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lunedì 6 settembre 2021

Bollette, il governo studia il taglio e misure cuscinetto per i rincari. - Celestina Dominelli, Carmine Fotina

 

L’esecutivo apre il cantiere della riforma degli oneri di sistema: possibile prima mossa nel ddl Concorrenza.

Il governo apre il cantiere della riforma degli oneri generali di sistema con l’obiettivo, nel medio-lungo periodo, di alleggerire il “fardello” di quelle voci che in bolletta sono destinate a coprire attività di interesse generale per il sistema elettrico e che, a partire dal 2015, hanno raggiunto un livello pari a 14-15 miliardi annui arrivando a pesare fino a un quarto della spesa totale sostenuta dagli utenti finali.

Nell’immediato, però, in vista della nuova stangata autunnale sulle bollette, provocata dai rincari delle quotazioni delle materie prime per via della ripresa dell’economia mondiale, e dal netto aumento dei prezzi dei permessi di emissione della CO2, si studia un nuova manovra, dopo quella messa in pista agli inizi di luglio, per evitare che gli effetti dell’impennata colpiscano in modo pesante il portafoglio dei consumatori.

Il sostegno alle rinnovabili pesa sul 70% degli oneri.

È un doppio livello, dunque, quello su cui si muove il governo che punterebbe ad affidare allo strumento della delega, come trapela da una bozza del nuovo disegno di legge per la concorrenza, il lavoro di revisione degli oneri inserendolo in una più compiuta riforma della materia, anche nella prospettiva di trasferire sotto la fiscalità generale gli oneri per il sostegno alle energie rinnovabili. Che, stando ai numeri pubblicati dall’Autorità per l’energia, le reti e l’ambiente (Arera) nell’ultima Relazione annuale al Parlamento e al governo, rappresentano circa il 70% dei 14,9 miliardi di euro di oneri del 2020 (la cosiddetta componente Asos).

Nella bozza del Ddl, si apre anche alla possibilità che tali oneri vadano a gravare, in modo selettivo, sul consumo di combustibili fossili nel riscaldamento e nei trasporti con meccanismi di gradualità, ma sul punto il confronto è tutt’altro che chiuso. Anche perché il ministero della Transizione ecologica, è quanto si legge nel documento, «ritiene necessaria una compiuta riforma della materia» come peraltro ribadito anche nella proposta di piano per la transizione ecologica, approvato a metà luglio, che vedrà, tra i suoi pilastri, una complessiva e strutturata revisione del sistema fiscale per affrontare le problematiche ambientali.

L’urgenza: tagliare dalla bolletta i costi delle vecchie centrali nucleari.

La strada, quindi, è tracciata anche se le possibili soluzioni sono tuttora al vaglio. Ma una direzione l’ha indicata la stessa Arera che, in più occasioni, da ultimo a ottobre, nell’ambito dell’audizione in Commissione industria al Senato, in merito all’Affare sulla razionalizzazione, la trasparenza e la struttura di costo del mercato elettrico e sugli effetti in bolletta, ha rimarcato la necessità di eliminare fin da subito dalla bolletta «gli oneri non direttamente connessi agli obiettivi di sviluppo ambientalmente sostenibile e quelli finalizzati al contrasto della povertà energetica».

Tradotto: le voci che coprono i costi di smantellamento delle centrali nucleari dismesse e anche gli oneri a copertura del regime tariffario speciale riconosciuto a Rfi per i consumi di elettricità sulla rete tradizionale. Una posizione, quest’ultima, sposata anche dall’Antitrust nella segnalazione di marzo scorso al Parlamento con le proposte di riforma per la legge annuale, secondo cui «alla copertura di tali oneri si può provvedere mediante trasferimenti dal bilancio dello Stato».

L’ipotesi di un intervento cuscinetto contro i rincari.

Fin qui il binario più generale, quindi, ancora da declinare nel dettaglio. Mentre, nel breve periodo, il governo starebbe valutando un nuovo intervento “cuscinetto” per alleviare il peso dei rincari che si annunciano nel prossimo aggiornamento trimestrale delle bollette fissato per fine settembre. Nei giorni scorsi, nel corso di una intervista, anche il presidente dell’Arera, Stefano Besseghini, ha parlato di un «cantiere aperto» su questo fronte.

E, come già accaduto agli inizi di luglio, un assist prezioso per calmierare l’impatto della stangata potrebbe arrivare dalle aste del mercato europeo dei permessi di emissione di CO2 che stanno facendo registrare ricavi straordinari a causa della tendenza rialzista del prezzo della stessa con proventi pari, nel solo secondo trimestre, a 719 milioni, come documentano i dati pubblicati dal Gse, responsabile del collocamento delle quote di emissioni italiane sulla piattaforma Ue.

Il faro del governo sulle aste della CO2.

Certo, l’entità della manovra è ancora tutta da decidere perché solo da metà settembre l’Arera comincerà a mettere in fila i numeri per capire quale sarà la variazione tariffaria per le bollette, ma intanto l’esecutivo ha acceso un faro con un occhio alle aste della CO2, i cui proventi sono destinati, come prevede l’articolo 15 del decreto di recepimento della direttiva Ue sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (Red II), per la parte che compete al Mite, a coprire, dal 2022, «i costi di incentivazione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica mediante misure che trovano copertura sulle tariffe dell’energia».

