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lunedì 18 luglio 2022

Pronti i batteri-cyborg, modificati per combattere i tumori.

Rappresentazione artistica dei batteri-cyborg guidati da un campo magnetico nell'ambiente difficile che circonda i tumori (fonte: Akolpoglu et al., Sci. Adv. 8, eabo6163, 2022.

Combinano robotica e biologia per portare i farmaci solo dove servono.

Pronti i batteri-cyborg, che combinano robotica e biologia per combattere la battaglia contro i tumori: grazie agli elementi artificiali aggiunti, i comuni batteri Escherichia coli riescono ad attraversare l’ambiente ostile del tumore e a portare i farmaci esattamente dove servono.

Li hanno realizzati ricercatori dell’Istituto tedesco Max Planck, che hanno pubblicato il risultato sulla rivista Science Advances. Secondo gli autori dello studio, coordinato da Birgül Akolpoglu, la terapia basata su batteri-cyborg sarebbe minimamente invasiva per il paziente, indolore, e i farmaci svilupperebbero il loro effetto dove necessario e non all'interno dell'intero organismo.

I batteri Escherichia coli sono nuotatori veloci e versatili, in grado di navigare attraverso sostanze anche molto viscose.

Inoltre, sono attratti da ambienti con bassi livelli di ossigeno e alta acidità, due caratteristiche tipiche del tessuto tumorale. Queste capacità sono sfruttate da oltre un secolo nelle terapie anti-cancro basate sui batteri, che si basano sul fatto che i microrganismi, raggruppandosi e crescendo nel punto in cui si trova il tumore, attivano il sistema immunitario dei pazienti. Da tempo si cerca quindi di potenziare i batteri, ma aggiungere componenti artificiali non è un compito semplice, a causa delle complesse reazioni chimiche in gioco.

I ricercatori  sono riusciti a ottenere 86 batteri-cyborg su 100, aggiungendo sulla superficie esterna di E. coli due elementi diversi. Il primo è costituito da nanoliposomi, minuscole vescicole sferiche circondate da membrane che trasportano al loro interno i farmaci anti-cancro. Il secondo elemento sono nanoparticelle magnetiche di ossido di ferro, che servono a potenziare le capacità di movimento dei batteri e a facilitarne il controllo. Guidati da un campo magnetico, i microrganismi riescono a farsi strada fino al tumore e, una volta raggiunta la meta, un laser a infrarossi fa sciogliere i minuscoli contenitori dei farmaci, permettendo il rilascio del farmaco solo dove serve.

domenica 20 dicembre 2020

Il monoclonale si poteva usare (ed era pure gratis). - Thomas Mackinson

 

La legge consentiva l’acquisto anche senza il visto Ema. Si sarebbero evitati 950 ricoveri: una goccia nel mare, ma utile.

Il monoclonale della Eli Lilly offerto gratis all’Italia? Poteva evitare almeno 950 ricoveri. Una goccia nel mare degli ospedalizzati, ma comunque una speranza di fronte alla mancanza di una cura specifica contro il Covid, sia per le casse dello Stato, visti i costi di un ricovero. Già da novembre avremmo potuto somministrare 10 mila dosi del Cov-555, prodotto in Italia, e diventare il primo Paese Ue a sperimentare l’unica cura autorizzata contro il virus. Il tutto a costo zero.

L’offerta, però, è stata fatta cadere nel vuoto e i furgoni dalla BSP Pharmaceuticals di Latina partono verso Stati Uniti e Canada. Lo scoop del Fatto sul trial mancato non ha una risposta. Il viceministro Sileri l’attende da 74 giorni. Parla al Corriere il dg Aifa Nicola Magrini. “I monoclonali sono seguiti con grande attenzione da parte di Aifa, Ema e comunità di ricerca. Non è vero che non abbiamo accettato usi compassionevoli.” E i 10 mila flaconi offerti gratis per lo studio clinico? “I dati che hanno consentito l’uso in emergenza negli Usa non sono forse sufficienti per un’approvazione europea da parte di Ema”. Ma poteva l’Aifa autorizzarlo senza aspettare l’Ema? Sì. In passato sono stati autorizzati farmaci in base alla legge 648, art.1 comma 4, che lo permette per “medicinali autorizzati all’estero ma non sul territorio nazionale”. Inoltre, una direttiva europea sui medicinali (2001/83 EC) consente ai singoli Paesi Ue l’acquisto in emergenza dove non ci sia ancora l’approvazione Ema. Magrini ne ricorda i limiti d’utilizzo: “Vanno usati precocemente con infusione endovenosa a domicilio”. In realtà, negli Usa sono somministrati negli infusion centres ospedalieri. Il 4 dicembre, come si legge nel sito della multinazionale, la Eli Lilly ha siglato un accordo per le flebo a domicilio per limitare saturazione degli ospedali e rischi di contagio. Il dg Aifa ammette ora: “Sarebbe utile fare uno studio clinico comparativo”. Ottima idea, ma allora perché quasi due mesi fa ha rifiutato lo studio clinico che avrebbe consentito di trattare gratis 10mila pazienti?

