martedì 19 novembre 2013

Ravel, il bolero.

Candele Originali da Regalare a Natale.



Che Natale è senza candele? Inoltre se non sapete cosa regalare perché non provate a farle? Saranno degli regali graditissimi e spenderete davvero poco per farle!!!
Ricicliamo!!!! E coinvolgiamo anche i bambini, tanto basta un po’ di accortezza per la cera calda e poi tanta fantasia!
Per cominciare vi servono delle candele bianche… o della cera in panetti bianca, che non sia aromatizzata. Degli stoppini, li trovate nei negozi di bricolage o fai da te.
Un vasetto di vetro oppure delle formine in cartone, come per esempio i brick del succo di frutta o del latte opportunamente tagliati e puliti.
E poi via alla fantasia: chicchi di caffè, gusci di frutta secca, conchiglie, semi, fiori secchi, cereali, fette di agrumi secche, lavanda, trifogli, fiocchetto perline… insomma quello che avete in casa.
Allora per cominciare vi dico subito che ci sono due modalità per procedere, la prima è quella che vi darà delle candele di cera classiche senza il vasetto.
Per prima cosa dovrete creare due dime (forme quadrate o rotonde) una più grande e una più piccola, in modo che la piccola entri nella grande e lasci un centimetro di spazio da riempire con la cera fusa. Mentre versate la cera tra le due dime, inserite anche gli oggetti che andranno a creare il decoro, i semi, i chicchi di caffè, le conchiglie….
Lasciate indurire la cera e poi sfilate la dima centrale e riempite il foro con la cera restante… ma prima inserite lo stoppino e mantenetelo sopra la candela con uno stecchino.
Quando la cera sarà completamente solidificata potrete togliere anche il cartone esterno e ammirare il vostro lavoro, con del nastro potrete cingere la candela e adagiandola su un bel piattino ecco fatto il regalo perfetto!!!
Per il secondo metodo, vi basterà mettere la cera nel vasetto e mentre la inserite, inserite anche gli oggetti decorativi, tipo fiori secchi, lavanda, fettine di agrumi…. per questa soluzione occorrono oggetti un po’ più grandi, perché coi semi non viene benissimo… Non dimenticate lo stoppino!!
Una volta solidificata la cera potrete infiocchettarla e usarla per decorare la tavola o per fare un bel regalo!
Nota Bene: per sciogliere la cera usate la tecnica del bagnomaria e fate attenzione che non vada in ebollizione….

La ricetta per salvare il cuore è il sugo.




Il trucco per un cuore sano e forte è nel sugo di pomodoro classico, con olio extravergine d'oliva e aromatizzato da cipolla o aglio. Una volta di più la scienza conferma i benefici per la salute delle preparazioni della dieta mediterranea. Lo studio è stato condotto dall'Università di Barcellona e pubblicato su Food Chemistry.

Grazie ai polifenoli - La salsa di pomodoro contiene circa quaranta sostanze antiossidanti (meglio note come polifenoli) che proteggono il cuore dallo stress ossidativo e quindi dall'invecchiamento.

Gli studiosi sottolineano: "Perché l'effetto "salva cuore" sia efficace, gli ingredienti che compongono il sugo vanno consumati insieme". Assunti separatamente, infatti, olio extravergine d'oliva, aglio, cipolla e pomodoro non darebbero gli stessi benefici, secondo i ricercatori spagnoli, che utilizzando una tecnica chiamata spettrometria di massa ad alta risoluzione hanno scoperto anche che il soffritto utilizzato come base per il sugo contiene oltre ai polifenoli anche altre sostanze antiossidanti, come i carotenoidi.


http://www.tgcom24.mediaset.it/salute/2013/notizia/la-ricetta-per-salvare-il-cuore-e-il-sugo_2010473.shtml

Mosca, Christian D'Alessandro libero su cauzione: potrà tornare in Italia.



MOSCA - Sarà rilasciato su cauzione l'attivista italiano di Greenpeace Christian D'Alessandro. Lo ha deciso oggi un tribunale di San Pietroburgo. L'annuncio è stato dato via Twitter da Greenpeace Russia.

Anche per D'Alessandro le condizioni per la liberazione sono uguali a quelle degli altri attivisti: il pagamento di una cauzione di due milioni di rubli (45mila euro) da versare entro il 27 novembre. La somma, in caso di urgenza, da quanto si è appreso, potrebbe essere anticipata dalla rappresentanza diplomatica italiana. Anche se poi a «saldare il conto» sarà Greenpeace International.

Gli attivisti stranieri di Greenpeace che saranno rilasciati su cauzione potranno lasciare la Russia in attesa del processo, ma saranno obbligati dalla legge a ritornare se convocati dagli investigatori. Lo ha dichiarato alla Reuters Alexander Mukhortov, legale di diversi attivisti. Tra loro anche l'italiano Christian D'Alessandro.