È una tessera del percorso più ampio di riforma che, come detto, dovrebbe seguire lo strumento della delega, destinato a dominare buona parte del disegno di legge per la concorrenza che potrebbe arrivare in consiglio dei ministri per metà mese. Il governo pensa infatti di chiedere la delega al Parlamento, per poi agire con decreti legislativi, anche sui servizi pubblici locali, sulle concessioni idroelettriche, sul commercio ambulante, sulla vigilanza dei mercati e conformità dei prodotti. Altre materie invece, dalla sanità ai porti alla mobilità elettrica, dovrebbero entrare nel Ddl senza ricorso alla delega ma anche su questi fronti non si escludono cambiamenti dell’ultim’ora.

IlSole24Ore

martedì 6 luglio 2021

Carni sintetiche, gli investitori ci credono. Entro il 2030 business da 25 miliardi $. - Micaela Cappellini

 

Oggi il mondo della bistecca sintetica comprende meno di 100 start-up. Nel 2020, nonostante la pandemia, ha attirato circa 350 milioni di dollari in investimenti e dall’inizio di quest’anno è già arrivata ad altri 250 milioni. 

Oggi, per mettere in tavola un vassoio di manzo wagyu, la preziosissima carne giapponese, si spendono fino a mille euro al chilo. Eppure tra meno di dieci anni, di euro, ne basteranno solo dieci. Fantascientifico? Non troppo: benvenuti nel futuro della carne sintetica, dal laboratorio alla padella senza passare dalla stalla. Perché tra microscopi e alambicchi, si può riprodurre di tutto, persino il manzo wagyu. O il salmone selvaggio del Nord, le ostriche di Normandia e, perché no, anche la carne di Dodo, l’uccello ormai estinto. Tutto al prezzo politico di cinque dollari al chilo.

Sembra fantascienza, ma sono previsioni da non sottovalutare, queste, perchè portano la firma degli analisti McKinsey. E se un think tank di questo calibro si è cimentato nel primo studio organico del settore, significa che la carne sintetica è destinata a diventare un business di un certo peso. Per l’esattezza, un affare da 25 miliardi di dollari entro il 2030. In Europa le associazioni degli allevatori - con quelle italiane in testa - combattono contro i tentativi di Bruxelles anche solo di sdoganare il nome hamburger per le polpette fatte di carne-non carne. In Italia il fenomeno carne sintetica di fatto lo si subisce. Ma altrove, nel mondo, la ricerca corre e fa passi da gigante. Per esempio, alla Orbillion Bio già si studia come replicare il manzo wagyu, mentre alla Vow si lavora sulla fedele riproduzione del gusto della carne di canguro e di alpaca.

350 milioni nel 2020.

Oggi il mondo della bistecca sintetica comprende meno di 100 start-up. Nel 2020, nonostante la pandemia, ha attirato circa 350 milioni di dollari in investimenti e dall’inizio di quest’anno è già arrivata ad altri 250 milioni. Sul settore si sono buttati alcuni tra i più grandi player internazionali del settore delle proteine animali (come Tyson e Nutreco) e investitori del calibro di Temasek e SoftBank.

Per produrre hamburger e filetti che abbiano lo stesso odore, lo stesso gusto e la stessa consistenza dei loro omologhi naturali ci sono varie tecniche: dall’estrusione alla stampa 3D, dall’utilizzo di proteine vegetali alla coltivazione in laboratorio di cellule animali. Secondo gli esperti della McKinsey, più ancora che le resistenze filosofiche, è il costo lo scoglio più grande da superare per convincere i consumatori a passare alla carne sintetica. Ma anche su questo fronte l’industria ha fatto passi da gigante. Nel 2013, per il primo hamburger prodotto con carne coltivata in laboratorio, si spendono 300mila dollari. Passano neanche tre anni, e il prezzo di mercato di una polpetta prodotta dalla Memphis Meat scende a 20mila dollari alla libbra. Fino ad arrivare all’inizio di quest’anno, quando la Future Meat Technologies annuncia di essere riuscita a realizzare un petto di pollo da 160 grammi a soli quattro dollari. Da qui alla soglia dei 5 dollari al chilo, il passo è davvero breve. Gli analisti della McKinsey non hanno dubbi: entro il 2030, la carne sintetica arriverà a costare tanto quanto quella animale.

Il bilancio occupazionale.

A quel punto, molto del futuro della carne di laboratorio dipenderà dalle scelte dei consumatori e da quelle della politica. Calcola sempre McKinsey che per produrre 500mila tonnellate di proteine sintetiche occorrono circa 5mila lavoratori, che è più o meno quanti ne occupa oggi la filiera della carne convenzionale. I governi che scelgono di andare in questa direzione, insomma, non andrebbero incontro a una perdita di posti di lavoro. Alle fabbriche produttive, poi, andrebbe aggiunto tutto l’indotto, a cominciare dalle materie prime come il tradizionale zucchero, ingrediente fondamentale di ogni processo di fermentazione. Per produrre 1,5 milioni di tonnellate di carne sintetica servono fino a 440 milioni di litri di soluzione, l’equivalente di 176 piscine olimpioniche.

Attualmente, però, di questo liquido per la coltura cellulare l’industria farmaceutica ne produce solo 20 milioni di litri. È facile intuire che la carne-non carne si candida a diventare un affare anche per Big Pharma.

IlSole24Ore

venerdì 9 aprile 2021

Draghi: «Su Alitalia non accetteremo discriminazioni da Bruxelles.» - Leonardo Berberi


Il presidente del Consiglio Mario Draghi scende in campo — o meglio: in pista — su Alitalia e manda un messaggio chiaro alla Commissione europea che in queste settimane sta valutando il progetto di rilancio della compagnia aerea. «Non possiamo accettare delle asimmetrie ingiustificate», spiega durante la conferenza stampa rispondendo a una domanda. «Se ci sono delle ragioni per trattare male Alitalia rispetto ad Air France, beh le vedremo perché non è arbitrario e non accetteremo quindi discriminazioni arbitrarie». Roma insomma non intende restare passiva nelle trattative per l’avvio di Italia Trasporto Aereo, la nuova società pubblica.

