domenica 21 dicembre 2014

Nelli cerca di ”arrotondare”, Crocetta vuole piazzarla al Seus. - Miriam Di Peri



Pronto un secondo incarico per l’ex assessore alla Formazione che, essendo priva di laurea, non può essere inquadrata come dirigente alla guida della segreteria particolare e dunque guadagna quanto un funzionario semplice, pur svolgendo un ruolo apicale. Ma il Governatore ha trovato la soluzione.


La segreteria particolare non basta. E i titoli, o in alcuni casi la loro assenza, sono sempre determinanti. Tra le grane che Rosario Crocetta non è ancora riuscito a risolvere, quella che gli sta più a cuore resta la ricollocazione di Nelli Scilabra. L’ex assessore alla Formazione Professionale, infatti, continua ad essere un cruccio per il primo inquilino di palazzo d’Orleans. Perché il punto è che Nelli, ancora senza una laurea, non potrà andare, almeno sotto il profilo contrattuale, a capo della segreteria particolare di Crocetta come dirigente di terza fascia. Per essere inquadrata con la qualifica che spetterebbe al capo della segreteria, infatti, la studentessa dovrebbe prima concludere il suo percorso accademico e per questo motivo, dunque, il suo contratto non è ancora stato ufficializzato. L’unica strada percorribile, che è quella che stanno predisponendo gli uffici della Regione, è quella di un contratto da funzionario, retribuito poco meno di 2000 euro al mese. Ai quali, ovviamente, si aggiungerà l’indennità di funzione che spetta a chi guida gli uffici di diretta collaborazione degli assessori, pari a circa 1300 euro mensili.  Insomma, Nelli sarà inquadrata come un semplice componente della segreteria di Crocetta, salvo poi svolgerne le funzioni dirigenziali. Ma a quel punto, i conti non tornerebbero per l’ex assessore regionale, “sottopagata”per assumere invece responsabilità maggiori.
Ed ecco l’asso nella manica di Crocetta: la bufera che si è abbattuta su Seus, Servizio emergenza urgenza sanitaria, dopo le dimissioni di Angelo Aliquò – dimissioni note da mesi all’interno della partecipata, al punto da avere già portato all’addio di Rosalia Muréricollocata a piazza Ottavio Ziino, al fianco di Lucia Borsellino – potrebbe essere l’occasione per far quadrare i conti della segretaria del presidente. Un incarico al 118, infatti, “frutterebbe” alla Scilabra un ulteriore contratto da circa 18 mila euro annui. Così ecco avanzare l’ipotesi che Nelli possa essere inviata al consiglio di gestione della Seus. Ma anche nella società partecipata che si occupa del servizio di emergenza-urgenza della Regione, la parola d’ordine per aprire i portoni sembra essere proprio la laurea. Lo statuto di Seus (al comma 6 dell’articolo 11), infatti, parla chiaro: “L’assunzione della carica di componente del consiglio di Gestione è subordinata al possesso del diploma di laurea magistrale”. E se i più maliziosi sussurrano che da Palazzo d’Orleans qualcuno avesse ipotizzato una modifica dello statuto della partecipata, il dato che al momento appare evidente è che qualunque porta Crocetta cerchi di aprire alla sua pupilla, l’assenza di titoli torna a chiuderla inesorabilmente. Ma quello della Scilabra non è certo l’unico caso di “ripescaggio” dal cerchio magico del governatore.
Crocetta, d’altronde, coi suoi era stato piuttosto chiaro e la nascita del terzo esecutivo regionale è stata subordinata alla richiesta che i dodici predecessori dei nuovi assessori rientrassero in qualche modo nei corridoi del potere, seppur passando dalla finestra. È stato così per Salvatore Callerinominato all’indomani delle dimissioni da assessore, in qualità di consulente del presidente. È così per Roberto Agnello, assessore al Bilancio per pochi mesi, finito tra i corridoi dell’assessorato alla Salute al fianco di Lucia Borsellino. È così anche per Dario Cartabellotta, mandato in qualità di commissario straordinario al comune di Licata e investito del ruolo di direttore generale prima alla Pesca, poi al Lavoro. Insomma, in un modo o nell’altro, tranne Michela Stancheris, rea di un colpo di testa che le è costato la rinuncia a una ridente carriera tra i corridoi del Palazzo, tutti, in un modo o nell’altro, saranno ricollocati.
E mentre la corsa agli uffici di gabinetto continua incessante, si guarda con attenzione a tutte le caselle in scadenza nelle partecipate regionali. Ieri a guidare la Fondazione Orchestra Sinfonica Sicilianaè arrivato il commercialista Salvo Cincimino, che sarà affiancato nel Cda dal penalista Costantino Visconti, vicino ad Antonello Cracolici, dall’ex deputato regionale Pino Apprendi. Ma nei prossimi giorni, si vocifera al Palazzo, potrebbe toccare ai vertici in scadenza di altre partecipate, ad esempio l’Ast. Perché un posto di sottogoverno non si nega a nessuno.

