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giovedì 2 dicembre 2021

Berlusconi al Quirinale? No grazie. - Peter Gomez, Antonio Padellaro e Marco Travaglio

 

Ai parlamentari della Repubblica,

il Presidente della Repubblica dev’essere il garante della CostituzioneSilvio Berlusconi è il garante della corruzione e della prostituzione, non solo sul piano giudiziario, mentre la Costituzione l’ha violata prima e dopo il suo ingresso in politica.

Ha prostituito ai suoi interessi privati non soltanto le sue escort, alcune minorenni, ma soprattutto i principi costituzionali che aveva giurato di difendere per ben tre volte da presidente del Consiglio: legalità, giustizia, eguaglianza, dignità delle donne, libertà di stampa, indipendenza della magistratura, libero mercato, equità fiscale, scuola e sanità pubbliche, disciplina e onore, antifascismo.

E’ stato eletto sei volte nel Parlamento italiano e una in quello europeo benché ineleggibile per la legge 361/1957 sui concessionari pubblici. E’ stato condannato in via definitiva per avere frodato il fisco, derubando lo Stato che ora vorrebbe presiedere, occultando immense fortune nei paradisi fiscali.

E, da pregiudicato, pretende di guidare il Csm che decide sulle carriere dei magistrati. Ha abusato dei pubblici poteri per piegare il Parlamento ad approvargli 60 leggi ad personam, alcune bocciate dalla Consulta perché incostituzionali.

Era affiliato alla loggia occulta P2. Ha corrotto parlamentari per ribaltare le sconfitte elettorali. Ha elevato a sistema il conflitto d’interessi, legittimando anche quelli degli altri. Ha sdoganato i peggiori disvalori, facendo pubblico vanto di condotte prima relegate alla clandestinità. Ha trasformato Camera, Senato ed enti locali in stipendifici per i suoi avvocati, coimputati, lobbisti, camerieri, badanti, Papi girl, igieniste dentali. Ha screditato il Parlamento con la mozione “Ruby nipote di Mubarak”.

Ha coperto di vergogna gli italiani con sceneggiate e pagliacciate in giro per il mondo e ha trascinato l’Italia in due guerre criminali contro l’Afghanistan e l’Iraq.

Ha epurato giornalisti e artisti a lui sgraditi, trasformando la Rai in servizietto privato per Mediaset e Forza Italia. Ha usato i suoi manganelli catodici e cartacei per calunniare i migliori magistrati e giornalisti, oltre agli oppositori che ostacolavano i suoi disegni eversivi. Ha più volte elogiato Benito Mussolini. Ha giustificato l’evasione fiscale e varato condoni tributari, edilizi e ambientali. Il suo gruppo, con soldi suoi, ha corrotto politici, giudici, ufficiali della Guardia di Finanza, testimoni.

Il suo braccio destro Cesare Previti è stato condannato definitivamente per due corruzioni giudiziarie. Idem il suo braccio sinistro Marcello Dell’Utri per concorso esterno in mafia. I suoi referenti in Campania e in Calabria, Nicola Cosentino e Amedeo Matacena, sono stati condannati l’uno in appello per concorso in camorra e l’altro in Cassazione per complicità con la ‘ndrangheta. E manca lo spazio per fare la conta dei danni inferti dai suoi tre malgoverni all’economia, alla scuola, alla sanità, all’ambiente, alla cultura, ai diritti civili.

Per queste ragioni chiediamo a tutti i parlamentari di non votarlo alla Presidenza della Repubblica. Anzi, di non parlarne proprio. E, se possibile, di non pensarci neppure.

Firmato:  Peter Gomez, Antonio Padellaro e Marco Travaglio

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/12/01/berlusconi-al-quirinale-no-grazie-firma-la-nostra-petizione-ai-parlamentari/6411310/

mercoledì 22 settembre 2021

Milano, l’Anpi si appella agli elettori: “Non date il voto a liste e candidati fascisti”. Bernardo un mese fa costretto alla giravolta. - Thomas Mackinson

 

Dopo la bega dei soldi per i comizi e l'alterco con Sala sui milanesi "pistola" un'altra grana per il pediatra sostenuto dal centrodestra. Ignorati gli appelli per rimuovere i simpatizzanti di estrema destra dalle liste, l'associazione partigiani e le altre che si rifanno alla Resistenza si rivolgono direttamente ai cittadini.

Il tempo di tirare un sospiro di sollievo che Luca Bernardo, candidato sindaco di Milano per il centrodestra, si ritrova di nuovo accerchiato tra un botta-risposta con Sala e l’accusa di contiguità con l’estrema destra. Il presidente dell’Anpi di Milano anticipa al fattoquotidiano.it che a breve tutte le associazioni che si rifanno alla resistenza faranno un appello pubblico non più a liste e candidati, ma direttamente ai cittadini perché “non votino liste con candidati non dichiaratamente antifascisti”. Una posizione che, nella città medaglia d’Oro della Resistenza, può far presa nella corsa elettorale che si gioca tra il centro e la periferia. Può diventare anche un grimaldello ulteriore perché la Lega è ormai dilaniata tra la linea moderata di Giorgetti e quella di Salvini. La seconda per altro è diventata plasticamente minoritaria sulla questione green pass e no-vax , con tanto di scavalco sia dei governatori del Carroccio che degli esponenti con impegni di governo.

