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domenica 3 gennaio 2021

Big Pharma, Ponte e Tav: Renzi accarezza le lobby. - Giacomo Salvini

 

Matteo Renzi continua a ripetere che la sua è una “battaglia di idee” e non di “poltrone”. Anzi, ha detto ieri orgoglioso in un’intervista al Messaggero, “abbiamo la schiena dritta, se le nostre idee danno fastidio andiamo all’opposizione”. Come se, nella sua testa, fossero lui e Italia Viva ad essere sotto ricatto di Giuseppe Conte, Pd e M5S e non il contrario. Ma tant’è: anche dando all’ex premier il beneficio del dubbio – cioè provando a credere che dietro l’apertura della crisi ci siano le sue proposte e non la voglia di pesare di più nell’esecutivo – guardando alle “idee” del piano “C.I.A.O” per spendere i soldi del Recovery viene il dubbio che dietro ad esse ci sia la volontà dell’ex premier di tornare ad aiutare quelle lobby che con il governo Conte hanno perso un po’ di centralità. Vediamo quali.

Industria farmaceutica. Al punto 55 del piano Renzi propone di “investire quattro miliardi per creare posti di lavoro di qualità e ricerca avanzata nel mondo farmaceutico” perché l’Italia “è uno dei Paesi all’avanguardia mondiale in questo settore e ha distretti di eccellenza assoluta”. Ma non si capisce il motivo per cui l’ex premier voglia destinare ulteriori fondi – il 3% dei prestiti totali che arriveranno dall’Ue – a un settore, quello farmaceutico, che è stato uno dei pochi a resistere nel 2020 della pandemia. Secondo il Rapporto dei settori industriali di Intesa Sanpaolo del 28 ottobre, quello farmaceutico è uno dei pochissimi settori in crescita del 2020 facendo registrare un +3,9%. A Renzi il settore sta a cuore. Certo non solo per il legame antico con la famiglia Aleotti, che possiede il colosso farmaceutico Menarini. Memorabile la visita nel marzo 2015, alla vigilia del primo bilaterale con Angela Merkel a Berlino, nella sede tedesca della Menarini per la gioia di Lucia Aleotti. Poi gli Aleotti – come persone fisiche e non la società – sono stati anche tra i principali finanziatori della fondazione renziana Open per un totale di 300mila euro. Senza essere indagati, furono perquisiti nel 2019 dalla Procura di Firenze, ma la Cassazione a settembre ha annullato i sequestri di cellulari e documenti, definiti “onnivori e invasivi”.

Ponte sullo Stretto e tav. Al punto 32 del piano “Ciao” Renzi torna ancora a perorare la causa del Ponte sullo Stretto di Messina sapendo che non è finanziabile con i soldi del Recovery (ha un arco temporale più lungo del 2027) ma, scrive l’ex premier, “i soldi che arriveranno sulle infrastrutture rendono il ponte irrinunciabile logicamente e più facile da realizzarsi”. Renzi, prima di arrivare a Palazzo Chigi, era contrario all’opera (“Quegli 8 miliardi li dessero alle scuole” diceva), ma poi è diventato tra i suoi principali sostenitori. Almeno da quando, nel settembre 2016, partecipò alla festa dei 110 anni del gruppo Salini Impregilo, oggi We Build, dicendo all’amico Pietro Salini: “Sul ponte noi siamo pronti, se voi ci siete noi sblocchiamo”. Peccato che già allora lo Stato, rappresentato dal premier, avesse un contenzioso aperto proprio con il consorzio Eurolink (guidato dalla Salini Impregilo) che nel 2013 aveva fatto causa per 800 milioni contro la decisione del governo Monti di stoppare l’opera. Il Tribunale Civile di Roma nel 2018 ha respinto la causa e, dopo il ricorso, si attende l’appello. Ma Renzi continua a sponsorizzare l’opera, insieme all’Alta Velocità da Nord a Sud. Anche se non c’è nel piano, Iv da giorni sta portando avanti la battaglia del Tav Torino-Lione. E chi c’è nel raggruppamento di imprese del cantiere in val Susa? Salini Impregilo, ovvio.

Prescrizione. Dopo aver fatto tremare il governo, Renzi torna ad attaccare anche sulla prescrizione che resta “un nodo tutt’altro che risolto”. Considerando i processi in cui è coinvolto il padre Tiziano, l’ex premier dovrebbe tenersi lontano anni luce dal tema prescrizione ma i suoi parlamentari chiedono una commissione ad hoc in cui dovrebbe entrare il presidente delle Camere Penali Gian Domenico Caiazza. Che però nel frattempo è anche avvocato dello stesso Renzi nell’inchiesta dei pm di Firenze sulla fondazione Open.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/03/big-pharma-ponte-e-tav-renzi-accarezza-le-lobby/6053896/

martedì 7 luglio 2020

Concessioni balneari, votano tutti la lobby dei balneari: lo Stato prende solo briciole. - Patrizia De Rubertis e Giacomo Salvini

Concessioni balneari, votano tutti la lobby dei balneari: lo Stato prende solo briciole

Tre anni fa ci ha messo lo zampino il maltempo eccezionale, nel 2019 è arrivato l’aiutino dell’ex ministro del Turismo, il leghista Gian Marco Centinaio. Quest’anno, causa Covid-19, è stato ancora più facile annacquare “spiaggiopoli”. Con una veloce trattativa tra il senatore forzista Maurizio Gasparri e il ministro Dario Franceschini (Pd) è stato inserito nel calderone del dl Rilancio un emendamento di Deborah Bergamini (FI) – con voto bipartisan in Commissione Bilancio – che proroga le concessioni demaniali marittime, cioè le spiagge, fino al 2033. La storia è sempre la stessa: per tutelare una realtà di piccole imprese – sono 30 mila per lo più a conduzione familiare – l’Italia non riesce a mettere all’asta le concessioni, come vuole l’Europa. Il nemico della lobby degli stabilimenti balneari è la direttiva Bolkestein del 2006. Aggirata nel 2010 dal governo Berlusconi, è stata prorogata di altri 15 anni dalla legge di Bilancio 2019. Ed ora l’emendamento l’ha riformulata per evitare che si creassero dei contenziosi a sfavore dei balneari: troppi Comuni non hanno aggiornato le delibere. Così, quella che dovrebbe essere una gigantesca risorsa economica, si traduce in un misero introito per lo Stato: le concessioni portano all’Erario appena 105 milioni di euro, a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma in 15 miliardi di euro annui. Dividendo l’introito per le 25.000 concessioni, i gestori pagano allo Stato “zero”, per dirla con Carlo Calenda. “Il numero delle concessioni cresce ovunque, ma nessuno controlla”, spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente. “Abbiamo svenduto le coste”, dice il segretario dei Verdi Angelo Bonelli: “I prezzi stracciati delle concessioni sono uno scandalo che porteranno l’Italia a risponderne di nuovo davanti alla Commissione Ue”.
Ed eccoli gli affari d’oro. Per il Twiga di Marina di Pietrasanta (quasi 4.500 mq), dove si spendono mille euro al giorno, il proprietario Flavio Briatore (Daniela Santanchè è una socia) paga 17.619 euro di canone allo Stato, contro 4 milioni di fatturato. Un anno e mezzo fa l’imprenditore ha acquistato la concessione dalla storica famiglia di proprietari a 3,5 milioni di euro. Al Papeete (5 mila mq e 35 euro per due lettini e un ombrellone), lo stabilimento romagnolo reso famoso da Matteo Salvini, lo scorso anno i ricavi sono volati a 3,2 milioni, ma il canone – riporta il Corriere – è rimasto fermo a 10 mila euro. Secondo il report di Legambiente, a Santa Margherita Ligure, il Lido Punta Pedale versa 7.500 euro all’anno; a Forte dei Marmi il Bagno Felice 6.560 euro per 4.860 mq; il Luna Rossa di Gaeta 11.800 euro per 5.381 metri, mentre il Bagno azzurro di Rimini ne versa 6.700. In Sardegna, per la spiaggia di Liscia Ruja, l’hotel Cala di Volpe paga 520 euro all’anno. Della proroga al 2033 ne beneficeranno di certo i 71 stabilimenti di Ostia (10 km di spiaggia) che, a fronte di ricavi da 300 mila euro, pagano tra i 20 e 40 mila euro l’anno. La giunta capitolina di Virginia Raggi sta portando avanti la battaglia per abbattere gli stabilimenti e le strutture abusive. “Sono arrabbiato – dice il consigliere M5S in Campidoglio, Paolo Ferrara – con questa norma siamo molto più deboli. Così hanno vinto gli stabilimenti balneari perché con una legge nazionale noi non possiamo più fare niente: ci hanno legato le mani”.
E intanto di aumentare i canoni di concessione non se ne parla. Anzi. Lo stesso emendamento per sanare “una palese ingiustizia” a danno dei gestori delle concessioni “pertinenziali” (cioè bar, ristoranti e chioschi in muratura), ha abolito il pagamento dei canoni calcolato attraverso i valori dell’Agenzia delle Entrate (fino a 200 mila euro), sancendo che non dovranno sborsare più di 2.500 euro. E potranno sanare le morosità pagando solo il 30% del dovuto in un’unica soluzione o rateizzare il 60% fino a un massimo di 6 annualità. Stessa spiaggia, stesso mare, affari d’oro.