Nove attivisti della Artic Sunrise hanno ottenuto la libertà su cauzione da diversi tribunali di San Pietroburgo nella giornata di oggi. Fra loro, anche l'italiano Cristian D'Alessandro. Dopo i provvedimenti adottati ieri nei confronti di tre russi, sono così 12, su 30, gli attivisti di Greenpeace che potranno lasciare il carcere solo nei prossimi giorni, dopo il versamento, da parte dei loro legali, della cauzione (fino a ora non sono ancora state comunicato all'organizzazione ambientalista le modalità di pagamento). Il marconista della rompighiaccio, l'australiano Colin Russell, rimarrà in carcere fino al 24 febbraio prossimo, è stato invece stabilito ieri.

I provvedimenti cautelari adottati oggi riguardano, oltre a D'Alessandro, la brasiliana Ana Paula Maciel, gli argentini Miguel Orsi e Camila Speziale, il canadese Paul Ruzicky, il neozelandese David Haussmann, il polacco Tomasz Dziemianczuk. il francese Francesco Pisanu, e la finlandese Sini Saarela. «Si rifiutano di prendere i soldi», ha denunciato l'avvocato di Grrenpeace, Alexander Changli. «Quando ho chiesto loro le modalità di pagamento, mi hanno detto che considereranno la questione nei prossimi tre giorni», ha aggiunto precisando che l'organizzazione «è pronta a pagare e l'unico problema è il numero di conto su cui versare le cauzioni».


http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/ESTERI/greenpeace_alessandro_libero_cauzione/notizie/364982.shtml

Ciclone Sardegna, “malagestione territorio e allerta in ritardo hanno distrutto l’Isola”. - Monica Melis


Il geologo Fausto Pani traccia il quadro del disastro causato da 'Cleopatra' ricordando i danni fatti dall'alluvione del 2008: "L’acqua riesce sempre a ritrovare il suo vecchio percorso. Anche se coperto dal cemento". Caso emblematico a Olbia dove il centro storico è rimasto intatto mentre le altre zone hanno subito danni terribili. "Conseguenze della speculazione edilizia".

“L’attenzione è sempre per i morti e non per i vivi che anche questa volta non saranno aiutati a gestire il territorio“. Per volontàdisattenzione o semplice speculazione. Così il geologo Fausto Pani traccia il quadro del disastro causato dal ciclone ‘Cleopatra’. Pani ha collaborato alla redazione del Pai, il Piano d’assetto idrogeologico, e studiato praticamente tutto il territorio isolano. Dove quasi la totalità dei paesi, l’81 per cento ( ben 306 Comuni) ha un territorio ad alto rischio idrogeologico, come ricordano ciclicamente sia l’Ordine dei geologi sardi, sia la Coldiretti.
“Passata l’emergenza – sostiene Pani – si continuerà a costruire dove non si dovrebbe. E soprattutto a dimenticare che l’acqua riesce sempre a ritrovare il suo vecchio percorso. Anche se coperto dal cemento, come è successo a Olbia. E come è già successo nel 2008 a Capoterra, nel Cagliaritano“.
“Ancora una volta – dice Pani – si ripetono gli stessi errori. A furia di espanderci e ridurre i corsi d’acqua ci si fa del male. E non tutto, purtroppo, è recuperabile. Bisognerebbe abbattere interi quartieri e lottizzazioni. Mentre in Olanda si allargano gli argini per dare respiro, qui si tappa tutto”. Si riferisce alle zone paludose dell’Oristanese, come a Terralba, dove gli abitanti fino a qualche mese fa addirittura protestavano in nome della “crisi dell’edilizia” contro il Piano stralcio delle acque che definiva ‘altamente pericolosa’ la zona di espansione. E i fatti lo dimostrano. In duecento ieri hanno dormito fuori casa. E l’alveo di un torrente si è improvvisamente allargato di due metri per parte, portando via tutto quello che ha trovato”.
Il caso da manuale resta comunque quello di Olbia, spiega il geologo: “Il vecchio nucleo, il centro storico, non ha subito i terribili danni delle periferie. Perché prima si costruiva con cognizione, rispettando anche i piccoli torrenti. Ora non più”. La parte nord, per esempio: “Le aree pianeggianti sono quelle di pregio, non si riflette più sul fatto che i sedimenti sono stati trasportati proprio da un corso d’acqua, ed ecco le conseguenze”. Le mappe geologiche e urbanistiche segnalano i punti a rischio e addirittura i livelli di esondazione. Ma poi, appunto, tutto resta nella carta. E forse nemmeno più sulla carta.
Perché, come segnala lo stesso Pani i tagli colpiscono anche gli studi e addirittura uno strumento ritenuto indispensabile come il Piano d’assetto idrogeologico. “La Regione ha di recente tagliato ben un milione e mezzo di euro tra il silenzio generale”.
L’Isola, da Nord a Sud , è devastata, non solo le città ma pure le campagne. La Gallura quella più colpita, ma ovunque ci sono frane, smottamenti e paesi isolati. E se per Olbia le ragioni si trovano nel disordine urbanistico e nell’espansione forzata, per il resto il discorso è diverso. “Il territorio è dimenticato – spiega Pani – dai privati e dall’amministrazione pubblica”. Manca la manutenzione ordinaria di contadini e pastori, anche per via del continuo spopolamento, e i piccoli comuni hanno difficoltà a gestire i piani di Protezione civile. “Alcuni non hanno nemmeno questo piano, non sanno dove le persone di devono riunire in caso di estrema emergenza, come questa. Da qui il panico”.
E poi, ancora una volta, i difetto di comunicazione secondo il geologo: “Dal 15 ottobre ho visto previsioni catastrofiche, da brivido. Ma l’allerta della Protezione è arrivata solo il 17. E perché non si inviano sms per celle? Chi si trova in zona a rischio sa quel che sta per succedere e cosa deve fare”. Tutto ciò sempre con il senno di poi, mentre si contano ancora i morti, gli sfollati e i danni. E in queste ore, a Olbia, l’esercito inizia a operare nelle strade diventate paludi di fango.