La polemica, va detto, in città c’è sempre stata, dai tempi della Moratti, De Corato e del centrodestra a Palazzo Marino che ha sempre strizzato l’occhio alla galassia dei movimenti della destra radicale. E’ successo anche stavolta, alla vigilia della tornata elettorale alle porte. Il 27 agosto scorso il consigliere regionale Max Bastoni, candidato con la lista di Bernardo per Palazzo Marino, aveva inaugurato il comitato elettorale in via Pareto 14, nei locali milanesi del movimento di estrema destra Lealtà Azione. Allora fu la segreteria metropolitana del Pd a sollevare la questione della scelta di condividere gli spazi con “un movimento che ogni anno organizza le celebrazioni al Campo X del Cimitero Maggiore, tra saluti romani e inni ai caduti di Salò”. Bernardo all’epoca dichiarò che “non c’è differenza tra fascisti e antifascisti”, scatenando polemiche che lo costrinsero poi alla giravolta repentina: “Sono antifascista come tutti gli italiani, si condannino tutte le ideologie folli”.

Stavolta però l’Anpi si rivolge direttamente agli elettori. Il presidente della sede provinciale di Milano Roberto Cenati anticipa al fattoquotidiano.it che a breve tutte le associazioni che si rifanno alla Resistenza (Anpi ma anche Aned, Fiap e Partigiani Cristiani) faranno ai cittadini un appello perché non diano il voto alle liste e ai candidati che non si dissociano dal fascismo. “A 76 anni dalla liberazione di Milano lo avrei considerato scontato”, dice Cenati. “In questi mesi però il nostro accorato appello ai candidati e ai partiti non ha sortito, evidentemente, gli effetti sperati”. Nel frattempo infatti il quartier generale del consigliere regionale Bastoni è rimasto negli stessi locali. Ha anche ribadito di “impegnarsi per far confluire i voti dell’estrema destra su Luca Bernardo”. Ma l’Anpi alza il livello della richiesta spostando la responsabilità della scelta sugli elettori: “A questo punto confidiamo siano loro a dare un segnale, noi non arretriamo sul fatto che chi si candida a governare Milano debba necessariamente ispirarsi ai valori della Costituzione e della Resistenza”.

ILFQ

venerdì 12 febbraio 2021

l sassolino nella scarpa. - Massimo Erbetti

 

Avete presente quando avete un sassolino nella scarpa? Avete presente quanto da fastidio? Avete presente il disagio? Ecco bene…beh sappiate che io sono giorni…settimane…, anzi no, mesi che mi porto qualcosa di molto più grande nella scarpa.

Arriva il momento in cui quel sassolino lo devi togliere, perché proprio non ne puoi più…e quel momento è arrivato…è arrivato il momento di fare i conti con la realtà dei fatti.

"ci siamo snaturati, non siamo più quelli che eravamo"...

Certo è vero…e cosa pensavate? Pensavate si potesse essere al tempo stesso, movimento di lotta e di governo? Quando prendi il 32%, quando 11 milioni di persone ti danno fiducia, non puoi essere quello che eri prima, ti devi assumere delle responsabilità e fare delle scelte…devi decidere…decidere se diventare grande o continuare ad essere Peter Pan.

Il problema è che ogni scelta ha dei risvolti positivi e negativi al tempo stesso, se decidi di essere movimento di governo, quello positivo è che puoi incidere, quello negativo è che chi ti ha votato solo perché dovevi mandare a casa quelli che c'erano prima, ti abbandonerà…perché sei diventato tu quello da mandare a casa.

Se decidi invece di essere movimento di lotta…avrai tanti applausi, tante strette di mano, tante pacche sulla spalla…ti aduleranno, ti santificheranno…ma non farai niente di buono per il tuo paese.

Continuerai ad ululare alla luna, mentre gli altri continueranno a mandare a picco il paese...chi fa sbaglia, chi protesta ci indovina sempre…funziona così…è facile puntare il dito, non costa nulla e nessuno potrà mai accusati di aver sbagliato, perché nessuno potrà mai verificare quello che affermi.

"Se fossimo rimasti coerenti ora avremmo ancora il 32%"...ma certo che si, ma per fare cosa? A cosa serve avere il 32% se poi non puoi fare niente?... "eh…ma se avessimo continuato a protestare, se fossimo rimasti puri…arrivavamo al 41%" dicono i duri e puri…certo come no…tanto chi può smentirli?...mia nonna diceva che con i se e con i ma, non si fa mai giorno.

Arrivare al 41%,sono chiacchere vuote e senza senso…perché un ulteriore 9% sono milioni di voti…milioni capite? Per la precisione 3,1 milioni…ma tanto chi afferma questo continuerà a farlo…tanto chi potrà mai dire il contrario?

Sapete invece cosa avremmo dovuto fare? Stringerci intorno ai nostri eletti, sostenerli, incoraggiarli…e invece cosa abbiamo fatto? Abbiamo puntato il dito, li abbiamo criticati, li abbiamo insultati, li abbiamo trattati come fossero nostri nemici…

Se facevano uno, era poco…se facevano dieci, era poco e se facevano cento era poco…non siamo mai riusciti a gioire di un solo risultato, mai una volta.

