto non erano di Mattarella, ma della Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare.

Quelli che si credevano il kingmaker di Berlusconi, Frattini, Cassese, Nordio, Massolo e altri dodici, invece erano il serial killer che li ha centrati tutti al primo colpo.

Quelli che si credevano il kingmaker e poi sono morti di dolore come king Lear, pensando che fosse il marito di Amanda.

Quelli che invece i kingmaker sono Di Maio e Renzi con i parenti stretti.

Quelli che vogliono rieleggere Mattarella un po’ alla volta, così non se ne accorge.

Quelli che, se uno vota Mattarella, allora vuole Draghi (e lo manda Di Maio).

Quelli che, se uno vuole Draghi (e lo manda Di Maio), allora vota Mattarella.

Quelli che sono di sinistra e quindi “il mio ruolo è proteggere Draghi” perché me l’ha detto mio zio.

Quelli che “chiudiamoci in una stanza a pane e acqua”, ma non sanno cosa dire, a parte il menu.

Quelli che loro al Quirinale non ci tengono, poi chiamano tutti, persino Salvini, e si fanno beccare con lui in via Veneto.

Quelli che la sconfitta della politica sarebbe non eleggere un banchiere, mentre la vittoria della politica è eleggere un banchiere.

Quelli che siccome vogliamo vincere tutti, allora facciamo perdere l’Italia, rifilandole Draghi e lasciandola senza governo con 400 morti Covid al giorno.

Quelli che vanno alle maratone tv e non capiscono neanche quello che dicono loro.

Quelli che “voglio una donnaaa!” (Ciccio Ingrassia, Amarcord).

Quelli che purtroppo Draghi è maschio.

Quelli che, secondo me, Draghi ha un che di femminile.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/29/quelli-che-2/6472699/

venerdì 28 gennaio 2022

Quelli che... - Rino Ingarozza (28/01/2022)

 

Quelli che...

Berlusconi è il migliore. Ma come, un puttaniere, pregiudicato, finanziatore della mafia? Correggiamo....Berlusconi era quasi il migliore.

Quelli che...

Il migliore Presidente possibile, in effetti, è Letizia Moratti. Ma come, quella che è stata condannata dalla Corte dei conti a versare nelle casse del comune di Milano, 600 mila euro per retribuzioni alquanto onerose (circa 3 milioni) a dirigenti esterni e addetti stampa?

Quelli che.....
Stavamo scherzando (per vedere l'effetto che faceva). Il miglior Presidente della Repubblica è Sabino Cassese?
Ma come, quello che disse che i DPCM fatti da Conte erano incostituzionali? E la Corte costituzionale lo ha smentito?
Quelli che.....
Ok, ecco, ho trovato. Ecco il nome che unisce. Maria Elisabetta Alberti Casellati. Su di lei garantisce Berlusconi.
Ma come, quella che ha asserito che a Berlusconi avevano detto che Ruby era la nipote di Mubarak? Quella che è andata fuori il tribunale di Milano a gridare contro i giudici che avevano osato indagare il suo capo? Quella che prende l'aereo di Stato anche per andare a pisciare?
Ma siete incontentabili. Sti grillini prima mi dicevano no, quando ero al Governo con loro, ora dicono di no su tutti i nomi che il centro destra propone.
Caro Salvini non è che il Movimento ti dice di no per antipatia. Non sei antipatico, sei persino simpatico per le cazzate che dici ogni giorno. Se si votasse per entrare nel programma Zelig, voteremmo tutti per te.
Tutti uniti.
Il problema è che si vota per la più alta carica dello Stato. E voi proponete tutta gente che, non è che abbia degli scheletri nell'armadio, ha un intero ossario.
Capisci?
Capisco che per entrare nei vostri partiti non è condizione essenziale, ma uno incensurato o che non si debba vergognare del proprio comportamento, non ce l'avete?
Uno normale, diciamo.
E poi mi dici per quale motivo si debbano accettare i nomi che proponi tu?
Quale divinità ti ha incensato?
Se hai i voti, eleggi chi vuoi tu ....(come mai in questa tornata non avete pensato a Vittorio Feltri, come la scorsa volta?) ma visto che i voti non ce li hai, te lo posso proporre io un nome?
Ernesto Che Guevara.
Me lo voti?

Rino Ingarozza Fb

lunedì 24 gennaio 2022

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, LA COSTITUZIONE E L’UNITÀ NAZIONALE. - GUSTAVO ZAGREBELSKY

 

“Non divisivo”: Il presidente della Repubblica non deve essere divisivo: è ovvio, siamo tutti d’accordo. È il rappresentante dell’unità nazionale. Ma, detta così senza precisare di chi e di che cosa non si deve essere divisivi, la parola è insensata. Serve solo a scambiarsi accuse: tu sei divisivo – no, divisivo sarai tu. Berlusconi è divisivo – no, sei tu il divisivo, nel momento stesso in cui lo dici di un altro. Non fermiamoci alla superficie e cerchiamo di guardare un poco che cosa c’è dentro questa parola. La politica è una sequenza di decisioni, cioè di scelte tra possibilità. Decidere significa per l’appunto dividere, tagliare, separare. Se non c’è nulla da decidere, come accade di fronte alle cose che dipendono non da noi ma dalla necessità, dal caso o dal destino, non si è, né si può essere divisivi.

