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sabato 27 ottobre 2018

Tap, il governo ha deciso: “Il gasdotto si deve fare”. Conte: “Con stop costi insostenibili”. I comitati per il No: ‘Dimissioni’.

Tap, il governo ha deciso: “Il gasdotto si deve fare”. Conte: “Con stop costi insostenibili”. I comitati per il No: ‘Dimissioni’

Il governo getta la spugna: il gasdotto verrà completato e arriverà a San Foca, in provincia di Lecce. Il premier prova a rassicurare le comunità locali, che da anni avversano l'infrastruttura: "Strada senza via d'uscita: ci sono numeri che si avvicinano a quelli di una manovra economica. Prometto un'attenzione speciale per le comunità locali, la meritano". Di Maio: "Penali insostenibili". Salvini: "Avanti con i lavori". Opposizioni contro il M5s: "Ha preso in giro gli elettori". Malumori tra gli eletti nel Movimento, non solo pugliesi. Il sindaco di Melendugno: "Ce ne ricorderemo".

Il Tap non verrà fermato dal governo. La costruzione del gasdotto proseguirà e l’opera verrà completata con approdo a Melendugno, in provincia di Lecce. A gettare la spugna in una lettera indirizzata ai sindaci pugliesi interessati dal passaggio dell’infrastruttura che collegherà Azerbaijan e Italia è il premier Giuseppe Conte: “Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, ma fermare l’opera comporterebbe costi insostenibili“. “Abbiamo fatto un’istruttoria per due mesi, abbiamo verificato tutti gli aspetti di quell’opera e ci sono fino a venti miliardi di euro di penali da pagare, cioè più del reddito di cittadinanza e di quota cento insieme. È questo il problema”, ha spiegato poi il ministro del Lavoro e vicepremier Luigi Di Maio.
Finisce così una delle battaglie storiche del Movimento Cinque Stelle, che si è sempre battuto per contrastare l’opera e nella primavera dello scorso anno aveva assicurato di poterla “fermare in due settimane”. E ancora a settembre con il vicepremier Luigi Di Maio ribadiva: “Eravamo e restiamo NoTap”. Ma la sensazione che il via libera fosse solo una questione di tempo era forte da luglio, quando rassicurazioni erano state fornite proprio dal presidente del Consiglio a Donald Trump durante un bilaterale alla Casa Bianca. Dopo l’ultima verifica sulla documentazione da parte del ministero dell’Ambiente, è arrivata la decisione definitiva.
“Abbiamo fatto di tutto” – “Gli atti sono legittimi”, ha scritto Sergio Costa a Conte ricordando come solo su quello bisogna basare le decisioni. E dopo aver letto la relazione del ministro, il premier ha ufficializzato la decisione: “Mi ero impegnato con le autorità locali e con i rappresentanti delle comunità territoriali, ivi compresi i parlamentari eletti in Puglia, ad effettuare un rigoroso controllo delle procedure di realizzazione dell’opera al fine di verificare tutti i profili di eventuale illegittimità che erano stati segnalati”, ricorda il premier. “Avevo altresì preannunciato che se avessimo riscontrato tali profili di illegittimità non avremmo esitato ad assumere tutti i conseguenti provvedimenti, compresa la decisione di interrompere i lavori – spiega – Da quando ci siamo insediati abbiamo fatto quello che non è mai stato fatto in precedenza. Abbiamo effettuato un’analisi costi-benefici, abbiamo dialogato con il territorio, abbiamo ascoltato le istanze e studiato i documenti presentati dalle autorità locali”.