Ma gli altri li avete mai guardati? Li avete mai osservati? Guardate ora Salvini…da anti europeista ora indossa la felpa con su scritto "prima l'Europa", da no Recovery, a si Recovery…da flat tax a imposta progressiva…da no migranti a si migranti…e tutti i suoi muti, muti come pesci, nessuno che protesta, nessuno che si lamenta.

E il PD? Ma ci siete mai stati sulla pagina di Zingaretti? Sapete di cosa lo accusano? Di essersi asservito a noi…perche noi siamo riusciti a fargli dire si al taglio dei parlamentari, dopo tre volte che aveva votato no…capito? Tre volte no, poi siamo arrivati noi e ha dovuto dire si.

Ma a noi non basta, noi vogliamo di più…sempre di più…non ci basta mai, sempre poco, troppo poco.

E arriviamo ad oggi…il periodo più travagliato e doloroso della nostra storia…ma pensate che votare Sì ieri sia stato facile? Ma pensate che cliccare su quel tasto non sia stato doloroso per tutti?
E cosa vedo? Vedo gente che invece di incoraggiare, di aiutare, di consolare…cosa fa? Punta il dito…"spariremo".

Ma stiamo scherzando? Ma veramente? In un momento come questo c'è bisogno di unità, c'è bisogno di stringerci intorno ai nostri eletti e aiutarli a superare questo momento.
Non abbiamo bisogno di tifosi, abbiamo bisogno di gente che consapevolmente si rimbocca le maniche e lavora, perché gli eletti, i nostri portavoce, sono come noi, sono noi…erano quelli che con noi facevano banchetti, attaccavano manifesti...sono sempre loro e se oggi pensiamo siano altro, se lo pensiamo veramente…allora abbiamo un serio problema e non siamo così diversi da quelli che nel 2018 ci hanno votato per mandare a casa quelli che c'erano prima e che oggi votano per mandare a casa noi, perché il loro unico scopo di vita, non è costruire un paese migliore, ma mandare a casa qualcuno.

https://www.facebook.com/photo?fbid=10219322233152221&set=a.2888902147289

domenica 7 febbraio 2021

Critici fai da te.


Leggo assurdità proferite su chi accetta o non accetta di far parte del governo Draghi e mi domando: ma ci vuol molto a capire che fare o no parte di un governo tecnico, retto da un tecnico, non dovrebbe avere un indirizzo politico al quale fare riferimento, ma solo la volontà di prodigarsi per promuovere la rinascita del paese e la cura per eliminare la pandemia?

Questi critici fai da te, mi sembrano gli stessi che appena viene loro accordato il passaggio del luogo in cui vivono da arancione a giallo, si riversano sulle strade in assembramento, incuranti delle conseguenze pandemiche.
Dobbiamo muoverci!
Non abbiamo molto tempo a nostro vantaggio, ne abbiamo già perso abbastanza per colpa di incoscienti irresponsabili!

Abbiamo i nostri garanti ALL'INTERNO del prossimo eventuale governo tecnico che non permetteranno che si faccia un utilizzo malsano delle risorse ottenute, fidiamoci di loro!
Del resto, fuori dall'eventuale prossimo governo tecnico, da unici oppositori potremmo fare ben poco, non credete?
Cetta.

sabato 21 novembre 2020

Dire “no no no”: il vero talento della Ravetto. - Antonio Padellaro

 

Se anche non dovesse produrre conseguenze epocali nella politica italiana, il trasferimento di Laura Ravetto (più altri due) da Forza Italia alla Lega ha se non altro il merito di averci detto una parola definitiva sul mistero delle testoline televisive che fanno no, no, no. Leggiamo infatti sul Corriere della Sera che agli esordi sul piccolo schermo, la battagliera avvocata di Cuneo avrebbe potuto fare molto di più, secondo il giudizio inappellabile del presidente-padrone nonché suo mentore: “L’ho richiamata perché non scuote la testa quando parlano i comunisti”, l’avrebbe strigliata Berlusconi. Al che la parlamentare novella avrebbe replicato: “Non so se scuoterò la testa, perché così mi è più facile scuotere l’avversario”. Frase comprensibilmente contorta, in ogni caso meglio non contraddire il datore di lavoro. Eppure rivelatrice di come e perché l’arrembante Caimano avesse escogitato un possibile uso mediatico della testa, sostitutivo della precipua funzione per cui essa è stata creata, quella cioè di contenere il cervello. Personalmente, insieme a Ruby Rubacuori proclamata in Parlamento nipote di Mubarak con entusiasmo travolgente dalla falange forzista, ritengo lo scuotimento di capocce, “quando parlano i comunisti”, lo stigma di quel ventennio di cui oggi a sinistra qualcuno sente perfino nostalgia. Nella mia classifica di oltraggi corporali ritengo insuperabili i no, no, no sapientemente ritmati da Daniela Santanchè, mentre per restare in tema non mi convincono le smorfiette di Daniele Capezzone (ma sarebbe come paragonare Martufello a Totò).