I negoziati.

Le trattative hanno subìto un forte rallentamento negli ultimi giorni per alcune richieste di discontinuità dell’Antitrust Ue che la delegazione italiana ritiene fortemente penalizzanti come quella di modificare il perimetro aziendale della newco o di cedere fino alla metà degli slot all’aeroporto di Milano Linate. Sacrifici che secondo Roma sono maggiori di quelli imposti ad altri vettori europei come Lufthansa e Air France per ricevere in cambio miliardi di euro di aiuti di Stato. Su Alitalia pendono due indagini comunitarie su 1,3 miliardi di prestiti ponte erogati nel 2017 e 2019.

La newco.

«Se la Commissione europea usa criteri apparentemente diversi è chiaro che dovrà giustificare se c’è un’asimmetria nel caso dell’Italia ed è chiaro che noi non possiamo accettare delle asimmetrie ingiustificate», dice Draghi. «Il punto centrale della trattativa è creare la compagnia ITA, che avrà necessariamente una forte discontinuità rispetto alla precedente Alitalia, e che parta immediatamente perché se perdiamo la stagione estiva non siamo messi bene — prosegue — e che parta e si regga sulle sue ali questa volta, che si regga da sola senza sussidi». Per questo ha auspicato che la «discussione con la Commissione europea su Alitalia «si risolva in senso positivo» perché «i ministri coinvolti Giorgetti, Giovannini e Franco stanno facendo di tutto e sono consapevoli come lo sono io dell’importanza della questione».


Addio al marchio?

Il presidente del Consiglio affronta anche il tema del nome della nuova società. «Mi spiace molto che non si chiami più Alitalia perché tutti noi che abbiamo viaggiato tantissime volte con quella compagnia la consideriamo come una cosa di famiglia. Una cosa un po’ costosa, ma di famiglia». Però aggiunge che ITA e la Commissione europea «stanno trattando sul logo se tenerlo o meno». Il nome Alitalia sparisce? Come spiegano al Corriere fonti istituzionali che lavorano al dossier il mantenimento del nome — e del marchio — è sì oggetto di trattativa, ma anche considerato come uno degli aspetti fondamentali per il decollo della newco, quindi salvo sorprese è destinato ad essere ereditato dalla nuova società. È probabile quindi che Draghi si riferisse al nome della società (ITA, appunto) più che di quello che ci sarà sugli aerei (cioè Alitalia).


I tempi.

Ma non c’è tempo da perdere, avverte Draghi. «Il punto è creare una società nuova che parta immediatamente, se perde la stagione estiva non siamo messi bene». Per questo chi sta lavorando al dossier punta a far decollare Italia Trasporto Aereo tra fine giugno e inizio luglio per poter intercettare quella ripresa — parziale — di traffico che è prevista soprattutto all’interno dell’Italia e nel Mediterraneo e, soprattutto, per non lasciare i cieli italiani ai rivali stranieri.


CorSera

sabato 22 giugno 2019

Conte: "Nostri conti meglio del previsto".

Conte: Nostri conti meglio del previsto

Mercoledì prossimo il governo certificherà che il deficit previsto per il 2019 è pari al 2,1% del Pil, anziché al 2,5% come prevede la Commissione Europea. Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a margine del Consiglio Europeo a Bruxelles. Per tentare di evitare la procedura per debito, dice il premier, "c'è un binario tecnico che va avanti: ieri abbiamo deliberato per rendere operativo il congelamento già previsto di 2 mld. Completeremo mercoledì prossimo, con il Consiglio dei ministri: faremo l'assestamento per certificare come i conti vadano meglio del previsto". "Potremo certificare che saremo intorno al 2,1%, non al 2,5% come prescrive e prevede la Commissione Europea", aggiunge Conte. "Non serve dire 'non rispettiamo queste regole, non ce le applicate'. Fino a quando non le cambiamo, sono queste", rimarca il presidente del Consiglio.

