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martedì 13 aprile 2021

Se la transizione ecologica cambia anche il sindacato. - Giorgio Pagano

 

- In Italia si vorrebbero chiudere le centrali a carbone nel 2025 per approdare non alle fonti rinnovabili ma al gas, che è solo meno inquinante del carbone e resta una fonte fossile: si stanno progettando o sono in fase di autorizzazione 15 nuove centrali a gas, per un totale di 14 MW di nuova potenza installata, in sostituzione di 8 MW a carbone. Tra queste, due sono in Liguria: alla Spezia (ENEL) e a Vado Ligure (Tirreno Power). In Liguria, sul tema “quale energia” e “quale transizione ecologica”, si stanno dunque giocando partite importanti.

Il rapporto del think tank indipendente Carbon Tracker spiega molto bene, confrontando rinnovabili e gas, che la scelta del gas è sbagliata: sia perché inquina, aggiungendo 18 milioni di tonnellate di emissioni in un Paese che deve tagliarne il 55% nel corso di questo decennio, sia perché è antieconomico per i cittadini, che con il gas pagherebbero bollette più care, fino al 60% in più, e per gli stessi investitori, che rischiano di finanziare nuovi impianti già non competitivi. Inoltre il rapporto dimostra nel dettaglio che il gas non è più sicuro delle rinnovabili e che non è abbondante, ma esposto a molta “volatilità”. Sia alla Spezia che a Savona è forte l’opposizione ai due nuovi impianti. Ma deve svilupparsi la proposta alternativa. Un esempio positivo viene dal movimento popolare sorto a Civitavecchia, altro sito in cui Enel intende riconvertire a gas una centrale a carbone. Un gruppo di ricercatori e tecnici ha messo a punto un progetto che prevede la produzione di elettricità esclusivamente da fonti rinnovabili, stabilizzate nella loro intermittenza da stoccaggi di idrogeno verde prodotto sempre da fonti rinnovabili. Sul progetto si è aperta una discussione, sono state coinvolte le associazioni e -fatto straordinario- si sono mobilitati i lavoratori, che hanno scioperato a più riprese, ed è entrata in campo la Camera del Lavoro, insieme a UIL e USB.

La transizione energetica non è di proprietà di ENEL o di Tirreno Power, perché riguarda il futuro di tutti e della natura. Deve vedere protagoniste le istituzioni e le comunità locali. E il mondo del lavoro: Civitavecchia rappresenta una svolta perché dimostra che questo mondo può uscire da una posizione vetero produttivistica e difensiva e diventare punto di riferimento essenziale dei movimenti sociali che si battono per il cambiamento del modello di sviluppo. Maurizio Landini, segretario della CGIL, ha affermato nei giorni scorsi:
“Io sono certo di una cosa: di fronte alla portata della crisi che stiamo vivendo non si può tornare a fare, come pure qualcuno pensa, le stesse cose di prima. C’è bisogno di un cambiamento radicale: di pensare a un diverso modello di società. E anche il sindacato deve cambiare. È cresciuto in un mondo nel quale i termini crescita, sviluppo, progresso
tecnologico, diffusione del benessere coincidevano. Oggi siamo di fronte a un quadro radicalmente nuovo: si è spezzato quel rapporto che sembrava scontato quanto lineare tra sviluppo e benessere. Inoltre la crescita deve misurarsi con un tema nuovo per il sindacato e non solo: il concetto di ‘limite’, che ci dice che le risorse naturali -aria, acqua, la terra stessa- non sono infinite”. Civitavecchia dimostra, forse, che questo “cambiamento radicale” è cominciato. E il nuovo Ministero della Transizione ecologica? Avrebbe un senso vero se mutasse lo schema finora impostato dal Ministero dello Sviluppo economico, che ostacola le rinnovabili e offre sovvenzioni alle centrali a gas: nel 2020 è stato infatti introdotto il capacity market, che prevede 20 anni di generosissimi incentivi per nuove centrali a gas, giustificati da ragioni di sicurezza del sistema, quando per la flessibilità e la sicurezza del sistema esistono, come dimostra lo studio di Carbon Tracker, alternative più economiche, efficienti e con ridotte o zero emissioni di gas serra. La necessità di un “cambiamento radicale” si pone anche per il governo di Mario Draghi.