Rimembranze apparentemente futili ma utili se servissero a dare una scossa, questa volta benefica, a quanti non ricordano, o preferiscono non ricordare la vergogna di un ventennio e dei suoi bavagli. A coloro che oggi nella maggioranza di governo, con la speranza di puntellare la maggioranza di governo, tentano di rivalutare la figura dell’ex Cavaliere come modello di mitezza e probità, rammentiamo tre nomi: Biagi, Santoro e Luttazzi. Cacciati dalla Rai con l’editto di Sofia, e del disonore. Quanto alla Ravetto ne comprendiamo la ritrosia all’ipotesi di trasformare il no, no, no in un sì, sì, sì “quando parlano i comunisti”. Massì Laura, meglio un mojito (e una candidatura sicura).

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/11/21/dire-no-no-no-il-vero-talento-della-ravetto/6011362/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-11-21

mercoledì 16 settembre 2020

Il No di sinistra, maledetto imbroglio. - Barbara Spinelli


Bisogna davvero essere ciechi per non vedere che i fautori del No al referendum sul taglio dei parlamentari si agitano molto, in taluni casi fino a sconfinare nel turpiloquio, ma in testa hanno un pensiero unico e fisso: questo Movimento 5 Stelle non ha da esistere, va fatto fuori, e se l’operazione chirurgica comporta la vittoria delle destre e la sconfessione di 40 anni di battaglie del Pd fa niente, sempre meglio del guazzabuglio che abbiamo davanti, i cui contorni sono talmente poco chiari.

A ragionare così è una parte delle sinistre, e man mano che passano i giorni la loro voce si fa al tempo stesso più sgangherata e più inconsistente.

È il caso del No proclamato su «La Stampa» da Roberto Saviano, che non ritiene utile spiegare neanche di soppiatto le ragioni della sua preferenza ma che di una cosa è assolutamente certo: i 5 Stelle, e Di Maio in particolare, sono “intrisi di una cultura profondamente autoritaria e xenofoba” e vanno finalmente liquidati con un sonoro “va ’a cag…” (equivalente sopraffino di vaffa). Quanto a Conte, l’unica prospettiva che offre è morire democristiani, dunque fuori anche lui. Il ragionamento di Montanelli sul voto dato tappandosi il naso per Saviano non vale. Poco importa se Draghi, improbabile profeta della terra promessa, non succederà a Conte sconfitto. Che vengano Salvini e Meloni. Meglio loro che Di Maio, il diavolo in persona, almeno il naso non lo tocchi e il vantaggio non è da poco.

O per meglio dire Saviano offre una ragione, che però non ha nulla a vedere col taglio di parlamentari: questo governo intrallazza con la Libia, accetta che i migranti vengano respinti in un paese dove i richiedenti asilo vengono torturati e uccisi. Obiezione più che giusta e che condivido, se non fosse che a inaugurare gli intrallazzi non sono stati i 5 Stelle ma i governi Pd, la Lega e prima ancora Berlusconi. Non esiste neanche di lontano una maggioranza pronta a ribaltare la politica italiana in Libia ma esiste solo un suo incattivirsi, se Salvini e Meloni vanno al governo.

Non meno inconsistente il No delle Sardine, esperte in frasi fatte e dubbie frequentazioni. Dice Mattia Santori: “Durante il lockdown abbiamo studiato tanto, soprattutto sul percorso e sulle parole che accompagnano un referendum. Per questo votiamo No”. Non è che sia propriamente una spiegazione del voto: in fondo sono stati in tanti a permettersi di passare il lockdown studiando, lasciando che a lavorare restassero Conte e governo, infermieri, medici e scienziati, maestri e “driver”. Se dopo tanto sgobbare Santori annuncia che vota No perché ha studiato farebbe meglio a star lontano dai microfoni.

Poi c’è il no dei giornali mainstream, che i 5 stelle non li hanno mai sopportati. In particolare c’è il No di giornali che vantano una patina ormai slavata di sinistra, tipo «Repubblica». Fa impressione che questo No di sinistra sia sbandierato in nome della Carta costituzionale, che non prescrisse il numero attuale di parlamentari (questi furono portati a oltre 600 con una legge del ’63, per moltiplicare poltrone e clientes ben oltre la proporzione decisa dai costituenti in base alla popolazione). O in nome dell’analogo No che affossò la riforma costituzionale di Renzi. Come se le due riforme fossero paragonabili. Salvatore Settis ha ricordato opportunamente su questo giornale come le due riforme non siano paragonabili: quella odierna prevede il ritocco di due articoli, contro i sostanziosi 45 riscritti da Renzi.

Naturalmente esistono dei No argomentati con più finezza, cioè fornendo qualche dettaglio in più (è il caso di Tomaso Montanari, Francesco Pallante, Livio Pepino, ecc.). Ma questi ultimi sono sommersi dal chiasso dei No vuoti di senso, che hanno come solo obiettivo quello di indebolire la presidenza Conte (il Recovery Fund da lui ottenuto a Bruxelles è appena qualche bruscolino), bloccare ogni timido tentativo di collaborazione fra Pd e 5 Stelle, staccare definitivamente il primo dai secondi, nell ’astrusa convinzione che fra i due, il partito meno confusionario sia il Pd. Questo fronte dei No, Settis lo ritiene ammaliato dal breve termine e del tutto incoerente (praticamente tutti i partiti, a cominciare dal Pd, hanno difeso e votato tagli simili in passato. Per legittimare il Parlamento e non per delegittimarlo).