sabato 20 dicembre 2014

Renzi dalla Clerici: "L'Italia non sa farsi i selfie". - Andrea Scanzi




E' stato un bel momento di tivù, tranquillamente paragonabile ai tempi felici dell'Istituto Luce. 
L'amato Presidente del Consiglio ha scelto "Un mondo da amare" perché, verosimilmente, se fosse andato a "La prova del cuoco" non si sarebbe notata la differenza tra lui e una melanzana. 
Da sempre qualsiasi esecutivo con ambizioni totalitarie, siano esse esplicite o buoniste, ha bisogno di "educare" le piccole generazioni di balilla. 
Renzi lo aveva già fatto in Sicilia, così come la statista Karina Huff Boschi a Laterina.

 

Ieri sera è toccato a RaiUno, ma in futuro Renzi invaderà ogni spazio, per proseguire la sua massiccia opera di convincimento delle masse (tra cui si scorgono ancora dei focolai inaccettabili di reprobi). 
Per spiegare la crisi del paese ai bambini, Renzi ha detto: "E' come se l'Italia non sapesse farsi i selfie". E' stato il suo apice assoluto di sintesi politica, dopo il quale - comprensibilmente - ha avuto bisogno di riposarsi per compensare lo sforzo neuronale. 

"L'Italia non sa farsi i selfie": ovvero l'Italia non ha autostima, l'Italia non crede in se stessa, ma io sono il Bene e vi salverò, bla bla bla. 
Ecco: l'Italia ha un Presidente del Consiglio così. 
Un mix intellettuale tra uno slogan di Tonino Guerra, una canzone minore di Jovanotti e un brano qualsiasi dei Righeira, uniti però all'ambizione sfrenata di un ragazzotto che porta via il pallone se non gli passano la palla. Renzi è davvero l'uomo perfetto: per il collasso definitivo.

https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1012803072069354&id=226105204072482&fref=nf

venerdì 19 dicembre 2014

I frati francescani e le spese milionarie per l’hotel in centro. - Maria Antonietta Calabrò

Terrazza con vista nell’Hotel «Il  Cantico»
Terrazza con vista nell’Hotel «Il Cantico»

Un albergo con vista sulla Cupola di San Pietro ha trascinato alla bancarotta l’Ordine dei frati minori: «Ristrutturazione dubbia». Indaga la magistratura.

«Il Cantico è un paradiso di eleganza, calore e benessere, in armonia con un ambiente salubre e sereno», recita il sito web che magnifica il «benessere totale della persona» e l’esperienza del dormire in quell’albergo come «solo uno dei piacevoli dettagli». 
«Il Cantico» però non è quello delle creature, composto da san Francesco, che dormiva appoggiato a un sasso. 
E anche se i contenitori dei bagnoschiuma nei bagni portano incisa la preghiera del poverello di Assisi, è stato proprio quest’albergo, con vista sulla Cupola di San Pietro, a trascinare alla bancarotta l’Ordine dei frati minori. «Una grave situazione di difficoltà finanziaria» della Curia generale è stata infatti denunciata, in una lettera choc a tutti i frati dell’Ordine, dal ministro generale, l’americano padre Michael Perry in seguito a un’indagine interna condotta a partire da settembre, che ha fatto emergere operazioni «dubbie», condotte dall’Economato. Sotto accusa l’intervento di acquisizione e ristrutturazione dell’hotel. L’ex economo generale, padre Giancarlo Lati, che gestiva direttamente l’albergo «Il Cantico» si è già dimesso dall’ incarico e da quello di Rappresentante legale dell’Ordine, ufficialmente per motivi di salute. Ma intanto, padre Perry ha anche puntato il dito contro «il ruolo significativo che alcune persone esterne, che non sono membri dell’Ordine, hanno avuto nella faccenda».

