giovedì 26 aprile 2012

ll Nobel Stiglitz: “L’austerity sarà un disastro per l’Europa”. - di Martin Eiermann





L’austerità di per sé «sarebbe sicuramente un disastro» e «le conseguenze nel breve termine saranno molto negative per l’Europa» dice il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz per il quale è impossibile che tutto il Continente possa diventare come la Germania. Ma è il modello economico globale che non funziona: «Non importa se poche persone al vertice sono strapagate - quando la maggioranza dei cittadini non si è arricchita, il sistema economico non funziona».Le politiche di recessione ci stanno portando verso una doppia recessione, mette in guardia l’economista statunitense Joseph Stiglitz. Si è incontrato con il giornale tedesco The European per discutere il nuovo pensiero economico e l’influenza del denaro nella politica.


The European: Quattro anni dopo l’inizio della crisi finanziaria, si sente rassicurato dal modo in cui gli economisti hanno provato a comprenderla, e dal modo in cui le loro analisi sono state recepite dai politici?
Stiglitz: Mi lasci analizzare questo tema in modo leggermente diverso. Gli economisti accademici hanno giocato un ruolo importante nel causare la crisi. I loro modelli erano eccessivamente semplificati, distorti, e trascuravano gli aspetti più importanti. Questi modelli sbagliati hanno incoraggiato i politici a credere che il mercato avrebbe risolto tutti i problemi. Prima della crisi, se io fossi stato un economista di strette vedute, sarei stato molto compiaciuto dal vedere quanto impatto avessero gli accademici sulla politica. Ma sfortunatamente questo è stato un danno per il mondo. Dopo la crisi avresti sperato che il pensiero accademico fosse cambiato, e che i politici fossero cambiati con esso, diventando più scettici e cauti. Ti saresti aspettato che, dopo tutte le previsioni sbagliate del passato, i politici avrebbero chiesto agli accademici di ripensare alle loro teorie. In generale sono deluso sotto tutti i punti di vista.

The European: gli economisti hanno visto i difetti dei loro modelli teorici ma non hanno provveduto a liberarsene o a migliorarli?Stiglitz: nel mondo accademico, quelli che credevano nel libero mercato prima della crisi ci credono ancora. Pochi hanno cambiato idea, e voglio riconoscergli il merito di avere detto: “Ci eravamo sbagliati. Avevamo sottostimato questo o quell’aspetto dei nostri modelli”. Ma i più hanno dato una risposta differente. I sostenitori del libero mercato non hanno rivisto i propri convincimenti.

The European: Guardiamo al lungo periodo.

http://temi.repubblica.it/micromega-online/ll-nobel-stiglitz-%E2%80%9Cl%E2%80%99austerity-sara-un-disastro-per-l%E2%80%99europa%E2%80%9D/

Sotto i 1000 euro la metà dei pensionati Agli under 64 va un assegno su tre.



Istat: carrello della spesa più caro del 4,2%


Le cifre dell'Istat sulla spesa per la previdenza nel 2010. Il 14 per cento dei vitalizi è inferiore ai 500 euro. Un italiano su tre riceve un indennizzo "multiplo": c'è anche chi è titolare di quattro o più pensioni.

