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venerdì 29 gennaio 2016

LA XYLELLA E GLI ULIVI PUGLIESI: COME NASCE UN DELIRIO COLLETTIVO. - Daniela Ovadia

ovadia Puglia sito

La vicenda della Xylella, degli ulivi pugliesi e della magistratura che sospende le eradicazioni è ormai di pubblico dominio, e ha fatto fare all’Italia l’ennesima pessima figura nel consesso scientifico internazionale. Tuttavia, all’estero è stata compresa solo parzialmente, perché non si è considerato nella sua importanza l’elemento narrativo e complottista di tutta la storia.


Chiunque abbia dimestichezza con i romanzi di Dan Brown non farà fatica ad ammettere che la ricostruzione offerta dalla Procura di Lecce di quanto sta accadendo agli ulivi pugliesi infettati dalla Xylella contiene tutti gli elementi di un bestseller di successo: ci sono i buoni e puri (i contadini pugliesi che difendono le loro piante dall’eradicazione e i giudici che cercano di proteggerli), i cattivi “di secondo livello” (un gruppo di scienziati locali corrotti che avrebbe inoculato volontariamente il batterio nelle piante) e i cattivi “di primo livello” che appartengono al Grande Potere Occulto (nelle vesti della multinazionale Monsanto che, in termini di immagine pubblica, ha poco da invidiare al Priorato di Sion di browniana memoria).
Non mancano altri strumenti adatti a un thriller pronto a finire sul grande schermo e a sbancare i botteghini: provette con agenti infettivi che viaggiano da un Paese all’altro nelle mani di scienziati senza scrupoli e squadre vestite con tute bianche protettive che svolgono manovre sospette in campi segnalati dall’inquietante scritta “sperimentale” (un episodio chiaramente ispirato ai copioni scientifici di Michael Crichton).
L’avessimo letta in un libro comprato all’Autogrill, sulla strada per il mare, avremmo trovato questa storia fin troppo banale: il prototipo di tutte le trame complottiste, senza nemmeno un guizzo di creatività. Fermo restando che è in corso un’indagine e che la magistratura ci sta lavorando, alla luce degli elementi disponibili, la storia suona scontata perché tutte le ricostruzioni complottistiche di eventi reali riconducibili a spiegazioni ben più semplici seguono schemi analoghi, non a caso ripresi dagli autori di fiction.
La Xylella è purtroppo una fitoinfezione ben nota, contro la quale, al momento, nessuno ha trovato un rimedio migliore dell’eliminazione fisica delle piante infette per limitare il contagio. Gli scienziati e le persone che conoscono il problema, in Italia e nel mondo, si stupiscono di fronte allo sviluppo di questa vicenda, di cui hanno cominciato a occuparsi anche i giornali stranieri, dal momento che il mancato rispetto dei protocolli di eradicazione dell’infezione mette a rischio l’intero continente: l’impressione, però, leggendo gli articoli usciti all’estero, è che sfugga la dimensione complottistica che permette di interpretare il tutto in una chiave diversa.
Lo studio scientifico delle teorie del complotto è relativamente recente e utilizza strumenti come la sociologia e la psicologia sociale. È nato negli anni ’70, negli Stati Uniti, a seguito del dilagare di curiose teorie sull’omicidio del presidente Kennedy e del tentativo di spiegare la persistenza nel tempo di alcune interpretazioni di eventi che, seppure fantasiose, possono avere una influenza nefasta sul decorso della storia. Basti pensare che una delle teorie del complotto più note, diffuse e perniciose - quella secondo la quale esisterebbe un potere occulto di matrice ebraico-massonica che governa il mondo e possiede il controllo dell’economia - è espressa già nel famigerato Protocollo dei Savi di Sion, un falso libello prodotto probabilmente dalla polizia segreta dello Zar in Russia, utilizzato poi dalla propaganda nazista e tutt’oggi tradotto e diffuso in tutti i Paesi del mondo.
Se questo viene considerato “il padre di tutti i complotti”, non è certamente il primo: secondo gli esperti del settore il complottismo è da far risalire alla fine del XVIII secolo, quando - come scrive Christopher Hodapp, giornalista esperto di massoneria e templari e autore di “Conspiracy theories and secret societies for dummies” (un libro della fortunata serie di manuali per “idioti”) - “dalla Rivoluzione Francese nasce il primo connubio tra la paranoia e la stampa”. I primi media diventano il megafono che amplifica e diffonde i deliri dei singoli, persino quando non sostengono affatto le tesi dei complottisti: come dire che basta parlarne per far danno.
Michael Barkun, professore di scienze politiche all’Università di Syracuse, negli Stati Uniti, e autore di “A culture of conspiracy”, uno dei saggi più completi sul fenomeno, identifica alcuni elementi tipici del complottismo che possono aiutare a capire anche come si costruiscono e consolidano casi come quello a cui assistiamo in questi giorni in Puglia: “Una delle caratteristiche delle teorie del complotto è che tendono a inglobare al loro interno le prove che potrebbero smentirle, interpretandole alla luce del complotto stesso e rendendo così difficilmente smentibile il quadro generale, a meno di uscire dall’universo cognitivo all’interno del quale il complottista si trova. Le teorie del complotto somigliano quindi più ad atti di fede che a interpretazioni fattuali del reale”.
Nel caso Xylella, per esempio, la presenza di un campione del batterio a Bari durante un congresso internazionale dedicato proprio a come eradicare l’infezione viene utilizzata come prova eziologica della diffusione del contagio in Puglia, anche se tra il luogo del congresso e la regione colpita vi sono 200 km di distanza. Quella che potrebbe essere una prova che smentisce il complotto stesso viene inglobata nella trama in modo da confondere ulteriormente le acque e confermare il frame cognitivo del complottista.