I malumori nel Movimento – “Vendiamo l’anima alla Lega”, è uno degli sms che rimbalza su alcuni cellulari dei parlamentari M5S più imbestialiti per il via libera, secondo quanto riporta l’Adnkronos. A fremere non sono solo gli eletti salentini ma da tutto il Paese, “perché il ‘vaffa’ alla Tap era una nostra bandiera, ma la sacrifichiamo all’altare di un governo che ci sta cannibalizzando…”, lamenta un deputato campano. Sempre secondo quanto riporta l’agenzia di stampa, alcuni parlamentari, in queste ore, valutano di tirarlo in ballo Beppe Grillo, chiedendogli un intervento diretto “per salvaguardare il Movimento”. “Dopotutto – ragiona una deputata pugliese – Grillo è il nostro garante. E se è pur vero che ora siamo al governo, è altrettanto vero che questa è una battaglia del M5S”. Lo scorso week end, proprio il fondatore dal palco della festa al Circo Massimo aveva detto: “Vogliamo il gas che passa sotto quei cazzo di ulivi della Puglia o non lo vogliamo?”.
Conte: “Fermarla costa decine di miliardi” – Non ci sono spazi di manovra, assicura il presidente del Consiglio: “Ad oggi non è più possibile intervenire sulla realizzazione di questo progetto che è stato pianificato dai governi precedenti con vincoli contrattuali già in essere. Gli accordi chiusi in passato ci conducono a una strada senza via di uscita“. Perché “non abbiamo riscontrato elementi di illegittimità” e “interrompere la realizzazione dell’opera comporterebbe costi insostenibili, pari a decine di miliardi di euro“. In ballo, sottolinea il premier, “ci sono numeri che si avvicinano a quelli di una manovra economica“. Ora però, conclude, “è arrivato il momento di operare le scelte necessarie e di metterci la faccia. Prometto un’attenzione speciale alle comunità locali perché meritano tutto il sostegno da parte del Governo”.
Di Maio: “Quelli di prima l’hanno blindato bene con le penali” – “Questo non vuol dire che abbasseremo la guardia, noi staremo attentissimi a quello che succederà con quest’opera”, ha aggiunto. “C’è addirittura una parte del cantiere sequestrato dalla Procura e non si faranno sconti a nessuno. Il tema vero è che dalle analisi che abbiamo fatto nell’istruttoria ci sono almeno venti miliardi di penale da pagare cioè che quelli di prima l’avevano blindata bene per fare in modo che, nonostante la sconfitta alle elezioni, potesse andare avanti”.
I capigruppo M5S: “Stop sarebbe danno economico per il Paese” – “Stoppare la Tap ci costerebbe miliardi di euro. Inoltre tutte le verifiche disposte dal governo non hanno fatto emergere alcuna irregolarità nelle procedure di autorizzazione dei lavori, il cui via libera alla realizzazione dell’opera, ricordiamo, è stato dato dai precedenti governi. Noi oggi ci ritroviamo davanti a contratti che se non venissero rispettati ci porterebbero a pagare cifre esorbitanti. Di sicuro vigileremo affinché l’iter dei lavori non arrechi danni alla comunità locale”, hanno detto Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, capigruppo M5S alla Camera e al Senato.
I comitati: “Andate a casa” – Dunque il gasdotto si farà, con buona pace del Movimento No Tap che nelle ultime settimane aveva pesantemente attaccato il governo ricordando le rassicurazioni delle scorse settimane e parlando di “tradimento” da parte degli esponenti pentastellati. Alle penali e ai risarcimenti danni evocati da Conte non crede la comunità salentina, anche perché – dicono da più parti – non sono mai state né quantificate né documentate. E quindi chiedono le dimissioni, perché la giravolta dei pentastellati rispetto alle promesse elettorali è ritenuta insostenibile. “Una perdita di tempo, una presa