Città della Spezia

venerdì 1 luglio 2016

Emendamenti DDL concorrenza bocciati: l’ennesimo attacco alle rinnovabili? - Roberta De Carolis

ddl concorrenza

DDL concorrenza: il Senato boccia gli emendamenti all’articolo 33-bis ‘Misure in materia di rimodulazione delle componenti fisse e variabili degli oneri di rete e di sistema’, che miravano, stando alle parole di proponenti e sostenitori, a  ridurre gli oneri di sistema a carico dei consumatori e permettere il pieno accesso delle fonti rinnovabili nel mercato.
A gennaio 2018 sarà abolito il mercato di tutela e a quel punto 25 milioni di utenti dovranno scegliere un fornitore, altrimenti si troveranno inseriti nel cosiddetto ‘mercato di salvaguardia’ e per molti questo comporterà l’aumento del costo dell’energia del 40%.
Gli emendamenti all’articolo 33-bis del DDL, sostengono i proponenti, erano stati presentati proprio per frenare gli effetti di tale riforma e favorire fonti di energia alternative a quelle fossili, incentivando in particolare la generazione distribuita con una proporzionalità tra costi ed energia prelevata dalla rete, ma il Senato ha detto no.
È l’ennesimo attacco alle rinnovabili? L’abbiamo chiesto alle associazioni di categoria e a quelle dei consumatori. E mentre il fronte delle rinnovabili, in particolare il fotovoltaico (la tecnologia più consolidata per l’autoconsumo), è unanime sul dissenso, il mondo dei consumatori si divide.
IL FRONTE DELLE RINNOVABILI
Agostino Re Rebaudengo, Presidente asso Rinnovabili:
La bocciatura dell’emendamento al DDL Concorrenza che avrebbe salvaguardato lo sviluppo della generazione distribuita, ponendo un limite allo spostamento degli oneri generali dalle parti variabili alle parti fisse, conferma una volta di più lo scollamento del Governo Renzi tra le parole, improntate al sostegno della green economy, e i fatti, ostinatamente contrari.
Se non si interverrà al più presto, prelevare tanta o poca energia dalla rete non farà più differenza, perché comunque i costi da sostenere non saranno più proporzionati ai consumi. Una mossa senza senso: anziché premiare le imprese che investono in impianti in autoconsumo ed efficienza energetica, il Governo le punisce!
Giorgio Ruffini, Presidente Azione Energia Solare:
É di tutta evidenza che questo governo sta proseguendo imperterrito nella realizzazione di un disegno molto articolato di ostacolo alle rinnovabili e nel contempo di aumento dell’importo delle bollette luce e gas degli italiani. Si tratta di un mosaico subdolo, composto da una serie infinita di tessere, che però sono tutte finalizzate al raggiungimento degli obiettivi sopra citati.
Il primo passo è stato lo spostamento di gran parte dei costi dalla componente energia alla componente fissa, composta da oneri di rete e di sistema.  Questo ha fatto si che, a fronte di una diminuzione del costo dei combustibili fossili di oltre il 50%, l’importo delle bollette degli italiani sia diminuito di quei pochi punti percentuali, sufficienti a consentire al governo di spacciare questa vergogna, come il raggiungimento di un obiettivo prestigioso.
La recente bocciatura degli emendamenti al DDL concorrenza, volti a riequilibrare questi parametri, raggiunge un triplice scopo:
1. Rendere meno conveniente il risparmio energetico, l’autoproduzione di energia ed i sistemi fotovoltaici con accumulo;
2. Consentire grossi guadagni ai produttori di energia fossile a gennaio 2018 quando l’abolizione del mercato di maggior tutela getterà 25 milioni di utenti nelle fauci del “libero mercato” del quale tutto si può dire, fuorché che sia libero;
3. Far apparire meno esoso al consumatore l’aumento del costo della quota energia, che si avrà quando i combustibili fossili ricominceranno a salire
…e intanto gli italiani pagano e tacciono.
I CONSUMATORI CHE DICONO NO
Stefano Zerbi, portavoce Codacons:
Il DDl Concorrenza continua a non convincere i consumatori. Dopo l’assurdità della scatola nera obbligatoria su tutte le automobili che determinerà aggravi di spesa per i cittadini, e l’addio al mercato tutelato nel settore dell’energia, una nuova nube si profila all’orizzonte, alimentata dalla bocciatura dell’emendamento sulle fonti rinnovabili, che avrebbe determinato risparmi in bolletta per le famiglie.
Proprio allo scopo di ridurre gli oneri di sistema a carico degli utenti e facilitare l’accesso delle fonti di energia rinnovabili nel mercato, sono stati presentati alcuni emendamenti al ddl concorrenza, in particolare l’ Art. 33-bis ‘Misure in materia di rimodulazione delle componenti fisse e variabili degli oneri di rete e di sistema’, che tuttavia è stato bocciato nel corso della discussione al Senato.
Il nostro paese resta ancorato alle fonti di energia tradizionali, in primis il petrolio, con costi elevati per le famiglie e ripercussioni sull’ambiente. A differenza di altri paesi europei, l’Italia non ha saputo “rinnovarsi” e, come dimostra il ddl concorrenza, c’è ancora una netta ostilità verso le fonti alternative di energia.
A farne le spese sono soprattutto gli utenti, che, attraverso le bollette, finanziano oneri di sistema e reti di distribuzione e approvvigionamento che nulla hanno a che vedere con il “green”. Ancora una volta in materia di ambiente la classe politica si limita alle belle parole che, purtroppo, non trovano alcun riscontro nella realtà.
I CONSUMATORI DUBBIOSI
Marco Vignola, Responsabile settore Energia e Ambiente Unione Nazionale Consumatori:
La nostra risposta è intermedia, né sì né no. Noi siamo assolutamente favorevoli allo sviluppo e all’aumento della quota di fonti rinnovabili e all’abbandono di un’economia basata sulle fonti fossili, visto quanto questa costa ai consumatori. Come associazione dei consumatori quindi cerchiamo di essere attenti a questi aspetti.
Oggi gli incentivi alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica, su cui noi puntiamo tantissimo, dovrebbero essere stabilizzati, ma sulle tecnologie che hanno davvero bisogno di aiuto per diventare economicamente vantaggiose.
Ormai alcune tecnologie rinnovabili sono consolidate e hanno dei costi che sono nettamente diminuiti nel corso del tempo, ed è ormai opinione comune che gli incentivi iniziali alle fonti rinnovabili sono stati troppo generosi, tanto che più volte si è pensato ad una rimodulazione.
Oggi, di fatto, questa situazione ha portato la spesa per gli incentivi alle fonti rinnovabili per i consumatori domestici a un quarto della bolletta elettrica, e quindi all’assurdo per cui una famiglia numerosa, monoreddito, che vive in un condominio, che non ha possibilità di ridurre i consumi né di installare un impianto fotovoltaico, finanzia in bolletta chi nel corso di questi anni ha potuto installare il suo impianto fotovoltaico o addirittura grossi produttori che hanno istallato impianti fotovoltaici sul territorio nazionale.
Questo poi ricade anche sulla questione gestione della rete: la grossa incidenza delle fonti rinnovabili ha mandato in frantumi quella che era l’idea di rete elettrica di paese che avevamo, e questo purtroppo ha dei costi che ricadono in bolletta.
Basta vedere gli aggiornamenti trimestrali e si vede come addirittura oggi c’è una speculazione sul dispacciamento, proprio perché le fonti rinnovabili, essendo aleatorie, hanno un intervento sulle politiche di dispacciamento che è difficile da controllare.
Dunque, per tutti questi motivi, è fondamentale che vengano ridiscussi, ridefiniti e riequilibrati gli oneri di sistema, a vantaggio, dal nostro punto di vista, di chi poi consuma questa energia, ovvero l’utente finale, naturalmente senza che questo impedisca la possibilità di diventare più efficienti.
Da questo punto di vista, ad esempio, la spinta all’utilizzo del vettore elettrico ci vede assolutamente favorevoli, perché oggi le tecnologie elettriche sono di gran lunga più efficienti. Con il vecchio modello di tariffa progressiva che avevamo non avevamo la convenienza che invece si potrebbe avere con la componente gas.

