domenica 28 luglio 2019

Procida, Mar Tirreno.





7 Meraviglie del Mondo Antico che rappresentano un Mistero ancor Oggi. Monumento Yonaguni, Giappone - Annalisa Lo Monaco

7 misteri di civiltà scomparse 7

Il Monumento Yonaguni è composto da rocce sommerse al largo della costa di Yonaguni, la più meridionale delle isole Ryukyu, in Giappone. Nel 1986 il subacqueo Kihachiro Aratake, immergendosi nelle acque a sud dell’isola di Yonaguni, vide alcune strane strutture, la cui parte superiore si trova a circa 5 metri sotto il livello del mare. Aratake rimase stupefatto di fronte alle massicce formazioni simili a piramidi, con perfetti angoli di 90 gradi, pareti diritte, gradini, colonne e quello che sembra essere un volto umano scolpito nella roccia. Potrebbero essere le rovine di una civiltà antica di 10.000 anni, che modellò le rocce durante l’era glaciale, quando l’isola di Yonaguni era ancora terraferma, in un “ponte continentale” tra l’Asia e il Giappone.
Masaaki Kimura, un geologo marino della Università di Ryukyu, che ha studiato e mappato il sito per oltre 15 anni, ritiene che i monumenti appartenessero a una città che risale a cinquemila anni fa, sommersa da un terremoto circa nell’anno Zero. Oltre alla piramide, Kimura sostiene di aver trovato altre numerose strutture, tra cui un castello, e quello che sembra essere un enorme stadio. Ciò che è più interessante è che gli edifici sarebbero collegati da strade e linee d’acqua. Mentre per Kimura e altri scienziati le formazioni rocciose sarebbero opera dell’uomo, e quindi di una sconosciuta civiltà scomparsa, per altri sarebbero di origine naturale, frutto della conformazione geologica della zona. Il Monumento Yonaguni rimane immerso nel mistero: i sostenitori della tesi che sia frutto dell’opera dell’uomo lo mettono in relazione con il mitico continente Mu; chi è convinto che la Terra sia stata visitata dagli alieni in epoche remote, sostiene che Il Monumento fosse una base per le antiche astronavi.