giovedì 6 febbraio 2020

A chi interessa se cascano i Benetton? - Tommaso Merlo



A nessuno. Se i Benetton fallissero domani mattina non fregherebbe nulla a nessuno. Anzi, ci sarebbero manifestazioni di giubilo per le strade di tutta Italia. I Benetton ormai sono il simbolo del lobbysmo avido e cinico che tanto male ha fatto al nostro paese. Sono l’emblema di potentati che grazie ad una politica stracciona e venduta, si è arricchito a dismisura sulle spalle dei poveri cristi. Sono state queste lobby a comandare in Italia per decenni. Comprandosi la politica e i media e quindi il consenso. La tragedia del ponte Morandi è solo uno dei tanti esempi di quello che genera quel sistema sostanzialmente mafioso in cui interessi egoistici s’impongono su quelli collettivi e perfino sulla legalità. Un sistema che ha prosperato anche grazie ad una etica pubblica da uomini delle caverne. Dopo mesi dal crollo del Morandi, ormai l’unica cosa che sorprende è la faccia tosta dei Benetton, è constatare che invece di vergognarsi e di sparire dalla circolazione, fanno ancora di tutto per non mollare l’osso delle concessioni e per rifarsi una verginità. Davvero impressionante. Glaciali. A momenti non chiedevano nemmeno scusa dopo il crollo e da subito si sono arroccati per difendersi. Scaricando le responsabilità su altri, sguinzagliando eserciti di avvocati, mandando lettere di supplica ai giornali e spingendosi perfino a strumentalizzare i quattro ragazzini delle sardine finiti penosamente nella loro rete. Come se i Benetton fossero certi che tra cavilli e prescrizioni tutto finirà legalmente in nulla, come se sapessero che l’Italia ha la memoria corta e se tengono duro ben presto “a nessuno interesserà più che sia cascato un ponte”.  Del resto in Italia ha sempre funzionato così. Del resto i sistemi culturalmente mafiosi funzionano così. Poveri cristi per strada a gridare e piangere i loro cari con qualche cartello in mano, Lorsignori a sguazzare nell’oro e nell’impunità e nei loro grotteschi sogni di gloria. Anche il comportamento dei vecchi partiti dopo il crollo è stato un classico. Dopo decine di morti, una politica sana avrebbe reagito compatta per cacciare a calci i Benetton ed invece in Italia sono iniziati i soliti distinguo e le palle in tribuna. A far reagire compatta la politica non sono serviti nemmeno gli scandali emersi dopo la tragedia, nemmeno il profondo sconcerto e dolore che ha attraversato il paese, nemmeno la semplice constatazione che il concessionario autostradale ha dimostrato di non essere in grado di svolgere adeguatamente un lavoro per cui si è arricchito vergognosamente. Mafiosità del sistema. Etica pubblica delle caverne e lo spietato egoismo che sta devastando il mondo. I Benetton sono una famiglia dal patrimonio miliardario. Si tratta di gente che problemi di soldi non ne avrà per generazioni. Gente che non sa neanche più come spenderli i soldi. E allora perché non si levano dai piedi? Perché? L’avidità non ha limiti ma le ragioni della loro agghiacciante resistenza devono essere più profonde. Hanno paura. Paura di vedere il loro impero di cartone finire in frantumi e con esso l’immagine che hanno di se stessi. Paura di scoprire il nulla che c’è dietro al loro patrimonio, al loro status, ai loro deliri esistenziali. Paura. Paura di dover ammettere di aver sbagliato e non solo a gestire quelle dannate autostrade ma a spendere la propria vita ad accumulare soldi e potere alimentando un disgustoso sistema. Paura di scoprire chi sono veramente e di finire per non piacersi affatto guardandosi allo specchio. Paura di rendersi conto che in Italia non frega niente a nessuno se cascano i Benetton. Anzi, ci sarebbero manifestazioni di giubilo per tutto il paese.

giovedì 30 maggio 2019

Barnard: attenti a quei 30, sono loro che ricattano il mondo. - Paolo Barnard - (11/5/2012)

Mario Draghi  Carlo De Benedetti Joseph Cassano
Mario Draghi, Carlo De benedetti, Joseph Cassano
Eleni Tsingou David Rockefeller Tommaso Padoa-Schioppa
Eleni Tsingou, David Rockefeller, Tommaso Padoa-Schioppa. 

Attenti a quei Trenta: ricattano il mondo truccando le regole. E nessuno li può fermare, perché maneggiano 650.000 miliardi di dollari, cioè otto volte il Pil del pianeta. In dieci anni, hanno messo in ginocchio l’economia reale. E sono ancora lì, a dettar legge, a cominciare da uno dei loro specialisti, Mario Draghi. Teoria del complotto? No: storia. Quella del famigerato “Group of 30”, creato alla fine degli anni ’70 da personaggi come David Rockefeller. Obiettivo: piegare le nazioni ai diktat della speculazione finanziaria. Missione compiuta: oggi l’intera Europa è nelle loro mani, e un paese come l’Italia – membro del G8 – è agli ordini della super-lobby che ha commissariato il governo affidandolo al fido oligarca Mario Monti, tecnocrate targato Goldman Sachs, veterano del Bilderberg, della Trilaterale e della micidiale Commissione Europea, quella che oggi dispone il suicidio sociale degli Stati mediante il pareggio di bilancio.

Un capolavoro, in sole tre mosse. Primo: attraverso la “superstizione o isteria del debito pubblico”, si distrugge la capacità dello Stato di creare e Mario Draghi controllare qualsiasi ricchezza finanziaria significativa, che a quel punto resta unicamente nelle mani dei mercati di capitali, da cui gli Stati finiscono per dipendere in toto. Seconda mossa: i dominatori finanziari, che ora spadroneggiano, per ottimizzare la rapina globale incaricano la super-lobby dei tecnocrati di ridisegnare leggi e regole, con adeguata propaganda. Terzo: gli oligarchi impongono le loro condizioni-capestro ai governi, ormai privati della facoltà di creare ricchezza finanziaria e quindi dipendenti dal ricatto, pronti cioè a ingoiare qualsiasi aberrazione speculativa. Parola di Paolo Barnard, autore del saggio “Il più grande crimine” sul complotto mondiale della finanza. Promotore italiano della Modern Money Theory – sovranità monetaria per avere democrazia reale e benessere sociale – Barnard è reduce dalla caserma dei carabinieri nella quale ha sporto denuncia contro Monti e Napolitano per “golpismo finanziario”.

C’era un piano ben congegnato per mettere nel sacco l’Italia: occorreva creare una sofferenza finanziaria artificiosa per consentire alla super-lobby di prendere direttamente il timone. Peccato che i “salvatori”, dice Barnard, fossero gli architetti stessi del piano: «Non ci vuole un genio a capire che il poliziotto iscritto al club dei ladri che gli pagano laute prebende finisce col tradire il suo mandato». Mario Draghi, per esempio: «Poteva fermare la loro mano semplicemente ordinando alla Bce di acquistare in massa i titoli di Stato italiani». Acquisto che avrebbe abbassato drasticamente i tassi d’interesse di quei titoli, la cui impennata stava portando l’Italia alla caduta nelle mani degli “investitori-golpisti”. Se Draghi avesse mosso un dito, i mercati si sarebbero fermati, «resi inermi di fronte al fatto che la Bce poteva senza problemi mantenere a un livello basso e costante i tassi sui nostri titoli di Stato». Ma Draghi, che pure siede sul trono della Banca Centrale Europea, Carlo De Benedetti si guarda bene dall’intervenire. Motivo? Non è solo l’ex governatore di Bankitalia: è anche, e soprattutto, un uomo di punta dei “terribili Trenta”.