venerdì 1 maggio 2015

Rinnovabili, l'UE ha preferito il gas per le pressioni dei lobbisti Shell. - Nicolò Sapellani

La sede della Commissione Ue
LONDRA – L'Unione europea sta puntando sempre più sul gas come fonte energetica, nel Piano per l'Unione energetica presentato a fine febbraio è stato dato ampio spazio al tema dei gasdotti, e Bruxelles quando parla di metano insiste spesso sul fatto che si tratti di un combustibile più pulito rispetto alle fonti tradizionali. L'Ue però non avrebbe fatto questa scelta strategica liberamente, ma avrebbe ceduto alle pressioni dei lobbisti della Shell iniziate nell'ottobre 2011.
«RINNOVABILI PIÙ CARE» - Secondo alcuni documenti a disposizione del quotidiano britannico The Guardian, la compagnia energetica anglo-olandese è riuscita a indebolire l'interesse dell'Europa verso le energie rinnovabili, per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, -40 per cento entro il 2030, stabiliti nelle scorso ottobre. A quanto risulta al Guardian, i punti chiave dell'impegno sottoscritto dai Paesi membri dell'Ue sono stati dettati dai lobbisti della Shell. In una lettera di cinque pagine indirizzata al presidente della Commissione di allora, Jose Manuel Barroso, il direttore esecutivo per le attività upstream di Shell, Malcolm Brinded aveva scritto che se l'Ue avesse puntato su una strategia di mercato basata sul gas, avrebbe potuto risparmiare 500 miliardi nel suo percorso di transizione verso un'economia meno dipendente dalle energie fossili. Risparmi che non ci sarebbero stati se avesse scelto la via delle rinnovabili.
«IL GAS È UN BENE PER L'UE» - «Il gas è un bene per l'Europa e l'Europa è ricca di gas», aveva scritto Brinded. «Shell è convinta che l'Ue debba concentrarsi sulla riduzione dei gas serra come l'unico obiettivo sul clima dopo il 2020, e consentire al mercato di individuare il modo più conveniente ed efficace per raggiungere questo obiettivo, preservando in tal modo la competitività dell'industria, tutelando l'occupazione e il potere d'acquisto dei consumatori, per indirizzare il sistema verso la crescita economica».
LE ULTIME MOSSE DI SHELL - Royal Dutch Shell è una multinazionale energetica anglo-olandese, che ha forti interessi nel settore del metano. Il gas naturale nel tempo è diventato uno dei maggiori settori d'affari della compagnia e a oggi gran parte dei profitti di Shell vengono dalle attività legate al gas. Recentemente Shell ha annunciato di aver completato l'acquisizione di British Gas per 69 miliardi di euro, concludendo la maggior operazione di fusione degli ultimi 10 anni. Con questa operazione Shell ha espanso la sua capacità produttiva di gas, andando a consolidare il proprio primato detenuto con l'americana Exxon Mobil. Bg infatti ha grandi progetti in Brasile, Africa orientale, Australia, Kazakhstan e Egitto.