Ma, fuori di questi casi, cioè nel campo delle scelte d’ogni giorno, non si può accontentare tutti. Si è divisivi per necessità, prima che per volontà. Chi volesse o promettesse di accontentare tutti sarebbe un illuso o, peggio, un ipocrita, un impostore. In politica, essere divisivi è giocoforza. Non si può piacere a tutti. C’è un momento storico in cui si concentra la summa divisio politica. È il momento in cui si stabilisce una costituzione. Per quanto si desideri ch’essa sia inclusiva, soprattutto dopo una guerra civile, quando la pacificazione è il primo imperativo, la costituzione non può includere tutto. Ogni costituzione è una differenziazione e una decisione. Non si può costituzionalizzare tutto e il suo contrario.

Si vuole la pacificazione e, quindi, non si può ammettere la violenza. Si può credere nella dignità delle persone e dare spazio al razzismo? Si vuole uguaglianza, libertà e solidarietà e ammettere l’egoismo dei più forti e dei più ricchi. Si vuole la tolleranza, che è una virtù reciproca, e si può tollerare l’intolleranza? A tutto questo e a molto altro la prima e fondamentale decisione costituzionale dà risposte chiare e nette, a incominciare dall’antifascismo che la permea in tutte le sue parti. Questa è l’unità nazionale, una nozione non neutra, amorfa, ma piena di contenuti. Non equivale a dire: tutti hanno un po’ di ragione e un po’ di torto. Non si può, per esempio, essere equidistanti tra i ladri e le guardie, tra gli evasori fiscali e i contribuenti onesti. Non decidere significa essere dalla parte dei ladri e degli evasori.

C’è, dunque, una dimensione superiore della vita pubblica, collocata nella decisione costituzionale presa una volta per tutte all’inizio di un ciclo politico, che è unitiva e divisiva, per l’un verso e per l’altro. Al di sotto, nella dinamica politica d’ogni giorno, si vota per il Parlamento, si fanno leggi, si formano e si disfano maggioranze e governi. Quella è, per così dire, la dimensione non inferiore, ma quotidiana della vita politica dove stanno divisioni e decisioni senza le quali non ci sarebbe democrazia. Chi, invece, è chiamato a operare nell’anzidetta dimensione superiore e vi opera effettivamente entro i suoi limiti intrinseci, come esecutore e garante della decisione costituzionale, non potrà mai essere accusato di “divisività”, se non da parte di chi, più che contestare lui, contesta la costituzione e le si pone contro. Anche quando, per l’eccezionalità delle situazioni, dovesse fare uso non consueto dei suoi poteri, per difendere gli amici della costituzione dai suoi nemici.

Questo breve profilo del presidente della Repubblica non sarebbe completo se non si aggiungesse ciò che è già ovvio: non gli spetta sostituirsi alla libera dinamica delle forze politiche né interferirvi, né governare anche se non direttamente ma per interposta persona, né, infine, creare attorno a sé “partiti del presidente” o giri di potere più o meno ramificati, quale che ne sia il genere: affaristico, burocratico, politico, eccetera. La provenienza dalla militanza in un partito politico può considerarsi, alla stregua di ciò che si è detto, un impedimento? Non è né un ostacolo né una preferenza.

Ciò che conta è la consapevolezza, la determinazione e l’indipendenza necessarie a chi sia chiamato a ricoprire con le sue forze una così importante e difficile carica. La consapevolezza implica la conoscenza e l’adesione alla costituzione, non ai suoi singoli, freddi articoli, ma a ciò di cui sono espressione e testimonianza: cioè alla storia, alla cultura e ai sacrifici che sono venuti a consolidarsi in questo testo, di certo uno dei più alti e significativi venuti alla luce nel tempo che ci sta alle spalle. La determinazione può essere testimoniata nelle esperienze precedenti e, certamente, è incompatibile con l’opportunismo, il trasformismo, il grigiore e l’ossequio nei confronti del potente di turno.

La presidenza della Repubblica non è per i cortigiani, anche perché essi spesso, quando le occasioni lo permettono, trasformano la debolezza del passato in prepotenza nel futuro. L’indipendenza non è l’ultima caratteristica. Anzi, forse è la prima. Chi assume il compito affascinante e tremendo di dare la rappresentazione dell’unità della nazione può farlo solo a patto di liberarsi dai vincoli che, più o meno legittimamente, lo condizionavano in precedenza.

I vincoli sono tanti e vari. Possono determinare ciò che impropriamente si chiama conflitto d’interessi e che, più propriamente, sarebbe da definire non conflitto ma coesistenza di interessi contraddittori. Se non ci si spoglia della dipendenza dal partito da cui si proviene, dalla appartenenza a gruppi di potere che chiedono di restituire i favori in precedenza elargiti e accettati, dal vincolo di ubbidienza che si assume entrando in chiese e associazioni più o meno segrete, dai propri interessi economici la cui difesa diventa spesso un’irresistibile coercizione, dall’adesione faziosa a una ideologia politica: se non ci si spoglia da tutto questo, l’alta carica viene trascinata nella bassura del tornaconto personale o del gruppo, della cerchia, del “giro” di appartenenza.