Si sente insomma odore di maxitruffa operata anche da laici in questo «buco» di svariati milioni. È emerso anche, ha spiegato il superiore, che «i sistemi di vigilanza e di controllo finanziario della gestione del patrimonio dell’Ordine erano o troppo deboli oppure compromessi, con l’inevitabile conseguenza della loro mancanza di efficacia rispetto alla salvaguardia di una gestione responsabile e trasparente». Inoltre «sembrano esserci state un certo numero di dubbie operazioni finanziarie, condotte da frati cui era stata affidata la cura del patrimonio dell’Ordine, senza la piena conoscenza e il consenso» del Definitorio generale, l’organismo collegiale che guida l’Ordine.

L’allarme è evidente. Per il superiore, «la portata e la rilevanza di queste operazioni hanno messo in grave pericolo la stabilità finanziaria della Curia generale». Per questi motivi, annuncia padre Perry, il Definitorio generale, «all’unanimità ha deciso di chiedere l’intervento delle autorità civili, affinché esse possano far luce in questa faccenda». Insomma è già partita la denuncia alla Procura di Roma. E infine padre Perry richiama come incoraggiamento l’esempio offerto da «Papa Francesco nel suo appello alla verità e alla trasparenza nelle attività finanziarie, sia nella Chiesa che nelle società umane».





http://www.corriere.it/cronache/14_dicembre_19/i-frati-francescani-spese-milionarie-l-hotel-centro-754474fa-8746-11e4-b343-7326607b3ce4.shtml

Più frutta, più vita: 20mila morti in meno con altri 200 grammi al giorno.

Più frutta, più vita: 20mila morti in meno con altri 200 grammi al giorno

Uno studio di Agroter rivela che consumare più ortofrutta potrebbe far risparmiare circa 1,5 miliardi di euro di spesa sanitaria.


Una mela al giorno toglie il medico di torno. Mai proverbio fu più esatto. Secondo uno studio condotto dall'istituto Agroter, il consumo di 200 grammi di frutta e verdura in più al giorno da parte degli italiani equivarrebbe ad una prevenzione di circa 20.000 decessi per malattie cardiovascolari e un risparmio di 1,5 miliardi di euro di spesa sanitaria. Secondo i dati un italiano consumo in media 303 grammi di ortofrtutta al giorno.

In base all'analisi condotta da un team di ricercatori coordinati da Roberto Della Casa, direttore di Agroter, "l'aumento del consumo di 200 grammi al giorno di ortofrutta porterebbe ad un risparmio della spesa sanitaria per le sole malattie cardiovascolari, la prima causa di morte in Italia, di 1,5 miliardi di euro all'anno".

Tornare a quindici anni fa - Nel dettaglio, i dati elaborati da Agroter evidenziano come un italiano consumi mediamente 303 grammi di frutta e verdura al giorno: quindici anni fa, nel 2000, la quota era di 361 grammi. "L'ideale consumo di ortofrutta per una corretta alimentazione - si legge nella ricerca - dovrebbe essere oltre i 500 grammi. Se il calo dei consumi negli ultimi 15 anni non fosse accaduto si sarebbero potuti risparmiare ben 3,4 miliardi di euro oltre a prevenire 52.000 potenziali decessi da patologie cardiovascolari". In particolare, tornare ai consumi di quindici anni fa porterebbe, nei prossimi 8 anni, "a risparmi per le sole patologie cardiovascolari quantificabili in 3,3 miliardi di euro, mentre se si raggiungesse il traguardo più ambizioso, quello dei 503 grammi (+200 grammi) sempre nello stesso lasso di tempo, il risparmio sarebbe di ben 8,9 miliardi di euro".