Quasi metà dei pensionati italiani riceve meno di mille euro al mese. Ma un assegno su tre va a cittadini sotto i 64 anni. Le cifre sono quelle di una relazione dell’Istat che ha registrato una spesa per prestazioni pensionistiche in Italia nel 2010 di oltre 258 milioni, in aumento rispetto all’anno precedente anche se diminuisce la sua incidenza sul Pil (16,64% contro il 16,69% del 2009). In totale i pensionati sono 16,7 milioni e percepiscono, in media, 15mila e 471 euro all’anno.
Le fasce d’età. Secondo l’Istat quasi il 30 per cento dei pensionati ha un’età inferiore ai 64 anni: nel dettaglio il 3,5 per cento dei destinatari degli assegni di previdenza ha meno di 40 anni, mentre il 25,6 ha tra i 40 e i 64 anni. Il 70,9 per cento dei pensionati ha invece oltre 64 anni (il 48,5 ne ha fino a 79, il 22,3 ne ha più di 80). 
Per il 14 per cento meno di 500 euro. Il 14,4 per cento dei pensionati italiani riceve meno di 500euro, il 31 per cento (5,2 milioni di italiani) percepisce un vitalizio tra i 500 e mille euro, il 23,5 per cento tra mille e mille e 500 euro e il restante 31,1 per cento più di mille e 500 euro. Sono stime che si riferiscono sempre al 2010. Le donne rappresentano il 53 per cento dei pensionati, ma percepiscono assegni di importo medio pari a 12 mila e 840 euro, contro i 18 mila e 435 euro degli uomini e il 54,9 per cento riceve meno di mille euro (a fronte di una quota del 34,9 per cento tra gli uomini). 
Il 48 per cento di pensionati al nord. Nel 2010 la  il 47,9 per cento delle pensioni è stato erogato al Nord, il 20,5 per cento nelle regioni del Centro e il restante 31,6 per cento nel Mezzogiorno. 
Le pensioni multiple. Il 67,3 per cento dei pensionati percepisce una sola pensione, il 24,8 per cento ne percepisce due e il 6,5 per cento tre; il restante 1,4 per cento è titolare di quattro o più pensioni. 
Il comparto delle imprese. L’Istat ha anche fornito il dato di aprile per quanto riguarda l’indice destagionalizzato del clima di fiducia scende sia nelle imprese dei servizi sia in quella del commercio al dettaglio. L’istituto di statistica spiega che il calo più netto si registra per i servizi al mercato (a 76,0 da 82,2), mentre la diminuzione è stata più lieve per il commercio al dettaglio (a 81,8 da 83,8). Dalla consueta indagine trimestrale emerge che la quota di imprese dei servizi che percepisce l’esistenza di ostacoli all’attività produttiva cresce significativamente (dal 52% al 62%) nel primo trimestre 2012.
Nel commercio al dettaglio peggiorano sia i giudizi sia le aspettative sulle vendite e torna a diminuire il saldo relativo alle scorte di magazzino. L’indice del clima di fiducia sale da 76,1 a 77,7 nella grande distribuzione e scende da 92,7 a 90,6 in quella tradizionale.

Quasi 65mila “auto blu” non bastano. Spunta un bando per noleggiarne 4350. - di Thomas Mackinson



FOTO DI REPERTORIOLaPresse09/01/2012Auto blu, via ai tagli


A gennaio il Fatto ha svelato che le vetture di servizio cancellate per decreto sono poi ricomparse con un bando da 10 milioni di euro per comprarne altre 400. Ora il governo punta sul noleggio. Costo: oltre 84 milioni di euro. Ai quali vanno aggiunti i costi per assicurazioni, carburante, personale.