Peggio del peggio sarebbe se proprio questo tornaconto fosse la molla delle ambizioni di chi mira al Quirinale. Questa sarebbe la massima divisività, il massimo allarme costituzionale. Non solo la persona influisce sulla carica ricoperta. Spesso, avviene il contrario e i pronostici possono essere smentiti dai bilanci. Tuttavia, i trascorsi sono pur sempre dei prodromi e i prodromi possono trasformarsi in eventi e gli eventi possono determinare conseguenze. Guardandoci intorno e cercando di capire che cosa succede in questi giorni di vigilia, vien voglia di unirsi a coloro – i realisti – che ridono di tutto ciò che non è puro interesse, puro potere, pura spregiudicatezza.

È vero, c’è questa voglia. O anche, la voglia di dire: non sono fatti miei, alla malora. Ma più crescono queste voglie, più cresce, insieme, anche la rivolta.

la Repubblica, 18 gennaio 2022


http://www.libertaegiustizia.it/2022/01/23/il-presidente-della-repubblica-la-costituzione-e-lunita-nazionale/

IL PRESIDENTE CHE VORREI/ L’OTTIMISMO DELLA VOLONTÀ E IL CORAGGIO DELL’IMMAGINAZIONE. - Sergio Labate

 

Mai come di questi tempi abbiamo bisogno di affidarci all’ottimismo della volontà. Perché i segnali che costringono la nostra ragione al più cupo pessimismo sono ormai troppi. La discussione sull’elezione del Presidente della Repubblica non fa eccezione.

Se dovessimo fare un esempio volutamente eretico, la discussione sembra limitarsi esclusivamente alla disputa sui nomi, come se si trattasse di calciomercato. Tempo sprecato a discutere sui nomi, senza pensare davvero a cosa questi nomi possano significare, se essi rappresentino un’idea intorno alla quale uno Stato si può riconoscere nella sua unitarietà, come suggerisce la nostra Costituzione. Il loro “valore politico” è del tutto sganciato da questa funzione rappresentativa, dipende dal cinismo della conta dei voti, nient’altro. La surreale candidatura di Silvio Berlusconi dimostra paradigmaticamente questo sganciamento quasi schizofrenico tra il valore politico, a cui un nome dovrebbe riferirsi, e la sua quotazione mercantile.

A questa deriva vorremmo reagire, appunto, con l’ottimismo della volontà. Cioè con un discorso altro, in cui depuriamo anche le nostre parole da una deriva che appare ormai irreversibile e che noi, per il solo fatto che proviamo a parlare altrimenti, non riconosciamo affatto come irreversibile.

Abbiamo chiesto ad alcuni amici di donarci delle parole che siano già una sorta di ricusazione politica del linguaggio prevalente. C’è qualcuno che ancora prova a parlare dell’elezione del Presidente della Repubblica in forma più nobile e più corrispondente a quell’“entusiasmo civile” trasmesso dall’art. 87 della nostra Costituzione: il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.

Ma con questo ‘gioco’ proviamo anche a suggerire qualcosa che può essere utile nei tempi a venire, che non saranno meno difficili per la nostra ragione già così sofferente di pessimismo. Gramsci non basta più. Non possiamo accontentarci dell’ottimismo della volontà. A esso dobbiamo sapere affiancare qualcosa che ci consenta di recuperare una qualche forma di immaginazione politica. Perché la volontà non basta, se non siamo più in grado di immaginare una scena differente da quella che prevale. Se non riconosciamo nella Costituzione qualcosa cui guardare non soltanto con nostalgia – come fosse un segnaposto di un mondo che abbiamo conosciuto e abbiamo visto sparire – ma anche con speranza, come fosse un mondo per cui resistere e di cui continuare a parlare, semplicemente perché continuiamo a immaginarlo.

Ecco, se uniamo l’ottimismo della volontà al coraggio dell’immaginazione possiamo usare l’occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica per guardare oltre. Per custodire quel legame pubblico che la Costituzione suggella e che il Presidente della Repubblica incarna. È questo il gioco, e non è solo retorico. La democrazia si fa e si disfa col farsi e disfarsi dei discorsi pubblici. Non vogliamo cedere al ricatto della disperazione ma osare volere e osare immaginare.

A questo servono le parole: a ricordare a una politica incapace di assolvere al suo compito che quel compito è insostituibile.

*Presidente di Libertà e Giustizia.

http://www.libertaegiustizia.it/2022/01/18/chi-salira-al-colleil-presidente-che-vorrei/

martedì 11 gennaio 2022

IL PRESIDENTE CHE VOGLIAMO .

 

Insieme alle elezioni politiche, l’elezione del Presidente della Repubblica è l’atto politico più prossimo alla sovranità democratica in forma rappresentativa e centrata sul Parlamento. Il legame è forte benché indiretto, tenuto insieme dagli eletti che, vale la pena di ricordarlo, non operano mai in nome proprio ma sempre in nome dei cittadini sovrani. Un legame indiretto, che si manifesta in una figura istituzionale, quella del Presidente, la quale è il volto della Nazione verso l’esterno e rispetto alle sue varie parti, quindi agli organi amministrativi e alle culture delle città e delle Regioni.