Italiani "inconsapevoli" - Un sondaggio condotto su un campione di 2mila italiani, risulta netto lo scostamento fra il percepito e la realtà in tema di consumi di ortofrutta: solo il 9% si dice "responsabile" del calo che si è registrato nel 2013-2014, mentre il 21% addirittura parla di un aumento dei consumi. Inoltre i dati Istat evidenziano come il 45% della popolazione italiana risulti avere dei problemi con il peso (11% obesi, 31% sovrappeso, 3% sottopeso) mentre secondo l'analisi di Agroter l'87% degli intervistati afferma "candidamente" di seguire un'alimentazione sana ed equilibrata".

Mafia capitale, sequestrati 100 milioni di beni all’imprenditore Guarnera.




Duro colpo al clan di Carminati e soci di mafia capitale. Un patrimonio da 100 milioni di euro è stato sequestrato dalla Guardia di finanza di Roma a Cristiano Guarnera, considerato dagli investigatori «parte integrante» della cupola romana, l’organizzazione mafiosa capeggiata da Massimo Carminati, a disposizione della quale avrebbe messo le proprie imprese nel settore dell’edilizia. Il provvedimento di sequestro riguarda, tra l’altro, quote societarie, 178 immobili, 3 terreni, una imbarcazione da diporto, dieci tra auto e motoveicoli, disponibilità finanziarie, intestate a Guarnera e terzi interessati.  

Guarnera è considerato dagli investigatori «parte integrante» della cupola mafiosa capeggiata da Massimo Carminati. La sua figura, sottolineano, «si è nel tempo evoluta, trasformandosi da imprenditore colluso ad imprenditore mafioso, affiliandosi al gruppo criminale e divenendo parte integrante dell’associazione stessa, mettendo a disposizione dell’organizzazione le proprie imprese nel settore dell’edilizia».  

La Dia nell’ultimo anno ha monitorato 2.899 imprese in Italia, 38.033 persone e ha sequestrato beni per quasi 3 miliardi di euro che hanno interessato tutte associazioni criminali da ’ndrangheta a cosa nostra e camorra. 

QUEL CHE PUTIN NON STA DICENDO. - Pepe Escobar

escobar

Anche di fronte a ciò che in ogni aspetto si presenta come una tempesta perfetta, il presidente Putin si è prodotto in una prestazione estremamente misurata nel corso della sua conferenza stampa annuale e nella maratona di botta e risposta.
La tempesta perfetta si evolve su due fronti; una guerra economica palese - come in un assedio tramite sanzioni - e un attacco ombra concertato, sotto copertura, rivolto al cuore dell'economia russa. L'obiettivo finale di Washington è chiaro: impoverire e snervare l'avversario fino a costringerlo a piegarsi docilmente ai capricci dell'«Impero del Caos». E vantarsi di questo in tutti i modi fino alla "vittoria".

Il problema, però, è che a Mosca succede che abbiano decifrato in maniera impeccabile il gioco: già in precedenza Putin, al Valdai Club di ottobre, aveva ben inquadrato la dottrina Obama nei termini che "i nostri partner occidentali" stanno lavorando come praticanti della "teoria del caos controllato".
Così Putin ha nettamente compreso l'attacco-monstre tramite il caos controllato di questa settimana. L'Impero ha un potere monetario enorme; una grande influenza sul PIL mondiale da 85 miliardi di dollari, e il potere bancario che sta dietro tutto ciò. Quindi niente di più facile che usare questo potere attraverso i sistemi di private banking che di fatto controllano le banche centrali per incasinare il rublo. Pensate al sogno dell'«Impero del Caos» di abbassare il rublo del 99% o giù di lì - distruggendo in tal modo l'economia russa. Quale modo migliore per imporre la disciplina imperiale alla Russia?
 
L'opzione "nucleare"
 
La Russia vende petrolio in dollari USA all'Occidente. La Lukoil, per esempio, avrebbe un deposito in dollari presso una banca americana per il petrolio che vende. Se la Lukoil deve pagare i salari in rubli in Russia, poi dovrà vendere i depositi in dollari USA e acquistare in Russia un deposito in rubli per il suo conto in banca. Questo in effetti sostiene il rublo. La questione è se Lukoil, Rosneft e Gazprom stiano accumulando dollari all'estero - trattenendoli. La risposta è no. E lo stesso vale per le altre imprese russe.
 