Il professor Giuseppe Ippolito, membro del Cts e direttore dello Spallanzani di Roma, era presente in qualità di “osservatore” del Cts alla riunione del 29 ottobre. La sua contrarietà, stando a chi c’era, fu determinante. Ippolito nega sia dipeso dalla sua contestuale partecipazione a un analogo progetto di ricerca finanziato dal governo: solleva piuttosto obiezioni sull’efficacia e cita un trial del 28 ottobre (Blaze-1) che dimostrerebbe risultati modesti nel ridurre la carica virale con sintomi lievi o medi e un calo relativo del rischio di ricovero, dal 5.8% a 1.6%. Percentuali che dicono poco, ma rapportate a 10 mila pazienti con Covid iniziale ad alto rischio significa passare da 1.350 a 400 ospedalizzazioni: 950 ricoveri in meno, con una cura a costo zero. Ricorda che il 26 ottobre l’organismo di valutazione indipendente DSMB aveva interrotto il trattamento nei pazienti ospedalizzati per “assenza di benefici clinici”. “Tre giorni dopo – scrive il professore – la società farmaceutica proponeva di testare il farmaco in Italia. Quando si dice la coincidenza”, ventilando il grave sospetto che la sperimentazione venisse propinata agli italiani come cavie di serie B. Ma la proposta è del 7 ottobre, 19 giorni prima del “blocco” superato con l’autorizzazione Fda del 9 novembre.

Guido Silvestri, il virologo alla Emory University che da Atlanta si era speso per la donazione non ci sta. “Non è stata la Lilly a farsi avanti. Li ho dovuti trascinare io, quasi pregandoli in ginocchio e sfruttando l’amicizia personale con il loro ceo”, risponde. Anche l’azienda conferma l’invito alla riunione del 29 ottobre, non di averla organizzata. Gianluca Rocco, giornalista del TgCom, ai primi di dicembre ha perso il padre. “Quando si è aggravato – racconta – ho chiesto ai medici del Galliera di Genova della terapia anticorpale, se ne parlava da mesi. Mi hanno spiegato che serve per evitare che i positivi si ammalino al punto in cui è arrivato mio padre, per lui era tardi. Scoprire che la si produce a Latina e ce la volevano pure regalare mi lascia senza parole”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/20/il-monoclonale-si-poteva-usare-ed-era-pure-gratis/6043034/

sabato 19 dicembre 2020

Il caso degli anticorpi monoclonali, la lettera del professor Ippolito e la risposta del FattoQuotidiano.it.

 

Il FattoQuotidiano.it ha pubblicato un'inchiesta sulla mancata possibilità di utilizzare - gratuitamente - in ottobre in Italia 10mila dosi del farmaco che riduce i rischi di ospedalizzazione. Il direttore scientifico della Spallanzani ci ha scritto per spiegare le critiche sollevate sulla sperimentazione e il Fatto chiede perché non è stato fatto il possibile per utilizzare un composto autorizzato da oltre un mese negli Usa. Intanto l'Aifa tace.

Il 17 dicembre il FattoQuotidiano e ilfattoquotidiano.it hanno pubblicato un’inchiesta (qui il link) in cui si dava conto del fatto che a inizio ottobre l’Italia aveva avuto la possibilità di sperimentare con almeno 10mila dosi gratis gli anticorpi monoclonali dell’azienda Usa Eli Lilly che riduce i rischi di ospedalizzazione dal 72 al 90%. Possibilità evaporata dopo una riunione all’Aifa. Al Fatto risultava presente, tra gli altri, anche il professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, che avrebbe sollevato una serie di critiche. Interpellato prima telefonicamente e poi tramite email lo scienziato ha risposto alle domande con una lettera al direttore. Qui di seguito le domande rivolte, la lettera del professor Ippolito, la nostra risposta.

LE DOMANDE

Il 7 ottobre 2020 l’Aifa ha ricevuto la richiesta di valutazione di un “trial clinico pragmatico” proposto da una multinazionale che lo aveva somministrato in via sperimentale negli Usa. Vorremmo sapere quali valutazioni sono state fatte e perché, come ci risulta, si è deciso di non dar corso alla proposta che si basava anche sulla fornitura a titolo gratuito di 10mila dosi.

Al FattoQuotidiano risulta che nelle riunioni citate il suo parere è stato fortemente negativo? Perché? Quali riserve sul farmaco stesso, quali sugli studi disponibili, quali di rango regolatorio

C’è chi pensa che lei abbia voluto frenare questa possibilità perché lo Spallanzani è impegnato con la Fondazione Toscana Life Sciences proprio nei test di anticorpi monoclonali. Che risponde?

A che punto è quella sperimentazione? Fino a poco tempo fa se ne parlava molto e si dava come orizzonte la prossima primavera…

Ci risulta che dopo Usa – dove dal 10 novembre è autorizzato pare con successo l’uso degli anticorpi – e Canada alcuni Paesi della Ue stiano per ufficializzare un’autorizzazione d’emergenza rispetto alle procedure dell’Ema che non consentono autorizzazioni senza la chiusura degli studi. È una strada impraticabile per l’Italia? Perché lo sarebbe per la Germania?

LA LETTERA.

Egregio direttore,

contrariamente alle mie abitudini, sono costretto a intervenire in merito all’articolo “Il salvavita italiano che noi non usiamo”, pubblicato sul Fatto Quotidiano del 17 dicembre, per fornire ai suoi lettori alcune precisazioni. L’articolo, riassumo liberamente per chi non avesse avuto la fortuna di leggerlo, ipotizza che io avrei dato, nel corso di una riunione svoltasi in sede Aifa il 29 ottobre scorso, parere negativo all’avvio in Italia del trial clinico di un farmaco prodotto dalla multinazionale Eli Lilly che qualche giorno dopo avrebbe ottenuto l’autorizzazione all’uso emergenziale negli Stati Uniti, privando così il nostro Paese di uno strumento in grado di salvare migliaia di persone dalla malattia COVID-19.

