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martedì 1 febbraio 2022

Spende, spande, ma chiede gli aiuti di Stato: lo spudorato “chiagni e fotti” della Serie A offende chi è stato rovinato dal Covid (e ha continuato a pagare le tasse). - Lorenzo Vendemiale

 

FATTO FOOTBALL CLUB - Sia chiaro: nessuno critica le operazioni di calciomercato, quasi tutte molto intelligenti. Ma è inconcepibile che gli stessi club che spendono centinaia di milioni per acquistare nuovi calciatori poi chiedano al governo ristori e favori fiscali, in barba ai sacrifici di chi è stato davvero devastato economicamente dalla pandemia.

Spendono, spandono, ma poi i presidenti piangono miseria. Dopo Vlahovic e Gosens, ma anche Sergio Oliveira, Zakaria, Boga, Ricci, un calciomercato faraonico, le richieste di ristori da parte della Serie A sono semplicemente indecenti. Non siamo più neppure alla favola della cicala che passa l’estate a cantare e poi si ritrova in inverno senza cibo, perché l’inverno è arrivato da un pezzo e i club lo sanno perfettamente. Qui siamo al “chiagni e fotti” più spudorato.

Oggi si conclude un calciomercato ricco, a livelli pre-Covid. Dalla grande Juventus che è tornata a fare la Juventus, alla piccola Salernitana che ha cambiato mezza squadra, si sono mossi tutti senza badare troppo al portafoglio. Ma in questo non c’è nulla di male. Chi crede che certe cifre siano immorali sbaglia, la retorica del pauperismo fine a se stesso lascia il tempo che trova. È giusto che una società di calcio (che è un’azienda con un fatturato milionario) investa in quelli che sono i suoi asset, se ritiene di poterlo fare. Tanto più che parliamo di operazioni intelligentia partire da Vlahovic, un affare indiscutibile da ogni punto di vista; ma in generale tutte le squadre si sono mosse con lungimiranza, guardando alla prossima stagione, investendo sul futuro. Il problema non è il calciomercato. Il problema è come un comparto che nell’ultimo mese ha speso complessivamente 150 milioni di euro (impegnandone almeno un’altra cinquantina in obblighi di riscatto) possa poi pretendere di non pagare le tasse, oppure ricevere aiuti dallo Stato. Con che faccia si presentino al governo con certe richieste.

Bisognerebbe chiederlo al presidente della Serie A, Paolo Dal Pino, che ha inviato una lettera a Palazzo Chigi per invocare il sostegno del governo (forse nemmeno lui mentre la firmava si è reso conto del clamoroso autogol). Oppure al n.1 della Figc, Gabriele Gravina, che ha appena dichiarato una cosa sacrosanta: “Tra quello che chiediamo e i comportamenti del calcio a volte non c’è coerenza”. Però intanto si è fatto promotore di un tavolo “per la definizione di ristori al mondo del calcio”, che non ha motivo di esistere. E in fondo una risposta chiara dovrebbe darla anche la sottosegretaria allo Sport, Valentina Vezzali, che in un’intervista al Sole 24 Ore ha parlato di “riforme in cambio di aiuti”, ma non si capiva bene se fosse più carota o bastone, un’apertura ai possibile ristori o un richiamo alle colpe del pallone.

Il calcio è ovviamente stato colpito dal Covid, nessuno lo nega, ma non come sostiene (parliamo di un sistema squilibrato che viveva ben oltre le sue possibilità già da anni) e comunque non più di altri settori. A differenza di attività che sono state davvero stroncate dalla pandemia, il pallone non si è praticamente mai fermato se non per quei primi due mesi di lockdown. Ha potuto salvare buona parte dei suoi ricavi (diritti tv, sponsor, ecc.), rinunciando di fatto solo agli incassi da stadio che in media valgono solo il 10% del bilancio di un club. Ha appena ricevuto una sospensione fiscale di quattro mesi, privilegio che ad altri comparti non è stato concesso. C’è in ballo la cancellazione del divieto di pubblicità dalle scommesse, che è un tema politico. Tutto il resto sono pretese irricevibili.

Non perché il calcio non meriti considerazione dallo Stato, ma perché il problema è appunto la coerenza. Se un’attività è in crisi, tira la cinghia e non si imbarca in impegnativi progetti di ristrutturazione. Se la Serie A è “un sistema sull’orlo del baratro, con margini di resistenza assottigliati al minimo” (parole di Beppe Marotta, amministratore delegato dell’Inter), dovrebbe pensare più alle riforme che al calciomercato. Invece di format ridotto del campionatosalary cap, norme contro le commissioni degli agenti non c’è traccia, mentre si vedono colpi da 90 milioni di euro. Tanto poi arrivano i ristori pubblici. Da settimane è in corso un battage mediatico sempre più esasperato per convincere Palazzo Chigi. “Il governo – ha detto minaccioso il patron del Napoli, Aurelio De Laurentiis – deve capire che 25 milioni di tifosi sono 25 milioni di elettori”. Sono anche 25 milioni di persone che pagano regolarmente le tasse.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/01/31/spende-spande-ma-chiede-gli-aiuti-di-stato-lo-spudorato-chiagni-e-fotti-della-serie-a-offende-chi-e-stato-rovinato-dal-covid-e-ha-continuato-a-pagare-le-tasse/6474564/