lunedì 18 novembre 2013

Uccello pesca con l'esca e ci riesce!



Da non crederci… avete mai visto andare a pesca qualcuno? Allora vi spiego due cosette riguardo alla tecnica della pasturazione.
Quando un pescatore va a pesca prima attira le sue prede “pasturando” cioè gettando nell’acqua della pastura, del cibo che possono essere pezzetti di pesce, mais, pane…. Quando i pesci si accorgono del cibo gratuito che viene loro elargito, iniziano ad arrivare a frotte e il pescatore può così sedersi in riva e attendere che qualcuno di loro abbocchi alla sua lenza….
Bene questo metodo non è proprio un bel metodo per pescare dal punto di vista etico, anzi sarebbe meglio non pescare affatto… ma quando a farlo è un uccello… bhè potreste anche non crederci fino a quando non lo avrete visto, ma questo uccello pastura!!!
E come lo fa bene!! Getta la sua esca… attende un attimo, arrivano i pesciolini, la riprende, la rigetta e… a voi scoprire come finisce!!!

Cosa sta succedendo davvero agli ulivi pugliesi. - Lisa Signorile

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Piante di ulivo vicino Monopoli. Fotografia di Paul Williams - Funkystock/imagebroker/Corbis

Nelle ultime settimane si è molto parlato della moria delle piante di ulivo in Puglia, ma la situazione sembra più complessa di come è stata descritta.

Si chiama "Complesso del disseccamento rapido dell'olivo" (CDRO) l’ultima minaccia ecologica che ha recentemente suscitato grandi preoccupazioni tra gli addetti ai lavori e i semplici ammiratori di queste piante secolari. Quanto c’è però di vero? 

Siamo davanti a una catastrofe ecologica o si tratta di una esagerazione mediatica?

La moria degli ulivi è cominciata in sordina nel Salento leccese, nell’area intorno a Gallipoli, un paio di anni fa. I primi  focolai, di modesta estensione, erano stati scambiati per attacchi di una malattia localmente endemica, nota come "lebbra delle olive", causata da un fungo. Il CDRO è invece esploso improvvisamente negli ultimi mesi, interessando, al momento, un’area di circa 80 km2. 

Ciononostante, il danno è circoscritto, così da rendere difficile trovare persone che ne possano parlare per conoscenza o competenza diretta.

La malattia incomincia con il disseccamento della chioma a zone, estendendosi via via a tutto l’albero e terminando con la morte della pianta. La coltivazione dell’ulivo in Salento, spiega Nicola Iacobellis, batteriologo vegetale dell’Università della Basilicata, è 

ancora praticata con metodi tradizionali e la poca attenzione rivolta agli ulivi, spesso secolari, è uno dei fattori che hanno portato a dare l’allarme in ritardo. “Nella zona d’interesse”, aggiunge Giovanni Martelli, fitopatologo dell’Università e del CNR di Bari, “sono proprio le piante secolari a soffrire e morire. Nella zona colpita non ho visto impianti recenti”.

