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mercoledì 19 gennaio 2022

Covid, reparti in affanno, liste di attesa fino a 12 mesi e interventi rinviati. Nel Lazio la quarta ondata manda in tilt la sanità pubblica. - Luisa Monforte


 

"In tutti gli ospedali pubblici romani si sono ridotte le attività per le patologie non urgenti, il personale infermieristico viene dirottato sulle vaccinazioni e sull'assistenza ai malati Covid" spiega Guido Coen Tirelli, primario di Otorinolaringoiatria al Sant'Eugenio di Roma e segretario del sindacato dei medici ospedalieri Anaao Assomed del Lazio.

Posti letto insufficienti, liste di attesa che arrivano fino a un anno per le patologie non urgenti, reparti in affanno, ambulanze a singhiozzo, personale per le pulizie insufficiente: la quarta ondata Covid sta mandando in tilt la sanità pubblica nel Lazio. L’allarme arriva dai medici, ma anche dagli infermieri e altri operatori del settore. “Questa quarta ondata per fortuna non è grave come la prima ma ha un impatto uguale sugli ospedali e sulla popolazione”, racconta Guido Coen Tirelli, primario di Otorinolaringoiatria al Sant’Eugenio di Roma e segretario del sindacato dei medici ospedalieri Anaao Assomed del Lazio. Raggiunto telefonicamente da ilfattoquotidiano.it, Coen Tirelli spiega che “in tutti gli ospedali pubblici romani si sono ridotte le attività per le patologie non urgenti, il personale infermieristico viene dirottato sulle vaccinazioni e sull’assistenza ai malati Covid”.

Per fare qualche esempio: all’ospedale Sant’Eugenio di Roma in tempi pre-pandemia la chirurgia effettuava otto sedute al giorno, oggi ne riesce a garantire due. I tempi per le visite specialistiche, in tutti i nosocomi pubblici, si sono notevolmente dilatati e ci sono attese che sfiorano gli 8 o i 12 mesi. E slittano, dai tre ai sei mesi, le attese per le operazioni chirurgiche non urgenti. Nei pronto soccorso le ambulanze vanno incontro a blocchi del servizio. Secondo quanto rilevato dalla Fp Cgil di Roma e del Lazio si sono registrati su base regionale picchi giornalieri anche di 50 ambulanze ferme più del dovuto all’ingresso degli ospedali, perché non potevano rilasciare i pazienti a causa del sovraffollamento.

La situazione di crisi investe “tutti, dal San Filippo Neri al Santo Spirito, tutti gli ospedali a conduzione pubblica stanno subendo un sovraccarico per i pazienti Covid e di conseguenza c’è una difficoltà pazzesca negli ospedali pubblici a trattare le patologie non urgenti”, aggiunge Coen Tirelli. “Ci sono intere aree di ospedali completamente ferme, sono quelle destinate a patologie non urgenti. E nelle aree chirurgiche si lavora a scartamento ridotto, mancano i posti letto per i malati che non siano Covid e nelle sale operatorie si lavora di meno perché manca sia il personale infermieristico, sia gli anestesisti, dirottati in altre attività per fronteggiare l’emergenza Covid”, sottolinea il medico. Le difficoltà riguardano soprattutto le chirurgie, quindi le operazioni di routine, come asportazioni della colecisti, delle tonsille o dell’appendice, ovvero patologie che non mettono in pericolo la vita del paziente ma possono diventare gravi se rinviate troppo a lungo. “Per una colecisti si può arrivare ad aspettare anche tre o quattro mesi a oggi”, dice Coen Tirelli.

E per effetto del sovraffollamento sono aumentati anche i carichi di lavoro per la pulizia nei reparti Covid, con un conseguente rallentamento del servizio negli altri reparti. “È fisiologico che in questo momento la maggior parte del personale per le pulizie sia impiegato nei reparti Covid. Le aree Covid e i pronto soccorso li chiamiamo zone rosse, insieme alle sale operatorie: c’è da lavorare in continuazione, con ritmi e orari notevolmente intensificati, perché oltre alla pulizia ordinaria dobbiamo svolgere le sanificazioni. Tutto questo mentre il numero di persone impiegate e il monte ore richiesto è sempre lo stesso, se non addirittura diminuito come è stato proposto nella Asl Roma 5″, racconta Dhaou Yahyaoui della Filcams Cgil.