Il ministro dell'Esterno. - Marco Travaglio

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Segnatevi questa frase. È del 4 febbraio 2015, da un’intervista a Panorama: “Pazzesco. Un ministro dell’Interno che twitta su indagini in corso non merita neppure un commento. Il fatto in sé la dice tutta sul quel personaggio lì”.
Quel personaggio lì era Angelino Alfano, che aveva appena annunciato tutto giulivo via Twitter l’arresto di Massimo Bossetti, sospettato dell’omicidio di Yara Gambirasio e da lui già dato un minuto dopo per sicuro colpevole. E il nostro uomo gli saltò (giustamente) addosso: “Io non sopporto la spettacolarizzazione… Massimo riserbo e massimo silenzio. Non dovrebbe trapelare nessuna notizia… Poi non bisogna mai esibire un catturato. Se devi portare via uno, lo porti via di nascosto, la notte”.
E chi era di questo squisito ipergarantista, questo sensibilissimo custode del riserbo? Matteo Salvini, tre anni prima di diventare ministro dell’Interno e di twittare compulsivamente su ogni arresto (anche se ancora da eseguire), indagine e sospetto, assumendosene il merito (che peraltro è sempre della magistratura e delle forze dell’ordine), chiedendo condanne esemplari e promettendo inasprimenti di pene.
“Pazzesco”, avrebbe detto il Salvini del 2015 sul Salvini del 2019. Anzi, di “quel personaggio lì”.
Memorabile il suo cinguettio all’alba del 4 dicembre scorso: “15 mafiosi nigeriani arrestati a Torino dalla Polizia. Grazie alle Forze dell’Ordine! La giornata comincia bene!”. Purtroppo la Polizia ne stava ancora cercando alcuni, sfuggiti alla cattura perchè non erano in casa o non avevano casa. Forse qualcuno, avvisato dal ministro che lo stavano cercando, non si fece più trovare. Il procuratore Armando Spataro s’infuriò: “Non sono accusati di mafia, non sono 15 e non li abbiamo ancora arrestati tutti. Così si rischia di danneggiare l’operazione”. Il cosiddetto ministro replicò: “Se il procuratore di Torino è stanco, vada in pensione” (unica variante del refrain prima fassiniano e poi salviniano: “Se Tizio vuole fare politica, si faccia eleggere”).
Poi, il 6 giugno scorso, ci ricascò con un altro leggendario tweet: “Si erano fronteggiati a Prato con coltelli e pistole per il controllo della prostituzione: 10 cinesi, tra cui 6 clandestini, sono stati arrestati. Grazie ai Carabinieri! Nessuna tolleranza per i delinquenti: la pacchia è finita!”. Furioso il procuratore di Prato Giuseppe Nicolosi, perché l’operazione era in pieno corso: i cinesi arrestati erano solo 3, gli altri 7 non si sono più trovati.
Pare che ormai i delinquenti comuni - oltre a quelli in guanti gialli che popolano il suo partito e il suo entourage - seguano appassionatamente Salvini sui social. Vedi mai che li avverta in anteprima che qualcuno sta andando a prenderli.
L’altroieri, l’apoteosi con la tragedia del vicebrigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega, assassinato durante un’operazione in borghese ancora tutta da chiarire. Salvini condivide subito una notizia del messaggero.it – presa per buona anche da Gentiloni, poi rivelatasi falsa o incompleta – sulla “caccia a due nordafricani” e aggiunge: “Caccia all’uomo a Roma, per fermare il bastardo che stanotte ha ucciso un Carabiniere a coltellate. Sono sicuro che lo prenderanno, e che pagherà fino in fondo la sua violenza: lavori forzati in carcere finché campa”. E poi, a stretto giro: “Spero li prendano il prima possibile e che finiscano in galera ai lavori forzati a vita, come in Austria”.
La solita pagliacciata di annunciare o promettere cose impossibili: ammesso e non concesso che un giorno Salvini presenti una legge sui lavori forzati (al momento, è la prima volta che ne parla), questa varrebbe comunque per chi commettesse reati dopo quella data, non per chi li ha perpetrati prima. Idem per l’escalation di insulti ai sospettati ancora senza nome e senza volto: “bastardi”, “infami”, “stronzi”, come se qualcuno provasse simpatia per loro, e se bastasse qualche contumelia per riportare in vita il morto ammazzato, lenire il dolore dei familiari e placare lo sdegno dei cittadini. Infatti, siccome nessuno se lo fila, qualche ora dopo Salvini si riprende dallo choc per la nazionalità dei sospetti (extracomunitari, sì, ma americani). E rilancia ancora, col solito ribaldo accenno alla pena di morte, lanciando il sasso e ritraendo la mano: “Sperando che l’assassino del nostro povero carabiniere non esca più di galera, ricordo ai buonisti che negli Stati Uniti chi uccide rischia la pena di morte. Non dico di arrivare a tanto, ma al carcere a vita (lavorando ovviamente) questo sì!”.
Peccato che l’ergastolo per l’omicidio volontario aggravato, come quello del carabiniere, in Italia sia già previsto. Da sempre. Se qualche omicida non lo sconta per intero, è per le mille norme impunitarie varate da centrosinistra e centrodestra (Lega inclusa) per i loro amichetti accusati di tutt’altri reati. Il problema è che il ministro dell’Interno non è pagato per piangere i morti ammazzati, lanciare insulti e auguri di “marcire in galera” a chi delinque e suggerire le pene ai giudici. Ma far sì che si delinqua un po’ meno, con quella cosa (per lui) misteriosa che si chiama “prevenzione”. Cioè con investimenti per riempire i vuoti in organico delle forze dell’ordine (a Roma – segnala Virginia Raggi, inascoltata da Salvini, da prima del delitto Desirée, maturato anch’esso nei bassifondi della droga – mancano almeno 2 mila agenti di Polizia, e l’ordine pubblico e la prevenzione anticrimine non spettano certo a sindaci e vigili urbani). E soprattutto per organizzarli e dislocarli meglio sul territorio.
Ma tutto questo riguarda un eventuale ministro dell’Interno. Noi invece abbiamo un ministro dell’Esterno, che fa e dice tutto quel che non dovrebbe e quel che dovrebbe non lo fa e non lo dice. “Quel personaggio lì”.
Marco Travaglio FQ 28 luglio