Il Movimento 5 stelle è certamente una formazione ingarbugliata, come minimo. Ma non c’è partito che non lo sia, a cominciare dal Pd. Alcuni esponenti di quest’ultimo hanno addirittura cambiato opinione in pochi mesi: ieri sì al taglio e oggi no, contro il parere maggioritario del partito. Zanda e Finocchiaro sognano l’atterraggio di Draghi (per quale politica “di sinistra”?) e chi sogna non è tenuto a spiegare.

Non sono tuttavia la confusione e frammentazione del M5S a indisporre di più. Indispone che una buona parte dell’elettorato classico della sinistra ha da tempo traslocato nel Movimento (oltre che nella Lega), e non aspira a tornare nei vecchi partiti. Questo continua a essere intollerabile per il Pd, che insiste in una visione patrimoniale degli elettori (“questi sono MIEI e me li riprendo”). Difficile presentarsi come partito che ha ambizioni egemoniche sulla sinistra o sulla cultura, quando hai sacrificato quasi tutti i tuoi vecchi programmi al punto di fare affidamento sul neoliberismo di Draghi, e vieni sistematicamente sor – passato da un movimento – un elettorato – non più monopolizzabile. L’unico che ha intuito il dramma è Bersani, il quale voterà Sì e dice chiaramente che non sarebbe Draghi a profittare di una disfatta al referendum – soprattutto se combinata con sconfitte alle regionali – ma Salvini e Meloni.

Una delle più convincenti argomentazioni a favore del Sì mi è parsa quella di Lorenza Carlassare. “Se passasse il No –dice la costituzionalista –nulla verrebbe più cambiato. In particolare non verrebbe più cambiata neppure la legge elettorale […] la scelta di chi sarà eletto è unicamente operata dalle direzioni dei partiti […] prescindendo completamente dal rapporto con gli elettori”. E ancora: “In questa situazione non conta tanto il numero dei parlamentari quanto il loro rapporto con gli elettori. Se verso di noi non sentono alcuna responsabilità, di che democrazia stiamo parlando?” Già: di che democrazia stiamo parlando? Nessuno prova speciali godimenti nel votare turandosi il naso (neanche a Montanelli “piaceva”) ma godere per una vittoria di Salvini che magari chissà, faciliterà l’arrivo di Draghi, è più di un errore. È un maledetto imbroglio.

http://barbara-spinelli.it/2020/09/13/il-no-di-sinistra-maledetto-imbroglio/?fbclid=IwAR00XxLLey6sAdqFRsMGqXAJzJo83RVg3it7mCt9Mc31nvD1zGdobS47aIE

La paura fa 90: tutti i nominati sperano nel “No”. - Giacomo Salvini

 


Trasversali I capponi a Natale.

Salvaguardare la rappresentanza, tutelare il Parlamento rispetto al governo ma soprattutto difendere la Costituzione contro un’ipotetica “deriva autoritaria”. Ma dietro alle ragioni nobilissime del No di molti costituzionalisti al referendum sul taglio di 345 eletti – per la maggior parte dei casi infondate – c’è un altro motivo, molto più concreto, che spinge un folto gruppo dei parlamentari, da destra a sinistra, a fare campagna contro la riforma: salvare la propria poltrona. La maggior parte di loro, infatti, nel 2018 è stata eletta grazie ai listini bloccati dei collegi plurinominali previsti dal Rosatellum e quindi la loro elezione non è il frutto di preferenze personali o della vittoria in un collegio uninominale ma dai voti raccolti dal proprio partito: per questo, in caso di vittoria del Sì e di riduzione dei parlamentari, alle prossime elezioni rischiano di non essere rieletti. Per non fare la stessa fine del cappone a natale quindi si schierano per il No al taglio di un terzo dei parlamentari.

Prima di tutto ci sono quelli che sono stati candidati direttamente nei listini bloccati senza farli correre nei collegi uninominali. A sinistra c’è l’ex dalemiano Matteo Orfini e Luigi Zanda eletti nel collegio Lazio 1, il renziano tra i promotori del referendum Tommaso Nanncini candidato al Senato nel collegio Lombardia 3, mentre nel centrodestra tra i fautori più agguerriti del No c’è il senatore Lucio Malan eletto nel listino bloccato Piemonte 1 e molti leghisti: Claudio Borghi nel collegio Toscana 2, Guglielmo Picchi nel Toscana 1 e Paolo Grimoldi e Massimiliano Capitanio in Lombardia. Qualche fautore del No emerge anche tra i 5 Stelle: Andra Vallascas è stato eletto deputato nel 2018 nel collegio Sardegna 3 e Marinella Pacifico nel Lazio 3. Poi ci sono i deputati e i senatori che hanno ottenuto lo stesso la poltrona nonostante siano stati trombati dagli elettori nei rispettivi collegi uninominali perché recuperati nelle liste bloccate. Tra questi ci sono anche molti volti noti come il deputato di Forza Italia Vittorio Sgarbi che nel 2018 perse nel confronto con Luigi Di Maio nel collegio uninominale Campania 1 ed eletto lo stesso grazie al listino dell’Emilia Romagna. Poi l’attuale ministra dell’Agricoltura di Italia Viva Teresa Bellanova, arrivata addirittura terza dopo Barbara Lezzi (M5S) e Luciano Cariddi (Lega) nel collegio uninominale in Puglia e ripescata al Senato anche lei grazie alla generosa Emilia. Stesso discorso per il leghista Alberto Bagnai, sconfitto da Matteo Renzi in Toscana, Pietro Grasso e Gianluigi Paragone.