Chi mi conosce sa che ho troppo rispetto per le istituzioni alla quali sono chiamato a collaborare per venire meno al dovere della riservatezza e prestarmi invece al giochino tutto italiano dell’indiscrezione, della soffiata, della confidenza. Di fronte ad una richiesta di questo tipo, sono stato forse un po’ brusco ma certamente corretto nell’indicare al giornalista il luogo istituzionale – l’Aifa appunto – al quale avrebbe potuto chiedere informazioni.

Quanto all’accusa di conflitto di interessi, ovvero che sarei stato contrario al trial del farmaco Eli Lilly perché lo Spallanzani partecipa ad un altro progetto di ricerca finalizzato allo sviluppo di un medicinale analogo, non riesco neanche ad offendermi tanto è evidente la sua inconsistenza: in base alla stessa logica, dovrei essere contrario alla somministrazione del nuovo vaccino Pfizer dal momento che il mio istituto – istituto pubblico, è il caso di ricordare – è impegnato a condurre uno studio di fase 1 di un altro vaccino sviluppato in Italia, e uno di fase 3 del vaccino AstraZeneca, e sono personalmente impegnato nel comitato di sicurezza e monitoraggio di un ulteriore vaccino. Chiunque voglia fare ricerca nel nome della scienza sa che allo Spallanzani troverà sempre le porte aperte: a breve, solo per fare un esempio, avvieremo la sperimentazione per un nuovo anticorpo monoclonale.

Vorrei approfittare di questa occasione, visto che si parla di argomenti sui quali ho qualche competenza, per rassicurare i lettori che probabilmente si chiedono come mai non si sia accolta la possibilità di avere questo farmaco, “una mano dal cielo misteriosamente respinta”, una occasione “da cogliere al volo”, che “avrebbe permesso di salvare migliaia di persone” come scrive l’autore dell’articolo con una enfasi un po’ sospetta. Il trial BLAZE-1 cui si riferisce lo studio del New England Journal of Medicine citato nell’articolo in realtà attesta una modesta efficacia del farmaco nei pazienti con sintomi lievi o medi: solo per uno dei tre dosaggi utilizzati è stata riscontrata, a 11 giorni dal tampone positivo, una riduzione della carica virale maggiore rispetto a quella osservata nei pazienti trattati con placebo, mentre vi è stata sì una migliore performance per quanto riguarda la percentuale dei ricoverati (1,6% nel gruppo del farmaco, 6,3% in quello del placebo), ma con numeri assoluti troppo bassi (cinque ricoverati nel gruppo dei farmaci, nove in quello del placebo) per poter avere una robusta rilevanza statistica. Né tra i pazienti trattati col farmaco né tra quelli ai quali è stato somministrato il placebo, infine, vi è stato alcun decesso.

Ciò che però nell’articolo non viene detto, e che secondo me sarebbe stato invece opportuno riportare per completezza di informazione, è che un altro trial (ACTIV-3), che si proponeva di valutare l’efficacia dello stesso farmaco nei pazienti ricoverati in ospedale, è stato interrotto dal board indipendente di valutazione a causa di “assenza di benefici clinici” per i pazienti ospedalizzati. In parole semplici: sui pazienti più gravi questo farmaco non ha dimostrato alcun effetto.

La chiusura negativa del trial americano avveniva il 26 ottobre: tre giorni dopo, in una conversazione informale e non – come viene sostenuto nell’articolo – in una riunione ufficiale in sede Aifa per esprimere un parere, la società farmaceutica proponeva di testare il farmaco in Italia. Quando si dice la coincidenza…

Concludo: di fronte ad una pandemia che ha sconvolto le nostre vite, causato tante morti e travolto la nostra economia, il nostro dovere di uomini di scienza, ma anche di operatori dell’informazione, dovrebbe essere quello di comportarci in maniera corretta ed etica, rispettando il ruolo e le funzioni delle agenzie regolatorie alle quali spetta l’ultima parola, senza alimentare false speranze in rimedi miracolosi, che purtroppo non esistono, e senza seminare dubbi non suffragati da prove sulle scelte degli organismi preposti a decidere in materia di salute pubblica.

LA RISPOSTA.

Il FattoQuotidiano non ha chiesto al professor Ippolito di venir meno al dovere di riservatezza, ma di avere un riscontro per verificare quella che senza dubbio era una notizia riportando la sua pur breve dichiarazione: “Non prescrivo farmaci, mi occupo solo di scienza”. Rassicuriamo i nostri lettori che l’Aifa è stata più volte contattata per chiedere delucidazioni. Invano. Il FattoQuotidiano non ha accusato nessuno di conflitto di interessi, ma avanzato una ipotesi in assenza di una risposta completa ed esauriente a domande legittime.

Per quanto riguarda il trial ci siamo impegnati per comprendere – in un settore piuttosto tecnico – che l’effetto sulla riduzione della carica virale è di importanza secondaria rispetto al rischio di ricoveri ospedalieri che cala, stando allo studio pubblicato su The New England Journal of Medicine (qui il link), da 5.8% a 1.6%. In considerazione, quindi, delle 10mila dosi di anticorpi a 10mila pazienti con Covid iniziale (ma ad alto rischio) si sarebbe potuti passare da 1.350 a 400 ospedalizzazioni: quindi 950 ricoveri in meno.