La Russia non sta "perdendo i propri risparmi", come gongolano i grandi media commerciali occidentali. La Russia può sempre richiedere alle società straniere di trasferirsi in Russia. La Apple, per esempio, può aprire uno stabilimento di produzione in Russia. I recenti accordi fra Russia e Cina includono l'industria costruttiva cinese in Russia. Con un rublo deprezzato, la Russia è in grado di obbligare una produzione manifatturiera che poteva essere localizzata nella UE a localizzarsi in Russia; altrimenti queste aziende perdono il mercato. Putin in qualche modo ha ammesso che la Russia avrebbe dovuto pretendere questo molto prima. Il (positivo) processo è ormai inevitabile.
 
E poi c'è un'opzione "nucleare" - di cui Putin non ha nemmeno bisogno di parlare. Se la Russia decide di imporre controlli sui capitali e/o impone una"vacanza" sul rimborso delle più grosse tranches del debito in scadenza nei primi mesi del 2015, il sistema finanziario europeo sarà bombardato - in pieno stile "colpisci e sgomenta" (nell'originale: Shock and Awe, NdT); dopo tutto, gran parte del finanziamento bancario e societario russo è stato sottoscritto in Europa.
L'esposizione alla Russia di per sé non è il problema; ciò che conta è il collegamento alle banche europee. Come mi ha detto un banchiere d'investimento americano, la Lehman Brothers, per esempio, ha portato giù l'Europa così come New York City - basandosi sulle interconnessioni. Eppure Lehman aveva sede a New York. È l'effetto domino che conta.
Se la Russia schierasse questa opzione finanziaria "nucleare", il sistema finanziario occidentale non sarebbe in grado di assorbire uno shock dovuto all'insolvenza. E questo dimostrerebbe - una volta per tutte - che gli speculatori di Wall Street hanno costruito un "castello di carte" talmente fragile e corrotto che alla prima vera tempesta si trasformerà in polvere.
 
È appena a un colpo di distanza.
 
E cosa succede se la Russia va in default, creando un monumentale pasticcio per via dei 600 miliardi di dollari del debito del paese? Questo scenario è possibile leggerlo quando vediamo i Padroni dell'Universo dire a Janet Yellen e a Mario Draghi di creare crediti nei sistemi bancari per evitare un "danno ingiusto": come nel 2008.
 
Ma poi la Russia decide di tagliare il gas naturale e il petrolio all'Occidente (mentre mantiene il flusso verso l'Oriente). I servizi russi possono causare il caos non-stop nelle stazioni di pompaggio dal Maghreb al Medio Oriente. La Russia può bloccare tutto il petrolio e il gas naturale pompato nei paesi "-stan" dell'Asia centrale . Il risultato: il più grande crollo finanziario della storia. E la fine della panacea eccezionalista dell'«Impero del Caos».
Naturalmente questo è uno scenario apocalittico. Ma non provocare l'orso, perché l'orso potrebbe realizzarlo in un attimo.
 
Putin in occasione della sua conferenza stampa era così freddo, calmo, raccolto - e desideroso di approfondire i dettagli - perché sa che Mosca è in grado di muoversi in totale autonomia. Questa è - ovviamente - una guerra asimmetrica: contro un impero fatiscente e pericoloso. Che cosa stanno pensando quei nani intellettuali che sciamano intorno all' amministrazione dell'anatra zoppa Obama? Che possano vendere all'opinione pubblica americana - e mondiale - l'idea che Washington (i barboncini europei, in realtà) saprà affrontare una guerra nucleare, nel teatro europeo, in nome dello Stato fallito Ucraina?
 
Questo è un gioco di scacchi. Il raid contro il rublo doveva essere uno scacco matto. Non lo è. Non quando viene schierato da giocatori dilettanti di Scarabeo. E non dimenticate il partnenariato strategico Russia-Cina. La tempesta può essere in diminuzione, ma la partita continua.