Ma al comitato del No non bastavano i dinosauri della politica – da Paolo Cirino Pomicino a Pierferdinando Casini – ai pregiudicati come Roberto Formigoni o Silvio Berlusconi. Nelle ultime ore si sono aggiunti due sostenitori di peso: il finanziere renziano Davide Serra e il governatore leghista della Lombardia Attilio Fontana. Il primo lo ha annunciato al Foglio dopo essere tornato in Italia dopo anni a Londra in cui gestiva la sua holding Algebris con sede alle Cayman: questa riforma, ha detto, “toglie spazio alla società civile” per mettere “schiavi di partito” rendendoli “dipendenti più che dei parlamentari (di fatto violando la Costituzione)”. Il governatore Fontana invece è andato dietro a Giancarlo Giorgetti sul No: “Non si può fare un taglio senza altre riforme – ha detto sabato – è improponibile”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/16/la-paura-fa-90-tutti-i-nominati-sperano-nel-no/5932991/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-09-16

martedì 15 settembre 2020

Guida al referendum. Le ragioni del Sì, le obiezioni del No. - Marco Travaglio











Qual è il numero perfetto di parlamentari? La domanda se la posero già i Padri costituenti eletti nel 1946 (556 in tutto). E ovviamente risposero che il numero perfetto non esiste: si tratta di una pura convenzione che, come tale, può cambiare a seconda dei tempi e delle circostanze. L’Assemblea si divise fra chi – come i liberali Einaudi e Nitti, i repubblicani Conti e Perassi e il comunista Nobile – voleva un organo più snello, rappresentativo ed efficiente (3-400 deputati e metà senatori), e chi – come il comunista Terracini e l’indipendente Ruini – pensava che quantità fosse sinonimo di qualità. Alla fine, nella Costituzione, si decise di non fissare un numero preciso, ma un criterio elastico: un deputato ogni 80mila abitanti o frazione superiore a 40mila; un senatore ogni 200mila abitanti o frazione superiore a 100mila. Risultato: nelle prime tre legislature il numero dei parlamentari cambiò tre volte col crescere della popolazione. Nella I (1948-’53) i deputati furono 574 e i senatori 237; nella II (1953-’58) 590 e 237; nella III (1958-’63) 596 e 246. Ma ormai la democrazia era già degenerata in partitocrazia e infatti all’inizio del 1963, a pochi mesi dalle elezioni, la maggioranza del governo Fanfani IV (Dc, Psdi e Pri con l’appoggio esterno del Psi) varò una legge costituzionale che cambiava per la quarta volta il numero degli eletti, moltiplicando le poltrone ben oltre il rapporto fissato dalla Carta: 630 deputati e 315 senatori (più quelli a vita). È quella legge targata Dc, non la Costituzione, che oggi difende chi fa campagna per il No: i Padri Costituenti non c’entrano.

Allora il potere legislativo era affidato in esclusiva al Parlamento. Poi, nel 1970, arrivarono le Regioni e in seguito il Parlamento europeo. E i nostri legislatori elettivi raddoppiarono, da quasi 945 a 1918 (945 parlamentari, 897 consiglieri regionali, 76 eurodeputati). Fu così che dagli anni 80 non i 5Stelle, ancora nel grembo di Giove, la gran parte dei partiti, dei giuristi e dell’opinione pubblica si convinsero che il Parlamento andasse sfoltito: in linea con le Camere elettive delle altre grandi democrazie, tutte meno pletoriche e costose delle nostre. La prima riforma costituzionale che invertiva la marcia rispetto alla legge del 1963 fu quella della commissione presieduta dal liberale Aldo Bozzi nel 1983: abortita in Parlamento. Poi quella della commissione De Mita-Iotti del 1993-’94: abortita in Parlamento. Poi quella della Bicamerale D’Alema del 1997-’99: abortita in Parlamento. Il gioco dei partiti era chiaro: promettere tagli alla Casta più impopolare del mondo e usarli per nascondere varie porcate; poi litigare perché c’era troppa carne al fuoco e lasciare tutto come prima, anzi peggio.

La svolta fu la terrificante Devolution di B.&Bossi, che stravolgeva oltre un terzo della Costituzione e usava il taglio degli eletti come specchietto per le allodole: approvata anzi imposta a colpi di maggioranza nel 2005, fu fortunatamente bocciata dagli elettori nel referendum del 2006. Stesso copione dieci anni dopo con la controriforma Renzi-Boschi-Verdini, che stravolgeva oltre un terzo della Costituzione e indorava la pillola col solito taglio (ma solo al Senato): imposta dal centrosinistra dopo quattro letture nel 2015, fu sacrosantamente bocciata dagli elettori nel referendum del 2016. Il messaggio del popolo italiano era chiaro: basta maxi-riforme costituzionali che costringono gli elettori a un Sì o a un No “prendere o lasciare” su norme diverse ed eterogenee; vogliamo mini-riforme “un passo alla volta”, puntuali, chirurgiche e il più possibile condivise, per correggere o aggiornare pochissimi articoli della Carta e consentire ai cittadini un voto omogeneo e consapevole. Il tutto in linea con lo spirito dell’articolo 138, che prevede modifiche limitate, non blocchi enormi e indistinti.