Le cause della malattia

Le cause di questa moria improvvisa hanno dato un bel grattacapo ai ricercatori di Bari, in quanto non sembra esserci una causa unica. "Il CDRO”, spiega ancora Giovanni Martelli, a capo del laboratorio che si sta occupando delle indagini sulla causa della malattia, “è verosimilmente il risultato dell'azione di tre diversi attori: il lepidottero Zeuzera pyrina (rodilegno giallo), le cui larve scavano delle gallerie nel tronco e nei rami dell'olivo che facilitano l'ingresso del secondo attore, un complesso di funghi microscopici del generePhaeoacremonium. Il terzo attore è il batterio Xylella fastidiosa

La sintomatologia e la rapidità della diffusione della malattia mi avevano  fatto pensare al possibile coinvolgimento del batterio e le analisi  molecolari effettuate hanno  confermato che l'intuizione era  corretta. La presenza del batterio nei tessuti fogliari degli olivi  malati è stata poi confermata da osservazioni al microscopio elettronico che lo hanno identificato nei vasi legnosi”.

Per capire l’importanza del ruolo dei singoli patogeni saranno necessarie ulteriori analisi, già programmate. È quindi prematuro incolpare solo il batterio, come invece asseriscono invece alcuni media. I dati molecolari acquisiti dallo staff del CNR indicano che  il ceppo salentino di Xylella fastidiosa è diverso da quello della variante americana  che causa una malattia distruttiva della vite e il batterio non è stato ritrovato sulla vite neanche nel cuore della zona infetta salentina.

Le piante colpite sono poche

Per quanto la situazione descritta sia preoccupante, forse non è quindi drammatica come descritto. Occorre infatti fare una precisazione: le piante effettivamente uccise da questa misteriosa infezione sono poche. Leggendo I giornali ci si aspetterebbe una distesa di ceppaie morte che si estende a perdita d’occhio. Chiedendo però informazioni a una persona del posto mi è stato risposto “non saprei, l’oliveto di mio padre, a 4 km da Gallipoli (e quindi nell’area identificata come 'focolaio'), gode di ottima salute”. Questo ha fatto scattare la curiosità di informarsi presso chi sul territorio ci vive e ci lavora.

Secondo l’agronomo salentino Cristian Casili gli alberi morti per via di questa patologia sono una percentuale davvero minima dei 9 milioni di ulivi presenti in Salento, meno dell’1%, e l’infezione è comunque a macchia di leopardo, con poche piante gravemente colpite frammiste a piante sane o debolmente affette. “Bisogna tener presente”, ricorda Casili, “che l’ulivo è una pianta molto resistente e con una grande capacità di ripresa. Le piante colpite erano probabilmente indebolite da tecniche colturali errate o scarse, con potature estreme che favoriscono l’ingresso di patogeni e altri fattori antropici che avevano precedentemente colpito l’agroecosistema”.

Allo stato attuale delle conoscenze è dunque impossibile trarre conclusioni definitive sulla gravità dell’infezione. Siamo sicuramente agli albori e non c’è ancora nulla di paragonabile ad esempio ai danni del punteruolo rosso sulle palme del nostro paese. Questo però è il momento di cominciare a pensare a come limitare i danni. 

La raccolta delle olive è infatti già in corso e andrà avanti ancora per almeno un mese. Anche gli alberi colpiti infatti hanno comunque prodotto frutti che vanno raccolti, in quanto sono una delle principali fonti di reddito della regione. Le norme profilattiche già messe in atto dal Servizio Fitosanitario della Regione Puglia impediscono gli spostamenti di piante e attrezzi agricoli fuori dalla zona focolaio, e hanno istituito una zona tampone che circonda l’area colpita. Non è chiaro però come queste procedure verranno fatte rispettare, anche perché occorre sia un monitoraggio completo sugli ulivi che sulle altre piante. 

Una portaerei circondata da uliveti

Secondo quanto riporta Nicola Iacobellis, ad esempio, Xylella fastidiosa colpisce almeno 150 specie, sia arboree come ulivi, agrumi, querce e mandorli, sia erbacee. Non è chiaro però se questo particolare ceppo del batterio sia in grado di fare tutto ciò. Citando una metafora usata da Iacobellis, “l’Italia è una portaerei al centro del Mediterraneo, intorno a cui ci sono migliaia di ettari di uliveti”. 

Se l’infezione fosse dunque seria questa è una frase che dovrebbe far riflettere, soprattutto considerando lo stato di incuria, o di cattiva gestione, a cui sono normalmente sottoposte queste piante così belle paesaggisticamente e così redditizie. Secondo Cristian Casili, ad esempio, è particolarmente grave il mancato rispetto delle norme di tutela europee a cui gli ulivi salentini dovrebbero sottostare, e per cui i proprietari ricevono incentivi comunitari.

Ciononostante, e malgrado la pioggia di cattivi presagi piovuti in questi giorni, gli esperti sono ottimisti, il che fa sperare che possa trattarsi solo di una fitopatologia come tante altre e non dell’inizio di una catastrofe. “Non credo di peccare di ottimismo”, dice Giovanni Martelli, “se dichiaro che  il contenimento della malattia e della Xylella, il vero oggetto delle preoccupazioni, anche comunitarie, sia un obiettivo perseguibile”.