Cosa ci fa un personaggio pubblico come Draghi dentro il club di coloro che hanno impedito al mondo di fermare la finanza criminale planetaria? Purtroppo, aggiunge Barnard, il presidente della Bce «dovrebbe vigilare proprio su coloro che condividono il suo club con intenti criminosi». Del resto, chi era il funzionario italiano che – da direttore generale del Tesoro – lungo tutti gli anni ’90 «supervisionò la svendita del nostro Paese alle privatizzazioni selvagge che non hanno sanato di nulla il debito pubblico ma che hanno sanato di certo imprenditori falliti come De Benedetti e fatto incassare miliardi in parcelle alle investment banks?» E chi era il funzionario italiano che «non ha detto una parola contro la micidiale separazione fra Banca d’Italia e Tesoro», divorzio «che ingrassò le medesime banche?». Sempre lui, l’ineffabile Draghi, «uomo “Group of 30”, uomo Bilderberg, uomo Goldman Sachs, e anche “bugiardo-Sachs”», visto che «ha sempre negato di essere stato in forza alla Goldman quando la banca di Wall Street organizzò la truffa per truccare i libri contabili greci in collusione col governo di Atene». E invece, dice Barnard, alla Goldman lui c’era, eccome: e ne dirigeva proprio gli affari europei.

E’ stato lui, Mario Draghi, a “inventarsi” un trilione di euro, in piena agonia dell’Eurozona, per regalarlo alle banche, praticamente senza condizioni. E tutto questo, dopo aver chiuso i rubinetti della Bce per far collassare il governo Berlusconi e consegnare l’Italia all’uomo del super-potere, Mario Monti. Manovra orchestrata dai maxi-speculatori, gli inventori della più spaventosa truffa planetaria, quella dei “derivati”, «astrusi prodotti finanziari del tutto comprensibili a non più di 200 individui nel mondo». Ma il “derivato dei derivati”, aggiunge Barnard, è proprio la crisi finanziaria 2007-2012, innescata dal virus dei titoli fasulli spacciati da Joseph Cassano, boss finanziario della City londinese. Il flagello dei “derivati” si è abbattuto su una situazione già catastrofica, provocata dalla bolla speculativa immobiliare americana dei mutui subprime, infettando quasi tutte le maggiori banche del mondo. Fino all’attuale “spirale della deflazione Joseph Cassano economica imposta”, la famigerata austerity, che ora i “golpisti” – sempre loro – usano per depredare a sangue interi Stati europei.

I “derivati”, dice Barnard, sono vere e proprie armi di distruzione di massa, visto che questi “Frankenstein-assets” vagano per il pianeta senza più controllo né regolamentazione, per una cifra di circa 650.000 miliardi di dollari. Il primo allarme nel lontano 1994, coi miliardi-fantasma della banca d’affari Merrill Lynch. Un pozzo senza fondo, che ha travolto anche i Comuni italiani, invitati a “privatizzare” il debito. Ancora oggi, i contratti Otc (“over the counter”) sono «liberamente usati per distruggere, e lo stanno facendo gli hedge funds come quello del criminale John Paulson, che scommettono in queste ore contro l’euro». Usando i “derivati”, continua Barnard, un pugno di speculatori può affondare persino uno Stato sovrano. Può ricattarlo e sospingerlo oltre il baratro del default. Con conseguenze agghiaccianti: disoccupazione e sotto-occupazione, suicidi, morti anzitempo, abbrutimento sociale, svendita-truffa del patrimonio pubblico, usura sullo Stato. E soprattutto: perdita di democrazia, a favore dei super-profitti dei soliti speculatori, grazie anche al “fascismo finanziario” dell’Unione Europea, che oggi fa gridare allo scandalo persino il “Financial Times”, di fronte ai trattati-capestro imposti senza mai un referendum.

«Domanda: come si è arrivati a questo? Perché non lo si è evitato? Risposta: “Group of 30”». Proprio i Trenta, secondo Barnard, sono la punta di lancia dell’operazione “golpista”. Una lobby di tecnocrati eccezionali, varata nel 1978 con l’aiuto dei Rockefeller: 30 membri, a rotazione, accuratamente designati. «Sono quasi tutti uomini che hanno lavorato con la mano destra nella speculazione finanziaria, e poi con la sinistra nella regolamentazione statale». Missione: piegare le leggi ai propri voleri, naturalmente all’insaputa dei cittadini. Il “Group of 30”, scrive Eleni Tsingou nel più devastante lavoro accademico sulla super-lobby planetaria, «non solo ha legittimato il coinvolgimento del settore privato nelle politiche di Stato, ma ha anche permesso all’interesse privato di divenire il cuore delle decisioni di politica finanziaria». Un trust di cervelli, potentissimo e imbottito di miliardi. E’ proprio il “Gruppo dei 30” a intuire le immense potenzialità dei “derivati”: Eleni Tsingou sono stati loro, gli adepti della super-setta egemone, a inquinare il mondo con la peste dei titoli tossici, per riuscire infine a mettere in ginocchio interi Stati.

Nel 1993, racconta Barnard, il gruppo pubblicò il primo manuale d’uso sui “derivati”, destinato ai controllori statali, europei e americani, delle transazioni finanziarie: non sapevano come maneggiare quei titoli, quindi accolsero con favore lo studio del gruppo e l’ignoranza tolse loro ogni potere di contrastarne le pericolose conclusioni. Primo: i “derivati” sono indispensabili perché “rappresentano nuovi modi di capire, misurare e gestire il rischio finanziario”. Ovvero: «Gli strumenti più “rischiogeni” della storia della finanza avrebbero, secondo loro, ridotto il rischio». Poi: si sottolineava che “la chiave per l’uso dei “derivati” è l’autoregolamentazione”, visto che “le regole statali intrusive e basate sulla legge ne rovinerebbero l’elasticità e impedirebbero l’innovazione in finanza”. Ergo: si prega di non disturbare il manovratore. E i controllori? «Per evitare di apparire ignoranti che brancolavano nel buio si aggrapparono alle raccomandazioni del Gruppo, sia in Usa che in Europa, sospinti in modo decisivo proprio dai loro colleghi senior che erano membri di spicco di questa lobby».

Ma il “Group of 30” osò anche di più, continua Barnard: la super-lobby scrisse che i controllori avrebbero dovuto “aiutare a rimuovere le incertezze legali dei regolamenti in vigore”, e fornire un trattamento fiscale favorevole ai “derivati”. «L’intero lavoro era stato abbondantemente oliato con i fondi della mega-banca speculativa JP Morgan». Eppure, «nonostante la sfacciataggine di quelle righe – osserva Barnard – tre fra i maggiori organi di controllo del mondo, il Comitato di Basilea, il Congresso degli Stati Uniti e la Federal Reserve Usa, trovarono l’idea dell’autoregolamentazione accettabile». Di più: «Gettarono il loro peso contro i pochi controllori ed economisti che già allora suonavano le campane d’allarme», tra questi un prestigioso portavoce della Modern Money Theory come William Black. Al che, si mossero due delle più potenti lobby finanziarie anglosassoni: l’Iif di Washington (Institute for International Finance) e la Liba di Londra David Rockefeller (Investment Banking Association): i due colossi «buttarono sul tavolo della trattativa le loro proposte per l’autoregolamentazione della trasparenza sui “derivati”, a pieno sostegno del “Group of 30”».

Per dare un’idea agli scettici del complotto, aggiunge Barnard, basta ricordare che proprio la Iif è la lobby che, poche settimane fa, ha dato gli ordini nella trattativa suicida della povera Grecia verso la trappola del secondo “bailout”. E dire che l’occasione per capire e controllare la distruttività dei “derivati” Otc si era presentata già all’inizio degli anni ’90: ma il “Group of 30” fu il primario attore nell’annullamento di ogni tentativo di portare questi killer sotto il controllo pubblico, con le conseguenze che sappiamo: crimini globali. Utile riflettere, dice Barnard, su «cosa questi mostri hanno fatto alla vita di centinaia di milioni di famiglie, a milioni di aziende e alle democrazie dei maggiori paesi occidentali, per non parlare degli orrori nel Terzo Mondo e sull’ambiente». Oggi, in pratica, «viviamo tutti su un ordigno termonucleare finanziario fuori controllo che si chiama 650.000 miliardi di “Frankenstein-Derivatives” in grado di far fallire il pianeta». Apriamo gli occhi: «Nessuna Tommaso Padoa-Schioppa- democrazia ha un senso, quando tutta la ricchezza è nelle mani di queste lobby senza pietà, a cui tutti i politici devono rispondere a bacchetta, invece che ai propri elettori».