Nella Presidenza della Repubblica è rappresentato il Paese, di fronte agli altri e a se stesso.  Per questo, i Costituenti vollero la Presidenza sganciata dai partiti, benché ai partiti si debba lo sforzo maggiore di sintesi nella ricerca e di costruzione della candidatura.  Il Presidente è la figura nella quale tutte e tutti noi possiamo sentirci rappresentati, perché non risponde a nessuna volontà particolare o parziale. La sua volontà deve perseguire sempre e solo l’interesse generale – per questo la ricerca del candidato o della candidata è un compito difficile, un impegno serio che deve essere ispirato da una responsabilità disinteressata.

Nel caso dell’elezione del Presidente della Repubblica, il Parlamento dà il meglio di sé giungendo alla più ampia maggioranza, idealmente all’unanimità – una condizione che è diversa, se non opposta, alla sua attività ordinaria, quando esercita il potere legislativo. Questo complesso processo di sintesi raggiunta a partire dalle differenze dovrebbe concludersi nell’individuazione di una personalità onorevole, degna, e fedele alla Costituzione della Repubblica, per autentica convinzione e non per semplice atto formale di giuramento.

Qualcuno che, come accaduto a Silvio Berlusconi, ha subìto una condanna penale definitiva e che per tale ragione è stato dichiarato decaduto dalla carica di senatore non è degno di essere candidato alla Presidenza della Repubblica. Come pure è indegna qualsiasi operazione che intenda usare il nome di Silvio Berlusconi per condizionare quei voti dai quali potrà dipendere l’elezione del Presidente. Eppure,  se pur indirettamente l’impresentabile leader di Forza Italia potrebbe determinare l’esito di questa elezione.

Una simile eventualità, che trapela dai mezzi di informazione, disturba il senso etico dei cittadini.  Le istituzioni della Repubblica, già pesantemente sfigurate dal referendum del 2020, che ha gravemente limitato il numero dei parlamentari e quindi la rappresentanza, potrebbero subire un ulteriore colpo se chi siede in Parlamento non avrà il senso civico e il coraggio politico di impedire che questo miserevole gioco abbia successo.

L’elezione del Presidente potrebbe essere per i partiti un’opportunità per mostrare la loro dignità di associazioni politiche democratiche. Libertà e Giustizia si rivolge a loro e ai parlamentari affinché avvertano la responsabilità di “nobilitare” l’elezione del Presidente. I cittadini vogliono una figura di cui essere orgogliosi, che rappresenti un modello civile e che parli al Paese con una voce sola, autorevole e indipendente. Vogliono, soprattutto, che rispetti la Costituzione e ne incarni i valori più profondi.

http://www.libertaegiustizia.it/2022/01/09/il-presidente-che-vogliamo-2/

sabato 8 gennaio 2022

Berlusconi, chi è?

 

Berlusconi ha 85 anni compiuti.
Se diventasse PdR, eviterebbe, per esercitare le funzioni attinenti alla carica, di presenziare a tutte le udienze delle tante cause che pendono a suo nome (alcune delle quali per atti compiuti contro la stabilità e la sicurezza dello Stato del quale vorrebbe diventare il rappresentante), che verrebbero rimandate fino a raggiungere la prescrizione, che è uno degli scopi della sua performance.

Inoltre, se dovessero emergere altri reati commessi dal nanetto baldanzoso, eventualità possibilissima conoscendo l'individuo, non si potrebbe procedere, perché, per ovvi motivi, il Parlamento non lo permetterebbe.
I conti "The boss" se li è fatti bene, ma non credo che sia tutta farina del suo sacco, lui ha costruito un impero economico con soldi prestatigli da una banca i cui correntisti erano individui di basso profilo legale, che non penso abbiamo rischiato i loro averi senza avergli imposto dritte su come investirli... compresa la possibilità di entrare in politica...

cetta

giovedì 9 dicembre 2021

SARO' BREVE N. 84. - Rino Ingarozza

 

Giuseppe Conte nella tana del leone.

Ha accolto l'invito dell'alouatta de Roma, è andato al meeting "'Atreju 21" (organizzato da Fratelli d'Italia) ed ha risposto a tutte le provocazioni del direttore del TG2 Sangiuliano (che una volta in più ha dimostrato di remare, quotidianamente, da quella parte) e del misero Bechis, direttore de Il tempo.
In attesa che l'alouatta de Roma si rechi alla festa de "Il fatto quotidiano" e risponda alle domande di due giornalisti veri come Marco Travaglio e Antonio Padellaro,
cito soltanto una risposta che a me è sembrata abbastanza chiara.
Non tanto chiara, mi è sembrata, per i due interlocutori "croccantinati".
Si parlava del futuro Presidente della Repubblica. In soldoni gli chiedono "Può essere uno di centrodestra?"
Risposta: "'Nessuna preclusione. Deve però essere una persona di alta integrità morale".
In pratica "Non può essere Berlusconi".
Più chiaro di così.
Cosa deve dire affinché si capisca?
Lui è Giuseppe Conte ed è elegante anche nelle risposte.
Si esprime in un perfetto italiano.
Se c'è qualcuno che, l'italiano, non lo capisce o non lo vuole capire, non è certo colpa sua.