martedì 24 marzo 2015

Costa Rica, da 75 giorni produce elettricità solo con fonti rinnovabili. - Simone Aazami

Costa Rica record: da 75 giorni l'energia è green al 100%

Il Paese centroamericano ha sopperito al proprio fabbisogno energetico attingendo esclusivamente da risorse alternative per la produzione di elettricità, sfruttando quattro centrali idroelettriche a pieno regime grazie alle abbondanti piogge.

Bruxelles – La Costa Rica dall’inizio dell’anno sta utilizzando energia elettrica prodotta con il 100% di fonti rinnovabili, grazie alle abbondanti piogge che hanno costantemente rifornito quattro centrali idroelettriche del Paese. Nessun combustibile fossile è stato utilizzato per settantacinque giorni di fila, e lo scorso anno l’80% dell’energia usata è stata ricavata dall’idroelettrico, mentre il restante è stato prodotto da altre fonti di cui il 10% provenienti da impianti geotermici.

In generale il 94% del fabbisogno energetico costaricano proviene dalle rinnovabili e progetti sulla geotermia, approvati a metà dell’anno scorso per 958 milioni di dollari, sono già in fase di pianificazione per evitare in futuro ogni ricorso ai combustibili fossili. Quando completato, riferisce il quotidiano britannico Independent, il primo impianto dovrebbe produrre cinquantacinque megawatt di elettricità, abbastanza per rifornire cinquantacinquemila abitazioni, e sarà affiancato da altri due da cinquanta megawatt costruiti nelle vicinanze.

La Costa Rica ha in programma di ridurre a zero le emissioni di anidride carbonica entro il 2021 e, a ulteriore riprova di questa vocazione ecologica a tutela della salvaguardia dell’ambiente, il governo ha deciso di non sfruttare i ricchi giacimenti petroliferi scoperti lungo la costa caraibica.

A favore delle energie alternative il Paese centroamericano ha costruito anche impianti per lo sfruttamento dell’eolico, dell’energia solare e a biomasse, e la prossima centrale geotermica da 333 milioni di dollari contribuirà ad impedire che la Costa Rica si affidi eccessivamente all’idroelettrico, troppo soggetto ai cambiamenti climatici e alle variazioni dei flussi idrici, e che non è esente da aspetti negativi, ricorda Science Alert, come l’impatto delle dighe sugli ecosistemi ripariali e sul transito della fauna ittica.

mercoledì 2 maggio 2012

Calabrò: “Banda larga, troppi ritardi costano al Paese l’1,5% del Pil”


calabrò interna nuova

Il presidente dell'Agcom a tutto campo: "Con il web la par condicio va rivista". E sulla Rai: "La politica resti fuori". Secondo l'Authority il duopolio con Mediaset è stato soppiantato grazie alla crescita di Sky, ma la legge sul conflitto d'interessi resta "carente". L'Italia rimane ancora teledipendente e alle prese con un'informazione sovraccarica di cronaca nera e processi mediatici.