in giro per calmare gli animi”, dice Gianluca Maggiore, leader del movimento No Tap. “È chiaro – dice – che la nostra battaglia continuerà, come è chiaro che tutti i portavoce locali del M5S che hanno fatto campagna elettorale qui e che sono diventati addirittura ministri grazie ai voti del popolo del movimento No Tap, si devono dimettere adesso“. Il leader NoTap conclude: “Noi siamo qui, sui luoghi della Tap ad aspettare. Vogliamo vedere se gli eletti pentastellati saranno dalla parte della popolazione dimettendosi, o dalla parte di chi vuole imporre l’opera con la forza“.
Il sindaco di Melendugno: “Ce ne ricorderemo” – “Non abbiano chiesto a Conte o alla ministra Lezzi di essere i dottori dei nostri dolori. Ci cureremo da soli le nostre ferite, sapremo rialzarci e continuare a combattere. Conte con questo atteggiamento avalla quella che sarà una follia ingegneristica e la distruzione di un intero territorio. Nel Salento se lo ricorderanno bene“, attacca il sindaco di Melendugno, Marco Potì. Dicendosi “deluso e amareggiato”, l’amministratore locale più coinvolto dalla costruzione del gasdotto se la prende con il premier: “Sono ancora più deluso dalle dichiarazioni di Conte, che parla di ristori per le comunità e di vicinanza ai territori. Il primo ministro può starsene a Roma. Le comunità di questi territori – conclude – non vogliono essere ristorate, né vogliono vicinanza, perché non hanno trovato in questo Governo e nelle forze politiche che lo sostengono il coraggio e la volontà politica di cambiare rispetto a quest’opera verso cui si è dichiarato sempre e totalmente la contrarietà. Sono deluso da questa fretta e superficialità nel voler liquidare queste criticità che conoscevano bene tutti, specie i ministri e i deputati salentini del M5S”.
Salvini: “Avanti”. Pd: “È Ilva 2 la vendetta” – Già sabato, nel punto dove dovrebbero riprendere i lavori per la costruzione del micro-tunnel, è prevista una manifestazione del Comitato No Tap. E che la multinazionale possa aprire il cantiere nel mar Adriatico in tempi brevissimi è l’auspicio di Matteo Salviniche negli scorsi mesi aveva incontrato l’ambasciatore di Tap, Tony Blair, e ripetuto più volte la necessità di andare avanti: “Avere l’energia che costerà meno a famiglie e imprese è fondamentale, quindi avanti coi lavori“, ha detto subito dopo l’annuncio di Conte. La svolta decisa dal governo porta le opposizioni a criticare il M5s, che ha sempre contrastato la realizzazione del gasdotto. La capogruppo di Forza Italia, Maria Stella Gelmini, parlando di “un’ottima notizia” attacca: “Il M5s sapeva di non poter bloccare il gasdotto, ma in Puglia ha fatto la campagna elettorale gridando NoTap, prendendo in giro i cittadini. Che dice Alessandro Di Battista?”. Mentre il coordinatore regionale della Puglia e deputato Mauro D’Attis ironizza: “Frode ai danni degli elettori. Una fattispecie di reato che se esistesse porterebbe alla denuncia da parte di centinaia di migliaia di elettori che hanno votato il M5S”. Per il capogruppo Pd nella commissione Ambiente, Andrea Ferrazzi, “si ripete per Tap il film visto con l’Ilva. I 5Stelle dovranno rispondere ai loro elettori delle bufale raccontate in campagna elettorale. Prossima puntata la Tav, poi il Brennero”. Per l’ex ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, “Tap è Ilva 2 la vendetta – scrive su Twitter – E adesso Luigi Di Maio piantiamola con le perdite di tempo e le sceneggiate e andiamo avanti. Grazie”.
Fonte: ilfattoquotidiano del 26/10/2018