E tanto per non far nomi, Paolo Barnard avverte che il “Gruppo dei 30” è fatto di persone in carne e ossa, ovviamente potentissime. Come gli americani Paul Volcker e Gerald Corrigan, passati dalla Fed a gruppi come Chase Manhattan Bank, Goldman Sachs, Morgan Stanley. Ci sono gli inglesi come lord Richardson of Duntisbourne (Banca Centrale d’Inghilterra, Lloyds Bank), l’ex ministro Geoffrey Bell, dirigente anche di Schroders, e lo stesso Mervyn King, governatore della Banca Centrale d’Inghilterra. Se dominano gli esponenti della finanza anglosassone come gli statunitensi William McDonough (Dipartimento di Stato e First National Bank of Chicago) e Lawrence Summers (Segretario del Tesoro Usa, fedele del Bilderberg) non manca il resto del mondo: l’israeliano Jacob Frenkel (Banca Centrale d’Israele e Merrill Lynch), il giapponese Toyoo Gyohten (Ministero delle Finanze del Giappone, dirigente della Banca di Tokyo), il brasiliano Arminio Fraga Neto (Banca Centrale del Brasile, Solomon Brothers Ny, Soros Management Fund),  l’iberico Guillermo de la Dehesa (Banca Centrale di Axel WeberSpagna e ministro delle finanze, nonché banchiere del Banco Santander Central Hispanico e di Goldman Sachs).

Alcuni membri del “Group of 30” hanno legato il proprio nome a famosissimi disastri: è il caso dell’ex ministro argentino dell’economia, Domingo Cavallo, padre della catastrofe che travolse il paese latinoamericano e “diligente allievo” del super-clan, i cui esponenti sono specializzati nel doppio incarico: Bundesbank e Dresdner Bank per il tedesco Gerd Hausler, Banca Centrale di Francia e Bnp Paribas per il transalpino Jacques de Larosière. Oltre a quello di Draghi, fra gli italiani spicca il nome dell’ex ministro prodiano Tommaso Padoa-Schioppa, quello dei “bamboccioni”, membro del Bilderberg come il francese Jean-Claude Trichet, già ministro delle finanze a Parigi e poi a capo della Bce. Conflitti d’interesse permanenti: chi lavora per la speculazione è chiamato anche a presiedere le autorità europee di controllo sulla finanza. E’ il caso del tedesco Axel Weber: Bundesbank, poi Ubs, quindi “European Systemic Risk Board” e “Financial Stability Board”.

Grottesco, annota Barnard: uno che lavora per il profitto speculativo con la super-lobby che ha scatenato il peggior rischio sistemico della storia della finanza mondiale, poi siede anche fra i funzionari che valutano il rischio sistemico in Europa, dichiarando di vigilare sulle crisi. Altro controllore, l’inglese Adair Turner, presidente della Financial Services Authority della Gran Bretagna, l’istituto nazionale deputato a controllare l’industria dei servizi finanziari. Eppure: «Eccolo a busta paga della super-banca speculativa Merrill Lynch Europe come vice-presidente, e in bella mostra al “Group of 30”», dopo aver anche fatto parte, a Londra, delle commissioni per le pensioni e per i salari minimi. Un altro controllore, il tedesco Gerd Häusler (Global Financial Stability Report e Financial Stability Forum) ce lo ritroviamo come direttore dell’Institute of International Finance di Paolo Barnard Washington, altro deregolamentatore dei “derivati”. Membro del “Group of 30”, Häusler compare anche a New York nell’agguerrita agenzia Lazard, che nel caso-Grecia «faceva il doppio gioco», come consulente sia degli “investitori-strangolatori”, sia del governo di Papademos.

Questi, dice Barnard, sono gli uomini che hanno creato le leggi-capestro che oggi dissanguano la nostra economia e confiscano la nostra sovranità: «Stiamo parlando del sistema che ha messo in ginocchio l’economia del mondo in meno di un decennio». E’ il super-potere che, anche in Italia, ha minato il futuro dei nostri bambini, regalandoci le immense sofferenze di cui ormai sono pieni ogni giorno i titoli del giornali, con buona pace di qualsiasi residua democrazia reale. «Questo è il “Group of 30”, la lobby che ha aiutato in modo decisivo a causare questo allucinante scenario, questo livello di crimine internazionale», conclude Barnard: «Trenta individui a rotazione, ma solo trenta, col nostro Draghi in prima fila. Roba da far apparire Goldfinger un patetico principiante».

http://www.libreidee.org/2012/05/barnard-attenti-a-quei-30-sono-loro-che-ricattano-il-mondo/

martedì 9 aprile 2019

Lobby continua. - Milena Gabanelli e Luigi Offeddu



Bruxelles supera Washington e si consacra capitale mondiale del lobbismo: sono 11.801 i gruppi di pressione elencati nel Registro della Trasparenza istituito dalla Commissione Europea.

A Bruxelles si fanno le leggi che riguardano 508 milioni di cittadini, e le lobby lavorano perché non contrastino gli interessi di imprese e associazioni che rappresentano: industrie, aziende private, grandi studi legali, ma anche sindacati, ong, associazioni di consumatori.

Ai primi posti nella classifica ci sono il Cefic o Consiglio delle industrie chimiche europee (12 milioni di euro di spese minime dichiarate nel 2018), Google (6 milioni nel 2017), Microsoft (5 milioni), BusinessEurope (la Confindustria europea, 4 milioni). C’ è anche Huawei, il colosso cinese della telefonia, 2.190.000 di costi dichiarati nel 2017.

Fra i singoli Paesi, l’ Italia, con 841 lobby, è al quinto posto dopo il Belgio (dove ovviamente si registrano molti gruppi stranieri), la Germania, la Gran Bretagna, la Francia. Fra le principali, per costi minimi dichiarati, troviamo: Altroconsumo (5 milioni di euro), Enel (2 milioni), Eni (1.250.000), Confindustria (900.000). Tutti insieme, i quasi dodicimila gruppi di pressione di Bruxelles spendono circa 1,5 miliardi all’ anno. A che cosa servono? A mantenere uffici e personale, a fare convegni e campagne d’ opinione in diversi Paesi. O a comprare voti, leggi e figure delle istituzioni, questo è il dubbio spesso evocato.

Il lavoro del lobbista è quello di contattare commissari ed eurodeputati trasmettendo loro idee per emendare questa o quella norma. Commissari e deputati, a loro volta, hanno bisogno di confrontarsi per sapere quanto e come incidono le direttive nei vari settori dell’ impresa e della società. Un’ attività legale quindi, purché avvenga alla luce del sole. Infatti ci sono delle transenne: se vuoi incontrare un commissario europeo, per esempio, devi essere iscritto nel Registro della Trasparenza.
Ma il problema dei controlli resta: «Mentre la Commissione obbliga i lobbysti a registrarsi prima che qualsiasi incontro possa aver luogo – spiega Raphael Kergueno, del sito Integrity Watch legato a Transparency International – esercitare il lobbysmo con gli eurodeputati e i delegati nazionali al Consiglio resta invece un’ attività largamente non regolata. Solo quando il registro coprirà tutte e tre le istituzioni potremo verificare i comportamenti di coloro che a Bruxelles prendono le decisioni politiche».
Ci sono tanti modi per fare lobbysmo, e a Bruxelles bisogna esserci, altrimenti ci sono solo gli «altri». L’ Ong Altroconsumo ha scritto nel 2018 agli eurodeputati italiani, chiedendo loro alcuni emendamenti a una proposta di direttiva sulle vendite a distanza.
Si voleva che anche ai beni digitali fossero estese ampie garanzie contro i difetti di funzionamento, e così è stato. Sempre Altroconsumo ha influenzato le direttive Ue contro l’ impiego degli antibiotici negli allevamenti intensivi. Slow Food ha fatto sentire la sua voce nelle direttive sugli Ogm. Altroconsumo dichiara di essere finanziata al 98,08 % da quote e abbonamenti degli associati.
Slow Food, costi minimi di 800.000 euro per il 2017, riceve sovvenzioni Ue per 730.285 euro e un contributo di 816.331 euro degli aderenti.

Il lobbysmo delle imprese è più aggressivo.
Di norma, ogni proposta di legge raccoglie in Parlamento 50-100 emendamenti, ma a volte sono molti di più, e in questi casi possono infilarsi quelli proposti – o scritti direttamente – dai lobbysti, e ricopiati pari pari dai deputati. Quando si discusse l’ ultima riforma della politica agricola, gli emendamenti furono 8.000. Per la direttiva che avrebbe dovuto regolare meglio gli «hedge fund», i fondi di investimento a rischio, ne piovvero 1.600: secondo fonti ufficiose, metà erano stati scritti direttamente dai lobbysti della finanza.
Anno 2013, direttiva sulla protezione dei dati personali firmata dalla commissaria Ue Viviane Reding, che parlerà poi di «lobbying feroce». Un esempio, l’ articolo 35 del testo originale della direttiva dice: «Il controllore e il processore (di certi dati personali, ndr ) devono designare un responsabile della protezione…». La lobby della Camera di Commercio americana chiede che al «devono» si sostituisca un più morbido «possono». Il deputato conservatore inglese Sjjad Karim rilancia: nel suo emendamento, accolto, si legge «dovrebbero». La differenza fra «dovrebbero» e «devono» non è banale: sparisce l’ obbligo tassativo.