In alcune strutture il maggior carico di lavoro si è tradotto in una insufficienza di dispositivi di protezione. “Il personale che fa le pulizie, composto per la maggior parte da donne sui 50 anni, anche in strutture importanti, come l’Umberto I di Roma, si trova spesso sprovvisto di mascherine, gel e guanti: devono andare a chiederli al capo sala di turno, perché quelli previsti per dotazione ordinaria non sono sufficienti”, aggiunge Yahyaoui.

Uno scenario che a breve termine rischia di ampliare il divario tra pubblico e privato, e sul lungo periodo potrebbe acuire le disuguaglianze nell’accesso alle cure: tema su cui le istituzioni, a partire dal governo, hanno promesso di intervenire facendo leva sui fondi del Pnrr in arrivo. Tuttavia il percorso è in salita nel Lazio dove, prima della pandemia, dopo dieci anni di commissariamento, il sistema sanitario regionale scontava già una carenza notevole di personale a causa del blocco del turn over: le aziende ospedaliere potevano assumere soltanto il 10 per cento del totale del personale in uscita, fuori cento e dentro 10, insomma. Così il quadro attuale vede una carenza su tutto il territorio regionale “di circa 10mila unità tra medici, infermieri, sanitari e amministrativi”, racconta Massimiliano De Luca, responsabile comparto Sanità Fp Cgil Roma e Lazio che rappresenta infermieri, operatori del settore e amministrativi. “Ne mancano altre 3.500 se davvero si vogliono attuare i progetti che si pensa di realizzare con i fondi del Pnrr, a partire dalle case della salute”, aggiunge.

Con la pandemia, a partire da marzo del 2020, nel sistema sanitario del Lazio sono state innestate circa 4mila nuove unità “ma si tratta di personale a tempo determinato e in scadenza che andrebbe stabilizzato subito, considerato anche che la nuova legge di bilancio ne favorisce l’assunzione dopo 18 mesi, superando il limite dei 36 mesi fissato dalla legge Madia. Inoltre bisogna sbloccare immediatamente nuove assunzioni”, chiosa. Non soltanto, uno dei temi su cui è fondamentale intervenire secondo il sindacato è il tetto di spesa per il personale imposto alle strutture ospedaliere pubbliche: misura che crea la principale differenza nella riduzione dei tempi di attesa tra pubblico e privato, poiché le strutture private possono fare infornate di assunzioni e reperire quindi forza lavoro senza limiti a differenza di quelle pubbliche. “È qualcosa su cui si deve iniziare a ragionare e ad agire a livello di governo nazionale – conclude De Luca -, la pandemia ha mostrato che in sanità non si può più pensare che gli ospedali pubblici abbiano tetti di spesa per il personale”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/01/19/covid-reparti-in-affanno-liste-di-attesa-fino-a-12-mesi-e-interventi-rinviati-nel-lazio-la-quarta-ondata-manda-in-tilt-la-sanita-pubblica/6460593/

martedì 10 novembre 2020

Canzoni stonate sul Covid. - Gaetano Pedullà

 

Mentre Angela dalla spiaggia di Mondello ci canta che non ce n’è Coviddi (nella foto), con lo stesso sprezzo del ridicolo di un altro urlatore che però si esibisce al Papeete, altre cinque regioni – Abruzzo, Liguria, Umbria, Basilicata e Toscana – diventano zona arancione, e oggi la stessa sorte può toccare alla Campania. A precedere erano state venerdì scorso Sicilia e Puglia (arancioni) con Lombardia, Piemonte, Calabria e Valle d’Aosta zone rosse. In un Paese che dunque ha sotto gli occhi di tutti la gravità della situazione, impazzano ugualmente negazionisti, fancazzisti e sobillatori di piazza, con l’incredibile seguito di idioti che poi si assembrano agli aperitivi, o di politicanti con i loro giornali di complemento che alimentano la paura e la frustrazione di chi è in difficoltà economica.