Non riesco a comprendere per quale motivo i governi recedenti hanno stipulato contratti capestro con penali miliardarie da pagare in caso di recessione.
Sapevano che avrebbero perso le elezioni e "dovevano" mantenere saldi gli accordi presi con vincoli contrattuali da capestro?
E se è questo il motivo, perché "dovevano" mantenere saldi gli accordi presi??
E i rappresentanti del Pd e di Fi, colpevoli del misfatto, con quale coraggio inneggiano alla vittoria e ironizzano sulla impossibilità del governo di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale?
Cetta.

sabato 13 ottobre 2018

Vitalizi d’oro, la Puglia spende 15 milioni di euro per l’esercito dei 212. In 16 raddoppiano.



BARI – “Deve essere molto chiaro il meccanismo: o le Regioni aboliscono i vitalizi o noi non gli trasferiamo più la quota parte dei soldi pubblici con cui pagano i vitalizi”. L’annuncio  è del vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio. Per la Puglia potrebbe significare avere dallo Stato, 15 milioni e 400mila euro in meno all’anno.
Perché tanto costano i vitalizi dei consiglieri regionali, comprensivi degli assegni di reversibilità alle vedove e i figli non lavoratori che non hanno superato il ventiseiesimo anno di età.
Un esercito di 212 beneficiari che è destinato a crescere visto che una ventina di ex consiglieri o di consiglieri in carica attendono fuori la porta il momento in cui, maturato il diritto, possono battere cassa. Ma c’è chi il vitalizio lo percepisce da una vita. Se consideriamo che la prima legislatura della Regione Puglia è terminata nel 1975, si potrà comprendere quanto sia datato il vitalizio di chi lo percepisce dal 1980. E ne sono diversi, tra gli ex eletti e le vedove che, per una legislatura fatta dal proprio consorte, beneficiano del 65% del vitalizio, da 35 anni. Ne è l’esempio – perché il più datato – la moglie del più volte ministro e primo vicepresidente della giunta regionale pugliese, Michele di Giesi: le spettano 2900 euro dal 1983.
Ma l’elenco è lungo: vedove e figli sono 55, poi ci sono i 157 eletti con vitalizi che vanno da un minimo di 2200 euro – per meno di 5 anni di lavoro effettivo – ad un massimo di 10mila per chi ha superato le 3 legislature.
Ma naturalmente nel mare magnum degli ex ci sono casi particolari: come Patrizio Mazza, eletto per 3 anni, ha versato 66mila euro di tasca propria per agganciare i cinque anni minimi di contributi e assicurarsi un vitalizio da 4mila euro. Stesso ragionamento per Maria Campese assessore della giunta Vendola che però non fu eletta dal popolo ma chiamata in qualità di esterna. Tanto è bastato per aggiudicarsi un bel vitalizio. La ex sindaca di Taranto, Rosanna di Bello incassa mensilmente 3862 euro. Così anche Enrico Balducci che dovrà sostenere il suo stesso partito, la Lega di cui è coordinatore provinciale, quando dovrà sforbiciarsi la pensione d’oro da 8mila euro mensili.
E se loro vi sembrano privilegiati, cosa saranno allora i fortunati che, avendo ricoperto la carica di consigliere regionale e di parlamentare, cumulano il doppio vitalizio? E’ il caso di 16 ex di via Capruzzi: Ida Dentamaro, Salvatore Mazzaracchio, Pietro Mita, il presidente di Regione di Campi Nicola Quarta, il vicepresidente Domenico Romano, Nicola Fusillo, Cosimo Damiano Di Giuseppe, Graziano Ciocia, Franco Borgia, Giuseppe Semeraro, Angelo Antonio Rossi, Francesco Piccolo, Pino Sgobio, Vincenzo Sorice e i più recenti Alba Sasso e Nichi Vendola. Arrivano a superare i 10mila euro al mese.
Senza contare, naturalmente, chi ha nella vita una professione che prevede una pensione tradizionale. Beh, anche quella entrerà nel cumulo totale. E chi è stato europarlamentare? Con un anno di mandato, 63 di età e senza versare contributi, portano a casa il vitalizio e un’indennità transitoria.
Fonte: TeleramaNews  del 12/10/2018

giovedì 5 novembre 2015

Xylella, Regione Puglia: “Terreni colpiti non edificabili. Misura contro speculazione edilizia”. - Luisiana Gaita

Xylella, Regione Puglia: “Terreni colpiti non edificabili. Misura contro speculazione edilizia”

La commissione Agricoltura ha approvato l’emendamento presentato dal consigliere Pd Sergio Blasi che per 15 anni vieta il cambio di destinazione d'uso delle zone infettate dal batterio. "E ora una legge contro il divieto di reimpianto degli ulivi imposto dalla Ue”.

Lì dove c’erano gli ulivi non ci saranno villaggi turistici né resort: è guerra alle speculazioni edilizie sui terreni colpiti dalla Xylella fastidiosa. La commissione Agricoltura dell’assemblea regionale della Puglia ha approvato l’emendamento presentato dal consigliere del Partito democratico Sergio Blasi che riscrive la legge 41/2014: per quindici anni i terreni coltivati a uliveti e colpiti dal batterio non potranno cambiare destinazione d’uso. Il testo dovrà passare in Aula, ma i numeri ci sono: a dare il via libera sia la maggioranza che il Movimento 5 Stelle. “Si tratta di una modifica che era necessaria per garantire la continuità dell’uso agricolo dei terreni soggetti a espianto”, ha detto Blasi. Che ha annunciato la prossima battaglia: “Una legge contro il divieto di reimpianto degli ulivi imposto dall’Unione europea”.

Il via libera per il ddl -  La IV Commissione presieduta da Donato Pentassuglia ha quindi approvato a maggioranza l’emendamento che riscrive il primo articolo della legge regionale. “Al fine di garantire la continuità dell’uso agricolo e della destinazione rurale – si legge nel testo – i terreni soggetti a espianto a causa della Xylella fastidiosa, per effetto della decisione di esecuzione 2014/87/EU della Commissione europea, non possono cambiare per 15 anni la tipizzazione urbanistica vigente al momento dell’espianto”. Una sola – e tassativa – eccezione: “Salvo che per la realizzazione di opere pubbliche prive di alternativa localizzativa – recita il primo articolo così modificato – e necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente”. In soldoni: opere fondamentali alle quali non ci siano alternative.