sabato 27 luglio 2019

La leggenda del santo Pignatone. - Marco Travaglio FQ 27 luglio

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Aveva ragione Renzi: “Il tempo è galantuomo”. É bastato attendere nove mesi e il gip ha respinto la richiesta di archiviazione per suo padre Tiziano su Consip. Spiace per chi (tutti) l’aveva spacciata per la pietra tombale su uno degli scandali più gravi e censurati della storia recente: il padre del premier che traffica direttamente o per interposto Carlo Russo per influire su gare miliardarie della stazione appaltante pubblica guidata da un manager nominato dal figlio, facendosi promettere tangenti dall’imprenditore Alfredo Romeo; e gli amici del figlio premier che, avvertiti dell’indagine della Procura di Napoli, avvisano il suo babbo e i capi di Consip perché rimuovano le cimici e non parlino più al telefono.
Ereditato quel po’ po’ d’inchiesta, i pm romani non trovarono di meglio che indagare su chi aveva indagato (prima Woodcock, poi Scafarto); liquidare Russo come millantatore; salvare Tiziano e Romeo malgrado le prove del loro incontro (sempre negato); e chiedere il processo solo su Lotti, i generali Del Sette e Saltalamacchia e pochi altri per le fughe di notizie, e su nessuno per le trame su appalti e mazzette (non pagate proprio per le soffiate). Un capolavoro di minimalismo giudiziario tipico di Giuseppe Pignatone e dei suoi fedeli, pm e giornaloni. Voi direte: ma chi se ne frega di Renzi buonanima, e tantopiù di suo padre. Vero. Ma il caso Consip è una formidabile prova su strada di come s’è ridotta gran parte della magistratura e della stampa. Che infatti hanno dipinto la guerra per bande attorno al Csm come una lotta fra i cherubini guidati da un cavaliere senza macchia e senza paura (Pignatone, sempre sia lodato) e i diavoli al soldo di un manigoldo (il terribile Palamara). E, sul dogma dell’Immacolato Pignatone, han costruito l’imperativo della “continuità” in procura: un modo soave per sponsorizzare Lo Voi, l’amico dell’ex procuratore, alla successione. Ora che il gip Sturzo smaschera quel minimalismo, ci si attenderebbe un po’ di resipiscenza sulla leggenda del Santo Pignatone. Invece, zero titoli.
Il 30 ottobre Repubblica sparava in prima pagina la richiesta di archiviazione per Renzi sr.&C., come pure il Fatto. E, dentro, altre due pagine col commento di Bonini che metteva in un unico “verminaio” le soffiate di Del Sette&C., gli errori del cap. Scafarto e gli scoop del Fatto (“cassa di risonanza e clava per massimizzare l’eco e il danno politico al presidente del Consiglio”: peccato che Renzi il giorno dello scoop non fosse più premier da 18 giorni).
E poi un pezzo strappalacrime sul dolore inestinguibile di babbo Tiziano per il lungo calvario subito: “Mi riprenderò la reputazione, ora chiederò anche i danni”. Sì, ciao core.
Ieri invece, sul no all’archiviazione, solo uno striminzito pezzullo in basso a pag. 17. Nulla in prima pagina. Lì, in compenso, trova ampio spazio l’ennesima intervista al neocondannato Giuseppe Sala, che esclude alleanze con Di Maio perchè “è screditato moralmente e politicamente”: infatti è incensurato.
Per il Corriere, la richiesta di archiviazione nove mesi fa valeva un’intera pagina: ora il diniego vale un bassetto a pag. 6. 
Stesso spaziuccio su La Stampa, che il 30 ottobre festeggiava lo scampato pericolo con un’intera pagina. Strepitoso il Messaggero: apertura di pagina per la richiesta e trafiletto di 13 righe sul rigetto. 
Il Mattino aveva addirittura un commento in prima di tal Massimo Adinolfi, furibondo con i giornali che avevano raccontato lo scandalo (quindi non col suo) e brindava perchè “le accuse contro Tiziano Renzi finiscono in nulla”, “un fatto politico rilevante, vista la canea sollevata”. Ieri abbiamo cercato tracce di lui e della notizia sulla prima del Mattino, ma invano: l’Adinolfi sarà in ferie o a disperarsi al muro del pianto. 
Anche Avvenire, a suo tempo, si associò ai festeggiamenti, scambiando i pm per giudici e le richieste per sentenze: “Inchiesta Consip al capolinea. Archiviazione per Tiziano Renzi”. 
Ora si scopre che non era vero, ma ci vuole il microscopio elettronico per scovare il mini-titolo a pagina 8. Piero Sansonetti, sul Dubbio, ci dava lezioni di diritto perchè osavamo contestare la scelta dei pm: “L’assoluzione del giudice vale poco: conta solo il giudizio di Marco Travaglio”. Cioè: il pover’uomo chiamava il pm “giudice” e la sua richiesta “assoluzione”. Ora che finalmente si pronuncia il giudice e ci dà ragione, il Dubbio - che intanto ha cambiato direttore - nasconde la notizia in una brevina.
Sempre nel reparto “giuristi per caso”, segnaliamo la povera Annalisa Chirico. Il 30 ottobre delirava su un’intera pagina del Foglio: “Scafarto e l’attacco politico a Renzi”, “la Procura sgonfia la fuffa di Consip”. E tributava il giusto omaggio ai pm, naturalmente non gli odiosi napoletani, ma gli adorati romani: “Senza il provvido intervento della procura capitolina, con Pignatone e Paolo Ielo in testa, i cittadini avrebbero creduto a una fake inchiesta basata su prove letteralmente false”. Adesso che il gip ha disposto diversamente, scoprirà forse che, fra il pm e il giudice, vince il giudice. E magari se ne farà un ragione.
Infine, l’angolo del buonumore. Il 29 ottobre il rag. Claudio Cerasa, direttore del Foglio, twittava giulivo: “Oggi la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione per Tiziano Renzi… Forse qualcuno dovrebbe cominciare a farsi un esame di coscienza”. Con lo spiritoso hashtag “#domaninotiziainunboxapagina450”. Noi, alla richiesta di archiviazione, dedicammo l’apertura della prima pagina, come ieri al suo rigetto. Invece il Foglio è l’unico quotidiano (si fa per dire) che non ha scritto una riga. In realtà la notizia era prevista a pagina 450, ma purtroppo il Foglio ne ha solo otto.