A questi agitatori si sono rivolti il Presidente della Repubblica, il Governo, molte istituzioni, uomini di cultura, personaggi pubblici, chiedendo una tregua mentre il Paese sta combattendo una guerra terribile, con i medici al fronte e migliaia di morti dall’inizio della pandemia. Tutto inutile. Neppure la scomparsa di tanti protagonisti del nostro tempo, campioni dello sport e artisti adorati, o i racconti angosciati di chi è finito in rianimazione e non si sa come ce l’ha fatta a uscirne, riescono a mettere in pausa la polemica politica. Un virus meno letale del Covid, certo, ma di cui allo stesso modo non ci riusciamo a liberare, con l’effetto di aumentare la confusione e il disorientamento di tutti.

Così Regioni, partiti di opposizione, plotoni di virologi, opinionisti e giornalisti irresponsabili stanno sfregiando il buonsenso, moltiplicando l’ansia e dividendo le energie necessarie per rafforzare la Sanità, fare arrivare prima possibile i sostegni finanziari previsti dallo Stato e accompagnare il Paese verso un’uscita più veloce possibile da questa tragedia. Poi ci sarà tempo per litigare e recriminare. Ma adesso questo livello di conflittualità non è più normale dialettica tra forze parlamentari e – se vogliamo abusare del termine – culturali, ma alto tradimento degli italiani che dalla classe dirigente si aspettano serietà e non collaborazione col nemico. E che nemico!

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/canzoni-stonate-sul-covid/

giovedì 25 giugno 2020

Ingrati. - Massimo Erbetti

Nessuna descrizione della foto disponibile.

Ingrati, siamo tutti degli ingrati, siamo persone meschine, senza un minimo di gratitudine,. Dovremmo tutti vergognarci. Siamo esseri spregevoli. Perché lo siamo? Come, non lo sapete? Non avete sentito Gallera cosa ha detto?...Chi è Gallera? Ma si dai, ve lo ricordate...quello che diceva che per infettarci dovevamo incontrare contemporaneamente due positivi..si si proprio lui. Ieri ha dichiarato: “Ospedali privati da ringraziare per aver aperto stanze di lusso a pazienti ordinari”
Capito? Esseri ingrati, pazienti di serie B che non siete altro? Gli ospedali privati aprono a voi, plebe, le loro lussuose stanze...e voi neanche ringraziate? Che persone squallide siete, anzi siamo, perché anche io, come voi, non avevo pensato a questa cosa, e a dire il vero un po me ne vergogno. La sanità privata concede le proprie lussuose strutture, a noi, pazienti ordinari, pazienti normali, pazienti qualsiasi...a noi plebe e noi neanche una parola di ringraziamento.
Forse e dico forse...al signor Gallera, sfugge un piccolo particolare, una cosetta da niente, un piccolissimo dettaglio: gli ospedali privati non ci danno niente gratis, li paghiamo e anche profumatamente con le nostre tasse, ognuno di quei "lussuosi" posti letto, che dovrebbero andare a pazienti di serie A, sono stati concessi, a noi, pazienti "ordinari" dietro un profumato pagamento...per cui non dobbiamo ringraziare proprio nessuno, anzi se c'è qualcuno che deve ringraziare, quel qualcuno è la sanità privata, che grazie ai nostri soldi e alle scelte scellerate della politica delle privatizzazioni, ha potuto realizzare quelle "lussuose" stanze, dedicate a pazienti "eletti".


https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/06/24/fieg-de-alessandri-presidente-della-categoria-agenzie-di-stampa-_2e94006a-718e-449e-b172-6dd004b6446e.html

Gallera dovrebbe ringraziare noi che manteniamo lui e gli ospedali di lusso...C.

domenica 22 marzo 2020

Medici Senza Frontiere al lavoro in quattro ospedali del lodigiano. - Fausta Chiesa

Medici Senza Frontiere al lavoro in quattro ospedali del lodigiano
Claudia Lodesani, infettivologa di Medici Senza Frontiere

Il team è composto da infettivologi, anestesisti, infermieri e logisti. La capo équipe Claudia Lodesani: «Lavoreremo insieme per aiutare a fronteggiare l’epidemia».

