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lunedì 13 febbraio 2023

OPS! ALLA BCE SI ACCORGONO CHE ALZARE I TASSI NON SERVE A CONTRASTARE L’INFLAZIONE. - Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)

 

Siamo alle solite, i banchieri centrali con il loro seguito pontificano, salvo poi a disastro avvenuto a spese della gente, constatare che un certo mondo accademico, eternamente spregiato, aveva ragione.

Sto parlando del selvaggio aumento dei tassi, misura che tutti i banchieri centrali del mondo occidentale, hanno intrapreso, per fronteggiare il fenomeno inflattivo apparso nelle nostre vite da oltre un anno per precisa volontà di coloro che hanno il potere di controllare il monopolio della moneta.

Sul fatto che le banche centrali attraverso la loro politica monetaria non possano fare assolutamente niente rispetto all’inflazione – ma che sia invece necessario l’intervento dei governi attraverso la politica fiscale – il mondo accademico serio ha finito la carta per scriverlo ed il fiato per gridarlo.

Warren Mosler, padre fondatore della teoria della moneta moderna (MMT), ci ha dimostrato recentemente, attraverso un suo più che esaustivo documento di lavoro, che la maggior parte dei banchieri centrali, sono spesso usi interpretare la politica sui tassi al contrario. [1]

Ovvero, in presenza di inflazione, chi per pura e folle convinzione o chi per servigio, quasi tutti i governatori degli istituti centrali si affrettano ad alzare i tassi, spacciandolo al mondo intero come il modo migliore per contrastarla; mentre è facile intuire che tassi più alti equivalgono a più capacità di spesa per il settore privato e quindi di per sé una misura non di politica monetaria ma bensì fiscale, con caratteristiche prettamente inflattive.

Del resto solo chi si rifiuta di vedere la realtà storica, può credere – dopo quasi due decadi in cui la BCE ha costantemente mancato al ribasso il target di inflazione che si era prefissa (2%) – adesso possa essere in grado di gestirne il rialzo!

Logica vuole, delle due l’una: o sei in grado di gestirlo sempre o non sei in grado di farlo mai!

La risposta esatta è la seconda, ovvero quella sulla quale ci siamo già pronunciati all’inizio: le banche centrali senza l’intervento dei governi mediante la politica fiscale, ben poco per non dire niente possono fare per fronteggiare il fenomeno del caro prezzi di qualsiasi origine esso sia.

Peraltro se tutti concordiamo sul fatto che i tassi negativi sono l’equivalente di una tassa e quindi una misura deflattiva…. di contro tassi positivi non possono che essere un reddito e quindi una misura inflattiva.

Ed eccoci puntualmente alla Verità!

A sbattercela in faccia è Isabel Schnabel, membro del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, le cui parole sono riportate dalla prestigiosa testata finanziaria newyorkese Bloomberg:

Schnabel Says ECB Hikes Having Little Impact on Inflation So Far

[Traduzione: Schnabel afferma che finora gli aumenti della BCE hanno avuto un impatto limitato sull’inflazione]

Il membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea, Isabel Schnabel, ha affermato che finora l’inasprimento senza precedenti della politica monetaria volto a domare l’inflazione ha avuto scarso effetto.[2]

La crescita dei prezzi al consumo ha ancora slancio, con il livello di inflazione sottostante straordinariamente alto, ha affermato la stessa Schnabel in un webcast martedì scorso.

“Non si può dire che la politica monetaria abbia un tale impatto da poter sperare che l’inflazione raggiunga il nostro obiettivo del 2% nel medio termine”, ha affermato ancora la Schnabel. “Vedremo più da vicino cosa sta succedendo sui mercati del lavoro, cosa sta succedendo agli investimenti, come si sta sviluppando l’economia in generale”.[3]

Benché come vedete, a Francoforte ci si renda conto che la cura sia sbagliata e nonostante la scorsa settimana la BCE abbia già provveduto ad aumentare i tassi di interesse di mezzo punto, una mossa identica è già stata promessa nella prossima riunione di marzo. Ma non è tutto, nelle stanze di comando dove ha sede l’Istituto centrale, c’è chi ancora tra i funzionari più aggressivi, ritiene molto probabile che gli aumenti debbano persistere anche nei prossimi mesi, indicando un’inflazione di fondo vischiosa.