Riguardo al trial interrotto (Activ-3) questo non concerneva il potenziale protocollo di uso del farmaco Ly-CoV555 in Italia per il quale si parlava di un progetto per pazienti con sintomi iniziali e non ospedalizzati. Il punto fondamentale era quindi un altro: la tempistica. Sulla “coincidenza” della chiusura negativa del trial possiamo tranquillamente dire è non solo irrilevante perché non riguarda l’Italia, ma anche infondata perché i contatti con l’azienda sono partiti il 7 ottobre e il professor Ippolito ne è stato informato proprio in quei giorni.

Condividiamo con il professore Ippolito l’idea che il dovere di tutti sia quello di comportarsi in maniera corretta ed etica ed è per questo che pensiamo che sarebbe stato opportuno ed importante fare il possibile per usare in piena fase pandemica un farmaco che – approvato dalla Food and drug administration ormai da oltre un mese – causa una riduzione di oltre il 70% del rischio di ricovero ospedaliero in apparente, fino a questo momento, assenza di effetti collaterali. In settimane in cui, ricordiamolo, l’alternativa era nulla e a costo zero per le finanze pubbliche. Da oltre un mese invece negli Usa viene utilizzata, in via emergenziale, quella che viene considerata dalla comunità scientifica e non dal Fatto la prima terapia mirata per Covid 19.

Ci chiediamo e continueremo a farlo perché l’Agenzia italiana del farmaco, che ha tra le sue mission il contributo alla tutela del diritto della salute oltre che la regolamentazione dell’immissione in commercio, dell’uso e della vigilanza dei prodotti farmaceutici ad uso umano, che era ed è l’unico organo competente a valutare e autorizzare la procedura, non si sia ancora espressa, né abbia risposto alle legittime domande che allo stato restano inevase.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/18/il-caso-degli-anticorpi-monoclonali-la-lettera-del-professor-ippolito-e-la-risposta-del-fattoquotidiano/6041878/

venerdì 18 dicembre 2020

Il bicarbonato e i suoi mille usi in casa.

 

Il bicarbonato e i suoi mille usi in casa

Mille e mille usi del bicarbonato di sodio in casa.

Il bicabonato di sodio (chiamato anche idrogenocarbonato di sodio o carbonato acido di sodio o carbonato monosodico) è un sale bianco conosciuto da tutti per i suoi mille utilizzi in casa. Si può usare per tantissime cose: dall'igiene personale alla pulizia della frutta e della verdura, dal lavaggio della biancheria in lavatrice, alla capacità di assorbire gli odori. L'altro elemento grazie al quale il bicarbonato è uno splendido alleato in casa è il suo costo irrisorio. Ecco di seguito alcuni usi meno noti del bicarbonato di sodio.

Come utilizzare il bicarbonato in altri mille modi meno noti.

  • Bicchieri e calici splendenti.  Per combattere le macchie di vino e di calcare riempite i calici o i bicchieri di acqua tiepida ed aggiungete un cucchiaino di bicarbonato; passateli delicatamente con una spugnetta non abrasiva e risciacquateli con cura: torneranno a splendere.
  • Teglie e piatto del microonde perfetto. Cospargete la teglia o il piatto rotante con il bicarbonato, lasciando riposare per alcuni minuti. A questo punto unite quattro parti d'acqua ad una d'aceto bianco e versate il composto nella teglia o spruzzatelo sul piatto. Il bicarbonato comincerà a frizzare, scrostando l’unto dalla superficie. Risciacquate e ammirate il risultato.
  • Potenziare l’azione del detersivo in lavatrice. Per aumentare l'efficienza del detersivo aggiungete un cucchiaino di bicarbonato nel cestello.in questo modo si combatteranno anche i cattivi odori e aumenterà la morbidezza e brillantezza dei capi lavati.
  • Pulire i colini. Come pulire in maniera efficace i colini a maglia stretta che si usano in cucina? Lasciandoli bollire in una pentola con acqua e un cucchiaio di bicarbonato.
  • Kit da palestra senza odori. Il cattivo odore che impregna i vestiti e le attrezzature che si usano in palestra è particolarmente difficile da eliminare anche dopo vari lavaggi. Provate a pulire borsoni e zaini con una pasta fatta da acqua e bicarbonato e lasciate a bagno gli abiti sportivi bacinella con acqua e bicarbonato prima di lavarli con il lavaggio tradizionale.
  • Fughe delle mattonelle splendenti. Create una pastella solida con acqua e bicarbonato. Lasciatela in posa sulle fughe delle piastrelle per almeno 4-6 ore, poi rimuovete con un panno in microfibra e il vedrete sparire il nero tra le mattonelle.
  • Frigo senza odori. Per eliminare i cattivi odori dal frigorifero provate a posizionare sul ripiano più alto dentro al frigo una ciotola piena di bicarbonato, curando di cambiarla ogni due mesi. Assorbirà gli odori sgradevoli e ne impedirà la formazione, igienizzando anche il vostro frigorifero e mantenendolo pulito.
  • Sturare le tubature. Versate una tazza di bicarbonato e mezza di aceto per liberare lo scarico in quindici minuti. In alternativa, fate bollire un litro e mezzo di acqua in una pentola, mescolate a parte 150 grammi di bicarbonato e 150 grammi di sale fino; gettate il composto nel tubo di scarico e subito dopo l’acqua bollente.
  • Via gli odori dalla lettiera del gatto. Quando cambiate la sabbia nella lettiera del gatto, pulitela bene e cospargetene il fondo con una tazza di bicarbonato, che poi coprirete ancora con la nuova sabbiolina. La stessa tecnica può essere usata per le lettiere dei criceti per la pulizia delle mangiatoie degli uccellini.
  • Cesta della biancheria sporca… profumata. Il bicarbonato è in grado di assorbire i cattivi odori. Per deodorare a lungo la cesta della biancheria, usate un sacchettino di tulle con dentro del bicarbonato. In questo modo si ridurrà anche la carica batterica, prevenendo la formazione di umidità e muffe. Se la cesta è di plastica o vimini, potete pulirla periodicamente con una soluzione di bicarbonato e acqua calda da strofinare bene su tutta la superficie.
  • Materasso macchiato. Spesso capita che sul materasso rimangano delle macchie o aloni. Per eliminarli, sciogliete un po’ di bicarbonato in acqua calda (due cucchiai per un litro d’acqua) e imbevete un panno di cotone o microfibra nella soluzione. Passatelo delicatamente sulla macchia o su tutto il materasso. Per igienizzare l’intero materasso cospargetene l’intera superficie a secco con un colino, in modo da renderlo uniforme, senza versarne troppo. Lasciate agire per qualche ora e poi rimuovete i residui con l’aspirapolvere. Acari, batteri e cattivi odori spariranno.
  • Contro gli acari. Per eliminare gli acari dai cuscini cospargeteli di bicarbonato lasciandolo agire per una notte intera, poi rimuovere il tutto con l’aspirapolvere. Così facendo, oltre a igienizzare il cuscino, rimuoverete anche i cattivi odori dall’aspirapolvere.
  • Contro la muffa. Il bicarbonato, infine, è utile anche per rimuovere i residui di muffa su pareti o su mobili. Preparate una soluzione con due cucchiai di bicarbonato, 700 ml di acqua, due cucchiai di acqua ossigenata da 30-40 volumi e due cucchiai di sale fino. Spruzzatelo con un vaporizzatore e lasciatelo agire, rimuovendo i residui di muffa con l’ausilio di uno spazzolino o di una spugnetta.