Il costo dei ritardi nello sviluppo della banda larga costa all’Italia tra l’1 e l’1,5% del Pil. Il dato è fornito dall’Autorità Garante per le Comunicazioni che oggi ha presentato un rapporto di fine mandato (che scadrà a metà maggio). Per giunta Internet, spiega il presidente dell’Authority, “è un fenomenale motore di crescita sociale ed economica”, ma la rete fissa in Italia è “satura e quella mobile rischia ricorrenti crisi asmatiche”. 
Per quanto riguarda la banda larga fissa, spiega l’Agcom, l’Italia è sotto la media europea, con 21 linee ogni 100 abitanti contro le 27 dell’Europa, per numero di famiglie connesse a internet (62% contro il 73%) e a internet veloce (52% contro 67%), per gli acquisti e per il commercio on line. Per le esportazioni mediante l’Ict l’Italia è fanalino di coda in Europa; solo il 4% delle pmi vendono online, mentre la media Ue-27 è del 12%.
Video – Calabrò: “Gravi i ritardi sulla banda larga”
Par condicio. Rimanendo a internet Calabrò ha anche spiegato che al tempo del web la legge sullapar condicio “va aggiornata per tener conto delle mutazioni subite dalla comunicazione televisiva (specie con l’inserimento dei politici nei programmi informativi) ed è da riconsiderare in relazione all’incalzante realtà di Internet“. Calabrò riconosce che “l’impianto normativo a tutela della par condicio si è dimostrato un indispensabile strumento a tutela della democrazia” e che “l’Autorità ne ha fatto attenta e pronta applicazione”, tra l’altro irrogando sanzioni per “oltre 2,2 milioni di euro”. Provvedimenti “quasi sempre impugnati”, ma nessuno dei quali “è stato annullato dal giudice amministrativo”. Su questo punto si registra la risposta amara di Enzo Mazza, presidente della Fimi: “Calabrò – commenta – ha di fatto sancito la resa dell’Autorità, consegnando virtualmente la maglia dell’Agcom agli ultras della pirateria. Bene ha fatto l’amministrazione Obama ha mantenere l’Italia nella lista nera dei Paesi con scarsa tutela dei diritti di proprietà intellettuale”.
Diritto d’autore. Parlando invece di tutela di copyright sul web, il presidente dell’Autorità per le comunicazioni aggiunge che finché il Governo non adotterà la norma interpretativa, “non ci sentiremo tenuti alla deliberazione del regolamento, pur così equilibrato, che abbiamo predisposto”. “L’intesa – prosegue – era che il Governo avrebbe adottato una norma di interpretazione autentica che rendesse leggibili per tutti le norme primarie che inquadrano la nostra competenza. E’ vero che una tale norma non è indispensabile, ma sarebbe certamente utile in una materia, qual è quella in questione, nella quale, per la sua sensibilità, è auspicabile la massima chiarezza”.
Il presidente Agcom invita quindi il popolo della rete a non avere timori. “L’Agcom – spiega – saprà conciliare il diritto alla libera circolazione del pensiero sulla rete nelle nuove forme della tecnologia col diritto d’autore, ch’è il fertilizzante della società dell’oggi e di quella a venire: anche a esso ha riguardo la Costituzione. Internet ha un’insostituibile funzione informativa; nessuno più di noi ne è consapevole. Ma nessun diritto è senza limiti”.
Internet per 27 milioni di italiani. In 7 anni gli utenti di internet in Italia sono passati da 2 a 27 milioni. Una crescita che significa un mutamento della faccia e della mentalità del mondo dei media, perché il web “ha dematerializzato servizi e prodotti, cambiato la fruizione stessa dello spazio e del tempo”. E ovviamente ha allargato l’area dei lettori dei libri e dei giornali. 
“Politica fuori dalla Rai”. Calabrò parla anche di tv pubblica, specificando che è arrivato il tempo che la politica abbandoni le pressioni. “Nei limiti della propria competenza – sottolinea il presidente Calabrò – l’Autorità ha tentato di promuovere una riforma della Rai. Si trattava di proposte misurate e, in quanto tali, a nostro avviso praticabili, che abbiamo rilanciato anno dopo anno. Ma hanno subito la sorte di tutte le altre”. Si tratta di una riforma pensata per svincolare “la Rai dalla somatizzata influenza politica e ne reimpostasse l’organizzazione con una governance efficiente, una migliore utilizzazione delle risorse e la valorizzazione del servizio pubblico. Parafrasando una frase famosa (di Platone, ndr) potremmo dire che ‘solo i morti hanno visto la fine del dibattito sulla Rai’”. Nel dibattito si inserisce anche lo stesso presidente della Rai, Paolo Garimberti: “E’ difficile non essere d’accordocon Monti soprattutto sul rapporto tra politica e Rai. Ora ci potrebbe essere una svolta. E’ una buona occasione per dimostrare che alle parole seguono i fatti e che la politica cerca di ingerire di meno”.
