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venerdì 6 novembre 2020

Ospedale di Rivoli in Piemonte, pazienti di covid abbandonati per terra. - Andrea Scanzi

 

“Pazienti Covid per terra, lavori mai fatti, territorio inesistente e assunzioni che dovevano arrivare prima. Ecco le drammatiche condizioni della sanità Piemontese. Non abbiamo più parole”.

Sono queste le parole del Nursind, il sindacato delle professioni infermieristiche, che invoca «L’aiuto urgente del Governo» per l’ospedale di Rivoli, in cui da giorni sono arrivate anche le tende dell’esercito, e per gli altri ospedali piemontesi.

Questa è la situazione in Piemonte. Eppure il governatore Cirio, come tutto il centrodestra, non solo non chiede scusa ma si lamenta pure della zona rossa.

Siamo davvero all’indecenza più totale!

https://www.facebook.com/andreascanzi74/photos/a.381965611819773/4141013779248252

giovedì 25 giugno 2020

Ingrati. - Massimo Erbetti

Nessuna descrizione della foto disponibile.

Ingrati, siamo tutti degli ingrati, siamo persone meschine, senza un minimo di gratitudine,. Dovremmo tutti vergognarci. Siamo esseri spregevoli. Perché lo siamo? Come, non lo sapete? Non avete sentito Gallera cosa ha detto?...Chi è Gallera? Ma si dai, ve lo ricordate...quello che diceva che per infettarci dovevamo incontrare contemporaneamente due positivi..si si proprio lui. Ieri ha dichiarato: “Ospedali privati da ringraziare per aver aperto stanze di lusso a pazienti ordinari”
Capito? Esseri ingrati, pazienti di serie B che non siete altro? Gli ospedali privati aprono a voi, plebe, le loro lussuose stanze...e voi neanche ringraziate? Che persone squallide siete, anzi siamo, perché anche io, come voi, non avevo pensato a questa cosa, e a dire il vero un po me ne vergogno. La sanità privata concede le proprie lussuose strutture, a noi, pazienti ordinari, pazienti normali, pazienti qualsiasi...a noi plebe e noi neanche una parola di ringraziamento.
Forse e dico forse...al signor Gallera, sfugge un piccolo particolare, una cosetta da niente, un piccolissimo dettaglio: gli ospedali privati non ci danno niente gratis, li paghiamo e anche profumatamente con le nostre tasse, ognuno di quei "lussuosi" posti letto, che dovrebbero andare a pazienti di serie A, sono stati concessi, a noi, pazienti "ordinari" dietro un profumato pagamento...per cui non dobbiamo ringraziare proprio nessuno, anzi se c'è qualcuno che deve ringraziare, quel qualcuno è la sanità privata, che grazie ai nostri soldi e alle scelte scellerate della politica delle privatizzazioni, ha potuto realizzare quelle "lussuose" stanze, dedicate a pazienti "eletti".


https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/06/24/fieg-de-alessandri-presidente-della-categoria-agenzie-di-stampa-_2e94006a-718e-449e-b172-6dd004b6446e.html

Gallera dovrebbe ringraziare noi che manteniamo lui e gli ospedali di lusso...C.

domenica 29 marzo 2020

Dimessi ma spediti in Rsa e hospice: 2.400 ex pazienti. - Maddalena Oliva e Natascia Ronchetti

Dimessi ma spediti in Rsa e hospice: 2.400 ex pazienti

È l’effetto di una delibera del 23 marzo della Regione Lombardia: possono essere ancora contagiosi.
Il rischio è di creare nuovi focolai.