La tutela della tradizione - “Dopo il passaggio in Consiglio regionale di questo emendamento, non sarà consentito a nessuno di speculare sulla tragedia della Xylella”, ha dichiarato Blasi. Il consigliere del Pd ha posto l’accento sul ruolo di tutte le istituzioni, dalla Regione al governo. “Bisogna pensare alle risorse economiche – ha spiegato a ilfattoquotidiano.it – eppure nel Piano di Sviluppo Rurale non si fa cenno a questa emergenza. Allo stesso modo il governo deve investire nella ricerca, anche perché ogni giorno si scoprono nuovi focolai sempre più a Nord. Per fermare il Co.di.r.o (Complesso Disseccamento Rapido dell’Olivo) non abbiamo altra arma che il sapere scientifico. Tutto il resto, comprese le eradicazioni, sono misure tese a contenere – con scarsi risultati – il propagarsi della malattia, ma non a fermarla”. La nuova legge “mette nero su bianco il divieto di cambiare la destinazione d’uso di quei suoli” ha dichiarato il consigliere. E questo significa “affrontare la gravità della situazione con il fermo obiettivo di continuare a puntare sullo sviluppo agricolo e paesaggistico del Salento e della Puglia”.

La nuova battaglia - Ma Blasi ha lanciato anche un’altra sfida: “La prossima battaglia da vincere è quella sulla rimozione del divieto di reimpianto degli ulivi, imposto dall’Unione europea e giustamente contestato dagli olivicoltori salentini”. Il consigliere regionale promotore dell’emendamento si è già schierato con i produttori che contestano al ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina di non essersi imposto di fronte ai diktat di Bruxelles. E il piano Silletti? “Trovo francamente incomprensibile – è la posizione di Blasi – eradicare piante sane, solo perché si trovano nel raggio di cento metri da quelle infette. La Comunità europea dovrebbe ricordare di non aver saputo evitare con le esportazioni che si arrivasse a questa situazione e dovrebbe tener presente che l’Italia è vittima nella vicenda Xylella. Poi si può discutere sui ritardi, che pure ci sono stati”.

Le teorie del complotto - Leggi, divieti e piani d’emergenza da un lato. Gasdotto tap, proteste, e metanodotto Snam dall’altro. In questi mesi l’emergenza Xylella si è intrecciata con altre annose questioni. C’è chi, come il Comitato No Tap, bolla come “una strana coincidenza” il fatto che i focolai di Xylella siano sul tracciato del gasdotto Snam (che dovrebbe collegare il Tap di Melendugno allo snodo di Mesagne, in provincia di Brindisi) e c’è anche chi pensa che la modifica alla legge sia l’ennesimo tentativo di ostacolare la costruzione del gasdotto Tap.

“Non sono per le teorie del complotto – ha dichiarato Blasi – mi baso sulla scienza. Posso dire che l’emendamento ha avuto lo scopo di evitare speculazioni e non di bloccare questa o quell’opera”. Eppure secondo Blasi l’Italia ha due diverse velocità quando si tratta di imporsi a livello comunitario. “Mi chiedo cosa impedisca di far arrivare quel tubo sotto la centrale di Cerano – ha spiegato – dove si potrebbe iniziare a utilizzare il gas invece del carbone. In questo modo non si trae alcun beneficio”. Il risultato? “Non si capisce per quale ragione dobbiamo rispettare la direttiva europea sul divieto di reimpianto e non dobbiamo seguire quella che chiede l’avvio di un processo di decarbonizzazione”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/03/xylella-regione-puglia-terreni-colpiti-non-edificabili-misura-contro-speculazione-edilizia/2186122/

lunedì 18 novembre 2013

Strage di ulivi in Puglia, l’Ue: “Sradicare le piante malate per evitare contagio”. - Tiziana Colluto

Strage di ulivi in Puglia, l’Ue: “Sradicare le piante malate per evitare contagio”

Per i ricercatori la moria rischia di propagarsi nel continente. L'Ue vuole risposte entro martedì ed è pronta ad imporre misure drastiche, ma servono soldi che nessuno vuole mettere.