“Il duopolio Rai-Mediaset non c’è più”. Lo scenario tv sta mutando, calano gli ascolti delle reti generaliste, ma sul fronte delle risorse “permane fondamentalmente la tripartizione tra Rai, Mediaset e Sky Italia”, che “a partire dal 2009 ha soppiantato il duopolio”. A fine 2010, si legge nella relazione, Mediaset rappresentava il 30,9% delle risorse complessive, Sky il 29,3%, Rai il 28,5%. Intanto però la situazione tv “è – sia pure lentamente – in trasformazione”, ricordando che “le sei reti generaliste di Rai e Mediaset detengono oggi circa il 67% dello share medio giornaliero (era l’85% nel 2005, oltre il 73% un anno fa); La7 quasi il 4%; Sky oltre il 5%. Si è affacciata alla ribalta qualche significativa tv locale. I canali tematici in chiaro sono cresciuti in audience del 27% in un anno”. E sul fronte del digitale terrestre “siamo a circa 80 programmi nazionale in chiaro”. Il panorama, spiega Calabrò, “è destinato a un’ulteriore evoluzione in virtù dell’utilizzazione del dividendo digitale che avverrà con l’asta che sostituirà il beauty contest, la quale ridefinirà lo spettro in coerenza con la redistribuzione delle frequenze e la razionalizzazione del loro uso prefigurate nella Conferenza di Ginevra del febbraio scorso”.
“Conflitto d’interessi la legge è carente”. Le norme sul sostegno privilegiato contenute nella legge sul conflitto d’interessi presentano “aporie e imperfezioni”. Calabrò lo ribadisce dopo varie segnalazioni al Parlamento: “Qualcuno avrebbe voluto che noi facessimo di più. Ma questa sì è materia fondamentalmente riservata alla legge”. In particolare, Calabrò lamenta il fatto che “si è voluto che questa Autorità stesse in agguato per cogliere in fallo l’impresa che avesse in concreto sostenuto l’esponente governativo: ma non per fischiare la squalifica bensì semplicemente per infliggere un’ammonizione”.
L’Agcom, sottolinea ancora, “non può prestarsi ad avventurose supplenze del legislatore”. Il presidente uscente cita l’opposizione dell’Autorità “all’assunto ministeriale che la pretesa mancanza di reciprocità comportasse l’esclusione di Sky dal beauty contest. E il Consiglio di Stato – sottolinea – con un motivatissimo parere, ha dato ragione all’Autorità, riaffermandone l’indipendenza e la competenza nell’assicurare il rispetto dei principi e delle decisioni comunitari. Lo stesso deve valere nei confronti di analoghe invasioni di campo, da qualsiasi parte provengano. Non è accettabile che da destra o da sinistra si reclutino le Autorità indipendenti per gettarle in combattimenti gladiatori nell’arena politica”.
Italia ancora teledipendente. In realtà, anche osservando lo sviluppo dell’utilizzo di internet “l’Italia è tuttora un Paese teledipendente”. Anche se “il maggior numero di informazioni proviene oggi” dalla rete, spiega Calabrò, “l’informazione più influente è ancora quella fornita dalla televisione”. E ancora: “Le nuove forme della democrazia corrono sulla rete ma la politica visibile in Italia si fa pur sempre in televisione”, incalza Calabrò.
Cronaca nera e processi mediatici. La nostra televisione, per altro, resta “fondamentalmente una finestra sul cortile di casa nostra, una grande tv locale, con un esagerato interesse per i fatti di cronaca nera e con la tendenza a trasformare i processi giudiziari in processi mediatici” riflette il presidente Agcom. “E’ rimasto deluso l’auspicio, condiviso dal presidente della Repubblica – sottolinea – che a tale fuorviante tendenza ponesse il Comitato di autoregolamentazione dei processi in tv”. Persiste “il divario tra le nostre televisioni e le migliori straniere, per la ricchezza d’informazione sui vari Paesi del mondo e per l’approfondimento qualificato dei temi trattati”.
Valore delle tlc al 2,7% del Pil. Il peso del settore telecomunicazioni sul Pil è del 2,7 per cento, con il mobile che vale stabilmente più del fisso (52%). E’ sempre Calabrò a fornire i dati. Il prepotente sviluppo della telefonia cellulare si nota sia nel numero di sim, oltre una e mezza per abitante, ma soprattutto nella grande diffusione degli smartphone, che sono ormai circa il 30% del totale dei telefonini. L’Italia, inoltre, presenta la più alta penetrazione di smartphone tra i giovani (47%). Nelle reti mobili, continua Calabrò, il traffico dati ha superato il tradizionale traffico voce, grazie alle tecnologie 3G e alla forte diffusione di nuovi terminali, come smartphone e tablet.
L’Italia al top per cellulari. L’Italia è il Paese col maggior numero, in Europa, di telefoni cellulari e con la maggiore diffusione di apparecchi idonei a ricevere e trasmettere dati in mobilità (smartphone, ipad, chiavette Usb). Nella portabilità del numero telefonico siamo ai primi posti con 30 milioni di passaggi (dal 2006) e con tempi ridotti a un giorno lavorativo, contro i 20 di media di tre anni fa. I cambi di operatore negli ultimi 12 mesi hanno superato i 9 milioni, dato record in Europa.