https://www.lecceprima.it/casa/usi-bicarbonato-consigli.html?fbclid=IwAR1Q3V-FUsTDPGQJe9DpoK8VAcqThJXob5DfOiyMu5Dz0c_sYUsHgLIrhXU

sabato 27 luglio 2019

Magenta, un’infermiera va in overdose in reparto. Indagine sugli ammanchi di morfina dall’armadio dei farmaci pericolosi. - Ersilio Mattioni

Magenta, un’infermiera va in overdose in reparto. Indagine sugli ammanchi di morfina dall’armadio dei farmaci pericolosi

A metà luglio il direttore generale dell'Ospedale Fornaroli ha fatto denuncia ai Carabinieri. Mancavano 8-12 fiale di morfina da 10 milligrammi l’una, quando una dose non supera i 2-3 milligrammi. C'è il sospetto che i furti siano in corso da tempo. E che medici e paramedici usino droga per reggere turni massacranti in una struttura sotto organico.
Un’infermiera trovata in overdose da morfina e viva per miracolo, un ingente quantitativo di stupefacenti trafugato da una stanza chiusa a chiave, un’indagine dei Carabinieri e il timore che, da un momento all’altro, i Nas possano piombare nel reparto Rianimazione. Come se non bastasse, dall’ospedale ‘Giuseppe Fornaroli’ di Magenta giungono voci insistenti su medici e paramedici che, per reggere turni massacranti in una struttura sotto organico, farebbero ricorso alla droga. Se fosse vero, vorrebbe dire che ci sono sanitari in stato di alterazione durante lo svolgimento del proprio turno di servizio, mentre sono a contatto con i pazienti.
Lo era certamente l’infermiera di 44 anni, residente nel Magentino, lo scorso venerdì 5 luglio. Un esame tossicologico ha dimostrato che la donna aveva assunto, prima di cominciare il turno, un cocktail di sostanze stupefacenti, tra cui morfina e cocaina. Negli ambienti ospedalieri lo chiamano ‘speedball’, un termine inglese che indica la combinazione di morfina (un oppiaceo) e cocaina (un eccitante). Il mix, tramite iniezione o inalazione, serve a potenziare le proprie capacità senza dare l’impressione di essere drogati. Funziona, ma causa una forte dipendenza fisica. Ed è pericoloso. Se l’effetto di una delle due sostanze finisce troppo presto, si va in crisi respiratoria. Questo è successo alla 44enne di Magenta. Viva per puro caso, solo perché una sua collega, prima di iniziare a lavorare, va in bagno per raccogliersi i capelli e sente un rantolo che proviene dagli spogliatoi. Preoccupata, apre la porta e trova l’infermiera stesa a terra, con una fiala di morfina che fa bella mostra nell’armadietto. Scatta l’allarme e un medico le inietta un farmaco ‘antagonista’, che annulla l’effetto della morfina. Lei reagisce subito. Pochi minuti ancora e sarebbe morta.
Ma chi può accedere alla stanza degli stupefacenti? Intorno a metà luglio i responsabili della Rianimazione decidono di svolgere un controllo incrociato sui farmaci pericolosi e sul registro. Tutto deve essere segnato nel dettaglio: chi preleva lo stupefacente, quale medico lo ha prescritto e chi è il paziente che ne deve usufruire. Si scoprono clamorosi ammanchi nell’ordine di 8-12 fiale da 10 milligrammi l’una. E’ un’enormità, se si pensa che la dose da assumere non può superare i 2-3 milligrammi. Inoltre, i controlli riguardano solo gli ultimi mesi e cresce il sospetto che i furti di stupefacenti siano in corso da tempo. “Non appena abbiamo saputo degli ammanchi – spiega il direttore generale della Asst, Fulvio Odinolfi, a Ilfattoquotidiano.it – abbiamo proceduto con una denuncia ai Carabinieri, dalla quale è scaturita un’indagine. Se arriverà un’ispezione dei Nas, saremo pronti. Di sicuro, siamo a completa disposizione delle forze dell’ordine, che avranno la nostra totale collaborazione. Nulla, in questa storia, verrà lasciato al caso”.