7 Meraviglie del Mondo Antico che rappresentano un Mistero ancor Oggi - Teste Giganti Messico - Annalisa Lo Monaco

7 misteri di civiltà scomparse 4

Quella degli Olmechi è considerata la prima civiltà mesoamericana, che si sviluppò tra il 1200 e il 400 a.C., e influenzò tutte le successive culture (Aztechi e Maya) del territorio messicano. Tra i manufatti artistici creati da questo popolo, di particolare rilievo sono le colossali teste umane, ritrovate numerose nei principali siti archeologici. Stranamente non corrispondenti alla fisionomia dei popoli precolombiani, le teste sono caratterizzate da labbra prominenti, naso schiacciato, espressione corrucciata sotto un copricapo simile a un casco. Scolpite in enormi massi di basalto, le teste raggiungono i quattro metri di altezza, e arrivano a pesare tra le sei e le otto tonnellate.

Archeologi e studiosi sono ancora incerti sul significato di queste sculture: forse rappresentano dei guerrieri, o una dinastia di regnanti, o personaggi legati al sacro gioco della palla, inventato dagli olmechi e trasmesso alle successive culture mesomericane. Secondo una teoria sviluppatasi in Africa, le teste mostrano caratteristiche somatiche appartenenti appunto a popoli africani, e sarebbero la prova della presenza nel continente di civiltà molto avanzate, in grado di navigare fino al nuovo mondo molti secoli prima di Cristoforo Colombo. Per molti versi ancora enigmatica, la cultura olmeca scomparve senza una ragione apparente, forse inglobata da successive civiltà.