Nel caso Xylella si ravvede anche un altro aspetto comune a queste vicende, ovverola necessità di dare una spiegazione diversa dalla casualità a un evento percepito come devastante per l’individuo o per un certo gruppo sociale. “Sappiamo dagli studi di epidemiologia che il cancro può comparire per una serie di mutazioni casuali anche in individui dagli stili di vita inappuntabili” dice ancora Barkun. “Ma gli esseri umani sono restii ad attribuire al caso un evento negativo e tendono a identificare uno specifico agente causale su cui riversare la rabbia per quanto sta loro accadendo”. È così che la rete wi-fi della scuola o la presenza di un’industria nel vicinato possono essere identificate come colpevoli della malattia, e i tentativi di discolparle o di dimostrarne l’estraneità essere inseriti all’interno di una teoria del complotto. Il pregiudizio di conferma (la tendenza a interpretare un fatto alla luce del proprio pregiudizio) e l’esclusione dal quadro cognitivo di qualsiasi elemento dissonante intervengono a cristallizzare l’interpretazione dei fatti.
Sempre Barkun aggiunge altri due elementi chiave per la costruzione del complotto, a parte il più importante, ovvero che per un complottista nulla avviene per caso: nulla è come appare e tutto è collegato. Quindi, applicando la teoria al caso in specie, gli scienziati non sono ciò che sembrano – agronomi e biologi dedicati allo studio - e non è un caso che un congresso sulla Xylella venga seguito, seppure a distanza di tempo, dalla ricomparsa dell’infezione, persino se casi di tale infezione erano già stati segnalati sul territorio prima che il congresso avesse avuto luogo.
Ogni schema complottistico che si rispetti deve identificare un potere forte che governa gli accadimenti e li guida da dietro le quinte. La rivista Frontiers in Psychology ha pubblicato, nel 2013, un numero monografico dedicato alla psicologia delle teorie del complotto. In uno studio pilota su un campione di 300 soggetti, Adrian Furnham, psicologo dello University College di Londra, si è concentrato sui cosiddetti complotti commerciali, ovvero quelli che hanno come responsabili entità quali banche, compagnie del tabacco o case farmaceutiche, dimostrando che esiste nella popolazione una sorta di gradiente che va dalla diffidenza verso le pubblicità e le compagnie commerciali in generale fino alla tendenza a credere a cospirazioni a sfondo commerciale, la più nota delle quali dice che le case farmaceutiche hanno la cura per molte malattie che affliggono l’umanità ma non le rendono disponibili perché conviene loro fare soldi con i malati cronici. Anche nel caso Xylella, il ruolo di Monsanto e dei suoi fitofarmaci ricalca uno schema analogo.
Le compagnie farmaceutiche e le biotech sembrano essere particolarmente prese di mira dalle teorie del complotto, mentre altre imprese commerciali, come quelle del tabacco (che pure in passato hanno complottato davvero per tener nascosti i danni del fumo) sono percepite come “cattive ma trasparenti”. Le persone più di sinistra, meno religiose, più povere e più pessimiste sono anche più portate a credere ai complotti commerciali, almeno secondo l’analisi personologica condotta da Furnham sul suo campione utilizzando il modello personologico Big Five, uno dei più consolidati.
L’associazione con una certa area politica viene spiegata semplicemente con la naturale diffidenza della sinistra verso il profitto, mentre è noto che teorie del complotto che coinvolgono il controllo economico e sociale da parte di gruppi di interesse occulti sono più diffuse in ambienti di destra; le cospirazioni millenariste o che coinvolgono entità aliene o sovrannaturali, infine, sono più frequenti negli ambienti religiosi, in particolare nell’ambito del protestantesimo americano. Esistono anche interpretazioni sociologiche più complesse che considerano il complottismo una sorta di “effetto collaterale” della democrazia e della disponibilità di informazioni oppure, come il sociologo francese Bruno Latour, una punta estrema della tendenza a cercare la verità, una sorta di estremizzazione del diritto di critica.
Il ruolo dei media, e dei social media, nella diffusione di un complotto è messo in luce anche dallo studio di Marius H. Raab e colleghi dell’Università di Bamberg, in Germania, sullo stesso numero di Frontiers in Psychology. “La maggior parte degli studi sulle teorie complottistiche cadono nell’errore di ridurle ai loro elementi costitutivi e fattuali, tralasciando il piano della narrativa” spiega Raab. “I complotti non sono solo costituiti da eventi collegati tra loro in modo errato, ma sono sostenuti da un racconto, un linguaggio che trasmette anche elementi valoriali. Spesso sono i media i primi a creare il racconto, amplificando gli aspetti morali della vicenda”. La protezione dei cultivar pugliesi, nonché il mito di un’agricoltura pura e tradizionale che deve lottare contro le multinazionali e contro la globalizzazione, costituiscono i potenti elementi narrativi della storia della Xylella fastidiosa in Puglia.
E i magistrati pugliesi? La legge è spesso protagonista di disegni cospirativi, specie nella casistica statunitense, in quanto costituisce uno dei “poteri forti” e un elemento di controllo sociale. Meno frequente è vedere la legge dalla parte di chi è la presunta vittima del complotto o addirittura, come in questo caso, nel ruolo del “narratore”. Rimane il fatto che anche i giudici sono soggetti agli stessi meccanismi e bias cognitivi dei comuni mortali, a cui si aggiunge, in Italia, una storia pregressa ricca di cospirazioni ben reali, il che costituisce, secondo gli studi, un ulteriore fattore di rischio per la nascita di nuove teorie del complotto.
http://stradeonline.it/scienza-e-razionalita/1692-la-xylella-e-gli-ulivi-pugliesi-come-nasce-un-delirio-collettivo