giovedì 26 aprile 2012

Quasi 65mila “auto blu” non bastano. Spunta un bando per noleggiarne 4350. - di Thomas Mackinson



FOTO DI REPERTORIOLaPresse09/01/2012Auto blu, via ai tagli


A gennaio il Fatto ha svelato che le vetture di servizio cancellate per decreto sono poi ricomparse con un bando da 10 milioni di euro per comprarne altre 400. Ora il governo punta sul noleggio. Costo: oltre 84 milioni di euro. Ai quali vanno aggiunti i costi per assicurazioni, carburante, personale.

Quanto costa la macchina dello Stato? La domanda è sempre quella, perché ogni volta che si tira una riga salta fuori un importo diverso, sempre clamoroso, mai definitivo. L’unica certezza è che neppure il governo Monti, al di là degli annunci, è riuscito a mettere ordine e freno alla materia. A gennaio il Fattoquotidano.it ha svelato come le auto blu cancellate per decreto siano poi ricomparse con un bando da 10 milioni di euro. Un mese dopo per quel bando sono fioccate interrogazioni e dibattito nel question time alla Camera. Ma era solo l’antipasto.
Il nuovo bando. Ora spunta un nuovo bando per il noleggio a lungo termine di 4.350 veicoli al costo di 84.673.752 euro. Le aziende avranno tempo fino al 14 di giugno per presentare le offerte, le amministrazioni un anno per approfittarne. La gara è divisa in cinque lotti: 2.750 auto di servizio, 630 berline ad alimentazione tradizionale ed elettrica, 470 veicoli commerciali, 300 vetture a Gpl e 200 a metano. La durata del contratto per chi aderisce va da un anno a sette. Tutto questo ad appena due mesi dalla chiusura del primo censimento nazionale delle auto pubbliche che il governo ha affidato agli esperti del Formez (che di auto blu ne ha tre).
La stima: quasi 65mila vetture. Uno studio che ha impegnato i ricercatori dell’ente per ben due anni. Risultato: 59.216 vetture censite (9.855 blu e 49.485 di servizio) e 800 auto pubbliche del tutto inutilizzate sparse per l’Italia. Dato ancora approssimativo perché il 10% delle amministrazioni non ha neppure risposto. Così la cifra viene ritoccata fino a un “patrimonio presunto” di 64.524 auto pubbliche ad un costo di circa 1,7 miliardi l’anno. Troppo per il ministro Filippo Patroni Griffi che, a margine della radiografia del Formez, annunciava una riduzione del 10% e un risparmio di 300 milioni l’anno con queste parole: “Il parco auto della Pubblica amministrazione risulta ancora eccessivamente sbilanciato sulle auto di proprietà a scapito del leasing e del comodato d’uso”.
Quasi metà per gli enti locali. Un mese dopo compare il bando per il noleggio, con la spesa che sale anziché scendere e le amministrazioni che si preparano a riempire i moduli d’ordine. Nella nuova corsa all’auto pubblica la fanno sempre da padrone gli enti locali con il 46% di richieste. Lo Stato segue con un 23% dove i più bisognosi, manco a dirlo, sono i ministeri, con 670 vetture, che staccano i secondi in classifica (organi costituzionali e dello Stato) fermi al 12% e gli ultimi (enti previdenziali) con il 5%. Dal punto di vista geografico, il Lazio è in cima alle richieste con il 16% del totale, quasi una su due (42%) è per lo Stato. Segue la Lombardia con l’11% e a fare la parte del leone sono gli enti locali (51%) e la sanità (30%). Curioso il dato dell’Abruzzo dove il 46% delle auto è chiesto per amministrazioni centrali dello Stato, il più alto in assoluto della categoria (nel Lazio, che pure conta tutte le sedi centrali delle amministrazioni pubbliche, il dato è al 42%).
Le reazioni della politica. Il censimento telematico è dunque già nel cestino e la spesa, anziché scendere, sale. Le reazioni politiche sono durissime. “Non sta né in cielo né in terra”, tuona l’onorevole Guido Crosetto (Pdl) che chiede al governo di fermare gli acquisti e di vincolarli a una pari riduzione del parco auto attuale. “Io frequanto i palazzi della politica e le amministrazioni centrali, vedo sfrecciare per Roma migliaia di auto con lampeggiante e non riconosco nessuno a bordo. Chi sono? Io obbligherei le amministrazioni a introdurre una targa specifica che dica per chi è quel viaggetto a spese dello Stato. Perché dove non arriva il buon senso, magari arriva il pudore”.
Dura anche la reazione dell’Idv che proprio agli inizi di aprile ha interrogato il viceministro Vittorio Grilli sul bando da 400 auto da noi segnalato a febbraio. “Le auto pubbliche sono ormai l’emblema delle difficoltà di questo governo a ridurre e razionalizzare la spesa. E poco importa che si prendano a nolo o si acquistino, il punto è che tutti avevamo convenuto che fossero da ridurre”, dice Massimo Donadi.
