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mercoledì 16 settembre 2020

La paura fa 90: tutti i nominati sperano nel “No”. - Giacomo Salvini

 


Trasversali I capponi a Natale.

Salvaguardare la rappresentanza, tutelare il Parlamento rispetto al governo ma soprattutto difendere la Costituzione contro un’ipotetica “deriva autoritaria”. Ma dietro alle ragioni nobilissime del No di molti costituzionalisti al referendum sul taglio di 345 eletti – per la maggior parte dei casi infondate – c’è un altro motivo, molto più concreto, che spinge un folto gruppo dei parlamentari, da destra a sinistra, a fare campagna contro la riforma: salvare la propria poltrona. La maggior parte di loro, infatti, nel 2018 è stata eletta grazie ai listini bloccati dei collegi plurinominali previsti dal Rosatellum e quindi la loro elezione non è il frutto di preferenze personali o della vittoria in un collegio uninominale ma dai voti raccolti dal proprio partito: per questo, in caso di vittoria del Sì e di riduzione dei parlamentari, alle prossime elezioni rischiano di non essere rieletti. Per non fare la stessa fine del cappone a natale quindi si schierano per il No al taglio di un terzo dei parlamentari.

Prima di tutto ci sono quelli che sono stati candidati direttamente nei listini bloccati senza farli correre nei collegi uninominali. A sinistra c’è l’ex dalemiano Matteo Orfini e Luigi Zanda eletti nel collegio Lazio 1, il renziano tra i promotori del referendum Tommaso Nanncini candidato al Senato nel collegio Lombardia 3, mentre nel centrodestra tra i fautori più agguerriti del No c’è il senatore Lucio Malan eletto nel listino bloccato Piemonte 1 e molti leghisti: Claudio Borghi nel collegio Toscana 2, Guglielmo Picchi nel Toscana 1 e Paolo Grimoldi e Massimiliano Capitanio in Lombardia. Qualche fautore del No emerge anche tra i 5 Stelle: Andra Vallascas è stato eletto deputato nel 2018 nel collegio Sardegna 3 e Marinella Pacifico nel Lazio 3. Poi ci sono i deputati e i senatori che hanno ottenuto lo stesso la poltrona nonostante siano stati trombati dagli elettori nei rispettivi collegi uninominali perché recuperati nelle liste bloccate. Tra questi ci sono anche molti volti noti come il deputato di Forza Italia Vittorio Sgarbi che nel 2018 perse nel confronto con Luigi Di Maio nel collegio uninominale Campania 1 ed eletto lo stesso grazie al listino dell’Emilia Romagna. Poi l’attuale ministra dell’Agricoltura di Italia Viva Teresa Bellanova, arrivata addirittura terza dopo Barbara Lezzi (M5S) e Luciano Cariddi (Lega) nel collegio uninominale in Puglia e ripescata al Senato anche lei grazie alla generosa Emilia. Stesso discorso per il leghista Alberto Bagnai, sconfitto da Matteo Renzi in Toscana, Pietro Grasso e Gianluigi Paragone.

Ma al comitato del No non bastavano i dinosauri della politica – da Paolo Cirino Pomicino a Pierferdinando Casini – ai pregiudicati come Roberto Formigoni o Silvio Berlusconi. Nelle ultime ore si sono aggiunti due sostenitori di peso: il finanziere renziano Davide Serra e il governatore leghista della Lombardia Attilio Fontana. Il primo lo ha annunciato al Foglio dopo essere tornato in Italia dopo anni a Londra in cui gestiva la sua holding Algebris con sede alle Cayman: questa riforma, ha detto, “toglie spazio alla società civile” per mettere “schiavi di partito” rendendoli “dipendenti più che dei parlamentari (di fatto violando la Costituzione)”. Il governatore Fontana invece è andato dietro a Giancarlo Giorgetti sul No: “Non si può fare un taglio senza altre riforme – ha detto sabato – è improponibile”.

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