Uno dei tanti aspetti di asservimento al potere con la smentita, senza prove, di fatti realmente accaduti. 
E per smentire i fatti ci si affida a frasi del tipo: - "Le persone più di sinistra, meno religiose, più povere e più pessimiste sono anche più portate a credere ai complotti commerciali," - perchè è bene che si sappia che le persone di sinistra, quelle che reggono le sorti del mondo, sono credulone, stupide e quando pensano complottano....anche se poi, alla fin dei conti, sono anche le più tartassate.

lunedì 16 marzo 2015

Strage ulivi in Puglia, aperta inchiesta. “Ma istituto indiziato gode di immunità”.

Strage ulivi in Puglia, aperta inchiesta. “Ma istituto indiziato gode di immunità”

La procura di Lecce indaga sull'origine del batterio Xylella fastidiosa che sta decimando gli alberi in Salento e su eventuali omissioni nell'arginarlo. Una pista porta all'Istituto agronomico mediterraneo di Valenzano. La pm Mignone a Famiglia cristiana: "Ma non è violabile dalla magistratura".

La strage degli ulivi in Salento diventa un caso giudiziario. Con una particolarità. Uno dei possibili indiziati, l’Istituto agronomico mediterraneo di Valenzano (Bari), “gode per legge di immunità assoluta”, spiega il pm di Lecce, titolare dell’inchiesta Elsa Valeria Mignone in un’intervista a Famiglia Cristiana. “L’autorità giudiziaria italiana non può violare il domicilio dell’istituto, non può effettuare sequestri, perquisizioni o confische”, spiega il magistrato.
La procura di Lecce indaga sull’origine del batterio Xylella fastidiosa che sta decimando gli alberi di ulivo salentini. L’inchiesta, secondo quanto riferiscono alcuni quotidiani, starebbe seguendo due possibili strade. La prima è che il batterio sia arrivato in Puglia in occasione di un convegno scientifico che fu organizzato nel settembre 2010 dall’Istituto agronomico mediterraneo. La seconda pista ipotizza che il batterio killer sia stato introdotto con le piante ornamentali importate dall’Olanda e provenienti dal Costa Rica. L’indagine sarebbe volta ad accertare anche se vi siano “omissionì negli interventi per frenare l’epidemia da quando l’allarme è diventato conclamato”.

