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venerdì 19 dicembre 2014

Province, 20mila dipendenti da piazzare in Comuni e Regioni. Con incognita costi. - Stefano Feltri e Carlo Tecce

Province, 20mila dipendenti da piazzare in Comuni e Regioni. Con incognita costi

Per non creare migliaia di disoccupati si profila un ricollocamento di massa, con ripercussioni sulle uscite degli altri enti locali. Uno dei dossier di Carlo Cottarelli proponeva interventi meno drastici che avrebbero permesso di risparmiare, ma il governo lo ha lasciato nel cassetto.

Con la spartizione politica di poltrone quasi simboliche, le Province si sono estinte un paio di mesi fa e sono risorte con la nomina di consigli e presidenti, che spesso sommano la carica di sindaco nel comune capoluogo. In attesa che il 31 dicembre le Regioni stabiliscano il perimetro d’azione di questi emaciati enti, che avranno in gestione soltanto il servizio scolastico e la manutenzione stradale, ci sono 20.000 dipendenti provinciali in bilico. Un emendamento del governo alla legge di Stabilità prevede riduzioni d’organico di 55.000 lavoratori, il 50 per cento per le vecchie Province e 30 per cento per le nuove Città Metropolitane. Ci sarà una ricollocazione di massa anche verso altri uffici pubblici, più per non creare 20.000 disoccupati che per esigenze reali.
Con il mancato trasferimento di 3 miliardi di euro nel prossimo triennio, le Province erano destinate a scomparire dai bilanci pubblici. Ma va letto lo studio del dimenticato (e mai rimpianto da Palazzo Chigi) commissario alla spending review,Carlo Cottarelli. L’economista di Cremona, assistito dall’Unione delle Province Italiane (che avrà tutelato i propri interessi), in un rapporto di 14 pagine che Il Fatto Quotidiano ha letto, suggeriva di rivedere il modello, ma non di smantellarne la struttura col rischio di spalmare competenze e dipendenti su Regioni e Comuni, facendo lievitare i costi. “Considerato che nel 2012 – scrive l’Upi e bolla Cottarelli – le assunzioni fatte da Regioni e Comuni hanno registrato un incremento del 3,43 per cento e del 2 per cento rispetto all’anno precedente, nel caso in cui il personale delle Province venisse equamente ripartito tra Comuni e Regioni, si avrebbe automaticamente un allargamento della platea sottoposta a turnover e dunque l’aumento del numero di assunzioni possibile”. Tradotto: non solo lo Stato continuerà a pagare i dipendenti provinciali, ma spostandoli creerà la premessa per ulteriori assunzioni. Altro che risparmio.
Ancora cattive sorprese potrebbero arrivare dal lato del debito: che succede se gli edifici e i beni a garanzia dei prestiti in capo alle Province vengono passati ad altre amministrazioni? Quali sarà l’impatto sui derivati costruiti su 2,5 miliardi di euro di debiti (dati a giugno 2013, oggi gli enti locali non possono più usare la finanza strutturata)? Nessuno lo sa: “Una stima di un simile scenario è impossibile da formulare, ma le conseguenze non sono, evidentemente, prive di elevati rischi a carico della finanza pubblica”, si legge nel dossier dell’Unione delle Province. Per dimostrare che gli sprechi stanno altrove, l’Upi presenta i seguenti calcoli: come effetto delle manovre di austerità, tra 2010 e 2013 le Province hanno ridotto la spesa in conto capitale , cioè quella “buona” degli investimenti, del 7,25 per cento mentre i Comuni la tagliavano del 15,9 per cento. La spesa corrente, quella dove si annidano gli sprechi maggiori, nel frattempo scendeva del-l’11,8 per cento a livello provinciale mentre continuava ad aumentare nei Comuni, +5,8 per cento. Chissà cosa succederà ora che la legge di Stabilità impone un ulteriore miliardo di tagli lineari alle Province.
C’erano alternative: gli interventi discussi dall’Upi con Cottarelli erano drastici anche se poco spettacolari, dal blocco in entrate dei lavoratori all’eliminazione dei direttori generali alla riorganizzazione degli acquisti e degli appalti. Risparmio potenziale: 184 milioni nel 2014 che poi salgono fino a 200 annui dal 2016. Lo studio di Cottarelli a Palazzo Chigi non è stato però preso in considerazione: invece di provare a rendere le province più leggere ed efficienti, ha prevalso l’idea di svuotarle del tutto e farle diventare inutili. E pure assai poco democratiche. Perché i nuovi vertici non li ha votati nessuno. Non per astensione, malavoglia al voto, ma perché era vietato nelle cosiddette “elezioni di secondo livello”, cioè sindaci che eleggono uno di loro in Provincia o nelle Città metropolitane.

sabato 13 settembre 2014

Province, l’ultimo trucco della casta: via il nome, restano tutte le funzioni.