L’ ultima guerra fra le lobby è scoppiata intorno alla direttiva sul copyright, appena approvata dall’ Europarlamento. Da una parte Google e gli altri giganti dell’ high tech, dall’ altra musicisti, editori, giornalisti, e le società che raccolgono i loro diritti d’ autore, schierate contro il «no» allo sfruttamento gratuito sul Web di opere che hanno diritto a un copyright.
Dal novembre 2014 agli inizi del 2019 si sono avuti 765 incontri fra lobbysti e Commissione, nei cui verbali compare la parola «copyright». Google ha avuto tre incontri al mese per tutto il 2018 con i vertici della Commissione (e le associazioni per i diritti d’ autore ancora di più). In estate, i deputati Verdi sono stati bombardati da tremila email pro o contro le nuove norme. Virginie Roziere, deputata favorevole, ne ha ricevute 400 mila, tutte contrarie. Alla fine la direttiva ha disposto che i giganti dell’ high-tech (nonostante le pesantissime pressioni) ora debbano chiedere le autorizzazioni, pagare autori ed editori, e intervenire sulle violazioni dei diritti.

Un’ altra guerra è stata quella accesa dalle norme sulla plastica monouso. Il Cefic, l’ ombrello delle industrie chimiche (oggi schierato contro la plastica), nel 2010 dichiara sei milioni di costi di lobbying, che nel 2018 diventano 12. Nel frattempo, dal dicembre 2014 al febbraio 2019, ottiene 80 incontri con la Commissione Europea, più o meno uno ogni 23 giorni. Significa che questa è una lobby influente, ascoltata. Poi c’ è il pianeta di «Big Pharma». Secondo un rapporto del 2015, le lobby dei farmaci spendono tutte insieme 40 milioni di euro. Questi investimenti riguarderebbero anche le decisioni sui diritti di proprietà, o i delicati test sui farmaci.

Altro settore «caldo» è quello dell’ automobile. Le spese delle sue lobby a Bruxelles sono passate dai 7,6 milioni di euro del 2011 ai 20,2 milioni nel 2014. Indizio per azzardare un perché: nel 2013 si discutevano le norme Ue sulle emissioni di Co2 delle auto, nel 2014 quelle sull’ ossido d’ azoto.
L’ attività delle lobby è per sua natura opaca, e il panorama non è sempre tutto bianco o tutto nero. A volte è proprio nero. Novembre 2010-marzo 2011, due giornalisti del Sunday Times con telecamera nascosta si presentano come lobbysti a Ernst Strasser, capogruppo del partito popolare austriaco: «Vorremmo cambiare una direttiva, ci aiuta?». Lui accetta, loro pubblicano tutto. Strasser finirà in carcere per corruzione. 
Come l’ eurodeputato sloveno Zoran Thaler e il romeno Adrian Severin, incastrati dalla stessa telecamera. Stessa disponibilità: 100.000 euro a colpo.
Un anno dopo, ottobre 2012, il commissario Ue alla Salute, il maltese John Dalli, viene cacciato per i suoi legami con un lobbista del tabacco. Per aggiustare una direttiva Ue c’ erano in ballo 60 milioni.

https://infosannio.wordpress.com/2019/04/08/lobby-continua-2/?fbclid=IwAR2zpbq3SkCftGqRE3JIdpUD-s1xIY29G3OqUHotT7pV8sMIZ-52i7DtYKQ

giovedì 20 agosto 2015

Lotto, Consiglio di Stato blocca gara: fatta per i soliti noti. Scontro col governo. - Giorgio Meletti

Lotto, Consiglio di Stato blocca gara: fatta per i soliti noti. Scontro col governo


L'ex numero uno del Sismi Nicolò Pollari, oggi consigliere a Palazzo Spada, relatore del parere: "Requisiti appaiono clausole escludenti". L'esecutivo protesta e accusa: ha abusato del suo potere. 


La posta in gioco è un affare da 3,5 miliardi di euro, destinato nei prossimi nove anni a sostenere i bilanci di Lottomatica, una delle aziende lobbisticamente più forti in Italia. Stavolta però a insinuare che il bando di gara per la concessione del Lotto sia fatto su misura per chi controlla da 22 anni il lucroso business non è un focoso oppositore del governo Renzi. È sceso in campo nientemeno che il Consiglio di Stato, facendo esplodere sotto Ferragosto uno scontro istituzionale senza precedenti.
Nel ruolo di guastatore c’è il consigliere di Stato più famoso d’Italia, l’ex capo dei servizi segreti Nicolò Pollari. Con apparente ingratitudine per Matteo Renzi – che il 4 giugno scorso ha confermato il segreto di Stato sui dossieraggi per i quali i giudici di Perugia devono decidere a settembre sul rinvio a giudizio dello stesso Pollari e del suo ex braccio destro Pio Pompa – l’ex direttore del Sismi ha tirato un calcione alla gara del Lotto. E il ministero dell’Economia ha deciso una risposta durissima: il sottosegretario Pier Paolo Baretta, che ha la delega ai Giochi, sta limando una lettera con cui accuserà Pollari e il Consiglio di Stato, di un abuso di potere.
La legge prevede per i bandi di gara su concessioni per “giochi pubblici” il parere obbligatorio del Consiglio di Stato. Il ministero dell’Economia lo ha chiesto e la seconda sezione del Consiglio di Stato l’ha formulato il 10 luglio. Il documento, firmato dall’estensore Pollari, è arrivato sulla scrivania di Baretta il 7 agosto, 28 giorni dopo, benché dal Consiglio di Stato al ministero di via XX settembre si impieghino, secondo Google Maps, 36 minuti a piedi e 14 in auto blu.
Il contenuto è severo, la conclusione è esplosiva: “Si sospende l’emissione del richiesto parere, in attesa delle precisazioni e/o degli adeguamenti indicati in motivazione”. Tradotto: se il governo non si adegua il parere non lo diamo, e la gara non si fa.
Il governo però ha fretta. Vuol chiudere la gara entro l’anno perché ha già messo in preventivo per il 2015 l’incasso di 350 milioni, la metà della base d’asta di 700 milioni per la concessione. La posizione del ministero dell’Economia guidato da Pier Carlo Padoan è netta: il parere del Consiglio di Stato è obbligatorio ma non vincolante, quindi i giudici amministrativi, in questo caso nella funzione costituzionale di “consulenza” e non di “giurisdizione”, non possono subordinare il parere all’arrivo di precisazioni convincenti da parte del governo. Nei prossimi giorni Baretta scriverà a Pollari nel merito delle obiezioni, annunciandogli nei saluti che il governo considera acquisito il parere del Consiglio di Stato e che la gara partirà senza indugi. Insomma, per il governo l’ex capo dei Servizi segreti potrà incorniciare la sospensiva e appendersela in salotto.
Scontro istituzionale a parte, rimane la bomba innescata da Pollari. Per una beffa della storia, l’uomo che cinque governi consecutivi (ProdiBerlusconiMontiLettaRenzi) hanno difeso a colpi di segreto di Stato porta alla pubblica discussione uno dei segreti più sacri per tutti i politici di governo: gli affari di Lottomatica, che nel frattempo si è trasferita a Londra e si chiama Igt. La società del gruppo De Agostini ha la concessione del lotto da 22 anni. Sarebbero stati due contratti da nove anni, ma a un certo punto gli abili legali della società si sono attaccati a un cavillo per sostenere che l’inizio formale della concessione andava post-datato di 4 anni. Hanno chiesto un collegio arbitrale per il quale Lottomatica ha designato l’ex ministro socialista Angelo Piazza, il ministero dell’Economia l’ex parlamentare Ernesto Stajano. I due avvocati chiamati a incrociare le lame giuridiche erano soci in affari. Cose che capitano e non sia mai detto che il dettaglio abbia favorito la vittoria di Lottomatica. In Italia, quando si parla di giochi e scommesse, l’attenzione è sempre abilmente attirata sulla piaga della ludopatia e sul gioco illegale. Pochi si occupano dei profitti di Lottomatica, azienda cara ai politici di ogni colore, finanziatrice di primi ministri e peones. Esemplare il caso di Alberto Giorgetti, deputato berlusconiano e sottosegretario con delega ai Giochi nel governo Berlusconi e in quello Letta. L’anno scorso, appena persa la poltrona, annunciò le dimissioni da deputato per farsi assumere da Lottomatica. Travolto dalle polemiche, ritirò le dimissioni. Nel luglio scorso ha ottenuto la vicepresidenza della commissione Finanze, che si occupa anche di giochi e lotterie. Lottomatica, senza che nessuno batta ciglio, incassa un aggio del 6% su ogni giocata al lotto, cosicché negli ultimi nove anni, a fronte di giocate complessive per 55,5 miliardi ha portato a casa 3,5 miliardi. Nel bilancio 2014 del gruppo Igt, risultato dell’espansione internazionale decisa da De Agostini per investire i soldi guadagnati in Italia, su 3 miliardi di ricavi, 1,7 sono fatti in Italia, ma su 567 milioni di risultato operativo ben 543 provengono dagli affari con il distratto governo italiano, che non sembra accorgersi del dato più inquietante.
Nel 2006, primo anno dell’ultima concessione novennale, le giocate sono state 6,6 miliardi come nel 2014, quindi Lottomatica ha incassato nel primo come nell’ultimo anno circa 400 milioni di aggio. Invece le entrate dello Stato, a parità di volumi giocati, sono scese da 2 miliardi del 2006 a 1,1 del 2014, con una flessione secca del 45 per cento.
Contenti dell’affarone per cui sul Lotto guadagnano solo Lottomatica e l’altra potentissima lobby, i tabaccai, al governo hanno pensato bene di fare il bando di gara che perpetua le attuali condizioni. Aggio del 6% su ogni giocata, una rendita assicurata senza nessun rischio. Pollari, nel suo parere, allude in giuridichese a un bando su misura per Lottomatica. Esempio: “I requisiti per la partecipazione alla procedura di selezione appaiono, per taluni versi, eccessivi, tanto da figurare come clausole escludenti”. Poi ricorda l’ultima relazione della Commissione europea sulla corruzione, nella quale è segnalata tra le altre cose “la pratica della stesura di capitolati d’oneri su misura al fine di favorire determinati offerenti”. Quanto a Lottomatica, non pare turbata dagli eventi. E secondo insistenti voci del settore, fiutando il vento, starebbe già trattando per assorbire il maggior concorrente italiano, la storica Sisal, in difficoltà economiche, ma con un presidente di spicco come l’ex ministro delle Finanze Augusto Fantozzi. Nel settore giochi e lotterie nessuno passa di là per caso.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/19/lotto-consiglio-di-stato-blocca-gara-fatta-per-i-soliti-noti-scontro-col-governo/1968668/