 Traduzione  a cura di PINO CABRAS



Infatti: 

LE FIGARO: IL CROLLO DEL RUBLO E L’OPERAZIONE DI SALVATAGGIO DI PUTIN SPIEGATA DA JACQUES SAPIR.

Jacques Sapir spiega sul quotidiano francese Le Figaro l’azione del Presidente Putin per contrastare la crisi del rublo, strategia che ha provocato un bagno di sangue per gli speculatori.  Sapir spiega anche i costi di questa strategia e la probabile svolta che ne seguirà. Ma chi paragona la crisi attuale a quella del 1998, o non conosce l’economia russa, o è in malafede. 
di Jacques sapir, 18 dicembre 2014
Questo mercoledì 17 dicembre il rublo ha avuto una sessione turbolenta, ma gloriosa. Si è apprezzato nei confronti del dollaro di oltre il 15%,  e di più del 22% rispetto all’euro.  Nello stesso tempo, la Borsa di Mosca è salita del 17%. Questi movimenti, paragonabili in grandezza al drammatico declino di martedì 16, non hanno tuttavia riscosso la stessa attenzione. Ma non sono meno interessanti. Mostrano la capacità di rimbalzo dell’economia russa. Ma, andando oltre questa semplice constatazione, bisogna interrogarsi sulle scelte che sono state fatte da parte delle autorità.
La conferma della strategia del governo russo?
Nel breve termine la strategia del governo e della Banca Centrale sembra funzionare. Più che l’aumento del tasso di interesse al 17%, sembra che sia stato l’impegno delle riserve del Ministero delle Finanze e della Banca centrale ad aver causato questo notevole rialzo. E’ un rialzo molto importante, perché comporta pesanti perdite per gli speculatori che puntavano sul calo del rublo. Questa strategia deve assolutamente proseguire nei prossimi giorni per rendere queste perdite irreversibili e ridare fiducia alla popolazione russa.
Le perdite per gli speculatori devono essere state pesanti. Dei contatti al MICEX, il mercato dei cambi di Mosca, hanno segnalato dei contratti a termine stipulati martedì sera e calcolati su un potenziale corso di 75 rubli per un dollaro. Per chi aveva acquistato il dollaro a 70 rubli in attesa di venderlo a 75, e in realtà è stato costretto a vendere a 65, la differenza può essere stata mortale. Vedremo nei prossimi giorni cosa succede ad alcuni hedge fund, in particolare negli Stati Uniti, e in alcune banche più piccole.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di arrivare al livello di 55 rubli per 1 dollaro, che più o meno corrisponde al livello di equilibrio per un barile di petrolio sotto i 60 dollari e che rassicurerebbe la popolazione. Si noti che martedì notte eravamo a circa 72 rubli per dollaro, e mercoledì sera il corso è risalito a 62 rubli per dollaro.
Il costo di questa strategia.
Non si conosce ancora esattamente il prezzo di questa strategia. E’ tuttavia chiaro che la Banca Centrale e il governo hanno certamente riversato ingenti somme sul mercato per ottenere i loro scopi e dovranno spendere somme notevoli, probabilmente circa 30 miliardi di dollari alla settimana, per raggiungere questo obiettivo. E’ chiaro che la Russia ha i mezzi per farlo. Le riserve della Banca centrale ammontano a oltre 400 miliardi dollari. Ma la cosa importante – e in un certo senso la più inquietante – è il costo nascosto di questa politica. Essa comporta il mantenimento di alti tassi di interesse, attualmente al 17% all’anno, con un’inflazione di circa il 10,5% annuo. Se questo livello di tassi dovesse perdurare, strangolerebbe l’economia russa. Da questo punto di vista, è chiaro che una politica di lotta alla speculazione tramite i mezzi stessi del mercato può essere efficace, ma il suo costo, diretto e indiretto, cresce velocemente.