lunedì 18 novembre 2013

Cosa sta succedendo davvero agli ulivi pugliesi. - Lisa Signorile

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Piante di ulivo vicino Monopoli. Fotografia di Paul Williams - Funkystock/imagebroker/Corbis

Nelle ultime settimane si è molto parlato della moria delle piante di ulivo in Puglia, ma la situazione sembra più complessa di come è stata descritta.

Si chiama "Complesso del disseccamento rapido dell'olivo" (CDRO) l’ultima minaccia ecologica che ha recentemente suscitato grandi preoccupazioni tra gli addetti ai lavori e i semplici ammiratori di queste piante secolari. Quanto c’è però di vero? 

Siamo davanti a una catastrofe ecologica o si tratta di una esagerazione mediatica?

La moria degli ulivi è cominciata in sordina nel Salento leccese, nell’area intorno a Gallipoli, un paio di anni fa. I primi  focolai, di modesta estensione, erano stati scambiati per attacchi di una malattia localmente endemica, nota come "lebbra delle olive", causata da un fungo. Il CDRO è invece esploso improvvisamente negli ultimi mesi, interessando, al momento, un’area di circa 80 km2. 

Ciononostante, il danno è circoscritto, così da rendere difficile trovare persone che ne possano parlare per conoscenza o competenza diretta.

La malattia incomincia con il disseccamento della chioma a zone, estendendosi via via a tutto l’albero e terminando con la morte della pianta. La coltivazione dell’ulivo in Salento, spiega Nicola Iacobellis, batteriologo vegetale dell’Università della Basilicata, è 

ancora praticata con metodi tradizionali e la poca attenzione rivolta agli ulivi, spesso secolari, è uno dei fattori che hanno portato a dare l’allarme in ritardo. “Nella zona d’interesse”, aggiunge Giovanni Martelli, fitopatologo dell’Università e del CNR di Bari, “sono proprio le piante secolari a soffrire e morire. Nella zona colpita non ho visto impianti recenti”.

Le cause della malattia

Le cause di questa moria improvvisa hanno dato un bel grattacapo ai ricercatori di Bari, in quanto non sembra esserci una causa unica. "Il CDRO”, spiega ancora Giovanni Martelli, a capo del laboratorio che si sta occupando delle indagini sulla causa della malattia, “è verosimilmente il risultato dell'azione di tre diversi attori: il lepidottero Zeuzera pyrina (rodilegno giallo), le cui larve scavano delle gallerie nel tronco e nei rami dell'olivo che facilitano l'ingresso del secondo attore, un complesso di funghi microscopici del generePhaeoacremonium. Il terzo attore è il batterio Xylella fastidiosa

La sintomatologia e la rapidità della diffusione della malattia mi avevano  fatto pensare al possibile coinvolgimento del batterio e le analisi  molecolari effettuate hanno  confermato che l'intuizione era  corretta. La presenza del batterio nei tessuti fogliari degli olivi  malati è stata poi confermata da osservazioni al microscopio elettronico che lo hanno identificato nei vasi legnosi”.

Per capire l’importanza del ruolo dei singoli patogeni saranno necessarie ulteriori analisi, già programmate. È quindi prematuro incolpare solo il batterio, come invece asseriscono invece alcuni media. I dati molecolari acquisiti dallo staff del CNR indicano che  il ceppo salentino di Xylella fastidiosa è diverso da quello della variante americana  che causa una malattia distruttiva della vite e il batterio non è stato ritrovato sulla vite neanche nel cuore della zona infetta salentina.

Le piante colpite sono poche

Per quanto la situazione descritta sia preoccupante, forse non è quindi drammatica come descritto. Occorre infatti fare una precisazione: le piante effettivamente uccise da questa misteriosa infezione sono poche. Leggendo I giornali ci si aspetterebbe una distesa di ceppaie morte che si estende a perdita d’occhio. Chiedendo però informazioni a una persona del posto mi è stato risposto “non saprei, l’oliveto di mio padre, a 4 km da Gallipoli (e quindi nell’area identificata come 'focolaio'), gode di ottima salute”. Questo ha fatto scattare la curiosità di informarsi presso chi sul territorio ci vive e ci lavora.