La prima denuncia contro ignoti, però, non va a buon fine. L’ospedale spedisce dai Carabinieri di Magenta un’infermiera semplice. E quando i militari si rendono conto che la materia è delicata, chiedono di parlare con un responsabile. Il coordinatore degli infermieri è in ferie. Così la dipendente torna in caserma accompagnata da un medico alcuni giorni dopo, per la precisione il 15 luglio. In quello stesso momento, all’ospedale ‘Giuseppe Fornaroli’, c’è l’assessore regionale alla Sanità, Giulio Gallera, per inaugurare i nuovi poliambulatori. Sopra, in corsia, si tagliano nastri e si brinda a quella che i politici chiamano “l’eccellenza lombarda”; sotto, in Rianimazione, si rimettono assieme i cocci della tragedia e ci si chiede cosa succederà adesso. Il clima è pesante.
Agli infermieri viene imposta la consegna del silenzio e viene convocata, per il primo pomeriggio del 22 luglio, una riunione urgente. All’ordine del giorno un solo punto: gestione degli stupefacenti. A presiedere l’incontro Maria José Rocco del Sitra (Servizio infermieristico tecnico e riabilitativo aziendale) e Gabriella Cirrincione (capo area della Rianimazione). Vengono dettate le nuove regole sulla custodia della chiave per accedere agli stupefacenti e sulla compilazione dell’apposito registro. Ma non viene affrontato un problema da sempre irrisolto: le chiavi sono due, l’altra è nella sala medici e i dottori la possono utilizzare senza sottoporsi alle nuove rigide procedure.
Odinolfi, pur chiarendo che “gli stupefacenti non sono alla mercé di chiunque”, ammette che potrebbe esserci una falla nel sistema di sicurezza, garantendo “il massimo impegno per trovarla e debellarla”. Tutto questo al netto dei sistemi, alcuni ineliminabili, per rubare i farmaci custoditi sotto chiave. Non all’ospedale di Magenta, ma in ogni nosocomio italiano. L’elenco è lunghissimo. Il più semplice è dichiarare che una fiala, mentre veniva prelevata, si è rotta ed è stata sostituita con una nuova. Un altro molto diffuso è quello di trattenere il flacone da 10 milligrammi dopo aver iniettato al paziente una dose di 3-4 milligrammi al massimo. L’ordine è quello di buttare via il contenuto inutilizzato, ma non tutti lo fanno. Poi ci sono i furti veri e propri, stando attenti a non farsi vedere oppure attingendo dalle scatole di scorta, quelle collocate sul fondo dell’armadietto, che di fatto non si aprono mai.
Mentre la lunga storia delle sparizioni degli stupefacenti getta un’ombra sinistra sull’ospedale di Magenta, in Rianimazione si ricomincia a lavorare con le stesse difficoltà. Gli infermieri assunti sono 18, ma quelli in servizio 14 a causa di malattie e maternità. Nessuno ha provveduto a integrare l’organico e i turni da svolgere sono 3, oltre agli ‘stacchi’ dopo una notte e al giorno di riposo. Il risultato è che a ogni giro ci sono in servizio solo 3 paramedici. Come sempre, i pazienti abbondano e il personale scarseggia.

Eppure un buon sistema per evitare che ciò avvenga c'è: pretendere che chi preleva tali farmaci rilasci una ricevuta nella quale descriva la quantità usata e la motivazione dell'utilizzo.
Suppongo che questi farmaci abbiano un costo che grava sulla spesa sanitaria, si rende necessario, pertanto, un controllo accurato sul loro uso.
c.