Parte nel lodigiano, epicentro dell’epidemia di Covid-19 in Italia, l’intervento gratuito di Medici Senza Frontiere in supporto alla task force pubblica contro il coronavirus. Attualmente sono una decina i medici già al lavoro negli ospedali di Lodi, Codogno, Casalpusterlengo e Sant’Angelo Lodigiano, che hanno cominciato oggi. Sono tutti medici italiani che non possono andare in missione all’estero per il Covid-19 e si sono messi a disposizione del loro Paese. L’intervento della ong medico-umanitaria, che nel 1999 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, supporterà gli infettivologi degli ospedali nella gestione dell’epidemia. Tra Codogno e Lodi saranno anche riattivati una ventina di posti letto, già esistenti ma attualmente inutilizzati per carenza di personale rispetto all’afflusso straordinario di questi giorni.

Il team di Msf affiancherà medici e infermieri chiamati da altri reparti della struttura e insieme assisteranno i pazienti di coronavirus ricoverati. «Negli ospedali del lodigiano - dice Claudia Lodesani, infettivologa e presidente di Msf che coordina l’intervento Msf per il coronavirus in Italia e che presta lei stessa servizio in ospedale - abbiamo conosciuto medici e infermieri che da settimane lavorano senza sosta in una situazione di totale eccezionalità. Da oggi proviamo a dare il nostro contributo al loro grandissimo lavoro, per aiutare ad assistere i pazienti e fronteggiare insieme l’epidemia».

Il team di Msf attivo nella provincia di Lodi è composto da infettivologi, anestesisti, infermieri e logisti italiani, che porteranno la loro esperienza nella gestione di epidemie in diversi paesi del mondo in cui Msf lavora. «A Medici Senza Frontiere va il nostro più sentito ringraziamento», ha commentato Massimo Lombardo, direttore generale dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Lodi. «L’esperienza nella gestione di crisi in molte aree del mondo, la professionalità e soprattutto il cuore dei medici e di tutto il personale dell’associazione sono risorse preziose in questo momento; di contro l’esperienza innanzitutto clinica e organizzativa degli ospedali del Lodigiano sono un patrimonio che con orgoglio mettiamo a disposizione di Medici Senza Frontiere come di tutta la comunità scientifica». Le attività di supporto infettivologico si affiancheranno a tutte le principali azioni di prevenzione già messe in atto all’interno delle strutture per gestire i casi e contenere la trasmissione del virus.

Marco Ranieri coordinatore rianimazioni.

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Ha inventato il respiratore che si collega a due pazienti.


(ANSA) - BARI, 22 MAR - Il professore Marco Ranieri, dell'Università Alma Mater Studiorum di Bologna, colui che ha ideato un respiratore capace di collegarsi a due persone invece che a una, comincia da oggi a collaborare con la Regione Puglia.

Lo comunica il presidente Michele Emiliano.
"Il professore - dichiara Emiliano - rafforza da oggi la nostra squadra per affrontare l'emergenza Covid-19, con il compito di coordinare e integrare la rete delle terapie intensive. Lo ringrazio per la sua scelta e ringrazio l'Università di Bologna e il suo dipartimento di scienze mediche per averci concesso la sua collaborazione. Lavoreremo fianco a fianco per la lotta a questa malattia. La collaborazione sarà determinante anche per offrire alla Puglia l'esperienza che il medesimo sta facendo nel fronteggiare il Covid19 in Emilia Romagna potendo così anticipare le mosse che devono essere compiute nel nostro territorio". L'incarico è stato affidato nell'ambito di un più ampio accordo di collaborazione tra Regione Puglia e Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche dell'Alma Mater Studiorum. 
Marco Ranieri è nato a Bari, dove si è laureato in Medicina e Chirurgia e si è specializzato in anestesia e Rianimazione. Ha studiato e lavorato a Toronto, per poi tornare a Bari come ricercatore. Ordinario dal 2002, ha diretto i dipartimenti di anestesia e rianimazione degli ospedali Molinette (Università di Torino) e Policlinico Umberto I (Sapienza Università di Roma). Dal 2018 è professore ordinario dell'Alma Mater di Bologna e dirige la terapia intensiva del Sant'Orsola di Bologna. (ANSA).