Rino Ingarozza (Fb 08/12/2021)

giovedì 2 dicembre 2021

Berlusconi al Quirinale? No grazie. - Peter Gomez, Antonio Padellaro e Marco Travaglio

 

Ai parlamentari della Repubblica,

il Presidente della Repubblica dev’essere il garante della CostituzioneSilvio Berlusconi è il garante della corruzione e della prostituzione, non solo sul piano giudiziario, mentre la Costituzione l’ha violata prima e dopo il suo ingresso in politica.

Ha prostituito ai suoi interessi privati non soltanto le sue escort, alcune minorenni, ma soprattutto i principi costituzionali che aveva giurato di difendere per ben tre volte da presidente del Consiglio: legalità, giustizia, eguaglianza, dignità delle donne, libertà di stampa, indipendenza della magistratura, libero mercato, equità fiscale, scuola e sanità pubbliche, disciplina e onore, antifascismo.

E’ stato eletto sei volte nel Parlamento italiano e una in quello europeo benché ineleggibile per la legge 361/1957 sui concessionari pubblici. E’ stato condannato in via definitiva per avere frodato il fisco, derubando lo Stato che ora vorrebbe presiedere, occultando immense fortune nei paradisi fiscali.

E, da pregiudicato, pretende di guidare il Csm che decide sulle carriere dei magistrati. Ha abusato dei pubblici poteri per piegare il Parlamento ad approvargli 60 leggi ad personam, alcune bocciate dalla Consulta perché incostituzionali.

Era affiliato alla loggia occulta P2. Ha corrotto parlamentari per ribaltare le sconfitte elettorali. Ha elevato a sistema il conflitto d’interessi, legittimando anche quelli degli altri. Ha sdoganato i peggiori disvalori, facendo pubblico vanto di condotte prima relegate alla clandestinità. Ha trasformato Camera, Senato ed enti locali in stipendifici per i suoi avvocati, coimputati, lobbisti, camerieri, badanti, Papi girl, igieniste dentali. Ha screditato il Parlamento con la mozione “Ruby nipote di Mubarak”.

Ha coperto di vergogna gli italiani con sceneggiate e pagliacciate in giro per il mondo e ha trascinato l’Italia in due guerre criminali contro l’Afghanistan e l’Iraq.

Ha epurato giornalisti e artisti a lui sgraditi, trasformando la Rai in servizietto privato per Mediaset e Forza Italia. Ha usato i suoi manganelli catodici e cartacei per calunniare i migliori magistrati e giornalisti, oltre agli oppositori che ostacolavano i suoi disegni eversivi. Ha più volte elogiato Benito Mussolini. Ha giustificato l’evasione fiscale e varato condoni tributari, edilizi e ambientali. Il suo gruppo, con soldi suoi, ha corrotto politici, giudici, ufficiali della Guardia di Finanza, testimoni.

Il suo braccio destro Cesare Previti è stato condannato definitivamente per due corruzioni giudiziarie. Idem il suo braccio sinistro Marcello Dell’Utri per concorso esterno in mafia. I suoi referenti in Campania e in Calabria, Nicola Cosentino e Amedeo Matacena, sono stati condannati l’uno in appello per concorso in camorra e l’altro in Cassazione per complicità con la ‘ndrangheta. E manca lo spazio per fare la conta dei danni inferti dai suoi tre malgoverni all’economia, alla scuola, alla sanità, all’ambiente, alla cultura, ai diritti civili.

Per queste ragioni chiediamo a tutti i parlamentari di non votarlo alla Presidenza della Repubblica. Anzi, di non parlarne proprio. E, se possibile, di non pensarci neppure.

Firmato:  Peter Gomez, Antonio Padellaro e Marco Travaglio

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/12/01/berlusconi-al-quirinale-no-grazie-firma-la-nostra-petizione-ai-parlamentari/6411310/

giovedì 4 novembre 2021

Berlusconi al Colle...??? Spero che non succeda!

 

Berlusconi al Colle?

Il solo pensiero che ciò si possa verificare, mi sconvolge.

Quest'uomo è, a mio parere, una brutta, bruttissima persona.

Lui, un nessuno di turno, da cantante e intrattenitore sulle navi da crociera insieme all'amico Fedele Confalonieri e da venditore porta a porta di scope elettriche insieme all'amico Guido Possa, all'età di 25 anni, fonda un'impresa immobiliare: la Cantieri Riuniti Milanesi Srl insieme al costruttore Pietro Canali. 

Il primo acquisto immobiliare fu un terreno in via Alciati a Milano, per 190 milioni di lire, grazie alla fideiussione concessagli del banchiere Carlo Rasini - titolare e cofondatore della Banca Rasini, nella quale lavorava il padre di Silvio - e i cui correntisti erano Totò Riina, Pippo Calò, Bernardo Provenzano.

Facendo due più due, è lecito ed anche logico pensare che l'impresa non sia una sua idea, e che lui fungesse solo da prestanome.

Il suo, infatti, è il tipico atteggiamento dello spocchioso individuo che interpreta la parte di imprenditore di successo, ma altri non è che un signor nessuno che ha fatto soldi cedendo la sua anima al diavolo.