Quanto al "candidato ideale" dell'Italia "alla presidenza della Commissione" europea, "lo voglio rivelare, è quello che si predispone a ridiscutere le nuove regole, sulla base di quello che ho scritto" nella lettera inviata ieri sera, dice il premier. Ma c'è qualcuno disposto a farlo? "Lo verificheremo", risponde. "Il Patto - aggiunge Conte - è di molta stabilità e poca crescita. Dobbiamo invertire un attimo queste regole. Vogliamo un dialogo su questo fronte: riteniamo che si debba lavorare per contrastare la disoccupazione. Riteniamo che ci sia da lavorare per la crescita, non solo economica, ma anche per lo sviluppo sociale. Sono questi i temi che vogliamo ridiscutere", sottolinea. In merito all'ipotesi che Angela Merkel possa diventare presidente della Commissione Europea, il premier replica che Merkel "ha grande esperienza politica. L'ultima volta che abbiamo parlato abbiamo accennato anche a questo aspetto, non mi è sembrata disponibile. Vedremo".
Alla domanda se il discorso del presidente della Bce Mario Draghi, in merito alla possibile ripresa delle misure di stimolo all'economia, abbia in parte disinnescato la minaccia della procedura per debito, facendo calare i rendimenti dei titoli di Stato, Conte risponde che il fatto che lo spread, "cali fa piacere, perché favorisce l'intero nostro sistema economico. Avere lo spread alto non ci agevola. Ma la procedura non è collegata al livello dello spread".
In una dichiarazione diffusa a margine del Consiglio Europeo, Conte scrive: "Oggi vedo ricostruzioni molto fantasiose sui giornali. Con la Lega ci sarebbero dissapori: vorrei sottolineare che con Salvini e Di Maio siamo entrati in riunione ieri mattina alle 8 per la riunione economica e ci siamo lasciati ieri sera a mezzanotte: mai avuto diverbi o contrasti". "Abbiamo posto le basi per l'assestamento di bilancio e per le riforme sulla giustizia - continua Conte - quanto al bilancio ieri abbiamo assunto in Consiglio dei ministri la delibera preliminare sul congelamento già programmato dei 2 miliardi e mercoledì prossimo completeremo con l’assestamento definitivo". "Non tagliamo nuove risorse - dice ancora il premier - semplicemente certifichiamo in un documento ufficiale i risparmi di spesa e le maggiori entrate e rendiamo definitivo il congelamento già programmato dei 2 miliardi".
"La mia lettera ha un contenuto politico e mira alla revisione delle regole nella prospettiva della nuova legislatura europea. In essa si chiarisce che l'Italia non vuole sottrarsi all’applicazione delle regole vigenti sulla procedura di infrazione", prosegue Conte. "Il binario di interlocuzione tecnica che è in corso con Bruxelles - aggiunge - chiarirà, con l’assestamento, che l’Italia rispetta le regole vigenti. La lettera però chiarisce le ragioni e la direzione del cambiamento. Attualmente nel Patto di stabilità e crescita c’è molta stabilità e poca crescita. Dobbiamo lavorare per incrementare le regole per contrastare la disoccupazione, per il salario minimo, per lo sviluppo sociale".
"Qualche giornalista oggi scrive che sarei venuto a Bruxelles con le mani vuote - afferma il premier nella dichiarazione scritta - Io rappresento un Paese del G7, il terzo Paese dell’Eurozona, la seconda azienda manifatturiera d’Europa: come si può pensare che io venga a mani vuote? Io rappresento tutte le migliaia di realtà imprenditoriali italiani che esportano in tutto il mondo con punte di assoluta eccellenza".
Ai vertici del governo italiano ci sarebbe vera preoccupazione per la possibile procedura per deficit eccessivo legata al debito che potrebbe essere raccomandata dalla Commissione Europea, e poi lanciata dal Consiglio. E' quanto si apprende a Bruxelles, a margine del Consiglio Europeo. Il negoziato sarebbe più difficile rispetto alla fine del 2018, perché la Commissione Europea che deve decidere se raccomandare o meno l'avvio della procedura è una Commissione uscente, che quindi è relativamente più libera di decidere applicando le regole.

giovedì 24 agosto 2017

Così cambierà l’Euribor, il tasso-guida dei mutui. - Maximilian Cellino e Marco Ferrando

Guido Ravoet (Imagoeconomica)
Guido Ravoet (Imagoeconomica)