http://www.ansa.it/puglia/notizie/salute_welfare/2020/03/22/marco-ranieri-coordinatore-rianimazioni_ab2f6483-831b-4766-9644-b9c905c72334.html
Al sud prepariamo validissimi individui che poi vanno a lavorare al nord o all'estero perchè nella loro terra non trovano lavoro. Sarà colpa del clientelismo sfrenato che vige nei palazzi dove si puote ciò che si vuole? O del do ut des?
C.

sabato 27 luglio 2019

Magenta, un’infermiera va in overdose in reparto. Indagine sugli ammanchi di morfina dall’armadio dei farmaci pericolosi. - Ersilio Mattioni

Magenta, un’infermiera va in overdose in reparto. Indagine sugli ammanchi di morfina dall’armadio dei farmaci pericolosi

A metà luglio il direttore generale dell'Ospedale Fornaroli ha fatto denuncia ai Carabinieri. Mancavano 8-12 fiale di morfina da 10 milligrammi l’una, quando una dose non supera i 2-3 milligrammi. C'è il sospetto che i furti siano in corso da tempo. E che medici e paramedici usino droga per reggere turni massacranti in una struttura sotto organico.
Un’infermiera trovata in overdose da morfina e viva per miracolo, un ingente quantitativo di stupefacenti trafugato da una stanza chiusa a chiave, un’indagine dei Carabinieri e il timore che, da un momento all’altro, i Nas possano piombare nel reparto Rianimazione. Come se non bastasse, dall’ospedale ‘Giuseppe Fornaroli’ di Magenta giungono voci insistenti su medici e paramedici che, per reggere turni massacranti in una struttura sotto organico, farebbero ricorso alla droga. Se fosse vero, vorrebbe dire che ci sono sanitari in stato di alterazione durante lo svolgimento del proprio turno di servizio, mentre sono a contatto con i pazienti.
Lo era certamente l’infermiera di 44 anni, residente nel Magentino, lo scorso venerdì 5 luglio. Un esame tossicologico ha dimostrato che la donna aveva assunto, prima di cominciare il turno, un cocktail di sostanze stupefacenti, tra cui morfina e cocaina. Negli ambienti ospedalieri lo chiamano ‘speedball’, un termine inglese che indica la combinazione di morfina (un oppiaceo) e cocaina (un eccitante). Il mix, tramite iniezione o inalazione, serve a potenziare le proprie capacità senza dare l’impressione di essere drogati. Funziona, ma causa una forte dipendenza fisica. Ed è pericoloso. Se l’effetto di una delle due sostanze finisce troppo presto, si va in crisi respiratoria. Questo è successo alla 44enne di Magenta. Viva per puro caso, solo perché una sua collega, prima di iniziare a lavorare, va in bagno per raccogliersi i capelli e sente un rantolo che proviene dagli spogliatoi. Preoccupata, apre la porta e trova l’infermiera stesa a terra, con una fiala di morfina che fa bella mostra nell’armadietto. Scatta l’allarme e un medico le inietta un farmaco ‘antagonista’, che annulla l’effetto della morfina. Lei reagisce subito. Pochi minuti ancora e sarebbe morta.
Ma chi può accedere alla stanza degli stupefacenti? Intorno a metà luglio i responsabili della Rianimazione decidono di svolgere un controllo incrociato sui farmaci pericolosi e sul registro. Tutto deve essere segnato nel dettaglio: chi preleva lo stupefacente, quale medico lo ha prescritto e chi è il paziente che ne deve usufruire. Si scoprono clamorosi ammanchi nell’ordine di 8-12 fiale da 10 milligrammi l’una. E’ un’enormità, se si pensa che la dose da assumere non può superare i 2-3 milligrammi. Inoltre, i controlli riguardano solo gli ultimi mesi e cresce il sospetto che i furti di stupefacenti siano in corso da tempo. “Non appena abbiamo saputo degli ammanchi – spiega il direttore generale della Asst, Fulvio Odinolfi, a Ilfattoquotidiano.it – abbiamo proceduto con una denuncia ai Carabinieri, dalla quale è scaturita un’indagine. Se arriverà un’ispezione dei Nas, saremo pronti. Di sicuro, siamo a completa disposizione delle forze dell’ordine, che avranno la nostra totale collaborazione. Nulla, in questa storia, verrà lasciato al caso”.