- Ottomila e zero uno. Tanti sono i dimessi in Lombardia, dall’inizio dell’epidemia a oggi. Tra i numeri del bollettino che l’assessore al Welfare Giulio Gallera ogni giorno legge nella sua diretta Facebook “Lombardia notizie online”, sono quelli di solito accompagnati dalla rincora al sorriso. “MA oggi abbiamo avuto ANCHE 200 dimessi, 200 pazienti Covid che non sono più malati e hanno lasciato i nostri ospedali. Questa è una buona notizia”: ha detto ieri. Il giorno prima, i dimessi erano stati 1.501, quello prima ancora 990. Ma degli 8.001 dimessi in tutto, da quel maledetto 21 febbraio, il 30% – circa 2.400 persone – ha sì lasciato l’ospedale, ma è stato re-indirizzato verso gli hospice, le strutture per le cure palliative e l’assistenza ai malati terminali, e verso residenze sanitarie assistenziali, le case di riposo, presenti in tutta la regione.
A lanciare l’allarme qualche giorno fa era stato Marco Agazzi, presidente Snami-medici di famiglia di Bergamo. “Poiché negli ospedali bisogna liberare posti letto – aveva detto al Fatto – i pazienti Covid convalescenti vengono mandati nelle strutture per gli anziani, col rischio che queste diventino a loro volta dei focolai”. Per lo più si tratta di pazienti Covid “clinicamente guariti”. Vale a dire senza più sintomi come tosse, febbre, mal di gola. Questo però non significa che “guariti” in effetti lo siano. “Noi non sappiamo se hanno ancora una carica virale”, spiega Agazzi. Per averne certezza, è necessario eseguire due tamponi a distanza di 24 ore l’uno dall’altro e, entrambi, devono risultare negativi (con esito validato dall’Istituto superiore di sanità). Ma sappiamo che coi tamponi, visti i numeri dell’emergenza, In Lombardia non si riesce a star dietro ai “sospetti” Covid, figurarsi ai pazienti dimessi.
La questione, però, è fondamentale. Perché è proprio con il rischio di essere potenzialmente ancora contagiosi che i pazienti Covid dimessi dagli ospedali varcano la soglia di altre strutture sociosanitarie. E – stando anche al dato confermato dallo staff dell’assessore Gallera – succede per un dimesso su tre. La strada per liberare posti letto del resto è tracciata. Lo ha deciso la giunta del governatore Attilio Fontana di fare ricorso alla rete degli hospice. Con una delibera del 23 marzo che stabilisce, con “ulteriori determinazioni in ordine all’emergenza Coronavirus”, l’istituzione di un supporto di cure palliative, “per la presa in carico dei pazienti Covid complessi, cronici e fragili” sia in ambito domiciliare, sia attraverso l’attivazione di percorsi di consulenza.
I nuovi ricoveri per questi pazienti – nella maggioranza dei casi tutti over 75 – sono già scattati, come conferma la case di cura Domus Salutis di Brescia. Assieme all’istituto Maugeri e a una struttura della Fondazione Don Gnocchi hanno preso in carico i pazienti Covid dimessi a Brescia, una delle zone più colpite dal virus. “Ci sono due tipologie di trattamento: quella domiciliare e quella in reparto”, spiega Luigi Leone, direttore sanitario della Domus Salutis. “Parliamo di pazienti che possono essere ancora contagiosi e quindi dobbiamo attrezzarci per garantire la tutela dell’operatore sanitario e per assicurare l’assistenza adeguata. Arrivano tutti da ospedali pubblici che devono essere alleggeriti. Noi abbiamo separato i percorsi di accesso per non ripetere gli errori che sono stati fatti in passato dai pronto soccorsi, ma dobbiamo stare molti attenti. Nelle Rsa o in altre strutture sociosanitarie è già entrato qualcuno infettato: ed è stata una strage”.
A Milano anche l’Istituto Palazzolo della Fondazione Don Gnocchi ha aperto le porte ai pazienti Covid dimessi. In questo caso non parliamo però di un istituto per “cure palliative”, ma di una residenza per gli anziani (Rsa). È sempre Regione Lombardia ad aver chiesto alla Fondazione Don Gnocchi la disponibilità ad accogliere i “clinicamente guariti” nei due hospice afferenti la struttura. Disponibilità ancora in corso di valutazione, secondo i vertici della Fondazione. All’istituto Palazzolo, dopo i primi ricoveri, sono arrivati infatti anche i problemi. E, per molti dei parenti degli anziani che si ammalano, e che spesso già versano in condizioni precarie, l’accusa di “procurata epidemia” inizia a levarsi sempre più forte. È il caso della figlia di un’ospite 71enne, una donna in buona salute ma affetta da demenza senile, morta di Covid19: la figlia ha consegnato un esposto in procura. Il legale della famiglia chiede l’autopsia della 71enne: ipotizza il reato di omicidio colposo per una cattiva gestione e per la diffusione colposa dell’epidemia.
Il ricorso alle Rsa e agli hospice per i pazienti dimessi Covid non piace ai parenti degli ospiti ma nemmeno ai medici. “Parliamo di strutture, soprattutto le residenze per anziani, dove ci sono persone estremamente fragili”, dice Agazzi. “Un paziente Covid impone misure di protezione importanti: non bastano divisioni fisiche, serve anche personale addestrato, che non può e non deve muoversi da un reparto all’altro. Servono i dispositivi di sicurezza… Ecco perché continuo a ripetere: gli errori che stiamo facendo continuano a essere tanti. Troppi. Perché se ora siamo in guerra, combattiamo, ma quando finirà, ci sarà la resa dei conti. E porteremo i nostri amministratori in tribunale”.


https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/posts/3219502088059951?__tn__=K-R0.g

venerdì 4 marzo 2016

Ricetta elettronica, cosa cambia tra promemoria cartaceo e costi del ticket. - Patrizia De Rubertis

Ricetta elettronica, cosa cambia tra promemoria cartaceo e costi del ticket

Dal primo marzo è iniziata ufficialmente l'era della ricetta digitale. Ma il passaggio non equivale alla dematerializzazione: fino al 2017 il medico dovrà sempre stampare un promemoria. Si potrà ritirare il medicinale in qualsiasi farmacia italiana pagando il ticket previsto dalla Regione di residenza.