Secondo l’agronomo salentino Cristian Casili gli alberi morti per via di questa patologia sono una percentuale davvero minima dei 9 milioni di ulivi presenti in Salento, meno dell’1%, e l’infezione è comunque a macchia di leopardo, con poche piante gravemente colpite frammiste a piante sane o debolmente affette. “Bisogna tener presente”, ricorda Casili, “che l’ulivo è una pianta molto resistente e con una grande capacità di ripresa. Le piante colpite erano probabilmente indebolite da tecniche colturali errate o scarse, con potature estreme che favoriscono l’ingresso di patogeni e altri fattori antropici che avevano precedentemente colpito l’agroecosistema”.

Allo stato attuale delle conoscenze è dunque impossibile trarre conclusioni definitive sulla gravità dell’infezione. Siamo sicuramente agli albori e non c’è ancora nulla di paragonabile ad esempio ai danni del punteruolo rosso sulle palme del nostro paese. Questo però è il momento di cominciare a pensare a come limitare i danni. 

La raccolta delle olive è infatti già in corso e andrà avanti ancora per almeno un mese. Anche gli alberi colpiti infatti hanno comunque prodotto frutti che vanno raccolti, in quanto sono una delle principali fonti di reddito della regione. Le norme profilattiche già messe in atto dal Servizio Fitosanitario della Regione Puglia impediscono gli spostamenti di piante e attrezzi agricoli fuori dalla zona focolaio, e hanno istituito una zona tampone che circonda l’area colpita. Non è chiaro però come queste procedure verranno fatte rispettare, anche perché occorre sia un monitoraggio completo sugli ulivi che sulle altre piante. 

Una portaerei circondata da uliveti

Secondo quanto riporta Nicola Iacobellis, ad esempio, Xylella fastidiosa colpisce almeno 150 specie, sia arboree come ulivi, agrumi, querce e mandorli, sia erbacee. Non è chiaro però se questo particolare ceppo del batterio sia in grado di fare tutto ciò. Citando una metafora usata da Iacobellis, “l’Italia è una portaerei al centro del Mediterraneo, intorno a cui ci sono migliaia di ettari di uliveti”. 

Se l’infezione fosse dunque seria questa è una frase che dovrebbe far riflettere, soprattutto considerando lo stato di incuria, o di cattiva gestione, a cui sono normalmente sottoposte queste piante così belle paesaggisticamente e così redditizie. Secondo Cristian Casili, ad esempio, è particolarmente grave il mancato rispetto delle norme di tutela europee a cui gli ulivi salentini dovrebbero sottostare, e per cui i proprietari ricevono incentivi comunitari.

Ciononostante, e malgrado la pioggia di cattivi presagi piovuti in questi giorni, gli esperti sono ottimisti, il che fa sperare che possa trattarsi solo di una fitopatologia come tante altre e non dell’inizio di una catastrofe. “Non credo di peccare di ottimismo”, dice Giovanni Martelli, “se dichiaro che  il contenimento della malattia e della Xylella, il vero oggetto delle preoccupazioni, anche comunitarie, sia un obiettivo perseguibile”. 

Strage di ulivi in Puglia, l’Ue: “Sradicare le piante malate per evitare contagio”. - Tiziana Colluto

Strage di ulivi in Puglia, l’Ue: “Sradicare le piante malate per evitare contagio”

Per i ricercatori la moria rischia di propagarsi nel continente. L'Ue vuole risposte entro martedì ed è pronta ad imporre misure drastiche, ma servono soldi che nessuno vuole mettere.