E non gli basta mai nulla, lui vuole tutto: vuole frodare lo stato ed essere Presidente del Consiglio; vuole fare il bunga bunga durante le cene eleganti e diventare Presidente della Repubblica...

Vi immaginate le stanze del Colle invase di belle ragazze in abiti succinti che danzano al ritmo di bunga bunga?

Che vergogna!

Avere un Presidente della Repubblica che è stato condannato in via definitiva per frode fiscale non è un vanto, è una vergogna!

Avere un Presidente della Repubblica che ha imbastardito la Giustizia italiana facendo approvare leggi, ben 21, che andavano esclusivamente a suo vantaggio, non è un vanto, è una vergogna!

cetta

domenica 19 settembre 2021

CARLASSARE , “MATTARELLA BIS? UN’ANOMALIA COME DRAGHI AL COLLE”. - Silvia Truzzi

 

Ancora prima che il mandato del Presidente Mattarella entrasse nel semestre bianco, si è cominciato a parlare dell’ineludibilità di un suo bis. Per capire se davvero siamo in una situazione di impasse istituzionale, abbiamo chiesto lumi a Lorenza Carlassare, professore emerito di Diritto costituzionale all’Università di Padova. Che in premessa dice: “Mattarella è stato un ottimo presidente. E teoricamente io sarei felice di vederlo restare al suo posto, soprattutto pensando ai nomi che circolano per la sua successione. Da Casini a Berlusconi: non voglio nemmeno pensarci. Queste però sono considerazioni politiche. Ci sono argomenti di metodo contrari, e naturalmente nessuno riguarda la persona del Presidente”.

Professoressa, facciamo un salto indietro nel tempo. Come si è arrivati in Costituente a definire il settennato?

Molto presto, già nell’ottobre 1947, un emendamento proponeva un mandato di sei anni, con possibilità di rielezione. Un altro emendamento prevedeva la durata di sette anni, con divieto di rielezione. La non rieleggibilità dunque è stata ventilata, se ne è discusso, ma non è passata. Nitti invece voleva un mandato di quattro anni, richiamando il sistema americano. Ma negli Stati Uniti, è stato osservato, il Presidente non è solo capo dello Stato ma anche capo del governo: una circostanza che esige un continuo confronto con la volontà popolare. La cosa importante era differenziare la durata del mandato parlamentare rispetto a quello, più lungo, del Presidente per garantire continuità e stabilità. Questo significa svincolare il Capo dello Stato dalle Camere da cui deriva. È un organo di garanzia. La Corte lo definisce con queste precise parole: “Un organo estraneo a quello che viene definito indirizzo politico governativo”. Il ruolo del Presidente, che non è espressione dalla maggioranza, è neutrale.

Anche le modalità del voto vanno in questo senso?

Certo: sia lo scrutinio segreto sia la maggioranza qualificata servono a impedire alla maggioranza di eleggere da sola il Presidente. L’obiettivo è quello dell’imparzialità. La rielezione non urta di per sé contro questi principi. Ma, come è stato notato durante il dibattito in Costituente, sette anni sono molti, 14 sarebbero un’enormità.

Ecco: lasciare, com’è accaduto con il secondo mandato del presidente Napolitano, la decisione sul quando dimettersi all’arbitrio dell’interessato non è questione da poco.

Non è possibile che un organo resti in carica “a piacere”, perché la stabilità delle istituzioni dipende anche dalla precostituzione dei tempi. L’obiettivo dei Costituenti era svincolare il Capo dello Stato dalle contingenze politiche: il secondo mandato va nell’opposta direzione. E credo che il presidente Mattarella si voglia sottrarre proprio in ossequio a questi principi.

Sarebbe poi la seconda volta, consecutiva.

Non si può far entrare in vigore la regola del secondo mandato per via consuetudinaria. Sarebbe una forzatura costituzionale. Purtroppo siamo di fronte a una serie di anomalie istituzionali.

Molti opinionisti presentano questa situazione come l’unica alternativa possibile.

Non è pensabile: in democrazia c’è sempre un’alternativa. L’impasse nasce dalla crisi dei partiti, ormai senza peso politico e identità. Ciò che rende allarmante la situazione è la progressiva incapacità delle forze politiche di assumersi le proprie responsabilità istituzionali. In questo clima, i partiti sono sempre più delegittimati e deboli, ma attenzione perché i partiti sono il tramite attraverso cui si attua la democrazia rappresentativa. Senza di loro nessun sistema democratico può funzionare. Ed è una crisi ormai cronicizzata che si trascina da decenni.

I più importanti giornali scrivono che Mario Draghi dovrebbe restare anche oltre la fine della legislatura, perché lo vogliono i mercati e l’Europa. Tra un po’ diranno che il voto è superfluo?

Per fortuna non siamo arrivati a esiti così spaventosi. Molti, com’è noto, da vario tempo parlano addirittura di post-democrazia considerando fra gli altri fattori il peso crescente dell’economia e dei mercati nella vita degli Stati.