Resta inteso che, nello spirito del governo, questa strategia non è destinata a durare e che il governo spera che con il mese di gennaio le pressioni sul rublo si calmeranno. Tuttavia, se la speculazione si dimostrasse essere sostenuta politicamente da alcuni paesi, potrebbe non essere così. In questa situazione, la soluzione migliore per la Russia sarebbe di introdurre rapidamente delle misure di regolamentazione, i cosiddetti controlli sui capitali. Il successo della strategia adottata dalle autorità, che per il momento rifiutano  di prendere in considerazione la possibilità di controlli sui capitali, ha fatto abbassare la pressione. Ma, se l’impegno del Dipartimento delle finanze e della Banca centrale dovesse protrarsi, allora bisognerebbe riconsiderare seriamente le diverse opzioni.
Un cambiamento dei rapporti di forza in Russia?
Questa strategia segna anche un punto di svolta. Sembra infatti che il centro decisionale si sia spostato dalla Banca Centrale al governo che, ormai, supervisiona da vicino la strategia in materia di tassi di cambio. Questa svolta è in qualche modo logica; e nondimeno importante. Questa svolta ne richiama un’altra. In realtà, la decisione delle imprese russe di prendere in prestito sui mercati internazionali nasceva dalla differenza tra i tassi in Russia, derivanti dalla politica della Banca Centrale, e i tassi sui mercati. Se il governo, e in un certo senso l’amministrazione presidenziale, prende il controllo della Banca Centrale, deve andare fino in fondo e affrontare anche le condizioni di finanziamento dell’economia russa.
Quest’ultima è in una situazione in cui il potenziale di crescita è molto forte. A 55 rubli per dollaro, anche con un’inflazione sopra il 10%, la produzione realizzata in territorio russo è estremamente competitiva, sia nel mercato interno che sui mercati di esportazione. Sarebbe tragico che le aziende russe non ne potessero beneficiare e venissero strangolate nei loro progetti di investimento da tassi di interesse esorbitanti. Quindi da qui al 15 gennaio il governo dovrà affrontare questo problema, se vuole che la Russia possa trarre pieno vantaggio dalla crisi che si è appena aperta.
Le lezioni da trarre
Dagli eventi appena accaduti si può trarre un’ultima lezione. Questo mini-crash nel mercato dei cambi ha fatto riemergere tutta l’inconscia diffidenza nei confronti dell’economia russa, che risale alla crisi dell’agosto 1998. Ma ora, a differenza di allora, non c’è mai stato un rischio default. Nel 1998, le riserve della Banca Centrale erano molto scarse, circa $ 30 miliardi. Ora sono a 420 miliardi, 14 volte superiori. Nel 1998 il debito pubblico era un problema importante; oggi la Russia è uno dei paesi meno indebitati del mondo, con un debito pubblico intorno al 9% del PIL, 10 volte meno della Francia. Nella prima metà del 1998 la bilancia commerciale era in deficit, mentre ora è in avanzo di quasi 120 miliardi di dollari l’anno, una cifra paragonabile a quella della Germania.
L’industria russa si sta sviluppando rapidamente, lo si può notare dai contratti recentemente sottoscritti con l’India, così come dai numeri della produzione automobilistica, o aeronautica. E quindi non ha senso paragonare la crisi del 1998 con quello che è successo negli ultimi giorni. Tuttavia alcuni lo fanno, a volte in buona fede, dimostrando comunque una scarsa conoscenza dell’economia russa, e a volte in mala fede, dimostrando una innegabile volontà di nuocere. Quando si cerca di capire cosa sta succedendo in Russia, è importante non farsi prendere dall’ideologia . 
Jacques Sapir dirige il gruppo di ricerca IRSES presso l’FMSH e organizza con l’Institut de prévision de l’économie nationale (IPEN-ASR) un seminario franco-russo sui problemi finanziari e monetari di sviluppo della Russia. È possibile leggere i suoi articoli sul suo blog RussEurope.