Se finora l’Europa è stata risparmiata dal flagello è stata solo fortuna. E adesso rischia grosso. Il batterio infettivo che, assieme ad altre concause, sta annientando migliaia di ulivi nel Salento può fare strage di piante anche altrove. Bruxelles inizia a tremare. Chiede risposte, le pretende a stretto giro: già martedì, nella videoconferenza che il dirigente dell’Osservatorio fitosanitario della Regione Puglia, Antonio Guario, dovrà tenere con membri della Commissione Europea. Le certezze sul campo, però, sono ancora troppo poche. Di sicuro c’è che, negli anni, segnalazioni sono arrivate dal Kosovo e dalla Turchia, ma la malattia non si era mai radicata e diffusa come sta accadendo ora: nel Leccese ha già infestato, in poco tempo, 8mila ettari, un’area che nel complesso conta circa 600mila ulivi.
La situazione è “incredibilmente seria” e non c’è cura, né qui né altrove, di fronte agli attacchi del patogeno Xylella fastidiosa. Lo hanno ribadito ieri i ricercatori delle strutture regionali, del Dipartimento di Scienze del suolo dell’Università di Bari e dell’Istituto di Virologia del Cnr, dopo la lezione a tema tenuta presso la facoltà di Agraria. Con loro c’era anche Rodrigo Almeida, docente dell’Università di Berkeley, uno dei massimi esperti in materia. E’ rimasto di pietra anche lui di fronte allo scenario dei filari di piante ormai grigie, senza speranza, intorno a Gallipoli. Il suo occhio allenato in California, dove il batterio è stato riscontrato per la prima volta e impedisce la coltivazione delle viti, ha dettato la diagnosi più dura: “Abbiamo a che fare con una malattia molto grave. Alcuni aspetti sono compatibili ed altri no con Xylella fastidiosa. Parte di questa discrepanza è dovuta alla compartecipazione di altri patogeni come funghi (di specie Phaeoacremonium) ed insetti (rodilegno). La prima cosa da fare è cercare i vettori. La seconda è capire quali piante siano le sorgenti di inoculo”.
L’unico sospiro di sollievo è che il genotipo presente in Italia non colpisce la vite e gli agrumi. Per sciogliere il resto del rebus, bisogna aspettare. E il tempo non c’è. E’ a causa di questo scenario sfocato che la Puglia rischia realmente di schiantarsi contro il muro più imponente e di essere sacrificata sull’altare della patria. Entro fine novembre, la Commissione europea disporrà le misure da adottare obbligatoriamente. Non si andrà per il sottile: secondo la normativa comunitaria, la sola presenza di un batterio da quarantena impone già la distruzione delle piante. L’amarissimo calice da bere, per evitare il contagio. Per il Salento, in cui impera da secoli la monocoltura dell’olivo, sarebbe un disastro annunciato, sotto diversi punti di vista: produttivo, ambientale, paesaggistico, storico.
Le piante ormai completamente morte “devono essere estirpate perché non c’è più alcuna possibilità di recupero. Sulle altre con parziale disseccamento, stiamo aspettando i risultati della ricerca, ma sembra che anche quelle non potranno essere recuperate e quindi saranno eradicate”, spiega Anna Percoco, ricercatrice del Servizio fitosanitario regionale. “Noi vogliamo resistere a questa ipotesi, per questo stiamo acquisendo dati. Se dimostreremo che l’olivo è solo l’ospite terminale del patogeno, potremmo salvare gli alberi. Se, invece, appureremo che è a sua volta fonte di contagio, sarà difficile opporsi a quanto l’Europa chiede”. Giovanni Martelli, fitopatologo e professore emerito dell’Università di Bari, non nasconde i timori. E’ lui a tracciare la prospettiva, che, anche a voler essere ottimisti, è nera: “Le piante colpite sono condannate. Anche se alcune hanno ancora prodotto quest’anno, nella prossima stagione non lo faranno. E se l’epidemia si diffonde, altre si ammaleranno e quindi la produzione dell’olio calerà”.
Si serrano i ranghi. Nel primo trimestre del prossimo anno, è preannunciata la visita degli ispettori comunitari. Sul fronte interno, entro fine dicembre verrà conclusa la ricognizione di tutti i terreni pugliesi. Nel frattempo, si setacciano i registri dei vivai per analizzare importazioni ed esportazioni effettuate negli ultimi sei mesi, per capire se eventuale materiale infetto abbia varcato i confini regionali. Anche per evitare che possa accadere in futuro, è stato disposto formalmente da ieri il blocco della movimentazione delle piante a rischio nelle serre della provincia di Lecce. Si fa quel che si può. Ma in guerra contro il “complesso del disseccamento dell’olivo” si sta andando con le scarpe di cartone: ad oggi, per la ricerca ci sono poco più di 300mila euro di fondi regionali, cui sono stati aggiunti, in questi giorni, 2 milioni di euro per la pulizia dei canali di bonifica. La promessa di un contributo pari al 50% delle spese rimborsabili da parte della Commissione europea non è neppure nero su bianco. Da Roma, inoltre, è silenzio assordante. Tutte le spese di manutenzione degli oliveti, dalle drastiche potature agli abbattimenti e alla disinfestazione, sono a carico degli agricoltori. Di coloro che se lo possono permettere, almeno.