La corsa per il Colle è diventata nel dibattito pubblico “una partita a due” tra Mattarella e Draghi: di un prolungamento del mandato dell’attuale inquilino del Colle abbiamo già parlato. Ma anche la seconda ipotesi – un trasloco diretto da Palazzo Chigi al Quirinale – non è priva di incognite. Sarebbe una prima volta: anche in questo caso saremmo davanti a un’anomalia istituzionale?

Il passaggio diretto dalla Presidenza del Consiglio – di solito ricoperta da un esponente della maggioranza, scelto appunto per la sua posizione politica – alla Presidenza della Repubblica, che dev’essere caratterizzata invece dall’imparzialità, ha come rischio inevitabile la politicizzazione di quest’ultima. Di solito, sottolineo. Rischio che appare oggi poco consistente data la posizione di Draghi, posto alla guida del governo per ragioni molteplici e complesse, e comunque estranee da una qualificazione politica. Non si può però dire che la ‘politica’ sia stata del tutto estranea alla vicenda complessiva. Troppo forte era il desiderio di alcuni di togliere di mezzo Conte e le sue aperture sociali: anche l’elevato consenso dei cittadini nei suoi confronti li preoccupava. È comunque pericolosa l’idea di avvicinare due ruoli – il capo del governo e il capo dello Stato – che svolgono funzioni costituzionalmente tanto diverse.

ILFQ 12.9.2021

martedì 7 settembre 2021

Quirinale a ore. - Marco Travaglio

 

Dopo Benigni al Festival di Venezia, anche il cantante Marco Mengoni al Salone del Mobile di Rho-Pero, forse influenzato dal clima di antiquariato e modernariato, ha chiesto a Mattarella di restare ancora un po’. Come nel 2013 con Re Giorgio I e poi II, è partita la rumba delle perorazioni al capo dello Stato perché accetti la rielezione. Non per 7 anni, come prevedrebbe quel testo desueto chiamato Costituzione, ma solo un po’, per tenere in caldo la poltrona a Sua Altezza Reale Mario I, che poi deciderà quando ascendere al Colle dopo avere spicciato le ultime faccende a Palazzo Chigi. Come se il Quirinale fosse un albergo a ore. Immaginate cosa pensano all’estero di un Paese che, su 950 parlamentari, non ne trova uno in grado di fare il presidente della Repubblica, cioè di dire quattro banalità a Capodanno (“vestitevi che fa freddo, mettetevi le galosce”), baciare bambini, tagliare nastri ed estrarre dal cilindro un banchiere o chi per lui nelle crisi più serie. Anzi, uno ce l’avremmo, ma purtroppo fa già il premier e, se trasloca, restiamo senza e non troviamo più nessuno in grado di guidare il governo, pur formato integralmente da Migliori.

Questa barzelletta fa ridere in Italia, figuriamoci fuori dalla cinta daziaria. Eppure è il mantra che salmodiano i giornaloni e seguiteranno a biascicarlo fino alla data di scadenza di Mattarella. I Costituenti, che avevano chiara la distinzione fra una Repubblica e una Monarchia (gli italiani avevano appena scelto la prima e salutato la seconda), assegnarono al capo dello Stato un mandato settennale per sganciarlo dalla logica maggioranza-opposizione e affinché l’interessato ne avesse abbastanza. Infatti nessun presidente pensò al bis fino a Napolitano, che ruppe la tradizione. E non, come ci fu raccontato, perché non c’erano alternative, ma proprio perché c’erano: Prodi e Rodotà, che però minacciavano un governo coi vincitori delle elezioni (M5S e Pd), anziché con gli sconfitti. Infatti i padroni del vapore imbalsamarono il loro santo patrono al Colle per propiziare il governo Letta, cioè l’ammucchiata fra Pd e sconfitti (FI e montiani), e tagliar fuori i vincitori. Ora i soliti noti ritentano l’audace colpo per tagliar fuori M5S e Meloni dal prossimo governo con un’ammucchiata ancor più vasta (ora c’è pure la Lega perché i partiti “affidabili” si sono ristretti un altro po’). Se Mattarella e i suoi fan pelosi vogliono provarci, liberissimi. Ma ci risparmino le balle tipo “non ci sono alternative”, “ce lo chiede l’Europa” e “il presidente è costretto al bis”. Le alternative sono almeno 950. In Europa, quando scade un presidente, se ne fa un altro. E nessun presidente può essere costretto al bis: se non vuole, lo dice chiaro e il Parlamento elegge un altro.

ILFQ

giovedì 25 agosto 2016

Il governo attuale è illegittimo.

Risultati immagini per Napolitano e renzi

Il governo attuale è illegittimo. 

In una repubblica democratica non può governare una persona designata da un singolo individuo; vero è che la Costituzione sancisce che i Presidente della Repubblica può farlo, ma solo in casi eccezionali, uno dei quali è garantire la continuità governativa durante il lasso di tempo che necessita per l'indizione di nuove elezioni; non può prolungarsi, pertanto, oltre tale periodo.

Nel caso in questione, Napolitano, unico presidente rieletto per un secondo mandato, nominò Renzi perchè si procedesse a formulare e varare una nuova legge elettorale in sostituzione di quella in atto, che non rispondeva ai criteri di rispetto della volontà espressa dai cittadini. 