Affidabile, più volatile ma non troppo, agganciato il più possibile alla realtà e non alle supposizioni di un manipolo di banchieri. Non è facile trovare un indice che soddisfi i tre requisiti, ma all’European Money Market Institute (Emmi) ce la stanno mettendo tutta per offrire ai mercati entro fine anno un nuovo Euribor: da tempo si ritiene inappropriato un tasso, com’era anche il Libor travolto dagli scandali, frutto di una consultazione quotidiana tra un gruppo ormai ridotto a 20 banche, e non a caso le norme europee sui benchmark prevedono che quello attualmente in uso venga pensionato entro fine 2019.
Ma serviranno almeno un paio d’anni di tempo per modificare migliaia di pagine di contratti e centinaia di algoritmi, dal momento che oggi al tasso nelle sue varie scadenze sono agganciati 180mila miliardi di euro (compresi mille miliardi di mutui): di qui l’accelerata della task force istituita a Bruxelles presso l’Emmi, l’ente che governa le sorti dell’Euribor dagli albori, dove il segretario generale, Guido Ravoet conferma che «l’obiettivo che ci siamo dati è quello di avere una versione definitiva del nuovo schema entro la fine del 2017».
Dopo aver sancito tre mesi fa (si veda Il Sole 24 Ore del 10 maggio scorso) il fallimento della sperimentazione di un possibile nuovo indice basato sulle sole transazioni di mercato, troppo sottili per arginarne la volatilità, il gruppo di lavoro si è messo all’opera pancia a terra per studiare una nuova soluzione ibrida, che consenta di «basarsi sulle transazioni quando appropriate e disponibili, e nel caso in cui non lo siano consenta di usare altri dati», dice ancora Ravoet. Da giugno, secondo quanto risulta, il gruppo di lavoro si è riunito una volta ogni due settimane, con due incontri a Bruxelles, uno a Parigi, un altro a Londra e un altro ancora a Milano, più una serie di conference call: la settimana prossima riprenderanno i lavori e per i più ottimisti già alla fine di settembre o al massimo all’inizio di ottobre si potrebbe materializzare qualche passo in avanti.
«Puntiamo ad avere la nuova metodologia pienamente in vigore entro la fine del 2019», aggiunge il segretario generale dell’Emmi. Ma il 2020 è dietro la porta, e la strada ancora lunga: fissato il nuovo indice ci sarà da sperimentarlo, poi da avviare una consultazione, ottenere il via libera dalle varie authority competenti e quindi dare il tempo alle banche di prepararsi a una rivoluzione dal punto di vista formale, ma anche sostanziale.
La riforma dell’Euribor «è una specie di ordigno», dice un banchiere interpellato da Il Sole. Una bomba che non è detto faccia danni (l’auspicio è proprio questo), ma che in ogni caso è destinata a rivoluzionare il mercato dei mutui retail e corporate, quello dei derivati nonché le norme di funzionamento delle tesorerie delle banche, che viaggiano a ruota. Il tema, in pratica, è delicatissimo e qui si fonda la necessità di uscire dalla logica per certi aspetti autoreferenziale delle “telefonate” (cioè le rilevazioni mattutine sui tassi applicati dalle singole banche), per affidarsi ai prezzi reali, cioè alle transazioni, soldi prestati o impiegati, effettivamente condotte sul mercato. «Il problema è che con l’inondazione di liquidità proveniente dalla Bce in questo momento il mercato è diventato molto sottile», spiega un funzionario di tesoreria di una media banca italiana: pochi scambi, molta volatilità. E in più un panel ormai ristretto a 20 sole banche (nel 2012 erano 44) non aiuta: anche perché 9 di esse sono europeriferiche e i tassi applicati - e segnalati ogni mattina alle 11 - inevitabilmente risentono di chi presta a chi.
Così, se una maggior volatilità rispetto a oggi sembra inevitabile, altre questioni restano aperte. «Un panel allargato sarebbe senz’altro un segnale del commitment dell’intera comunità bancaria nel processo di riforma, dal momento che ogni istituto ne fa uso», si fa notare dall’Emmi. Ma, come già accaduto in passato a più riprese, c’è chi non disdegnerebbe l’intervento diretto della Bce, se non altro vista la mole di dati quotidianamente raccolta a Francoforte. Sul punto Ravoet non si esprime puntualmente, ma ci va vicino: «Emmi giudica positivamente qualunque iniziativa da parte delle istituzioni che possa aiutare il processo di riforma», dichiara a Il Sole. Certo è che l’Emmi governa anche l’Eonia, l’indice calcolato sulle operazioni overnight (a brevissima scadenza), per il quale Bce secondo diversi osservatori potrebbe avere una qualche forma di preferenza vista - appunto - la base transazionale.
Dunque per l’Euribor, con la valanga di attivi collegati, siamo all’ultima chiamata. Se seguirà le sorti del Libor una riforma potrebbe non essere garanzia di sopravvivenza: giusto a fine luglio, il responsabile della britannica Fca, la Financial conduct authority, Andrew Bailey, ha dichiarato che la revisione non è stata soddisfacente, dunque il parametro dovrà essere pensionato entro il 2021. Con buona pace dei 350 trilioni di prodotti finanziari che si porta dietro.

venerdì 3 febbraio 2017

Il terrorismo psicologico dei media sulla finta battaglia Bruxelles - Roma sulla manovra correttiva. - Marco Zanni

marco zanni - Il terrorismo psicologico dei media sulla finta battaglia Bruxelles - Roma sulla manovra correttiva