A forza di parlare di pensioni, quando arriva il momento giusto per andarci non ci si riesce mai a farlo senza complicazioni. E questo vale anche per la vecchia ricetta rossa per l’acquisto dei farmaci o la prescrizione di una visita specialistica. Così, anche se dal primo marzo è cominciata ufficialmente l’era della e-prescription, ovvero la ricetta elettronica, non si può ancora dirle addio. Nell’Italia dei rinvii, infatti, anche per questa rivoluzione c’è una lunga fase transitoria che si concluderà solo a fine 2017. E fino ad allora gli italiani dovranno continuare a convivere con la ricetta cartacea, ancora indispensabile per alcuni farmaci (come stupefacenti, ossigeno, prescrizioni per erogazione diretta in continuità assistenziale e farmaci con piano terapeutico) e il ‘piccolo promemoria’ (15×21 cm) stampato dal medico da consegnare al bancone della farmacia che permette di recuperare la prescrizione anche in caso di malfunzionamenti del sistema o in assenza di una linea veloce di collegamento alla rete, come già lamentato dai medici molisani.
La novità della ricetta digitale è, infatti, tutta qui: per prescrivere un farmaco, un accertamento o una visita, il medico si collega a un sistema informatico, lo stesso visibile al farmacista che poi consegnerà pillole o sciroppi. Peccato, però, che tra il dire e il fare ci sia di mezzo la tecnologia. Ed è dal 2010, con l’annuncio del decreto legge sulla dematerializzazione della ricetta medica cartacea, poi pubblicato in Gazzetta ufficiale nel novembre 2011 e sancito nel 2012 nel piano dell’Agenda digitale, che il sonno di amministratori e burocrati è turbato dalla realizzazione di questo passaggio che si è scontrato fin qui con una sperimentazione flop. In Sicilia, Valle d’Aosta, Trentino, Basilicata e Veneto, dove già dal 2014 le Regioni hanno iniziato a sostituire la ricetta rossa con quella elettronica, si sono ottenuti scarsi risultati a causa della mancanza di stampanti o toner negli studi medici, della scarsa informazione ma soprattutto della sostanziale inutilità visto che il passaggio al digitale non c’era ancora stato e i database non comunicavano tra loro. Tanto che il paziente ha sempre dovuto portare con sé una copia cartacea.
Come funzionerà d’ora in avanti è più chiaro. I dottori, per effettuare una prescrizione, si connettono dal proprio pc a un apposito portale gestito da Sogei e compilano online la ricetta che, identica a quella cartacea, genera un numero associato al codice fiscale del paziente. In questo modo vengono aggiunte in automatico anche le eventuali esenzioni. A questo punto, con un semplice invio, i dati diventano visibili in tutte le farmacie italiane sia pubbliche che convenzionate. Il paziente deve, tuttavia, prendere il promemoria cartaceo da consegnare al farmacista, il quale collegandosi allo stesso sistema – tramite il numero di ricetta e il codice fiscale – potrà accedere alla sua prescrizione ed erogare il medicinale prescritto. La farmacia, poi, invierà al server di Sogei i dati relativi all’erogazione (prezzo del farmaco, ticket, esenzioni) e i codici adesivi delle confezioni del farmaco, vale a dire le fustelle.
Si tratta, insomma, di uno degli effetti più importanti della nuova era digitale, visto che i medicinali potranno essere ritirati anche fuori dalla Regione di residenza. Chance fino ad oggi negata, visto che si era costretti a pagare per intero i farmaci. Ma, ora, grazie alla tessera sanitaria le farmacie potranno applicare il ticket regionale perché, nonostante le ventate di innovazione, il costo di una siringa o di uno sciroppo continua a essere assai diverso da una Regione all’altra. E toccherà, quindi, proprio alle Asl scambiarsi le informazioni sui medicinali prescritti e procedere ai relativi rimborsi.
In questa fase transitoria, inoltre, non si potranno ancora cogliere i vantaggi economici della dematerializzazione che servirà al Sistema sanitario a spendere meno e razionalizzare il sistema. Le ricette rosse, infatti, tra stampa, vidimazione e spedizione costano alle Asl tra 5 e 10 centesimi. E, considerando che in Italia ogni anno vengono emesse oltre 650mila ricette, il calcolo del risparmio è presto fatto: circa 450 milioni di euro, ossia quasi mezzo punto percentuale della spesa sanitaria pubblica complessiva.
Forte preoccupazione arriva dai medici di base. “Qualcuno ha confuso gli studi medici con quelli dei Caf vista la mole di dati anagrafici, codici di esenzione dai ticket e quant’altro dovremo verificare”, lamenta il segretario Fimmg, Giacomo Milillo che aggiunge: “Il medico non potrà più neanche contare sull’aiuto dell’assistente di studio nel velocizzare la procedura di compilazione delle ricette e questo comporterà visite più lunghe e attese più lunghe per gli assistiti”.