mercoledì 10 settembre 2014

Spese pazze all'Ars, le accuse deputato per deputato. - Emanuele Lauria



CON i soldi dell'Ars c' era pure chi pagava le offerte per il parroco della chiesa Sant' Eugenio Papa di Palermo: duecento euro che il gruppo dell'Udc elargì nel 2011 per le messe di suffragio in memoria del padre dell'ex presidente dell'Assemblea, Francesco Cascio. È una delle contestazioni fatte dalla procura della Corte dei conti a Rudy Maira, ex capogruppo dello Scudocrociato poi passato al Pid, nell'ambito dell'inchiesta sulle spese pazze a Palazzo dei Normanni, che è passata a una fase calda: ci sono gli "inviti a dedurre", l'equivalente degli avvisi di garanzia nel procedimento penale, per sette ex capigruppo chiamatia rispondere di una lunga serie di presunte irregolarità. L'indagine della magistratura contabile riguarda la precedente legislatura e contiene i medesimi rilievi di quella penale, che vede 97 indagati. Entrambe muovono da un maxi-rapporto della Guardia di finanza. Ma il campo delle contestazioni si restringe: la Corte dei conti ha escluso le spese per il personale e l'importo complessivo del danno erariale è diminuito sensibilmente: due milioni di euro la cifra nel mirino, contro i 55 milioni oggetto della relazione delle Fiamme gialle. Nei prossimi giorni, però, la Corte potrebbe inviare un invito a dedurre ad altri ex capigruppo.



ANTONELLO CRACOLICI

500 MILA EURO. All’ex capogruppo del Pd viene contestata la spesa di 72 mila euro per i pasti consumati dal gruppo del Pd nella buvette lungo i cinque anni di legislatura. Ma sotto accusa sono finite anche le "anticipazioni" attraverso le quali Cracolici avrebbe pagato bollette dell' Enel, della Tarsu, il canone Rai, la gita d' istruzione della figlia (200 euro) e l' acquisto di un mazzo di mimose (15 euro). Sempre dalle spese del Pd emergono prestiti all' ex senatore Crisafulli (fra cui 1.075 euro per due polizze assicurative), a Gianni Parisi (268 euro) per l' Ici e all' ex sindaco di Corleone Pippo Cipriani (mille euro).




CATENO DE LUCA

4 MILA EURO. All’ex capogruppo del gruppo misto, che nella scorsa legislatura ha militato anche nell’Mpa e in Grande Sud prima di candidarsi alla poltrona di governatore sotto le insegne di Sicilia vera, vengono contestati l’acquisto di 40 agende donate per Natale e rimborsi benzina per oltre tremila euro.




CATALDO FIORENZA

31 MILA EURO. L’allora capogruppo del Gruppo misto, nei rilievi della Corte, utilizzava tre carte prepagate per le sue spese personali, che puntualmente si faceva ricaricare: in due anni ha speso quasi 31 mila euro di soldi pubblici per abiti, gioielli, spese al supermercato, in farmacia, ma anche per giocattoli, mobili, massaggi, cene, pizze e bottiglie di vino.



INNOCENZO LEONTINI
110 MILA EURO. All’ex capogruppo del Pdl contestate le spese per il carburante della sua auto: 1.208 euro per il periodo settembre 2001-maggio 2012, 3.670 euro per il periodo aprile 2011-agosto 2012. Leontini si sarebbe fatto pagare dal Parlamento siciliano anche i lavaggi della propria vettura: prima 171 euro e poi 188,90 euro. Con questa cifra, Nel mirino dei magistrati contabili anche una multa da 51 euro, pagata con i fondi dei gruppi parlamentari. Al capogruppo del Pdl bastò una semplice dichiarazione per farsi rimborsare anche una cartella esattoriale della Serit, per 67,75 euro.
RUDY MAIRA
407 MILA EURO. L’ex capogruppo dell’Udc, poi del Pid, viene chiamato in causa per le spese di acquisto in leasing e gestione di quattro Audi A6, che sono state utilizzate da lui personalmente e dall' ex deputato Fausto Fagone. Danno stimato per le casse dell' Ars: 118 mila euro. Ma all' ex capogruppo di Udce Pid viene rimproverata anche la pratica di assegnare indennità "extra" mensili (da 800 a 1.200 euro), con i fondi del gruppo, a diversi colleghi: Salvatore Cascio, Toto Cordaro, Giuseppe Lo Giudice, Orazio Ragusa. Nel mirino anche un rimborso di spese telefoniche per 1.674 euro, percepito malgrado ogni deputato disponga di una quota forfettaria mensile garantita dall' Ars. E quel pagamento di 200 euro in favore della parrocchia di Sant' Eugenio Papa, come offerta per la celebrazione di cinque messe.
FRANCESCO MUSOTTO
700 MILA EURO. L’ex capogruppo dell’Mpa deve rispondere anzitutto di un ammanco di 45 mila euro: soldi che, dice Musotto, furono prelevati in banca e consegnati personalmente all' allora governatore Raffaele Lombardo, il quale ha sempre smentito questa circostanza. Fra le contestazioni mosse a Musotto anche una spesa da 4.700 euro per un banchetto a Villa Alliata che il 18 ottobre 2010 sancì l' alleanza politica con il Pd, a sostegno del governo Lombardo. Ma anche la spesa di 80 mila euro per la sede dell' Mpa in via Libertà, a Palermo, e di altri 22 mila euro per far viaggiare in giro per la Sicilia, su un' Audi A6, l' ex commissario Enzo Oliva.
TITTI BUFARDECI
62 MILA EURO. Pranzi e cene sono stati il cuore della campagna elettorale per Giambattista Bufardeci, cui la Procura e la Corte dei conti contestano - tra l’altro - di avere speso per conti nei ristoranti una cifra di 634,29 euro: non è stata trovata alcuna ricevuta fiscale nella sede del gruppo Grande Sud, ma solo una generica indicazione di pranzi e cene. Troppo poco, e anche Bufardeci è finito sotto inchiesta per peculato.