Quanto costa la macchina dello Stato? La domanda è sempre quella, perché ogni volta che si tira una riga salta fuori un importo diverso, sempre clamoroso, mai definitivo. L’unica certezza è che neppure il governo Monti, al di là degli annunci, è riuscito a mettere ordine e freno alla materia. A gennaio il Fattoquotidano.it ha svelato come le auto blu cancellate per decreto siano poi ricomparse con un bando da 10 milioni di euro. Un mese dopo per quel bando sono fioccate interrogazioni e dibattito nel question time alla Camera. Ma era solo l’antipasto.
Il nuovo bando. Ora spunta un nuovo bando per il noleggio a lungo termine di 4.350 veicoli al costo di 84.673.752 euro. Le aziende avranno tempo fino al 14 di giugno per presentare le offerte, le amministrazioni un anno per approfittarne. La gara è divisa in cinque lotti: 2.750 auto di servizio, 630 berline ad alimentazione tradizionale ed elettrica, 470 veicoli commerciali, 300 vetture a Gpl e 200 a metano. La durata del contratto per chi aderisce va da un anno a sette. Tutto questo ad appena due mesi dalla chiusura del primo censimento nazionale delle auto pubbliche che il governo ha affidato agli esperti del Formez (che di auto blu ne ha tre).
La stima: quasi 65mila vetture. Uno studio che ha impegnato i ricercatori dell’ente per ben due anni. Risultato: 59.216 vetture censite (9.855 blu e 49.485 di servizio) e 800 auto pubbliche del tutto inutilizzate sparse per l’Italia. Dato ancora approssimativo perché il 10% delle amministrazioni non ha neppure risposto. Così la cifra viene ritoccata fino a un “patrimonio presunto” di 64.524 auto pubbliche ad un costo di circa 1,7 miliardi l’anno. Troppo per il ministro Filippo Patroni Griffi che, a margine della radiografia del Formez, annunciava una riduzione del 10% e un risparmio di 300 milioni l’anno con queste parole: “Il parco auto della Pubblica amministrazione risulta ancora eccessivamente sbilanciato sulle auto di proprietà a scapito del leasing e del comodato d’uso”.
Quasi metà per gli enti locali. Un mese dopo compare il bando per il noleggio, con la spesa che sale anziché scendere e le amministrazioni che si preparano a riempire i moduli d’ordine. Nella nuova corsa all’auto pubblica la fanno sempre da padrone gli enti locali con il 46% di richieste. Lo Stato segue con un 23% dove i più bisognosi, manco a dirlo, sono i ministeri, con 670 vetture, che staccano i secondi in classifica (organi costituzionali e dello Stato) fermi al 12% e gli ultimi (enti previdenziali) con il 5%. Dal punto di vista geografico, il Lazio è in cima alle richieste con il 16% del totale, quasi una su due (42%) è per lo Stato. Segue la Lombardia con l’11% e a fare la parte del leone sono gli enti locali (51%) e la sanità (30%). Curioso il dato dell’Abruzzo dove il 46% delle auto è chiesto per amministrazioni centrali dello Stato, il più alto in assoluto della categoria (nel Lazio, che pure conta tutte le sedi centrali delle amministrazioni pubbliche, il dato è al 42%).
Le reazioni della politica. Il censimento telematico è dunque già nel cestino e la spesa, anziché scendere, sale. Le reazioni politiche sono durissime. “Non sta né in cielo né in terra”, tuona l’onorevole Guido Crosetto (Pdl) che chiede al governo di fermare gli acquisti e di vincolarli a una pari riduzione del parco auto attuale. “Io frequanto i palazzi della politica e le amministrazioni centrali, vedo sfrecciare per Roma migliaia di auto con lampeggiante e non riconosco nessuno a bordo. Chi sono? Io obbligherei le amministrazioni a introdurre una targa specifica che dica per chi è quel viaggetto a spese dello Stato. Perché dove non arriva il buon senso, magari arriva il pudore”.
Dura anche la reazione dell’Idv che proprio agli inizi di aprile ha interrogato il viceministro Vittorio Grilli sul bando da 400 auto da noi segnalato a febbraio. “Le auto pubbliche sono ormai l’emblema delle difficoltà di questo governo a ridurre e razionalizzare la spesa. E poco importa che si prendano a nolo o si acquistino, il punto è che tutti avevamo convenuto che fossero da ridurre”, dice Massimo Donadi.
Noleggiare conviene? Resta poi da capire se noleggiare convenga davvero. Le opinioni sono divergenti. Grilli e il presidente del Formez Carlo Flamment sostengono di sì. “Il parco auto della Pubblica amministrazione – dice Flamment – è ancora eccessivamente sbilanciato sulle auto di proprietà (79%), seguito dal noleggio senza conducente (19%), mentre leasing e comodato sono all’1%. E’ obsoleto e sicuramente diseconomico e dannoso per l’ambiente, dato che 16mila auto (il 27% del totale) ha oltre 10 anni, e il 34% ha tra 5 e 10 anni di utilizzo”. Ma gli stessi dati raccolti dal Formez indicano il contrario, cioè che noleggiare costa di più.