Così è nato in questa legislatura il ddl costituzionale “Quagliariello-Fraccaro” che recepisce i progetti gemelli dell’esponente di centrodestra e dei 5Stelle (e quello del Pd del 2008) per ridurre i parlamentari da 945 a 600 r risponde a entrambi i requisiti da tutti invocati: è puntuale (modifica i tre articoli della Carta sul numero degli eletti: 56, 57 e 59) e condiviso (grazie ai 5Stelle che l’hanno posto come condizione per il patto con la Lega e per l’alleanza col centrosinistra, è stato approvato nelle quattro letture con maggioranze del 59, 49, 57 e 88%). Siccome nella prima “seconda lettura” non si sono raggiunti i due terzi, era possibile ricorrere al referendum “confermativo” e allontanare l’amaro calice. Così FI e Lega – dopo aver approvato la riforma quattro volte su quattro – hanno raccolto le firme necessarie di 71 senatori: è per questi voltagabbana, che rappresentano appena il 7,5% dei parlamentari, che domenica e lunedì voteremo su una legge approvata da tutti e promessa da 40 anni. Se vince il No, il Parlamento ha un’ottima scusa per interrompere le autoriforme e magari riprendersi i privilegi perduti (vitalizi in primis). Se vince il Sì, si impone una nuova legge elettorale e si possono accontentare pure i benaltristi che al taglio degli eletti preferiscono quello degli stipendi.

Da lunedì, se vince il Sì, il Fatto inizierà una campagna a tappeto per adeguare gli stipendi dei parlamentari a quelli dei colleghi europei e, soprattutto, per una legge elettorale che restituisca agli elettori il potere di scegliersi i propri rappresentanti: meno numerosi, ma migliori. Come li voleva Einaudi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/15/guida-al-referendum-le-ragioni-del-si-le-obiezioni-del-no/5931696/

giovedì 10 settembre 2020

Ora d’aria per il No. - Marco Travaglio

 Fabrizio Barini on Twitter: "Tutti schierati per il NO al referendum  costituzionale sul taglio dei parlamentari. La sinistra ha smesso di  rappresentare la speranza per mettersi al servizio dei poteri forti.  #IoVotoSI…

Nel 2004 fece scalpore il caso di Michele Martinelli, sindaco uscente di Capannori (Lucca) che, trovandosi momentaneamente agli arresti domiciliari per corruzione in campagna elettorale, dava appuntamento ai concittadini ogni giorno alle ore 18 in punto sotto casa sua per i suoi comizi dalla finestra o dal balcone. Il fatto che fosse di FI fece meno scalpore, tanto più che allora il centrodestra si faceva chiamare Casa delle Libertà, ovviamente provvisoria. Infatti, sotto le sue finestre, oltre ai numerosi fan, elettori e complici a piede libero, solevano radunarsi i candidati della sua lista per ascoltare compunti le omelie del galeotto casalingo, anche sulla legalità e l’etica. Una volta, mentre lui concionava dal balcone, il capetto di An annunciò un’interpellanza all’ingegner ministro Castelli perché inviasse gli ispettori alla Procura di Lucca che si era permessa di arrestare un sindaco sospettato di mazzette (e poi condannato sino in Cassazione). Alla fine, non si sa come, Martinelli perse le elezioni e arrivò un incensurato. Ora, con qualche variante, la storia si ripete. Roberto Formigoni, condannato a 5 anni e 10 mesi per associazione a delinquere, corruzione e finanziamento illecito (tangenti per almeno 6,6 milioni da due cliniche private in cambio di 250 milioni di fondi pubblici), quindi scarcerato e spedito ai domiciliari dopo appena 5 mesi da un giudice di sorveglianza che confonde i mesi con gli anni, farà campagna elettorale per il No al taglio dei parlamentari. E non dovrà neppure disturbarsi a comiziare dalla finestra o dal balcone.

Siccome siamo in Italia, 70 mesi di reclusione diventano 5 e pure il concetto di arresti domiciliari è piuttosto elastico: il noto pregiudicato ha due ore d’aria al giorno per andare a zonzo fuori casa (“Sfrutto ogni minuto per uscire: incontro la gente e tengo rapporti sperando di poterlo fare un giorno anche di più” ̀, minaccia sul Corriere). E ha deciso di impiegarle al meglio: facendo il testimonial del No, come se non bastassero altre mascotte del calibro di B., Cirino Pomicino, Sgarbi, Brunetta, Borghi, Bobo Craxi (a nome del padre), Monti, Casini, Orfini, Gori, Zanda, Finocchiaro, Violante, Panebianco, Cassese e tutto il cucuzzaro, giornaloni inclusi. La sua presenza come guest star della Maratona del No sabato a Milano non deve stupire: il popolare Forchettoni, dall’alto dei suoi 6 mandati parlamentari, 2 europei e 4 regionali, opina che “meno parlamentari vuol dire più potere ai capibastone dei partiti” (che finora, con 945 parlamentari, non contavano nulla). Adesso, se gli eletti scendono a 600, lui e quelli come lui hanno il 36,5% di possibilità in meno di entrare in Parlamento. E poi come fanno a rubare?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/10/ora-daria-per-il-no/5926632/