Il fatto che Renzi non abbia ottemperato ai motivi che sono alla base del suo mandato è già per se stesso un presupposto valido per lo scioglimento immediato delle camere.

Cetta

domenica 1 febbraio 2015

Il nuovo Presidente di tutti loro. - Anna Lombroso




Sono molti i motivi per i quali mi angustia l’elezione di Sergio Mattarella.

Il primo, ovvio per i pochi che non si fanno ingannare dal teatro kabuki degli alleati che mimano divergenze come i guappi di strada tirano pugni inoffensivi gridando “tenetemi che io quello l’ancido”, è che è stato invece acclamato proprio il candidato di tutti, degli attori dell’alleanza oscena, operativi nel concretizzare un regime imposto dall’imperialismo finanziario, dalle troike, dei padroni globali, di quelli che aspirano all’abrogazione degli stati sovrani, alla cancellazione di quel che resta delle democrazie, alla limitazione progressiva di garanzie e diritti del lavoro, fino alla sua definitiva trasformazione in servitù precaria, incerta, ricattabile.

E infatti si è scelta una figura grigia, riservata, un professionista del “parlamentarismo”, materia nella quale si è laureato, nel solco del potere attribuito ai tecnici in loden,  in modo da mascherare  competenze ed esperienza e dare fattezze anodine, specialistiche a un lavoro non proprio lindo e squisitamente  politico, quello della “sem­pli­fi­ca­zione” del sistema poli­tico che si pone in con­tra­sto con l’art. 49 della Costituzione e che riduce una partecipazione già scoraggiata dalla distanza nella quale agisce la politica, dagli scandali, dall’incompetenza di un ceto che dopo aver negato la crisi, annega nell’ubbidienza a chi l’ha determinata, quello che sfregia il Parlamento, ne restringe sempre di più i poteri affidati a nominati grazie a una selezione del personale basata sulla fidelizzazione, l’ipocrisia e  l’assoggettamento e che piace fuori di qui se Renzi ne rivendica la “genialità” nella soluzione   dell’enigma della gover­na­bi­lità, tanto che il talentuoso con­ge­gno sarà pre­sto imi­tato in tutta Europa, e c’è da aspettarsi trasferte  di formazione del ticket Boschi-Verdini per addestrare alla vittoria certa la Merkel, Hollande e perché no? Cameron da convertire alla benefica rottamazione del sistema britannico.
Insomma l’uomo del Mattarellum ha  le caratteristiche appropriate per sovrintendere la  costru­zione meccanica della vittoria sicura del regime, alterando e sfigurando l’edificio della rappresentanza, cassando il principio della pari influenza delle sin­gole espres­sioni di voto,  grazie alla sua “credibilità”  di promotore della svolta maggioritaria.
Ne è conferma ulteriore la modalità, esplicita anzi ostentata,  ammessa anzi rivendicata, con la quale si è proceduto esemplarmente alla sua nomina certa, grazie a una procedura di controllo incrociato della disciplinata  osservanza del diktat del Nazareno: e chi doveva votare S.Mattarella, e chi invece Mattarella, e chi onorevole Mattarella, tanto che gli infantili selfie di voto dei 5stelle sono robetta da dilettanti.
Non ultimo motivo di disappunto è la condanna pronunciata contro il Paese a morire democristiano, senza la speranza dell’immortalità. Condanna che suona ancora più  allarmante per chi teme che la guerra mossa contro i diritti del lavoro, quelli contro la libertà di espressione che riguarda non solo la stampa e la rete, ma anche  la critica e l’opposizione di organizzazioni dei cittadini, le manifestazioni di lavoratori e studenti, si estenderà a quelli già conquistati ma continuamente messi a rischio, quelli per i quali da anni si lotta e che riguardano inclinazioni, contenuti esistenziali, legami affettivi e dei quali il ceto politico si fa beffa, postadatandoli come futili optional, come capricci, come esigenze secondarie in tempo di crisi.
Quelli che avevamo conquistato, compresi quelli più amari, voluti perché diventassero legali scelte dolorose ma legittime, in modo che uscissero da una infame clandestinità, erano state le vittorie sofferte di una “società civile” che lo era davvero, che si accorgeva che quello era il fronte che segnava la distanza tra repressione e libertà, tra egemonia confessionale e laicità. E fu possibile perché esisteva un movimento socialista, un partito radicale, una dirigenza comunista, renitente ma che conservava un dialogo con la base ed era costretta a ascoltarne le ragioni, per motivi ideali prima ancora che elettorali.
Ancora una volta dobbiamo rimpiangere le ideologie in assenza delle idee, a avere nostalgia di vecchi notabili che con dignità, accettavano i pronunciamenti popolari, senza tradirli tramite decreti, senza cancellarli tramite scorciatoie giuridiche, senza truffarli tramite noticine in margine  infilate proditoriamente durante l’iter delle “riforme”.
Pretese di innocenza e di onestà vengono ribadite grazie alla collocazione in ruoli visibili e simbolici di figure di “garanzia”, in un tempo nel quale le unica garanzie che ci lasciano sono la fatica, la miseria, l’abdicazione. 

Spetta a noi renderli insicuri, precari, mobili e riprenderci la certezza della democrazia e dei suoi diritti.

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