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L'oro degli Olmechi

Arte olmeca-preclassica Civilta olmeca, Messico, IX-IV secolo a.C. Cerimonia di offerenti, figure e steli in giada. Da La Venta.
Civilta olmeca, Messico, IX-IV secolo a.C. Cerimonia di offerenti, figure e steli in giada. Da La Venta.

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Un piccolo oggetto simile ad una borsa sembra accomunare tre culture lontane nel tempo e nello spazio: la cultura di Gobekli Tepe in Turchia (11 mila anni fa), la cultura sumera (5 mila anni fa) e la cultura Olmeca (3,3 mila anni fa).

Magenta, un’infermiera va in overdose in reparto. Indagine sugli ammanchi di morfina dall’armadio dei farmaci pericolosi. - Ersilio Mattioni

Magenta, un’infermiera va in overdose in reparto. Indagine sugli ammanchi di morfina dall’armadio dei farmaci pericolosi

A metà luglio il direttore generale dell'Ospedale Fornaroli ha fatto denuncia ai Carabinieri. Mancavano 8-12 fiale di morfina da 10 milligrammi l’una, quando una dose non supera i 2-3 milligrammi. C'è il sospetto che i furti siano in corso da tempo. E che medici e paramedici usino droga per reggere turni massacranti in una struttura sotto organico.
Un’infermiera trovata in overdose da morfina e viva per miracolo, un ingente quantitativo di stupefacenti trafugato da una stanza chiusa a chiave, un’indagine dei Carabinieri e il timore che, da un momento all’altro, i Nas possano piombare nel reparto Rianimazione. Come se non bastasse, dall’ospedale ‘Giuseppe Fornaroli’ di Magenta giungono voci insistenti su medici e paramedici che, per reggere turni massacranti in una struttura sotto organico, farebbero ricorso alla droga. Se fosse vero, vorrebbe dire che ci sono sanitari in stato di alterazione durante lo svolgimento del proprio turno di servizio, mentre sono a contatto con i pazienti.
Lo era certamente l’infermiera di 44 anni, residente nel Magentino, lo scorso venerdì 5 luglio. Un esame tossicologico ha dimostrato che la donna aveva assunto, prima di cominciare il turno, un cocktail di sostanze stupefacenti, tra cui morfina e cocaina. Negli ambienti ospedalieri lo chiamano ‘speedball’, un termine inglese che indica la combinazione di morfina (un oppiaceo) e cocaina (un eccitante). Il mix, tramite iniezione o inalazione, serve a potenziare le proprie capacità senza dare l’impressione di essere drogati. Funziona, ma causa una forte dipendenza fisica. Ed è pericoloso. Se l’effetto di una delle due sostanze finisce troppo presto, si va in crisi respiratoria. Questo è successo alla 44enne di Magenta. Viva per puro caso, solo perché una sua collega, prima di iniziare a lavorare, va in bagno per raccogliersi i capelli e sente un rantolo che proviene dagli spogliatoi. Preoccupata, apre la porta e trova l’infermiera stesa a terra, con una fiala di morfina che fa bella mostra nell’armadietto. Scatta l’allarme e un medico le inietta un farmaco ‘antagonista’, che annulla l’effetto della morfina. Lei reagisce subito. Pochi minuti ancora e sarebbe morta.
Ma chi può accedere alla stanza degli stupefacenti? Intorno a metà luglio i responsabili della Rianimazione decidono di svolgere un controllo incrociato sui farmaci pericolosi e sul registro. Tutto deve essere segnato nel dettaglio: chi preleva lo stupefacente, quale medico lo ha prescritto e chi è il paziente che ne deve usufruire. Si scoprono clamorosi ammanchi nell’ordine di 8-12 fiale da 10 milligrammi l’una. E’ un’enormità, se si pensa che la dose da assumere non può superare i 2-3 milligrammi. Inoltre, i controlli riguardano solo gli ultimi mesi e cresce il sospetto che i furti di stupefacenti siano in corso da tempo. “Non appena abbiamo saputo degli ammanchi – spiega il direttore generale della Asst, Fulvio Odinolfi, a Ilfattoquotidiano.it – abbiamo proceduto con una denuncia ai Carabinieri, dalla quale è scaturita un’indagine. Se arriverà un’ispezione dei Nas, saremo pronti. Di sicuro, siamo a completa disposizione delle forze dell’ordine, che avranno la nostra totale collaborazione. Nulla, in questa storia, verrà lasciato al caso”.