sabato 3 dicembre 2016

Dieci volte No. - Corradino Mineo

Risultati immagini per no
No, No, No e ancora No a questa barbarie. Ecco i titoli dei giornali: “Assedio a Renzi”, la Stampa, che aggiunge: “Renzi contro tutti. Dunque la riforma è già bocciata visto che è la riforma di uno solo? Di che parliamo! “Renzi - Grillo il rush finale”, Repubblica. Allora votiamo per il governo, Pd o 5 Stelle, domani scegliamo il premier? Il Corriere torna a Palazzo Grazioli, da Berlusconi, il quale evoca “brogli della sinistra”.”Sfida finale sugli italiani all’estero”. È impazzito? “ In realtà ad evocare questa schifezza è stato proprio il premier: “quel 3% di voti (per corrispondenza, non necessariamente segreti) può cambiare tutto!” Alcuni suoi zelanti corifei hanno divulgato un un sondaggio (violando la legge?) che attribuirebbe 500mila Sì in più dentro quei mille sacchi. Insomma la Renzi&Company potrebbe ancora vincere, grazie alla madonna pellegrina Maria Elena e a qualche console che con la scheda ha mandato agli elettori dell’estero la letterima del premier (pare però con buste e bolli pagati dal partito di cui è segretario) che intimava di votar Sì.Per il bene d’Italia, si capisce. “Mille sacchi di voti dall’estero, l’hangar dove può cambiare tutto!” fa eco la Stampa. Del Rio, invece, fa pesare sugli elettori la minaccia del grande abbandono: “Se vince il No, Renzi andrà al Colle”. Si dimetterà. “Se invece vinco”, fa eco Lui, “non ci saranno elezioni anticipate”. Perché che fa, se perdi sciogli tu le Camere? A Torino Grillo corteggia la sconfitta: “Fallire è poesia più forti se perderemo”. Ti credo, se vince il No Renzi è probabile che Matteo non riesca a cambiare la legge elettorale su cui aveva posto tre volte la fiducia (Silvio non gli farà questo dono) e al ballottaggio saranno i 5 Stelle a espugnare il Palazzo.
Si supera il bicameralismo? No. Resta per le leggi elettorali, costituzionali ed europee. I consiglieri e sindaci senatori potranno “richiamare” persino le leggi economiche e di bilancio, facendo perdere tempo. Con la riforma, il bicameralismo da paritario diventa confuso.
Nasce il Senato delle Autonomie? No. I senatori saranno scelti e voteranno secondo logiche di partito, non rappresenteranno gli interessi delle loro regioni. Le quali perdono, con la riforma, poteri politici e restando centri di spesa, enti amministrativi.
Cambia solo la seconda parte della Costituzione? No. La riforma maltratta organi di garanzia. Ben 2 giudici della Consulta saranno eletti da 100 consiglieri con immunità. Per il Capo dello Stato, basterà un quorum dei presenti, non più degli aventi diritto al voto.
La legge elettorale non c’entra con la riforma? No. Se si passa da due a una sola Camera eletta dal popolo, quella camera dovrebbe rappresentare tutte le cultura, ogni sorta di elettore. I tedeschi, che hanno un Senato delle regioni, eleggono il Bundestag con la proporzionale. Renzi pretende fare eleggere, con il 30% dei voti, il 54% dei deputati.
Si cambia la Costituzione rispettando la Costituzione? No. L’Articolo 138 serve per rivedere, in modo puntuale, la carta, non per mutarne in un colpo 47 articoli. Il referendum dovrebbe prevedere un quesito semplice, che dia senso al Sì o al No. Domenica voteremo alla cieca su senato, regioni, referendum, leggi d’iniziatica popolare, organi di garanzia.
È da 70 anni, come dice Renzi, che si parla di riforma? No. 70 anni fa, nel 1946 si era appena votato per la Repubblica e la Carta non era stata scritta. Di riforma “bonapartista” comincò a parlarne la destra, perché non riesciva a sbarazzarsi del 68 e dell’autunno caldo.
Il bicameralismo ha trasformato l’Italia in una tartaruga nel far le leggi? No. Siamo velocissimi, solo che fabbrichiamo leggi imposte dal governo, frettolose e scritte male. Ne servirebbero poche e ordinative, il governo dovrebbe applicarle, il parlamento controllare.
È vero che se vince il No arriveranno fulmini da Europa e Mercati? No. Dopo Trump e la Brexit l’Europa non può permettersi di perdere l’Italia: gli stessi “favori” che han fatto al Renzi I, li farebbero al Renzi-bis o a un governo Del Rio, se Matteo si ritirasse sotto la tenda del Pd. I mercati giocherebbero un paio di giorni col nostro debito. Poi basta.
Tutte le democrazie hanno leggi maggioritarie come l’Italicum? No. Quella tedesca è proporzionale (come ora la vorrebbe per l’Italia Silvio) quella spagnola somiglia alla proposta dei 5 Stelle. Sistemi maggioritari ormai obsoleti hanno favorito la vittoria di Trump, la Brexit e ridurranno il confronto in Francia tra una destra ultra liberista e una fascista.
Il fronte del No è un’accozzaglia indecente? No. Perché le costituzioni si votano insieme, destre sinistre e 5 Stelle. È trasformista chi governa senza mandato popolare, con Alfano e Verdini, uomini del Pdl, con cui avevamo promesso agli elettori di non governare.