Oggi vedo molti giornali scrivere sul presunto scontro tra Bruxelles e Roma per quanto riguarda la manovra di bilancio correttiva da €3,4 miliardi richiesta dalla Commissione al nostro Paese. Avevo già parlato ampiamente di quello che sarebbe successo a fine ottobre, quando l'allora governo Renzi, come da regole UE, presentò ai partner europei e alla Commissione la legge di bilancio per il 2017. Già allora i burocrati di Bruxelles avevano sollevato dubbi su quei numeri, esprimendo però solo riserve che sarebbero state sciolte il 5 dicembre, guarda caso un giorno dopo l’attesissimo e pericolosissimo referendum italiano sulla riforma costituzionale. La motivazione? Le istituzioni UE, anticipando la tagliola sull’Italia con nuovi tagli e nuove tasse, non volevano avvantaggiare i “populisti”: campioni di democrazia insomma, come troppo spesso hanno dimostrato.
Si aspetta, ma puntualmente il 5 dicembre, durante la riunione dell’Eurogruppo (un organismo informale senza regole che però decide i destini di milioni di cittadini europei), l’UE decidere di chiedere il conto all’Italia: le assurde regole di Maastricht, inasprite dall’architrave del Fiscal Compact (Six-pack e Two-Pack), vanno rispettate: ballano €15 miliardi sul saldo strutturale di bilancio, l’1% del PIL, per rispettare le promesse fatte un anno prima da Renzi in cambio di qualche spicciolo di flessibilità sul 2016 per distribuire qualche inutile mancetta elettorale. Arrivano le prime bordate “europee” verso Roma, ma con Renzi dimissionario e senza un nuovo governo, nessuna decisione concreta viene presa. Solo una volta instaurato e rodato il governo Gentiloni, ecco l’UE tornare all’attacco. Se i toni usati da Bruxelles e dal commissario Moscovici sono pesanti, lo è un po’ meno la richiesta concreta: non un aggiustamento da €15 miliardi, ma solo un ritocchino da €3,4 miliardi, lo 0,2% del PIL. La Commissione è consapevole delle imminenti elezioni italiane e tenta di usare la mano leggera mantenendo la fermezza dei toni: costringere il governo italiano ad alzare le tasse e tagliare welfare vicino all’appuntamento elettorale rischia di consegnare il Paese in mano ai fantomatici “populisti”, che sono brutti e cattivi. Con elezioni anche in Olanda, Francia e Germania, per tenere in piedi questo castello di carta le provano tutte. Altra grande prova di democrazia dell’UE. Ma come per Brexit, non funzionerà.
E ora arriviamo agli ultimi giorni: Moscovici sollecita formalmente il governo italiano ad agire, e Padoan tenta fintamente di fare la voce grossa, almeno a quanto dicono i giornali di oggi. “Italia sfida UE: no a manovra” e altri titoli del genere, che però non rappresentano in realtà quanto veramente detto da Padoan. Infatti nelle parole del ministro dell’economia italiano non traspare la volontà, che sarebbe sacrosanta, di mandare sovranamente a quel paese Bruxelles, ma soltanto di rinviare la resa dei conti a dopo le elezioni, per non tirarsi la zappa sui piedi in campagna elettorale. Nuove tasse e nuovi tagli ci saranno sicuramente, ma Pier Carlo vuole rinviare la sorpresina per gli italiani a dopo il voto. E questa è la prima bugia, a proposito di fake news, che oggi i media italiani snocciolano.
La seconda bugia è a mio avviso ancora più grave: il frame lanciato dalla stampa nostrana è che se il governo si rifiuterà di fare la manovra correttiva, l’UE ci commissarierà. Questa fasulla interpretazione ha un significato ben preciso, un messaggio terroristico con cui ormai dovremo avere una certa dimestichezza: dobbiamo fare quello che ci dice Bruxelles, perché l’UE è l’unica alternativa possibile. Senza l’UE saremo perduti, e se non rispettiamo le regole ci commissariano. E’ la retorica del TINA, There Is No Alternative, non c’è altra alternativa all’UE, tanto cara ai sostenitori di questo progetto criminale. Questa è una truffa bella e buona propinata agli italiani per calmierare il risentimento del popolo verso queste istituzioni. Il governo italiano avrebbe il potere e la forza di esercitare quel pizzico di sovranità che ancora gli è rimasta rischiando poco o niente. E sarebbe il caso di iniziare a farlo. Dire che in caso di mancata manovra correttiva verremo commissariati, significa dire una bugia per fare terrorismo psicologico e far abituare il popolo al fatto che le nuove tasse e i nuovi tagli sono necessari, altrimenti c’è l’apocalisse. 
Il mancato rispetto delle regole di Maastricht (principalmente sul rapporto deficit/PIL e sul rapporto debito pubblico/PIL) non porta concretamente a nessun commissariamento, ma solo all’avvio da parte della Commissione europea di una procedura d’infrazione lunga e ridicola, come la storia ha dimostrato. L’ultimo caso sono state le sanzioni a Spagna e Portogallo: i due Paesi della penisola iberica erano finiti sotto procedura d’infrazione UE per mancato rispetto delle regole sul deficit. Dopo molto tempo dall’avvio della procedura (la Spagna sfora il rapporto deficit/PIL dal 2008), molti richiami, molte lettere e via dicendo la Commissione e l’Eurogruppo, a fine 2016 (ben 8 anni dopo, quasi due legislature!!!) decidono di sanzionare i due Paesi per deficit eccessivo: e qual è la terribile punizione inflitta dall’UE ai disobbedienti? Nessuna, nel concreto nessuna! Nessuna sanzione pecuniaria, ma solo la paventata minaccia di bloccare l’accesso ai fondi del bilancio UE, che poi sono una cifra ridicola e si tratta di soldi degli stessi Stati membri. Ecco, per i media italiani questa pagliacciata di procedura sanzionatoria che dura 8 anni e si traduce in una sanzione non pecuniaria equivarrebbe al commissariamento del Paese. Inutile terrorismo psicologico che va smascherato.
Ribellarsi alle assurde regole di Bruxelles non solo si può fare senza grossi problemi, ma oggi diviene assolutamente necessario. Come il popolo italiano si ribellò all’occupazione nazi-fascista durante la seconda guerra mondiale, oggi è compito di ogni governo che rappresenti davvero gli interessi dei cittadini opporsi ai crimini finanziari perpetrati dalle istituzioni UE. Il governo italiano ha il dovere di mandare a quel paese la Commissione e l’Eurogruppo, ribadendo la propria sovranità. Il benessere dei cittadini deve avere la priorità assoluta su qualsiasi assurda regola di bilancio. Avremmo dovuto farlo già a dicembre 2015, quando il governo Renzi si piegò alle regole sul bail-in e mandò sul lastrico centinaia di migliaia di risparmiatori italiani, alla faccia dell’articolo 47 della Costituzione. E nei mesi successivi la borsa italiana, di cui le banche rappresentano la parte maggiore, bruciò altre decine di miliardi di risparmi: tutto questo per rispettare una regola assurda e distruttiva.
Non fatevi spaventare dai giornali su queste cose, ma abbiate paura per i pericoli veri: il commissariamento del Paese può arrivare da altri due canali, come ho cercato di spiegare durante la conferenza di martedì sera a Milano. L’attacco al sistema bancario italiano e al debito pubblico: nel primo caso, le regole punitive possono portare il governo a chiedere aiuto al MES e quindi a far intervenire la Troika, nel secondo caso l’”aiuto” arriverebbe dal programma OMT della BCE, ma l’effetto sarebbe lo stesso, l’ingresso della Troika a Roma.
Di questo dobbiamo aver paura, e la paura deve servirci per avere il coraggio di scrivere veramente e al più presto possibile la parola “fine” all’esperienza dell’UE e dell’Euro.

lunedì 3 febbraio 2014

Bruxelles all’Italia: «Norme anticorruzione insufficienti, e basta leggi ad personam»

(Reuters)

Report della Commissione sulla corruzione in Europa: «Quella italiana vale 60 miliardi, la metà del totale europeo».