Ancora la Schnabel: “Dobbiamo chiederci per quanto tempo dovremo rimanere in un territorio restrittivo” – “Dipenderà dal fatto se abbiamo prove evidenti che l’inflazione, e in particolare l’inflazione sottostante, sta tornando al nostro obiettivo del 2% e si sta stabilizzando lì”.

Come vedete, nonostante la stessa Schnabel si renda conto che la cura è sbagliata, non intende nella maniera più assoluta abbandonarla.

Niente da fare, continueranno su questa strada, fino a quando… pare logico chiedersi?

Anche questa risposta ce l’ha fornita Warren Mosler, nella sua ospitata alla puntata del Maggio scorso del programma “Pensare che c’era il pensiero”, andato in onda sui canali di ComeDonChischiotte.org – stante il fatto che il fenomeno inflattivo è stato originato dal cartello monopolistico del settore energetico che ha fatto schizzare il prezzo di gas e petrolio alle stelle con speculazione al seguito, quando la domanda di quest’ultimi, per ovvi motivi di mercato, scenderà…. a quel punto anche il prezzo dell’energia comincerà a scendere e di conseguenza anche i prezzi degli altri prodotti.

A quel punto i giornali titoleranno: oh! come sono stati bravi Jerome Powell and Christine Lagarde a domare l’inflazione! Mentre realtà e dottrina, al contrario ci confermano, che aumentare i tassi ha solo contributo ad  acuire il problema, costringendo famiglie ed imprese a sofferenze inutili.

In conclusione niente di nuovo, sempre lo stesso refrain: si crea il problema per mezzo della politica, si mette in atto la cura sbagliata facendo credere a tutti che sia quella giusta e quando tutti si accorgono che è quella sbagliata, gli si da’ ragione ma si continua ancora sulla stessa strada.

Ci sarebbe da sorridere se non fosse che in mezzo a questa delinquenziale follia germogliano gli enormi interessi dell’élite e le immani sofferenze dei popoli.

[1] PREZZI, INFLAZIONE E TASSI D’INTERESSE: QUELLO CHE I GOVERNANTI NON CI DICONO ED I BANCHIERI CENTRALI NON COMPRENDONO – Megas Alexandros

lunedì 9 settembre 2019

BTp, la frenata dei tassi regala al governo M5S-Pd un bonus da 15 miliardi. - Maximilian Cellino



La brusca retromarcia effettuata dal mercato venerdì pomeriggio e legata alle nuove tensioni fra Pd e M5S sulla formazione del Governo, che in Europa ha fatto chiudere in ribasso la sola Piazza Affari (-0,35%) e riportato lo spread fra Btp e Bund a 170 punti base, non riesce almeno per il momento a cancellare i passi avanti messi a segno dalla Borsa milanese e dai titoli di Stato italiani dal momento in cui è iniziata la trattativa per creare un nuovo esecutivo e scongiurare l’ipotesi di elezioni in autunno. E con un debito pubblico che a giugno sfiorava ormai i 2.400 miliardi di euro è logico e immediato guardare a questi progressi, che si possono trasformare in preziosi risparmi per le casse dello Stato e quindi in denaro da destinare altrove.

Con le ultime aste in cassa già oltre 600 milioni.