Il confronto tra acquisto e noleggio. L’acquisto di auto del 2010 ha comportato una spesa di 60,7 milioni per 4.633 vetture in proprietà (vedi tabella) con una spesa media per vettura pari a 13mila euro. Il bando per il noleggio a lungo termine di 4.350 vetture ha una previsione di spesa pari a 84,6 milioni e una spesa media di 19mila. Nel confronto tra le due operazioni, dunque, lo Stato spende di più con l’aggravante che al termine del contratto di noleggio, da uno a sette anni, deve riconsegnare il mezzo anziché utilizzarlo fino a rottamazione.
I vantaggi del noleggio. Anche chi ha sottomano il parco auto più grande d’Italia, quello della Magliana con 600 vetture per la Questura e un migliaio per i ministeri, pone il problema: “Il noleggio costa mediamente un 30% in più – conferma il segretario provinciale del sindacato di polizia Silp Cgil Gianni Ciotti - La nostra esperienza dice che il noleggio conviene solo per i comparti che portano a usura totale i mezzi in breve tempo. Certo non per le esigenze di rappresentanza di enti e comuni. Una soluzione? Lo Stato confisca a mafiosi e politici decine di migliaia di veicoli l’anno, solitamente costosi, potenti che potrebbero essere riassegnati subito alle forze dell’ordine anziché venduti sottocosto dopo anni. Intervenendo su destinazione e tempi potremmo far risparmiare lo Stato, migliorare le dotazioni della polizia e fare in modo che sia la stessa mafia a pagare i mezzi per combatterla”.
L’assicurazione. Un vantaggio del noleggio è dato dal fatto che il contraente si impegna a sottoscrivere una polizza assicurativa contro terzi (Rct) e verso prestatori di lavoro (Rco). Ma resta il costo assicurativo della responsabilità civile (Rca). Ed è un bel costo. Le offerte economiche per le 4.350 vetture a noleggio scadono il prossimo 14 giugno. E pochi giorni prima, il 4 giugno, scade anche un bando per la copertura triennale, sia per le vetture nuove che per quelle già in dotazione ma in scadenza. La gara tra broker vale 134 milioni di euro (per la precisione 133.972.366,34), comprende RCA per 125.614 veicoli e coperture “kasko dipendenti” fino a un massimo di 33 milioni di km annui. Tra i veicoli, una volta sottratti quelli speciali (autobus, natanti, carrelli, motoveicoli, autocarri ad uso agricolo o trasporto esplosivi…) si contano 68.454 autovetture. In pratica la metà dei beni da assicurare. Il costo assicurativo unitario varia a seconda dei cavalli di potenza (da 13 cv a oltre 20) con prezzi unitari che il prospetto indica puntualmente ma che tocca poi moltiplicare per il numero dei veicoli per ciascuna classe d’appartenenza. Alla fine dei calcoli la copertura delle auto supera i 28 milioni di euro l’anno.
Il carburante. Comunque sia ora abbiamo le auto, le abbiamo assicurate, manca ancora qualcosa. Per accenderle e farle muovere serve il carburante. E qui il conto economico, come al solito, si fa complicato. Il fabbisogno di carburante dello Stato viene acquistato con procedure di gara annuali a validità biennale (fino a esaurimento entro l’anno successivo al contratto di fornitura), raggruppando le esigenze di regioni diverse e dividendo la gara in successivi lotti a seconda che comprendano il carburante per il riscaldamento (soprattutto gasolio) o la trazione veicolare. Ecco, qui (forse) c’è il dato utile alla ricerca. Forse, perché poi diventa impossibile distinguere la ruspa o l’autobus dall’auto di servizio. Comunque sia, l’ultimo ordinativo è stato siglato a settembre del 2011 e prevedeva l’acquisto di 461 milioni di litri di cui la metà (per l’esattezza 217 milioni) destinato alla trazione dei veicoli. Il costo preventivato di questo lotto di carburante, al lordo delle accise e iva esclusa, è 228.8 milioni di euro, cui vanno aggiunti oneri per la sicurezza e per il personale addetto alle eventuali operazioni di trasporto e stoccaggio. Non esiste un report successivo sulla destinazione d’uso di verde, gasolio o altro da parte del contraente statale, regionale o comunale che possa confermare o dettagliare ulteriormente. Ma almeno un ordine di grandezza c’è.
Il personale. Chiude il cerchio la spesa pubblica per il personale dedicato alla gestione del parco auto tra autisti, custodi, meccanici… Gli autisti sono 615.015, il personale “altro” 620.312. Il costo ogni anno è 1,2 miliardi (1.235.327). Ora c’è proprio tutto: auto, autisti, assicurazione e benzina. Resta solo da capire dove vogliamo andare con tutte queste macchine.