Province, l’ultimo trucco della casta: via il nome, restano tutte le funzioni

Tra le competenze fondamentali che rimarranno agli enti intermedi anche l'ambiente, le scuole, il trasporto pubblico, la pianificazione del territorio. Infatti dai territori si chiedono risorse altrimenti, come dice il presidente della Conferenza delle Regioni Chiamparino, non potranno essere garantite funzioni fondamentali come il riscaldamento delle scuole o la pulizia delle strade dalla neve.

Tutela dell’ambiente, gestione delle strade provinciali, pianificazione del territorio e del trasporto pubblico, controllo di quello privato, gestione dell’edilizia scolastica. Sono le competenze fondamentali delle nuove Province. Le vecchie Province, invece, prima della riforma Delrio, si occupavano anche di tutela dell’ambiente, gestione delle strade provinciali, pianificazione del territorio e del trasporto pubblico, controllo di quello privato, gestione dell’edilizia scolastica. Cioè le stesse materie. Per capirci qualcosa servirebbe uno bravo nel gioco della Settimana Enigmistica: trova le differenze. Il cerchietto finirebbe forse sul taglio delle poltrone (tra assessori e consiglieri saranno poco meno di mille anziché 2500) e magari sulle modalità di elezione: non più i cittadini che votano i politici, ma i politici che votano i politiciCioè i consiglieri comunali che votano i consiglieri provinciali, presidenti compresi. L’elezione di secondo livello, come quella per il Senato disegnato dai consiglieri regionali. In queste ore, anche se nessuno se ne accorge, ci sono tavoli diplomatici per cercare alleanze, sostegni, appoggi esterni tra i partiti. Una vera e propria campagna elettorale sottotraccia: arrivare al vertice ha soprattutto un significato politico (per dire: con un po’ di alleanze il M5s potrebbe prendersi Livorno).
Ma non solo. Regioni e Stato si sono incontrati, l’11 settembre, per definire se le Province dovranno prendere altre materie da gestire e su cui intervenire. Ma quelle 5-6 ci saranno di sicuro e il paradosso è che sono state proprio quelle il cuore della ragione d’essere delle Province conosciute fino a ora. Sembra un gioco di prestidigitazione: Matteo Renzi non avrà la bacchetta magica, ma forse un cilindro e un mazzo di carte se li è procurati. Come spiega il presidente dell’Upi Alessandro Pastacci, d’altronde, le Province continuano “a erogare funzioni fondamentali, in particolare, sulla costruzione e gestione dell’80% delle strade, pari a circa 130mila chilometri e sulla gestione della edilizia scolastica delle superiori secondarie, che sono circa 5mila edifici. Per questo è necessario che vengano erogate le risorse adeguate”. E d’altra parte la conferma è arrivata dalle dichiarazioni anche di chi rappresenta le Regioni: se non ci saranno trasferimenti sufficienti, dice il presidente Sergio Chiamparino, non saranno garantite funzioni fondamentali “come il riscaldamento nelle scuole o la pulizia delle strade dalla neve“. “Proceduralmente – aggiunge chiedendo che le risorse siano già nella legge di stabilità – ci sono delle garanzie che verranno attribuite le risorse per far si che le nuove province possano ottemperare almeno alle funzioni fondamentali , alla parte fondamentale dei loro compiti, però i soldi non ci sono ancora quindi questo è un altro tema. Rischiamo di non riuscire a mantenere le scuole aperte o la minima funzionalità delle viabilità in particolare in zone impervie e montagna”. Mentre tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre verranno eletti sindaci e consigli metropolitani di 8 città e presidenti e consigli di 64 Province, 33 di queste presentano una situazione di “pre-dissesto”, come è emerso dalla due diligence realizzata da Upi, ministero dell’Economia e Viminale.
Ogni Regione deciderà sulle competenze da delegare alle Province
In questo scenario c’è che la riunione dell’11 settembre non ha sciolto il nodo sulle (ulteriori) competenze che le Regioni dovrebbero distribuire alle Province. Anzi l’incontro è terminato con la decisione che ogni Regione deciderà per sé. L’unica decisione già definitiva riguarda la tutela delle minoranze linguistiche. Per il resto bisogna aspettare ancora – come scrive il Corriere della Sera – lasciando scoperte competenze importanti come culturaturismo e sport sulle quali è necessario un coordinamento di “area vasta” che non sia il piccolo territorio di un comune, ma neanche l’estensione di una regione nella quale ogni area ha esigenze e dinamiche diverse. Il risultato è che da semplificazione diventi ulteriore complicazione.
 