Noleggiare conviene? Resta poi da capire se noleggiare convenga davvero. Le opinioni sono divergenti. Grilli e il presidente del Formez Carlo Flamment sostengono di sì. “Il parco auto della Pubblica amministrazione – dice Flamment – è ancora eccessivamente sbilanciato sulle auto di proprietà (79%), seguito dal noleggio senza conducente (19%), mentre leasing e comodato sono all’1%. E’ obsoleto e sicuramente diseconomico e dannoso per l’ambiente, dato che 16mila auto (il 27% del totale) ha oltre 10 anni, e il 34% ha tra 5 e 10 anni di utilizzo”. Ma gli stessi dati raccolti dal Formez indicano il contrario, cioè che noleggiare costa di più.
Il confronto tra acquisto e noleggio. L’acquisto di auto del 2010 ha comportato una spesa di 60,7 milioni per 4.633 vetture in proprietà (vedi tabella) con una spesa media per vettura pari a 13mila euro. Il bando per il noleggio a lungo termine di 4.350 vetture ha una previsione di spesa pari a 84,6 milioni e una spesa media di 19mila. Nel confronto tra le due operazioni, dunque, lo Stato spende di più con l’aggravante che al termine del contratto di noleggio, da uno a sette anni, deve riconsegnare il mezzo anziché utilizzarlo fino a rottamazione.
I vantaggi del noleggio. Anche chi ha sottomano il parco auto più grande d’Italia, quello della Magliana con 600 vetture per la Questura e un migliaio per i ministeri, pone il problema: “Il noleggio costa mediamente un 30% in più – conferma il segretario provinciale del sindacato di polizia Silp Cgil Gianni Ciotti - La nostra esperienza dice che il noleggio conviene solo per i comparti che portano a usura totale i mezzi in breve tempo. Certo non per le esigenze di rappresentanza di enti e comuni. Una soluzione? Lo Stato confisca a mafiosi e politici decine di migliaia di veicoli l’anno, solitamente costosi, potenti che potrebbero essere riassegnati subito alle forze dell’ordine anziché venduti sottocosto dopo anni. Intervenendo su destinazione e tempi potremmo far risparmiare lo Stato, migliorare le dotazioni della polizia e fare in modo che sia la stessa mafia a pagare i mezzi per combatterla”.
L’assicurazione. Un vantaggio del noleggio è dato dal fatto che il contraente si impegna a sottoscrivere una polizza assicurativa contro terzi (Rct) e verso prestatori di lavoro (Rco). Ma resta il costo assicurativo della responsabilità civile (Rca). Ed è un bel costo. Le offerte economiche per le 4.350 vetture a noleggio scadono il prossimo 14 giugno. E pochi giorni prima, il 4 giugno, scade anche un bando per la copertura triennale, sia per le vetture nuove che per quelle già in dotazione ma in scadenza. La gara tra broker vale 134 milioni di euro (per la precisione 133.972.366,34), comprende RCA per 125.614 veicoli e coperture “kasko dipendenti” fino a un massimo di 33 milioni di km annui. Tra i veicoli, una volta sottratti quelli speciali (autobus, natanti, carrelli, motoveicoli, autocarri ad uso agricolo o trasporto esplosivi…) si contano 68.454 autovetture. In pratica la metà dei beni da assicurare. Il costo assicurativo unitario varia a seconda dei cavalli di potenza (da 13 cv a oltre 20) con prezzi unitari che il prospetto indica puntualmente ma che tocca poi moltiplicare per il numero dei veicoli per ciascuna classe d’appartenenza. Alla fine dei calcoli la copertura delle auto supera i 28 milioni di euro l’anno.
Il carburante. Comunque sia ora abbiamo le auto, le abbiamo assicurate, manca ancora qualcosa. Per accenderle e farle muovere serve il carburante. E qui il conto economico, come al solito, si fa complicato. Il fabbisogno di carburante dello Stato viene acquistato con procedure di gara annuali a validità biennale (fino a esaurimento entro l’anno successivo al contratto di fornitura), raggruppando le esigenze di regioni diverse e dividendo la gara in successivi lotti a seconda che comprendano il carburante per il riscaldamento (soprattutto gasolio) o la trazione veicolare. Ecco, qui (forse) c’è il dato utile alla ricerca. Forse, perché poi diventa impossibile distinguere la ruspa o l’autobus dall’auto di servizio. Comunque sia, l’ultimo ordinativo è stato siglato a settembre del 2011 e prevedeva l’acquisto di 461 milioni di litri di cui la metà (per l’esattezza 217 milioni) destinato alla trazione dei veicoli. Il costo preventivato di questo lotto di carburante, al lordo delle accise e iva esclusa, è 228.8 milioni di euro, cui vanno aggiunti oneri per la sicurezza e per il personale addetto alle eventuali operazioni di trasporto e stoccaggio. Non esiste un report successivo sulla destinazione d’uso di verde, gasolio o altro da parte del contraente statale, regionale o comunale che possa confermare o dettagliare ulteriormente. Ma almeno un ordine di grandezza c’è.
Il personale. Chiude il cerchio la spesa pubblica per il personale dedicato alla gestione del parco auto tra autisti, custodi, meccanici… Gli autisti sono 615.015, il personale “altro” 620.312. Il costo ogni anno è 1,2 miliardi (1.235.327). Ora c’è proprio tutto: auto, autisti, assicurazione e benzina. Resta solo da capire dove vogliamo andare con tutte queste macchine.