La nuova legge italiana contro la corruzione «lascia irrisolti» vari problemi, secondo la Commissione dell’Unione europea, perché «non modifica la disciplina della prescrizione, la legge sul falso in bilancio e il riciclaggio e non introduce reati per il voto di scambio».
METÀ DI QUELLA UE - L’Ue ricorda nel suo report sulla corruzione in Europa, il primo in materia, che per l’Italia questa ha un valore di circa 60 miliardi l’anno, pari a circa il 4% del Pil. C’è da mettere mano, anche, al conflitto d’interesse, sottolinea ancora Bruxelles. Quei 60 miliardi sono la metà di quello che l’economia europea perde annualmente per casi di corruzione, ovvero 120 miliardi. Gli Stati membri della Ue,hanno ottenuto «risultati differenti e devono fare di più per prevenire e punire la corruzione». Lo ha spiegato, presentando il report, Cecilia Malmstrom,commissaria agli Affari Interni.
TUTELA DEL DIPENDENTE - Tornando all’Italia, la Commissione ritiene inoltre necessario il varo di disposizioni adeguate in materia di «corruzione nel settore privato e sulla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti».
LEGGI AD PERSONAM OSTACOLO AI PROCESSI - La Commissione suggerisce inoltre all’Italia di «bloccare l’adozione di leggi ad personam» dal lodo Alfano alla ex Cirielli, dalla depenalizzazione del falso in bilancio al legittimo impedimento, queste sono state «più volte» d’ostacolo per «i tentativi» di darsi norme per garantire processi efficaci.
LA PRESCRIZIONE - Un altra piaga «particolarmente seria per la lotta alla corruzione in Italia», rileva ancora Bruxelles, è la prescrizione perché termini, regole e metodi di calcolo, sommati alla lunghezza dei processi, «determinano l’estinzione di un gran numero di procedimenti». Come esempio si indica (pur senza fare nomi) il processo Mills, con l’ex premier Berlusconi prosciolto «per scadenza dei termini di prescrizione».
IL CASO COSENTINO - La Commissione inoltre sottolinea: «In Italia i legami tra politici, criminalità organizzata e imprese, e lo scarso livello di integrità dei titolari di cariche elettive e di governo sono tra gli aspetti più preoccupanti, come testimonia l’alto numero di indagini per corruzione». L’accento si pone anche sui consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose, ma anche sul caso di «un parlamentare indagato per collusione con il clan camorristico dei Casalesi», riferimento diretto al caso di Nicola Cosentino, sempre senza farne il nome .
I NUMERI DEL FENOMENO - La relazione evidenzia poi i numeri di questo fenomeno sottolineando come solo nel 2012 siano scattate indagini penali e ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti politici locali in circa metà delle 20 Regioni italiane, sono stati sciolti 201 consigli municipali, di cui 28 dal 2010 per presunte infiltrazioni criminali e più di 30 deputati della precedente legislatura sono stati indagati per reati collegati a corruzione o finanziamento illecito ai partiti.

lunedì 18 novembre 2013

Strage di ulivi in Puglia, l’Ue: “Sradicare le piante malate per evitare contagio”. - Tiziana Colluto

Strage di ulivi in Puglia, l’Ue: “Sradicare le piante malate per evitare contagio”

Per i ricercatori la moria rischia di propagarsi nel continente. L'Ue vuole risposte entro martedì ed è pronta ad imporre misure drastiche, ma servono soldi che nessuno vuole mettere.