Province, 20mila dipendenti da piazzare in Comuni e Regioni. Con incognita costi. - Stefano Feltri e Carlo Tecce

Province, 20mila dipendenti da piazzare in Comuni e Regioni. Con incognita costi

Per non creare migliaia di disoccupati si profila un ricollocamento di massa, con ripercussioni sulle uscite degli altri enti locali. Uno dei dossier di Carlo Cottarelli proponeva interventi meno drastici che avrebbero permesso di risparmiare, ma il governo lo ha lasciato nel cassetto.

Con la spartizione politica di poltrone quasi simboliche, le Province si sono estinte un paio di mesi fa e sono risorte con la nomina di consigli e presidenti, che spesso sommano la carica di sindaco nel comune capoluogo. In attesa che il 31 dicembre le Regioni stabiliscano il perimetro d’azione di questi emaciati enti, che avranno in gestione soltanto il servizio scolastico e la manutenzione stradale, ci sono 20.000 dipendenti provinciali in bilico. Un emendamento del governo alla legge di Stabilità prevede riduzioni d’organico di 55.000 lavoratori, il 50 per cento per le vecchie Province e 30 per cento per le nuove Città Metropolitane. Ci sarà una ricollocazione di massa anche verso altri uffici pubblici, più per non creare 20.000 disoccupati che per esigenze reali.
Con il mancato trasferimento di 3 miliardi di euro nel prossimo triennio, le Province erano destinate a scomparire dai bilanci pubblici. Ma va letto lo studio del dimenticato (e mai rimpianto da Palazzo Chigi) commissario alla spending review,Carlo Cottarelli. L’economista di Cremona, assistito dall’Unione delle Province Italiane (che avrà tutelato i propri interessi), in un rapporto di 14 pagine che Il Fatto Quotidiano ha letto, suggeriva di rivedere il modello, ma non di smantellarne la struttura col rischio di spalmare competenze e dipendenti su Regioni e Comuni, facendo lievitare i costi. “Considerato che nel 2012 – scrive l’Upi e bolla Cottarelli – le assunzioni fatte da Regioni e Comuni hanno registrato un incremento del 3,43 per cento e del 2 per cento rispetto all’anno precedente, nel caso in cui il personale delle Province venisse equamente ripartito tra Comuni e Regioni, si avrebbe automaticamente un allargamento della platea sottoposta a turnover e dunque l’aumento del numero di assunzioni possibile”. Tradotto: non solo lo Stato continuerà a pagare i dipendenti provinciali, ma spostandoli creerà la premessa per ulteriori assunzioni. Altro che risparmio.
Ancora cattive sorprese potrebbero arrivare dal lato del debito: che succede se gli edifici e i beni a garanzia dei prestiti in capo alle Province vengono passati ad altre amministrazioni? Quali sarà l’impatto sui derivati costruiti su 2,5 miliardi di euro di debiti (dati a giugno 2013, oggi gli enti locali non possono più usare la finanza strutturata)? Nessuno lo sa: “Una stima di un simile scenario è impossibile da formulare, ma le conseguenze non sono, evidentemente, prive di elevati rischi a carico della finanza pubblica”, si legge nel dossier dell’Unione delle Province. Per dimostrare che gli sprechi stanno altrove, l’Upi presenta i seguenti calcoli: come effetto delle manovre di austerità, tra 2010 e 2013 le Province hanno ridotto la spesa in conto capitale , cioè quella “buona” degli investimenti, del 7,25 per cento mentre i Comuni la tagliavano del 15,9 per cento. La spesa corrente, quella dove si annidano gli sprechi maggiori, nel frattempo scendeva del-l’11,8 per cento a livello provinciale mentre continuava ad aumentare nei Comuni, +5,8 per cento. Chissà cosa succederà ora che la legge di Stabilità impone un ulteriore miliardo di tagli lineari alle Province.
C’erano alternative: gli interventi discussi dall’Upi con Cottarelli erano drastici anche se poco spettacolari, dal blocco in entrate dei lavoratori all’eliminazione dei direttori generali alla riorganizzazione degli acquisti e degli appalti. Risparmio potenziale: 184 milioni nel 2014 che poi salgono fino a 200 annui dal 2016. Lo studio di Cottarelli a Palazzo Chigi non è stato però preso in considerazione: invece di provare a rendere le province più leggere ed efficienti, ha prevalso l’idea di svuotarle del tutto e farle diventare inutili. E pure assai poco democratiche. Perché i nuovi vertici non li ha votati nessuno. Non per astensione, malavoglia al voto, ma perché era vietato nelle cosiddette “elezioni di secondo livello”, cioè sindaci che eleggono uno di loro in Provincia o nelle Città metropolitane.