La prima denuncia contro ignoti, però, non va a buon fine. L’ospedale spedisce dai Carabinieri di Magenta un’infermiera semplice. E quando i militari si rendono conto che la materia è delicata, chiedono di parlare con un responsabile. Il coordinatore degli infermieri è in ferie. Così la dipendente torna in caserma accompagnata da un medico alcuni giorni dopo, per la precisione il 15 luglio. In quello stesso momento, all’ospedale ‘Giuseppe Fornaroli’, c’è l’assessore regionale alla Sanità, Giulio Gallera, per inaugurare i nuovi poliambulatori. Sopra, in corsia, si tagliano nastri e si brinda a quella che i politici chiamano “l’eccellenza lombarda”; sotto, in Rianimazione, si rimettono assieme i cocci della tragedia e ci si chiede cosa succederà adesso. Il clima è pesante.
Agli infermieri viene imposta la consegna del silenzio e viene convocata, per il primo pomeriggio del 22 luglio, una riunione urgente. All’ordine del giorno un solo punto: gestione degli stupefacenti. A presiedere l’incontro Maria José Rocco del Sitra (Servizio infermieristico tecnico e riabilitativo aziendale) e Gabriella Cirrincione (capo area della Rianimazione). Vengono dettate le nuove regole sulla custodia della chiave per accedere agli stupefacenti e sulla compilazione dell’apposito registro. Ma non viene affrontato un problema da sempre irrisolto: le chiavi sono due, l’altra è nella sala medici e i dottori la possono utilizzare senza sottoporsi alle nuove rigide procedure.
Odinolfi, pur chiarendo che “gli stupefacenti non sono alla mercé di chiunque”, ammette che potrebbe esserci una falla nel sistema di sicurezza, garantendo “il massimo impegno per trovarla e debellarla”. Tutto questo al netto dei sistemi, alcuni ineliminabili, per rubare i farmaci custoditi sotto chiave. Non all’ospedale di Magenta, ma in ogni nosocomio italiano. L’elenco è lunghissimo. Il più semplice è dichiarare che una fiala, mentre veniva prelevata, si è rotta ed è stata sostituita con una nuova. Un altro molto diffuso è quello di trattenere il flacone da 10 milligrammi dopo aver iniettato al paziente una dose di 3-4 milligrammi al massimo. L’ordine è quello di buttare via il contenuto inutilizzato, ma non tutti lo fanno. Poi ci sono i furti veri e propri, stando attenti a non farsi vedere oppure attingendo dalle scatole di scorta, quelle collocate sul fondo dell’armadietto, che di fatto non si aprono mai.
Mentre la lunga storia delle sparizioni degli stupefacenti getta un’ombra sinistra sull’ospedale di Magenta, in Rianimazione si ricomincia a lavorare con le stesse difficoltà. Gli infermieri assunti sono 18, ma quelli in servizio 14 a causa di malattie e maternità. Nessuno ha provveduto a integrare l’organico e i turni da svolgere sono 3, oltre agli ‘stacchi’ dopo una notte e al giorno di riposo. Il risultato è che a ogni giro ci sono in servizio solo 3 paramedici. Come sempre, i pazienti abbondano e il personale scarseggia.

Eppure un buon sistema per evitare che ciò avvenga c'è: pretendere che chi preleva tali farmaci rilasci una ricevuta nella quale descriva la quantità usata e la motivazione dell'utilizzo.
Suppongo che questi farmaci abbiano un costo che grava sulla spesa sanitaria, si rende necessario, pertanto, un controllo accurato sul loro uso.
c.

Scorte...

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In effetti, levare la scorta a questi elementi ci eviterebbe anche di dover leggere o ascoltare le boiate che sogliono esprimere ad ogni piè sospinto! Senza la certezza della scorta eviterebbero anche di mettersi in mostra...
c.