Se finora l’Europa è stata risparmiata dal flagello è stata solo fortuna. E adesso rischia grosso. Il batterio infettivo che, assieme ad altre concause, sta annientando migliaia di ulivi nel Salento può fare strage di piante anche altrove. Bruxelles inizia a tremare. Chiede risposte, le pretende a stretto giro: già martedì, nella videoconferenza che il dirigente dell’Osservatorio fitosanitario della Regione Puglia, Antonio Guario, dovrà tenere con membri della Commissione Europea. Le certezze sul campo, però, sono ancora troppo poche. Di sicuro c’è che, negli anni, segnalazioni sono arrivate dal Kosovo e dalla Turchia, ma la malattia non si era mai radicata e diffusa come sta accadendo ora: nel Leccese ha già infestato, in poco tempo, 8mila ettari, un’area che nel complesso conta circa 600mila ulivi.
La situazione è “incredibilmente seria” e non c’è cura, né qui né altrove, di fronte agli attacchi del patogeno Xylella fastidiosa. Lo hanno ribadito ieri i ricercatori delle strutture regionali, del Dipartimento di Scienze del suolo dell’Università di Bari e dell’Istituto di Virologia del Cnr, dopo la lezione a tema tenuta presso la facoltà di Agraria. Con loro c’era anche Rodrigo Almeida, docente dell’Università di Berkeley, uno dei massimi esperti in materia. E’ rimasto di pietra anche lui di fronte allo scenario dei filari di piante ormai grigie, senza speranza, intorno a Gallipoli. Il suo occhio allenato in California, dove il batterio è stato riscontrato per la prima volta e impedisce la coltivazione delle viti, ha dettato la diagnosi più dura: “Abbiamo a che fare con una malattia molto grave. Alcuni aspetti sono compatibili ed altri no con Xylella fastidiosa. Parte di questa discrepanza è dovuta alla compartecipazione di altri patogeni come funghi (di specie Phaeoacremonium) ed insetti (rodilegno). La prima cosa da fare è cercare i vettori. La seconda è capire quali piante siano le sorgenti di inoculo”.
L’unico sospiro di sollievo è che il genotipo presente in Italia non colpisce la vite e gli agrumi. Per sciogliere il resto del rebus, bisogna aspettare. E il tempo non c’è. E’ a causa di questo scenario sfocato che la Puglia rischia realmente di schiantarsi contro il muro più imponente e di essere sacrificata sull’altare della patria. Entro fine novembre, la Commissione europea disporrà le misure da adottare obbligatoriamente. Non si andrà per il sottile: secondo la normativa comunitaria, la sola presenza di un batterio da quarantena impone già la distruzione delle piante. L’amarissimo calice da bere, per evitare il contagio. Per il Salento, in cui impera da secoli la monocoltura dell’olivo, sarebbe un disastro annunciato, sotto diversi punti di vista: produttivo, ambientale, paesaggistico, storico.
Le piante ormai completamente morte “devono essere estirpate perché non c’è più alcuna possibilità di recupero. Sulle altre con parziale disseccamento, stiamo aspettando i risultati della ricerca, ma sembra che anche quelle non potranno essere recuperate e quindi saranno eradicate”, spiega Anna Percoco, ricercatrice del Servizio fitosanitario regionale. “Noi vogliamo resistere a questa ipotesi, per questo stiamo acquisendo dati. Se dimostreremo che l’olivo è solo l’ospite terminale del patogeno, potremmo salvare gli alberi. Se, invece, appureremo che è a sua volta fonte di contagio, sarà difficile opporsi a quanto l’Europa chiede”. Giovanni Martelli, fitopatologo e professore emerito dell’Università di Bari, non nasconde i timori. E’ lui a tracciare la prospettiva, che, anche a voler essere ottimisti, è nera: “Le piante colpite sono condannate. Anche se alcune hanno ancora prodotto quest’anno, nella prossima stagione non lo faranno. E se l’epidemia si diffonde, altre si ammaleranno e quindi la produzione dell’olio calerà”.
Si serrano i ranghi. Nel primo trimestre del prossimo anno, è preannunciata la visita degli ispettori comunitari. Sul fronte interno, entro fine dicembre verrà conclusa la ricognizione di tutti i terreni pugliesi. Nel frattempo, si setacciano i registri dei vivai per analizzare importazioni ed esportazioni effettuate negli ultimi sei mesi, per capire se eventuale materiale infetto abbia varcato i confini regionali. Anche per evitare che possa accadere in futuro, è stato disposto formalmente da ieri il blocco della movimentazione delle piante a rischio nelle serre della provincia di Lecce. Si fa quel che si può. Ma in guerra contro il “complesso del disseccamento dell’olivo” si sta andando con le scarpe di cartone: ad oggi, per la ricerca ci sono poco più di 300mila euro di fondi regionali, cui sono stati aggiunti, in questi giorni, 2 milioni di euro per la pulizia dei canali di bonifica. La promessa di un contributo pari al 50% delle spese rimborsabili da parte della Commissione europea non è neppure nero su bianco. Da Roma, inoltre, è silenzio assordante. Tutte le spese di manutenzione degli oliveti, dalle drastiche potature agli abbattimenti e alla disinfestazione, sono a carico degli agricoltori. Di coloro che se lo possono permettere, almeno.

lunedì 26 novembre 2012

Nuove regole Imu sotto lente di Bruxelles.



Agevolazioni di alcuni enti non commerciali, in particolare la Chiesa, sarebbero considerati come aiuti di Stato illegali.

BRUXELLES - Il nuovo regolamento sull'Imu pubblicato in Gazzetta Ufficiale sabato è ora sotto la lente di Bruxelles, che deve verificarne la compatibilità con le norme Ue e valutare quindi se chiudere la procedura d'infrazione aperta contro l'Italia. "Stiamo studiando le misure adottate", ha assicurato il portavoce del commissario Ue alla concorrenza Joaquin Almunia, precisando che l'analisi della Commissione si situa "nel quadro della procedura sugli aiuti di stato in corso".

Le agevolazioni fiscali di cui hanno finora goduto in Italia gli enti non commerciali, e in particolare la Chiesa, possono, secondo le norme europee, essere considerate come aiuti di stato illegali. Il contenzioso con l'Antitrust Ue risale al 2007, quando erano partite le prime richieste di informazioni a Roma. Almunia aveva deciso di riaprire il dossier dell'esenzione dell'allora Ici nei confronti della Chiesa nel 2010, dopo le denunce ripresentate dal deputato radicale Maurizio Turco e dal fiscalista Carlo Pontesilli, che si erano rivolti alla Corte di giustizia Ue per impedire l'archiviazione. Dopo avere definito lo scorso febbraio un "progresso sensibile" l'emendamento proposto dal governo Monti, i servizi antitrust Ue sono rimasti in attesa del testo legislativo finale, che ha ricevuto uno stop dal Consiglio di stato. Con il regolamento pubblicato ora sulla gazzetta Ufficiale, i servizi di Almunia hanno gli elementi necessari per poter compiere la loro valutazione, che dovrà essere completata in tempi utili perché le nuove norme possano o meno partire con l'anno nuovo. In ogni caso l'Italia, allo stato attuale, non rischia multe, ma solo l'ingiunzione da parte di Bruxelles di procedere al recupero presso i beneficiari degli aiuti illegali precedentemente percepiti. Solo nell'ipotetico caso in cui l'Italia ricevesse l'ingiunzione e non procedesse nei tempi stabiliti al recupero, allora Bruxelles potrebbe aprire un'altra procedura d'infrazione che, una volta giunta nella fase finale, potrebbe a sua volta terminare con una multa da parte della Corte di giustizia Ue.