Lo stato, ormai, esterna sempre più spesso un atteggiamento di ottusa ed immotivata opposizione alle leggi, alla logica ed all'etica. Lo dimostra rifiutando di ottemperare alle decisioni dei maggiori organi di controllo che sono la Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato.
La faccenda Lottomatica, inoltre, presenta vari punti che meritano un approfondimento specifico per comprendere e quantificare l'incompetenza e la dappocagine, per usare termini inoffensivi, di chi gestisce l'argomento.
I punti sono:
1) la protezione garantita a Pollari in quanto probabile custode di segreti scottanti riguardanti membri dei vari governi passati e presenti;
2) l'ingente mole di denaro che circola nell'ambiente del lotto e dei giochi appetibili per gli avvoltoi in circolazione;
3) tutto il marcio che gravita intorno all'ambiente del Lotto e dei giochi.
Per dirla in breve, un approfondimento della materia spiegherebbe e chiarirebbe definitivamente gli intrecci tra organi dello stato e personaggi di inesistente trasparenza legale. (cdg)


lunedì 15 giugno 2015

KOC COMPARE AL BILDERBERG: SARA' QUESTO L'ANNO IN CUI TUTTO SALTA FUORI? - CHARLIE SKELTON

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Ho teso un’amichevole mano a uno dei membri più eminenti del gruppo – ora quello che si richiede è un po’ di trasparenza pubblica
C’era uno sfortunato ingorgo di limousine alle porte dell’Interalpen-Hotel. Da un lato c’era un gruppetto di poliziotti che confabulavano tra loro, sfogliando mestamente una lista di nomi e non capendoci nulla, mentre una fila di Mercedes V12 aspettava in trepidazione. Cosa stava succedendo? Gli organizzatori si erano accorti di aver fatto un errore madornale invitando Ed Balls e cancellando il suo nome all’ultimo momento?

Un van si è accostato in fondo alla coda, trasportando una persona che conoscevo bene. Era il miliardario turco e membro del consiglio direzionale del Bilderberg, Mustafa Koç (nella foto, ndr). Si stava grattando la nuca da wrestler con la mano paffuta e non sembrava affatto contento dall’ingorgo. Non avevo mai visto un Koç vedersi negato l’accesso in maniera così imbarazzante dal mio ballo di fine anno all’università.
Dopo aver scattato una foto veloce mi sono lanciato in un saluto. “Mr. Koç!” ho esclamato, salutando amichevolmente. Lui mi ha fatto un cenno di risposta. Mi sono presentato ed ho scattato un'altra foto. Tutto ciò all’improvviso è apparso poco educato in una situazione del genere, per cui mi sono scusato. “No problem” ha detto, sorridendo.
Oh mio Dio, eccolo: dialogo! La grande connessione io-tu alla base di tutte le interazioni umane. Io e Koç, due anime che entrano in contatto, oltre le barriere. Mi sono spinto un po’ più in là.
“Sta aspettando in grazia la conferenza?”, i suoi occhi hanno brillato ed ha annuito. “Quali sono le sue opinioni circa le recenti elezioni in Turchia?” a quel punto la nostra amicizia in erba è stata interrotta sul nascere dall’autista di Koç che ha alzato il finestrino. L’ingorgo si è risolto e Koç se n’è andato.

Mi rendo conto che Skelton- Koç non sia stato Frost-Nixon, ma è stato un raro momento di umanità attraverso le barricate. Ammettiamolo, questo esiguo scambio di battute gridato oltre il petto di un autista è la cosa più simile ad una conferenza stampa che potremo ottenere in tutto questo Bilderberg.
Devo ammetterlo, l’enorme assenza di cooperazione con la stampa da parte di quello che è un importante summit politico, a cui partecipano politici, primi ministri, fautori delle politiche pubbliche, è sempre più assurdo anno dopo anno. Al summit di quest’anno, ad esempio, il tema della “Grecia” verrà discusso da tre primi ministri europei, il presidente dell’Austria, un membro del comitato esecutivo della BCE, due ministri delle finanze europei (tra cui George Osborne) e il capo della Dutch National Bank. Alcuni dei giocatori più importanti di questa partita.
A discutere con loro, abbiamo molti CEO e membri dei CDA di alcune immense istituzioni finanziarie, ognuno dei quali ha interessi lampanti in ciò che accadrà alla Grecia: i capi di HSBC, Lazard, Deutsche Bank, Santander e KKR; membri del CDA di Morgan Stanley e Goldman Sachs; il capo di Goldman Sachs International e il vicecapo di Black Rock. Tutti questi pubblici ufficiali che si incontrano con tutte queste società e nessuna rappresentanza di politici greci. E nessuna copertura da parte della stampa.
Sarebbe di certo più saggio e rispettoso nei confronti dei giornalisti molestati dalla polizia e degli elettorati che i politici partecipanti convocassero una conferenza stampa l’ultimo giorno. C’è un precedente in questo senso: una volta lo facevano, prima dello scandalo Lockheed e le dimissioni del Principe Bernhard li facessero fuggire ancor più nella segretezza. Ho visto riprese delle conferenze stampa dei Bilderberg degli anni ’70. Può succedere ancora.
Sono sicuro che i finanziamenti che Goldman Sachs e BP buttano nel meeting Bilderberg (come rivelato nei report annuali dell’Associazione Bilderberg) potrebbero coprire le spese di un paio di file di sedie ed un microfono. Niente di pomposo. Una breve dichiarazione e un po’ di domanda-risposta.
Non serve reinventare la ruota. Dateci qualcosa che le somigli. Un verbale timbrato sarebbe un buon inizio. Ci prendiamo qualsiasi cosa. Siamo stanchi di vedere passaporti diplomatici che passano dietro finestrini oscurati. Stanchi di politici che nascondono la faccia e ministri che si rifiutano di riferire gli argomenti di cui hanno trattato. Stanchi di ufficiali di polizia che, quando non disturbano i giornalisti, si mettono in fila davanti alle limousine per nasconderle alla vista.

Ecco un’idea: Mustafa Koç potrebbe aiutarci a far ripartire queste conferenze stampa? La conglomerata della famiglia Koç, brillantemente chiamata Koç Holding, elenca “quattro princìpi fondamentali inviolabili” nei propri articoli di governante aziendale e il primo di essi è la “trasparenza”. Koç stesso, il presidente della società, sembra felice di intrattenere la stampa e si è esposto contro la corruzione in politica. Ha detto di recente, poco prima delle elezioni nel suo paese “La nostra gente merita politici puliti”.