Le elezioni di fine settembre e inizio ottobre
Per le prime la presentazione delle liste dei candidati, secondo quanto fissato dalla circolare 32 del 2014 del ministero dell’Interno, è stata prevista entro il 20esimo giorno precedente le votazioni e per le seconde entro il 40esimo. Tutto ciò inevitabilmente ha dato vita a un fitto gioco di alleanze tra i vari gruppi consiliari, ancora in via di definizione in molte realtà, che va a sommarsi a una delle novità della legge 56 di riforma degli enti locali, vale a dire il voto di secondo livello, che esclude i cittadini conferendo la scelta a coloro che sono già stati eletti (i sindaci), che saranno chiamati ad eleggere i consigli metropolitani di 8 città metropolitane – MilanoBolognaGenovaFirenze e Bari, che andranno alle urne il 28 settembreRoma5 ottobre, e Torino e Napoli il 12 ottobre – e i presidenti e i consigli di 64 province (per i quali le urne saranno aperte nella maggior parte dei casi il 12 ottobre).
Città metropolitane
Il sindaco metropolitano sarà di diritto il primo cittadino del comune capoluogo (condizione che vale sempre a meno di modifiche stabilite per statuto); sono eleggibili come consigliere metropolitano i sindaci e i consiglieri comunali in carica. Il consiglio metropolitano sarà composto da: sindaco metropolitano, 24 consiglieri nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 3 milioni di abitanti (RomaMilanoNapoli); oppure da 18 (nelle realtà con popolazione residente superiore a 800mila e inferiore o pari a 3 milioni di abitanti (TorinoVeneziaGenovaBolognaFirenzeBari). Quattordici infine nelle altre (Reggio Calabria).
I termini per la presentazione delle liste di candidati al Consiglio metropolitano sono stati fissati tra il 19 e il 13 settembre, nel caso in cui si vota il 28 settembre, e tra il 23 e il 27 settembre se si va alle urne il 12 ottobre. Otto giorni prima della votazione le liste definitive dei candidati al consiglio metropolitano sono pubblicate sul sito internet della Provincia (entro il 20 settembre se si vota il 28 settembre o entro il 4 ottobre nel caso del 12 ottobre).
Nuove Province
Sono eleggibili a consigliere provinciale i sindaci e i consiglieri comunali in carica, nonché, limitatamente alle prime elezioni, i consiglieri provinciali uscenti. Il consiglio dura in carica 2 anni. Sono eleggibili a presidente della Provincia i sindaci della provincia il cui mandato scada non prima di 18 mesi dallo svolgimento delle elezioni e, in sede di prima applicazione, anche i consiglieri provinciali uscenti. Il presidente dura in carica 4 anni. Eleggono il presidente e il consiglio provinciale, i sindaci e i consiglieri dei comuni della provincia. Le date per la presentazione delle liste dei candidati sono state fissate al 7 settembre, in caso di voto il 28 settembre, e al 21 settembre nel caso del 12 ottobre.
Il profilo di innovazione che contempla, entro il 2015, la nascita delle città metropolitane e delle nuove province di area vasta, prevede anche un taglio dei nuovi amministratori, che alla fine saranno in tutto 986, anziché 2500, distribuiti tra 162 consiglieri metropolitani, 64 presidenti di provincia e 760 consiglieri provinciali. La legge prevede l’introduzione del voto ponderato: ogni elettore cioè esprimerà una scelta che sarà proporzionale al numero di cittadini che il consigliere comunale e il sindaco rappresentano nell’ambito del comune di appartenenza. Per l’elezione del consiglio metropolitano e del consiglio provinciale la legge introduce, oltre al voto ponderato, un voto di lista, con la possibilità per l’elettore di esprimere un voto di preferenza per uno dei candidati compreso nella lista.
Regione Lombardia: “E’ il funerale della legge Delrio”
Tra gli amministratori locali del centrodestra si usano immagini nette: “Si è sentito di fatto il fallimento della riforma Delrio”, dice l’assessore all’Economia della Regione Lombardia Massimo Garavaglia (Lega) e questo perché “nel testo del decreto che il governo emana a supporto della riforma all’articolo 3, comma 3, viene scritto che il governo non metterà un euro in più sulle funzioni in capo alle nuove province e lo stesso faranno le regioni”. Per il sottosegretario alle Riforme lombardo Daniele Nava (Ncd) “si celebra il funerale della legge Delrio”“Il Parlamento – aggiunge – ha votato una legge e il Governo non la finanzia. È una grandissima presa in giro per i cittadini e presto ci sarà un cortocircuito istituzionale, che pagheranno gli stessi cittadini. Non ci può essere trasferimento delle funzioni alle Province ma senza soldi. E’ una decisione molto pericolosa per alcuni servizi fondamentali”.
M5s: “Balladopoballa, Province mai abolite”
Intanto sulla questione, sotto il profilo di rimborsi e indennità, interviene anche il Movimento Cinque Stelle che trasforma il “passo dopo passo” di Renzi in “#balladopoballa”: “Il gattopardismo del Governo Renzi ha già fatto scuola – si legge in un post sul sito di Beppe Grillo – Nella conversione in legge del Dl Pubblica amministrazione del 7 agosto 2014 è stata inserita una postilla (all’articolo 23, comma 84 del paragrafo f-bis) grazie alla quale le Province, mai abolite e tuttora attive, dovranno continuare a erogare ricchi rimborsi spese a consiglieri e a presidenti peraltro non più eletti ma nominati dalla politica stessa”.