Spesa sanitaria, nel 2011 il 33% in più a carico delle famiglie rispetto al 2010. - di Mauro Del Corno



tremonti_interna_nuovo


Il contributo a carico dei pazienti per il ticket è salito nello scorso anno del 33%. E la tendenza è destinata ad aggravarsi ulteriormente per effetto delle manovre fiscali varate dal governo Berlusconi. Aumenti oltre il 50% in Basilicata, Campania, Umbria ed Emilia Romagna. E si tocca il 122% in Puglia.

Nel 2011 abbiamo pagato 332 milioni di euro in più in ticket sui medicinali. E il peggio deve ancora venire. E’ l’effetto più tangibile di un processo in atto da tempo e che con la crisi si sta velocizzando: la spesa farmaceutica si sposta progressivamente dalle casse dello Stato alle tasche dei cittadini. Uno smottamento che non risparmia neppure medicine destinate a curare patologie gravi o comunque di una certa importanza e che è stato documentato da diverse indagini diffuse in questi giorni, a cominciare dall’ultimo rapporto di Federfarma, l’associazione delle farmacie private.
Nel 2011 abbiamo speso in ticket sui farmaci 1,3 miliardi di euro, ossia il 33% in più del 2010. Molte Regioni hanno così dato ossigeno ai loro bilanci e incassato incrementi del gettito a doppia o tripla cifra (+122% in Puglia e aumenti di oltre il 50% in Basilicata, Campania, Umbria, Emilia Romagna, Marche e Friuli V.G). Sfortunatamente si tratta però solo della palla di neve che annuncia la valanga. La vera batosta arriverà infatti nei prossimi due anni quando le regioni dovranno far fronte a 8 miliardi di nuovi tagli decisi con la manovra di Tremonti dello scorso luglio.
Una sforbiciata che potrà essere parzialmente compensata proprio attraverso l’aumento del prelievo sui medicinali. Come spiega la professoressa Nerina Dirindin, economista dell’Università di Torino ed esperta di sanità, le regioni potranno spremere dai contributi su farmaci e visite specialistiche fino a due miliardi di euro in più di adesso. Un incremento del 50% rispetto al valore complessivo dei ticket che ammonta oggi a circa 4 miliardi.
Mentre gli incassi da ticket hanno cominciato a salire la spesa per medicinali a carico dello Stato scende. Lo scorso anno è diminuita dell’8% rimanendo poco al di sopra dei 10 miliardi di euro grazie anche ad un maggior impiego di farmaci generici. Annarosa Racca, presidente di Federfarma, è convinta che questa tendenza sia destinata ad accentuarsi nel 2012 visto che i primi mesi dell’anno hanno mostrato flessioni a doppia cifra della spesa del servizio sanitario nazionale. Come hanno calcolato le aziende farmaceutiche riunite in Farmindustria, il risultato finale è che la quota di partecipazione alla spesa per medicinali a carico dei cittadini è già passata dal 7,6 al 10,7% con punte del 14% nelle regioni dove i ticket sono più pesanti.
A descrivere l’inizio di un processo di sgretolamento dell’edificio del welfare sanitario è stato in questi giorni anche il Rapporto Osservasalute 2011. Viene preso in esame il triennio 2007-2010, un periodo in cui la spesa pubblica per i farmaci è scesa del 3,5% mentre quella privata è salita di quasi l’11%. In mancanza di un’inversione di rotta, avverte il Rapporto, la differenza tra gli effettivi bisogni della popolazione e disponibilità del Servizio sanitario nazionale è destinata a crescere progressivamente nel prossimo triennio e a raggiungere i 17 miliardi di euro nel 2015.