Politica pulita è politica aperta. La trasparenza permette alla luce del sole di entrare.
Koç potrebbe avere il pugno chiuso, ma sembra uno a cui non interessa far mulinare le braccia. Non c’è nessuna smentita del fatto che Koç sia una presenza di spicco al Bilderberg. Ci sono molti amici di Koç nel comitato direttivo, quindi quando c’è da fare lobbysmo per migliori relazioni con la stampa, magari Koç può tirare un colpo? Sicuramente una cosa così semplice non sarebbe complicata per lui. Non per un Koç così potente.
Dopotutto Koç è incredibilmente connesso nel mondo del business. È membro dell’International Avisory Board di Rolls Royce e siede accanto a Tony Blair nell’International Advisory Council di JPMorgan. Il suo compare del comitato direttivo, Peter Sutherland, il presidente di Goldman Sachs International, è nel CDA di Koç Holding.
Io penso, nel mio piccolo, di avere un tacito accordo con Koç. Quindi, nello spirito del dialogo e del progresso, della trasparenza e della “politica pulita”, mi espongo con lui, per aiutarlo a rendere questa conferenza stampa realtà. Potrei essere in errore, i miei sogni potrebbero andare in fumo, ma ho la sensazione che il 2015 potrebbe essere l’anno di Koç.

Charlie Skelton

Fonte: http://www.theguardian.com
Link: http://www.theguardian.com/world/2015/jun/12/koc-pops-up-at-bilderberg-could-this-be-the-year-they-let-it-all-hang-out
12.06.2015
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l'autore della traduzione FA RANCO

LEGGI ANCHE: BILDERBERG 2015: MINISTRI E CRIMINALI A BRACCETTO
GIORNALISTI COCCOLATI E RIVERITI AL G7, ASSEDIATI DALLA POLIZIA AL BILDERBERG

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15176

venerdì 1 maggio 2015

Rinnovabili, l'UE ha preferito il gas per le pressioni dei lobbisti Shell. - Nicolò Sapellani

La sede della Commissione Ue
LONDRA – L'Unione europea sta puntando sempre più sul gas come fonte energetica, nel Piano per l'Unione energetica presentato a fine febbraio è stato dato ampio spazio al tema dei gasdotti, e Bruxelles quando parla di metano insiste spesso sul fatto che si tratti di un combustibile più pulito rispetto alle fonti tradizionali. L'Ue però non avrebbe fatto questa scelta strategica liberamente, ma avrebbe ceduto alle pressioni dei lobbisti della Shell iniziate nell'ottobre 2011.
«RINNOVABILI PIÙ CARE» - Secondo alcuni documenti a disposizione del quotidiano britannico The Guardian, la compagnia energetica anglo-olandese è riuscita a indebolire l'interesse dell'Europa verso le energie rinnovabili, per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, -40 per cento entro il 2030, stabiliti nelle scorso ottobre. A quanto risulta al Guardian, i punti chiave dell'impegno sottoscritto dai Paesi membri dell'Ue sono stati dettati dai lobbisti della Shell. In una lettera di cinque pagine indirizzata al presidente della Commissione di allora, Jose Manuel Barroso, il direttore esecutivo per le attività upstream di Shell, Malcolm Brinded aveva scritto che se l'Ue avesse puntato su una strategia di mercato basata sul gas, avrebbe potuto risparmiare 500 miliardi nel suo percorso di transizione verso un'economia meno dipendente dalle energie fossili. Risparmi che non ci sarebbero stati se avesse scelto la via delle rinnovabili.
«IL GAS È UN BENE PER L'UE» - «Il gas è un bene per l'Europa e l'Europa è ricca di gas», aveva scritto Brinded. «Shell è convinta che l'Ue debba concentrarsi sulla riduzione dei gas serra come l'unico obiettivo sul clima dopo il 2020, e consentire al mercato di individuare il modo più conveniente ed efficace per raggiungere questo obiettivo, preservando in tal modo la competitività dell'industria, tutelando l'occupazione e il potere d'acquisto dei consumatori, per indirizzare il sistema verso la crescita economica».
LE ULTIME MOSSE DI SHELL - Royal Dutch Shell è una multinazionale energetica anglo-olandese, che ha forti interessi nel settore del metano. Il gas naturale nel tempo è diventato uno dei maggiori settori d'affari della compagnia e a oggi gran parte dei profitti di Shell vengono dalle attività legate al gas. Recentemente Shell ha annunciato di aver completato l'acquisizione di British Gas per 69 miliardi di euro, concludendo la maggior operazione di fusione degli ultimi 10 anni. Con questa operazione Shell ha espanso la sua capacità produttiva di gas, andando a consolidare il proprio primato detenuto con l'americana Exxon Mobil. Bg infatti ha grandi progetti in Brasile, Africa orientale, Australia, Kazakhstan e Egitto.

venerdì 25 aprile 2014

Mutuo #M5S: “Una condanna a 30 anni di maxitasse per i siciliani” “E forse non si è cercato di rinegoziare il debito, come si doveva”.

portavoce
Palermo 23/04/2014. Cappello: “Maggioranza e finta opposizione sono ormai un gruppo indistinto”. Cancelleri: “Governo-armata Brancaleone, cui va staccata la spina”. Dichiarato inammissibile emendamento 5 Stelle su taglio delle auto blu. Ciaccio: “Lo ripresenteremo in Finanziaria”

“Una condanna per la Sicilia a 30 anni di maxi tasse”. Il Movimento 5 Stelle è lapidario sul “sì” dell’Ars che “regalerà” ai siciliani aliquote maggiorate Irpef ed Irap per i prossimi tre decenni e congelerà lo sviluppo dell’isola. E annuncia una possibile denuncia alla Corte dei conti per un possibile danno all’Erario.
“C’era la concreta possibilità – ha affermato Stefano Zito – di rinegoziare il debito con Enel e Telecom e, probabilmente, con le altre aziende creditrici, ma questo tentativo, che avrebbe potuto fare ­risparmiare i siciliani, probabilmente non è stato nemmeno esperito”.
Il mega-prestito – cui il Movimento ha votato convintamente no – tra l’altro, non salverà proprio nessuna impresa, “visto che – ha detto Stefano Zito – i creditori sono grosse aziende farmaceutiche, non certo a corto di ossigeno e non sono nemmeno siciliane”.
L’operazione è stata bollata dal Movimento come folle e che porta a pagare debiti con altri debiti, senza assicurare un minimo di sviluppo, varata da parte di un “governo-armata Brancaleone – ha detto Giancarlo Cancelleri – a cui si deve solo staccare la spina. Potete rimescolare, rimpastare, shakerare - ha detto ai deputati in aula – ma in questo governo non cambia nulla. A Crocetta concediamo solo un minuto, un minuto di vergogna per tutto quello che non ha fatto“. Parecchio critici gli interventi sul mutuo dei deputati, Ciaccio (che annuncia che ripresenterà in Finanziaria l’emendamento sulla riduzione delle auto blu, dichiarato inammissibile), La Rocca e Foti (che hanno ribadito, tra l’altro, il concetto del mancato risparmio, derivato da una eventuale mancata transazione). Il capogruppo Francesco Cappello ha condannato il comportamento delle forze politiche in aula, ormai “un blocco indistinto tra falsa opposizione e claudicante maggioranza, amalgamato da un unico obiettivo: sconfiggere il Movimento 5 Stelle”.
L’Aula ha anche approvato due ordini del giorno che vedono come prima firmataria Claudia La Rocca: il primo punta a rendere effettiva l’applicazione dell’articolo 14 della legge regionale 11/2010 (misure relative alla trasparenza dei conti pubblici), il secondo punta a velocizzare, in sede di commissione paritetica Stato-regioni, la discussione relativa al mancato gettito Irpef da parte dello Stato, che provoca mancate entrate per quasi tre miliardi di euro.
http://www.sicilia5stelle.it/2014/04/mutuo-m5s-una-condanna-a-30-anni-di-maxi-tasse-per-i-siciliani-e-forse-non-si-e-cercato-di-rinegoziare-il-debito-come-si-doveva/