Se finora l’Europa è stata risparmiata dal flagello è stata solo fortuna. E adesso rischia grosso. Il batterio infettivo che, assieme ad altre concause, sta annientando migliaia di ulivi nel Salento può fare strage di piante anche altrove. Bruxelles inizia a tremare. Chiede risposte, le pretende a stretto giro: già martedì, nella videoconferenza che il dirigente dell’Osservatorio fitosanitario della Regione Puglia, Antonio Guario, dovrà tenere con membri della Commissione Europea. Le certezze sul campo, però, sono ancora troppo poche. Di sicuro c’è che, negli anni, segnalazioni sono arrivate dal Kosovo e dalla Turchia, ma la malattia non si era mai radicata e diffusa come sta accadendo ora: nel Leccese ha già infestato, in poco tempo, 8mila ettari, un’area che nel complesso conta circa 600mila ulivi.
La situazione è “incredibilmente seria” e non c’è cura, né qui né altrove, di fronte agli attacchi del patogeno Xylella fastidiosa. Lo hanno ribadito ieri i ricercatori delle strutture regionali, del Dipartimento di Scienze del suolo dell’Università di Bari e dell’Istituto di Virologia del Cnr, dopo la lezione a tema tenuta presso la facoltà di Agraria. Con loro c’era anche Rodrigo Almeida, docente dell’Università di Berkeley, uno dei massimi esperti in materia. E’ rimasto di pietra anche lui di fronte allo scenario dei filari di piante ormai grigie, senza speranza, intorno a Gallipoli. Il suo occhio allenato in California, dove il batterio è stato riscontrato per la prima volta e impedisce la coltivazione delle viti, ha dettato la diagnosi più dura: “Abbiamo a che fare con una malattia molto grave. Alcuni aspetti sono compatibili ed altri no con Xylella fastidiosa. Parte di questa discrepanza è dovuta alla compartecipazione di altri patogeni come funghi (di specie Phaeoacremonium) ed insetti (rodilegno). La prima cosa da fare è cercare i vettori. La seconda è capire quali piante siano le sorgenti di inoculo”.
L’unico sospiro di sollievo è che il genotipo presente in Italia non colpisce la vite e gli agrumi. Per sciogliere il resto del rebus, bisogna aspettare. E il tempo non c’è. E’ a causa di questo scenario sfocato che la Puglia rischia realmente di schiantarsi contro il muro più imponente e di essere sacrificata sull’altare della patria. Entro fine novembre, la Commissione europea disporrà le misure da adottare obbligatoriamente. Non si andrà per il sottile: secondo la normativa comunitaria, la sola presenza di un batterio da quarantena impone già la distruzione delle piante. L’amarissimo calice da bere, per evitare il contagio. Per il Salento, in cui impera da secoli la monocoltura dell’olivo, sarebbe un disastro annunciato, sotto diversi punti di vista: produttivo, ambientale, paesaggistico, storico.
Le piante ormai completamente morte “devono essere estirpate perché non c’è più alcuna possibilità di recupero. Sulle altre con parziale disseccamento, stiamo aspettando i risultati della ricerca, ma sembra che anche quelle non potranno essere recuperate e quindi saranno eradicate”, spiega Anna Percoco, ricercatrice del Servizio fitosanitario regionale. “Noi vogliamo resistere a questa ipotesi, per questo stiamo acquisendo dati. Se dimostreremo che l’olivo è solo l’ospite terminale del patogeno, potremmo salvare gli alberi. Se, invece, appureremo che è a sua volta fonte di contagio, sarà difficile opporsi a quanto l’Europa chiede”. Giovanni Martelli, fitopatologo e professore emerito dell’Università di Bari, non nasconde i timori. E’ lui a tracciare la prospettiva, che, anche a voler essere ottimisti, è nera: “Le piante colpite sono condannate. Anche se alcune hanno ancora prodotto quest’anno, nella prossima stagione non lo faranno. E se l’epidemia si diffonde, altre si ammaleranno e quindi la produzione dell’olio calerà”.
Si serrano i ranghi. Nel primo trimestre del prossimo anno, è preannunciata la visita degli ispettori comunitari. Sul fronte interno, entro fine dicembre verrà conclusa la ricognizione di tutti i terreni pugliesi. Nel frattempo, si setacciano i registri dei vivai per analizzare importazioni ed esportazioni effettuate negli ultimi sei mesi, per capire se eventuale materiale infetto abbia varcato i confini regionali. Anche per evitare che possa accadere in futuro, è stato disposto formalmente da ieri il blocco della movimentazione delle piante a rischio nelle serre della provincia di Lecce. Si fa quel che si può. Ma in guerra contro il “complesso del disseccamento dell’olivo” si sta andando con le scarpe di cartone: ad oggi, per la ricerca ci sono poco più di 300mila euro di fondi regionali, cui sono stati aggiunti, in questi giorni, 2 milioni di euro per la pulizia dei canali di bonifica. La promessa di un contributo pari al 50% delle spese rimborsabili da parte della Commissione europea non è neppure nero su bianco. Da Roma, inoltre, è silenzio assordante. Tutte le spese di manutenzione degli oliveti, dalle drastiche potature agli abbattimenti e alla disinfestazione, sono a carico degli agricoltori. Di coloro che se lo possono permettere, almeno.