L’esempio lo si è avuto proprio questa settimana, durante la quale il Tesoro ha potuto emettere titoli a medio-lungo termine per 9,25 miliardi di euro (4 miliardi dei quali per il nuovo BTp a 10 anni) spendendo meno di quanto fosse ipotizzabile qualche settimana fa o di quanto si è fatto da inizio anno. Se per esempio si fossero effettuate il 9 agosto, giorno del picco dei rendimenti dei titoli italiani (e dello spread) all’indomani dello stop al primo governo Conte decretato dall’ex vice premier, Matteo Salvini, le stesse operazioni sarebbero costate nel complesso (considerando cioè l’intera vita residua del debito collocato) ben 600 milioni in più.
Dai risparmi potenziali per fine anno...
La vicenda si fa decisamente più interessante quando viene proiettata sul futuro, ma qui si entra inevitabilmente nel mondo delle ipotesi e delle congetture. Da qui a fine anno, per esempio, secondo le stime di UniCredit Research, al Tesoro italiano resterebbero ancora da collocare titoli a medio-lungo termine per poco meno di 69 miliardi: una fetta residua dell’ammontare lordo che sarà offerto agli investitori quest’anno, pari a circa 250 miliardi e che finora è stato coperto per quasi il 73 per cento. Qualora il livello dei tassi si mantenesse ai livelli di ieri (ma qui, ovviamente, entriamo nel mondo dei «se») attraverso le operazioni che restano da compiere nel 2019 il Tesoro potrebbe risparmiare ben 4 miliardi rispetto a quanto sarebbe stato costretto a pagare ai debitori conducendo quelle stesse aste ai tassi della seconda settimana di agosto.
... alla «mezza finanziaria» che spunterebbe nel 2020.
Proiettando ancora in avanti prossimo la medesima analisi è anche possibile ipotizzare che nel 2020 - nel caso le emissioni lorde si confermassero sui livelli complessivi di quest’anno, in base ai valori attuali dei tassi e quando si tiene conto che la scadenza residua del nostro debito si avvicina ai 7 anni - il «bonus» potrebbe addirittura sfiorare i 15 miliardi: oltre la metà di quanto, per fare un esempio che in questi giorni viene sempre più spesso tirato in ballo, sarebbe necessario raccogliere per non far scattare le clausole di salvaguardia e il nefasto aumento dell’Iva. Oppure, se si preferisce, più o meno l’ammontare minimo che, come ricordato su Il Sole 24 Ore di venerdì, potrebbe alla fine essere necessario per condurre in porto la Manovra nel caso di un ipotetico «sconto» da parte della Commissione Ue.
I paragoni con le fasi più tese per lo spread.
Certo, spostando i termini di paragone i potenziali risparmi del Tesoro sono destinati a lievitare: salirebbero per esempio a oltre 40 miliardi se si fa il confronto con i rendimenti massimi toccati dai BTp durante le fasi concitate della formazione del precedente governo nel maggio 2018 e sfiorerebbero addirittura i 50 miliardi se ci si riferisce ai tempi del duello con la Commissione Ue sulla Legge di Bilancio dello scorso autunno. La sostanza però non cambia: tassi più bassi equivalgono a un vantaggio per i nostri conti pubblici e possono liberare preziose risorse da impiegare altrove.
Attenzione al riemergere del rischio politico
Resta tuttavia da vedere se queste proiezioni si trasformeranno in realtà o meno, e qui l’andamento futuro dei tassi resta un’incognita. Parlando in generale si può immaginare che l’atteggiamento ultra-espansivo sul quale tenderà a riportarsi la Bce da settembre continuerà a esercitare l’effetto di una calamita in grado di attrarre verso il basso i rendimenti. Nel caso specifico dei titoli italiani è inoltre possibile appiattire ulteriormente quella sorta di «cuscinetto» rappresentato dallo spread, per andare magari a riavvicinare i tassi di Spagna e Portogallo ormai prossimi a zero anche sul decennale. Esiste però anche il pericolo opposto, quello cioè di veder gonfiare di nuovo il differenziale per un ritorno di fiamma del rischio politico. Se avessimo effettuato lo stesso calcolo ai tassi registrati nelle ultime ore della seduta di venerdì, il bonus sul 2020 si sarebbe già ridotto di circa un miliardo: più che un avvertimento da parte dei mercati.