giovedì 5 luglio 2018

Non usate i bambini per far accettare l’immigrazione. - Israel Shamir



Quando sullo schermo vedo un bambino che piange, so che qualcuno sta cercando di approfittarsi di me. Lo stesso vale per qualsiasi richiamo ai miei istinti umani di base, che si tratti di una donna nuda o di un bambino morto. Un trucco così banale, invece di convincermi, mi provoca un rifiuto immediato. So che quel corpo voluttuoso non potrà mai essere mio anche se comprassi tutta la Coca Cola del negozio. La vista di bambini morti non mi convincerà a fare qualcosa contro il buon senso, perché so che è una manipolazione. In politica, voglio una discussione socratica, non una persuasione emotiva. Se non riesci a convincermi con le parole, non provare a farlo con le immagini. Spesso tuttavia ci provano e ci riescono.
Le parole possono essere piuttosto istigatorie, ma le immagini ancor di più. Per mandare a morire il fiore della gioventù inglese nelle trincee di Verdun, vennero usate le immagini di bruti tedeschi che bruciavano neonati belgi sulle proprie baionette; le foto di commissari ebrei che violentavano una bionda ariana spinsero i ragazzi tedeschi alla morte prematura sulle rive del fiume Volga. Non si possono mettere in discussione le immagini con le parole, dicendo che esiste un modo semplice per evitare la calamità: non iniziare la guerra, e il bruto tedesco dovrà soddisfare i suoi vaneggiamenti arrostendo una bratwurst; il commissario ebreo si limiterà ad abbonarsi a Playboy per vedere un corpo ariano.
Questo è il caso di #Trumpbabysnatcher. È straziante vedere foto di bambini piccoli dietro le sbarre. Esiste però un modo molto più semplice per evitare la separazione e l’incarcerazione: non attraversare il Rio Grande senza un visto.
Gli spacciatori di immagini sono disonesti, non gliene frega niente dei bambini: Madeleine Albright disse che valeva la pena uccidere mezzo milione di bambini iracheni. La Clinton ha scatenato l’inferno sui suoli libico e siriano, uccidendone ed espropriandone centinaia di migliaia. Tutti i presidenti degli Stati Uniti hanno abbracciato e baciato i governanti israeliani, che abitualmente detengono, torturano ed uccidono bambini palestinesi. I nostri amici nei media alternativi (Counterpunch ecc.) che si sono uniti a questi signori nell’agitare le foto dei bambini sono di mente debole o disonesti o pensano che tutto sia lecito pur di raggiungere il proprio obiettivo, cioè sbarazzarsi di Trump.
L’ottima Diana Johnstone ha scritto di recente che il problema dell’immigrazione divide la sinistra tedesca. Il problema spacca però l’intero mondo occidentale. Da un lato, chi crede in un mondo senza frontiere, nella libera circolazione delle persone. Sembra fantastico, finché poi non ti rendi conto che questo è un modo per distruggere la classe lavoratrice nativa, abolire lo stato sociale, rovinare le strutture sociali ed allo stesso tempo minare i paesi da cui la gente emigra; in pratica, distruggere il mondo come lo conosciamo. Dall’altro lato, chi vuole preservare il mondo in cui vive cerca di tenere alte le mura.
Contro la manipolazione, abbiamo bisogno di onestà e sincerità. Se pensi che l’immigrazione di massa ci riporterà ad un nuovo Medioevo, dillo. Se pensi che sarebbe meglio rimuovere i confini e scatenare nuove invasioni barbariche, dillo. Per favore, però, non mostrarci foto di bambini.
A livello personale, chi è a favore di frontiere aperte è sicuro che il proprio lavoro non verrà minacciato da alcun migrante; per loro, un nuovo arrivo messicano significa un nuovo ristorante o un nuovo contadino o costruttore o addetto alle pulizie, più economico di quello che avevano prima, non un concorrente per lavoro ed alloggio. Chi è più conservatore sa di essere vulnerabile, che i nuovi arrivi potrebbero togliergli il lavoro. In altre parole, i primi appartengono alle classi alte o sono i loro lacché, i secondi alle classi lavoratrici, spalleggiati da chi prova solidarietà nei loro confronti.
“Perché non dici che i primi provano compassione verso i rifugiati e gli immigrati?”, potreste chiedere. Perché fanno ciò che è nell’interesse delle classi superiori. Non provano empatia per la sofferenza dei palestinesi, e questa è la prova che mentono.
Vi ricordate l’immagine del povero bambino siriano annegato in riva al mare? Quella foto ha mosso un milione tra afgani, iracheni, zingari e persino alcuni siriani in Europa. È senza dubbio terribile, soprattutto il fatto che il padre del bambino abbia messo in pericolo le vite della propria famiglia senza una valida ragione. Aveva vissuto per alcuni anni nella prospera e sicura Turchia; preferiva il Canada; i canadesi gli hanno rifiutato il visto, così si è avventurato nel pericoloso Mediterraneo ed ha perso tutta la propria famiglia. Terribile; ma questa tragedia personale dovrebbe insegnare qualcosa: non solcare il mare su navi insicure. Meglio vivere in Turchia, come fanno 80 milioni di persone, che morire in mare.
Qualche giorno fa abbiamo visto palestinesi – uomini, donne e bambini – presi a fucilate da cecchini israeliani perché volevano lasciare il campo di concentramento di Gaza. Quelli che amano l’immigrazione hanno detto qualcosa? No, sanno che i loro organizzatori ebrei non approverebbero. E gli ebrei non erano affatto impressionati. “Fateli morire tutti”, hanno scritto sui social network. Gli ebrei, di norma, sono miopi ed eccellono nella parola. Ciò consente loro di rimanere impassibili davanti alle immagini, mentre dall’altro lato diffondono immagini di bambini per impressionare i Gentili.
Gli israeliani sono divisi sui migranti africani: i ricchi ne vogliono di più, le classi lavoratrici li vogliono fuori. Il governo di Netanyahu è piuttosto populista e li ricaccia via, anche se i tipi alla Soros cercano di bloccare le deportazioni. I ricchi e gli operai, la sinistra e la destra ebraica sono tuttavia unanimi contro un’etnia: non vogliono permettere ai palestinesi nativi di vagare sulla propria terra. Gli ebrei sono anti-nativi per definizione; questo definisce il loro atteggiamento nei confronti della tratta di esseri umani.