LA FOLLIA DA 1 MILIARDO - Giancarlo Cancellieri



Ieri in aula si è consumato l'inciucio "alla siciliana" più grande della storia, una cosa così non si era mai vista prima. A confronto le larghe intese di Renzie sono giochetti da condominio.
Vi racconto tutto:
il governo Crocetta ha portato in aula il famigerato disegno di legge per far contrarre alla Regione un mutuo da 1 miliardo di euro per pagare i debiti contratti con le multinazionali dei farmaci.
Questo mutuo prevede una durata di 30 anni e deve essere pagato con rate da 50 milioni di euro all'anno, le coperture, manco a dirlo, vengono prese da IRPEF e IRAP, cioè le tasse a cittadini e imprese, che vengono aumentate al massimo sempre per 30 anni.
Hanno ammazzato il nostro futuro, ma stavolta sappiamo chi sono i colpevoli.
Il M5S ha proposto coperture alternative come il taglio alle pensioni e agli stipendi d'oro della Regione, avremmo recuperato, dati alla mano, circa 45 milioni di euro all'anno.
Abbiamo proposto almeno di bloccare le cartelle esattoriali di Riscossione Sicilia per le aziende che vantano crediti nei confronti della Regione.
Niente da fare, ci dicono che è incostituzionale (peccato che grazie a Mattia Fantinati del M5S questo sia già legge dello Stato e quindi se si può fare a Roma lo possiamo fare anche noi in Regione, tranquilli ci ritorneremo).
Alla fine di tutto la cosa più vergognosa è stata la votazione finale che ha approvato questa follia ammazza futuro, infatti hanno votato a favore non solo PD, UDC, LISTA CROCETTA, DRS e ART.4 che compongono la maggioranza, ma anche i partiti di opposizione di destra FORZA ITALIA, NCD, GRANDE SUD e CANTIERE POPOLARE. La più variegata forma di inciucio che si sia mai vista!
Ci sarà molto da lavorare per riparare a questo danno, ma lo sapevamo, siamo in guerra!
Non saranno tutti uguali, ma sicuramente fanno tutti schifo allo stesso modo.
In alto i cuori, riprendiamoci la Sicilia!


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sabato 28 dicembre 2013

Salute & affari, le case farmaceutiche tagliano venditori. E non pagano la crisi.

Salute & affari, le case farmaceutiche tagliano venditori. E non pagano la crisi


Il settore lascia a casa la categoria dell’informatore medico. Eppure il comparto non mostra sofferenze serie, considerato il contesto generale. Anzi, chiuderà il 2013 con un trend positivo e nel breve-medio termine "nonostante tutto, reggerà". E per andare avanti, la ricetta è più che tradizionale: il mercato italiano, che vive da sempre in simbiosi con la politica, deve trovare un nuovo patto economico dentro il Parlamento.

La scenetta classica della ragazza in minigonna che attende in sala d’aspetto ormai non vale più. Idem per il collega che siede davanti al medico invitandolo al convegno di fine maggio: Costiera amalfitana o Cinque terre, programma di lavoro ridotto al minimo per gustarsi la gita in barca o il pesciolino nel piatto. Niente da fare, tutto finito e tutto molto vietato dal nuovo regolamento Farmindustria.
Le 20 aziende farmaceutiche per vendita in ItaliaVia chi non serve più
La farmaceutica oggi ha mollato la categoria dell’informatore medico. Lo conferma l’inchiesta su 23 top manager (da Pfizer ad AstraZeneca) indagati dalla procura di Milano per aver infilato in unabad company circa 1.200 venditori, gente finita presto per strada causa bancarotta: non servivano più, sono stati eliminati. “Ormai l’affare della sanità è roba per pesci enormi – spiega un informatore – Coi tagli ai finanziamenti pubblici e la fame della politica sempre più aggressiva, l’unica convenienza delle grandi case è fare lobby nelle alte sfere, spingere i prodotti nei protocolli di cura, avere l’ok degli organismi di controllo per i brevetti nuovi. Perder tempo col porta a porta non serve più, e quindi non serviamo più nemmeno noi”.
Chi resta s’adegua e fa salti mortali pur di portare a casa uno stipendio. Eppure il comparto non mostra sofferenze serie, considerato il contesto generale. “Il mercato farmaceutico chiuderà il 2013 con un trend positivo (+2,4% sul cumulato gennaio-settembre) trainato dall’andamento del comparto specialistico e ospedaliero, mentre il canale farmacia è stabile”, ha detto a Quotidianosanita.itSergio Liberatore, general manager di Ims Health Italia, società che organizza il marketing farmaceutico. E nel breve-medio termine? “Il mercato farmaceutico sarà rallentato dagli effetti della crisi economica e dal conseguente contenimento dei costi da parte delle pubbliche amministrazioni. Vanno considerati gli effetti dei possibili ripiani degli sforamenti dei budget per la spesa farmaceutica richiesti alle aziende”.
La piramide
La traduzione è semplice: il mercato, nonostante tutto, regge. E l’obiettivo primario resta la sanità pubblica, i 110 miliardi di euro che serviranno nel 2014 per tenere in piedi il sistema tra medici, farmaci e ospedali. Il problema è che il fondo non basta mai. Lo sforamento dei tetti per le varie voci di spesa è stata una costante negli ultimi decenni: sprechi gestionali e truffe maestose hanno sottratto forze cospicue, ma anche le politiche difensive della lobby farmaceutica hanno impedito di abbassare i costi.
Il monte totale dello stanziamento sanitario fissato dallo Stato viene suddiviso in una piramide di voci via via più dettagliate, dai grandi bacini nazionali (medicinali, ospedali, assistenza domiciliare), passando alle attribuzioni regionali per arrivare alle quote dei singoli prodotti di ciascuna casa autorizzata a vendere in Italia, a prezzo concordato. Cioè per la pillola X si stabilisce il prezzo di vendita e il rimborso che andrà a carico del servizio sanitario nazionale, ma anche il numero massimo di pezzi che ogni medico potrà prescrivere: quando la pillola X viene venduta oltre la quantità stabilita, il medico è sanzionato e il produttore va soggetto al payback, una sorta di mancato rimborso.
La tecnica serve a contenere la spinta commerciale, e nel 2012 ha ottenuto un buon risultato: come spiega l’Aifa (Agenzia italiana per il farmaco), sulla spesa farmaceutica complessiva – 25 miliardi e mezzo di euro – il tetto per le medicine ordinate in studio ha sostanzialmente retto, pur restando differenze territoriali importanti (i siciliani hanno assorbito 1.110 dosi giornaliere ogni 1000 abitanti, a Bolzano 743 su 1000). Sforata brutalmente invece la spesa farmaceutica ospedaliera (fuori del 101%): vale 5 miliardi di euro contro i 20 del territoriale, ma promette bene per il futuro.
Target ospedaliero
Spiega il direttore generale dell’Aifa, Luca Pani: “Finora la spesa farmaceutica territoriale ha compensato l’aumento di quella ospedaliera. Ma nel momento in cui si porta il tetto della territoriale al limite minimo di tenuta, non abbiamo più spazio per compensare quella ospedaliera. Visto che quest’ultima sale, perché i farmaci innovativi per fortuna stanno arrivando sul mercato, ma costano tanto e vanno somministrati in ospedale, questo richiederà presumibilmente che si modifichino i tetti di spesa. Basterà aumentare il tetto dell’ospedaliera e il sistema reggerà benissimo”.
Dunque, ricetta più che tradizionale: il mercato italiano, che vive da sempre in simbiosi con la politica, deve trovare un nuovo patto economico dentro il Parlamento. Soprattutto perché da qui al 2018 scadranno decine di brevetti fondamentali per la farmacologia moderna, e tutta la partita dei generici dovrà essere compensata da nuovi prodotti. Chi li produrrà? E chi li venderà in Italia, sesto mercato mondiale per il farmaco?
Usa superstar
Un’idea viene dalla classifica dei top seller nel nostro Paese. In testa c’è l’americana Pfizer, la più grande azienda farmaceutica del pianeta che in Italia fattura oltre un miliardo di euro. La squadra Usa (Pfizer e altri) totalizza 5 miliardi di fatturato, 13mila dipendenti ed esprime il presidente di Federfarma, Massimo Scaccabarozzi, amministratore delegato di Janssen Cilag (Johnson&Johnson). Una vera corazzata che difende il corpo produttivo nazionale, 26 miliardi di fatturato e 63 mila addetti, cifre che raddoppiano con l’indotto diventando il fiore tecnologico dell’industria italiana, un gioiello di qualità votato all’export (67%) e con la minaccia sempre in canna: se non si fa come conviene a noi, facciamo presto ad andarcene. Ministri, assessori, direttori sanitari e medici fin qui compiacenti hanno poco da ribattere se un mese fa è stato arrestato l’ennesimo consigliere regionale con l’accusa di aver favorito un clan camorristico per gli appalti all’Asl di Caserta; e se i titolari della più importante casa italiana, la Menarini, sono stati rinviati a giudizio lo scorso giugno per evasione fiscale, riciclaggio e corruzione. Una truffa al Servizio sanitario nazionale.