La prima denuncia contro ignoti, però, non va a buon fine. L’ospedale spedisce dai Carabinieri di Magenta un’infermiera semplice. E quando i militari si rendono conto che la materia è delicata, chiedono di parlare con un responsabile. Il coordinatore degli infermieri è in ferie. Così la dipendente torna in caserma accompagnata da un medico alcuni giorni dopo, per la precisione il 15 luglio. In quello stesso momento, all’ospedale ‘Giuseppe Fornaroli’, c’è l’assessore regionale alla Sanità, Giulio Gallera, per inaugurare i nuovi poliambulatori. Sopra, in corsia, si tagliano nastri e si brinda a quella che i politici chiamano “l’eccellenza lombarda”; sotto, in Rianimazione, si rimettono assieme i cocci della tragedia e ci si chiede cosa succederà adesso. Il clima è pesante.
Agli infermieri viene imposta la consegna del silenzio e viene convocata, per il primo pomeriggio del 22 luglio, una riunione urgente. All’ordine del giorno un solo punto: gestione degli stupefacenti. A presiedere l’incontro Maria José Rocco del Sitra (Servizio infermieristico tecnico e riabilitativo aziendale) e Gabriella Cirrincione (capo area della Rianimazione). Vengono dettate le nuove regole sulla custodia della chiave per accedere agli stupefacenti e sulla compilazione dell’apposito registro. Ma non viene affrontato un problema da sempre irrisolto: le chiavi sono due, l’altra è nella sala medici e i dottori la possono utilizzare senza sottoporsi alle nuove rigide procedure.
Odinolfi, pur chiarendo che “gli stupefacenti non sono alla mercé di chiunque”, ammette che potrebbe esserci una falla nel sistema di sicurezza, garantendo “il massimo impegno per trovarla e debellarla”. Tutto questo al netto dei sistemi, alcuni ineliminabili, per rubare i farmaci custoditi sotto chiave. Non all’ospedale di Magenta, ma in ogni nosocomio italiano. L’elenco è lunghissimo. Il più semplice è dichiarare che una fiala, mentre veniva prelevata, si è rotta ed è stata sostituita con una nuova. Un altro molto diffuso è quello di trattenere il flacone da 10 milligrammi dopo aver iniettato al paziente una dose di 3-4 milligrammi al massimo. L’ordine è quello di buttare via il contenuto inutilizzato, ma non tutti lo fanno. Poi ci sono i furti veri e propri, stando attenti a non farsi vedere oppure attingendo dalle scatole di scorta, quelle collocate sul fondo dell’armadietto, che di fatto non si aprono mai.
Mentre la lunga storia delle sparizioni degli stupefacenti getta un’ombra sinistra sull’ospedale di Magenta, in Rianimazione si ricomincia a lavorare con le stesse difficoltà. Gli infermieri assunti sono 18, ma quelli in servizio 14 a causa di malattie e maternità. Nessuno ha provveduto a integrare l’organico e i turni da svolgere sono 3, oltre agli ‘stacchi’ dopo una notte e al giorno di riposo. Il risultato è che a ogni giro ci sono in servizio solo 3 paramedici. Come sempre, i pazienti abbondano e il personale scarseggia.

Eppure un buon sistema per evitare che ciò avvenga c'è: pretendere che chi preleva tali farmaci rilasci una ricevuta nella quale descriva la quantità usata e la motivazione dell'utilizzo.
Suppongo che questi farmaci abbiano un costo che grava sulla spesa sanitaria, si rende necessario, pertanto, un controllo accurato sul loro uso.
c.