La migrazione non è poi così diversa dal commercio degli schiavi del passato (tratta in cui gli ebrei eccellevano). Recentemente  è apparso un video che giunge dalla Libia: i soldati della Guardia Costiera frustano i migranti neri sui gommoni e li spingono in mare. Chi rimane nei campi viene venduto all’asta, le donne per sesso, gli uomini per il lavoro duro. Il video è apparso proprio quando la lotta a favore e contro il nuovo commercio di schiavi si è diffusa in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Italia alla Germania.
La Libia è uno dei principali mercati nel commercio di schiavi. Un tempo era un paese relativamente prospero ed un blocco affidabile sulla strada dei migranti africani in Europa. Questi potevano trovare ed hanno trovato lavoro nella Libia di Gheddafi. Nel 2011, però, il paese è stato distrutto da Obama e dalla Clinton. Da allora, è diventato un paese povero ed in rovina, con una guerra civile che sta lentamente sobbollendo. La Libia ha petrolio, ma ora ha scoperto il commercio degli schiavi africani. Come nel 17° secolo, i neri africani ancora una volta rendono ricchi alcuni arabi ed europei.
Le milizie libiche guadagnano molti milioni di dollari in questo modo. Prendono soldi da ambo le parti – dagli africani che corrono in Europa in fuga dai propri paesi devastati, e dagli europei che pagano le milizie per fermare i rifugiati.
L’uomo immortalato nel video con una frusta tra le mani, il capo della brutale banda di schiavisti, è un ex ribelle contro il ‘dittatore sanguinario’ Muammar al-Gheddafi, amico della democrazia e dei valori europei, Abd al-Rahman al-Milad, un comandante della Guardia Costiera. Le barche, su cui manda gli africani in Europa, vengono comprate con denaro europeo. Duecento milioni di euro l’anno sono pagati da Bruxelles, ma gli schiavi portano un reddito molto superiore a questa cifra. Gli europei apprezzano Milad – un anno fa è stato invitato ad un corso di aggiornamento a Roma, dove ha trascorso un mese fruttuoso in un hotel di classe a spese dell’Unione Europea.
Il rivale di Milad, Al-Dabbashi, manda barche di notte dalle spiagge. I concorrenti rimuovono i motori dalle barche dei rivali e lasciano morire i rifugiati in mare. Il giro è enorme: un milione e mezzo di neri sono passati attraverso la Libia in viaggio verso l’Europa, migliaia sono morti lungo il percorso; la risorsa umana però non si è prosciugata. Altri militanti libici, che hanno liberato la propria patria dal sanguinario Gheddafi, operano nell’entroterra africano e guidano decine di migliaia di africani attraverso il Sahara verso la Libia, verso nuovi mercati di schiavi e verso l’Europa.
Le ONG europee raccolgono i gommoni con migranti inviati da Milad, li fanno salire a bordo e li sganciano in Europa, ottenendo un buon profitto. Questi “soccorritori” cooperano direttamente con Milad ed altri schiavisti, ricevono istruzioni esatte dai “mittenti” su dove raccogliere le barche e prendono una quota considerevole del profitto. Guadagnano sovvenzioni e donazioni dei compassionevoli europei, che non capiscono di essere manipolati dagli schiavisti.
Per diversi anni questa attività è fiorita senza ostacoli, fino a quando il popolo italiano si è stancato di accettare centinaia di migliaia di immigrati clandestini, ed ha eletto i “populisti”, una coalizione della conservatrice Lega Nord e del partito libertario M5S, di stampo più di sinistra e meridionale, che hanno chiuso il traffico. Matteo Salvini, il ministro dell’Interno, ha proibito ad una nave col suo carico di neri di entrare nei porti italiani, e, dopo diversi giorni di dispute, la nave Aquarius si è diretta verso la Spagna. Se gli italiani rimarranno fermi e punteranno i piedi, elimineranno la seconda parte dello schema del traffico, le navi delle “ONG umanitarie” che hanno reso possibile tutto il commercio degli schiavi.
Il governo spagnolo ha accettato l’Aquarius, assieme ad altre due barche che battevano bandiera olandese, alle quali gli insubordinati italiani avevano impedito di entrare nei propri porti. Macron si è schierato con Bruxelles, la Germania e la Spagna, ed ha promesso di accogliere i rifugiati dell’Aquarius. Anche in Germania sta però montando una rivolta: il ministro dell’Interno Horst Seehofer ha dato l’ordine di smettere di accettare i migranti illegali. La Merkel ovviamente non è d’accordo. Potrebbe cacciarlo, ma così facendo la coalizione crollerebbe.
L’Ungheria ha posto la lotta all’immigrazione al primo posto nella propria agenda. La divisione non è dunque tra sinistra o destra, ma tra chi vuole porre fine all’immigrazione clandestina e chi vuole sostituire la costosa e viziata popolazione europea con migranti senza pretese, obbedienti ed economici.
Esiste una correlazione tra l’atteggiamento nei confronti della migrazione e la Russia. Quelli per le frontiere aperte sono anti-russi, quelli pro-nativi sono piuttosto filo-russi. Non è una correlazione perfetta al 100%, dato che la Polonia è anti-russa ed anti-migrazione allo stesso tempo, ma di regola, nei social network, i russi appoggiano le forze anti-Soros in Europa, e quelle forze guardano alla nazionalista Mosca con speranza.
Il governo russo non intende interferire con il processo decisionale europeo (men che meno quello americano) in questo àmbito. La Russia non è particolarmente accogliente con i migranti, e, nonostante il suo coinvolgimento nella guerra siriana, il paese ha ricevuto pochissimi se non zero rifugiati siriani. L’opposizione a Putin, sia essa dal Partito Comunista o dai nazionalisti di Zhirinovsky, è fortemente anti-immigrazione, mentre il governo consente ai migranti dall’Asia centrale di entrare e lavorare. Da quando però il rublo si è deprezzato rispetto al dollaro, le ondate migratorie sono diminuite. Come sappiamo, infatti, in Russia, in Europa e negli Stati Uniti la migrazione è principalmente di tipo economico.
La soluzione sta nel compiere accordi con Africa, America Latina ed altri donatori di “capitale umano”. Dovrebbe esserci una legge che stabilisca una bilancia dei pagamenti positiva, inclusi transazioni finanziarie e rimborso del debito, tra questi paesi ed il prospero Occidente. Il denaro dovrebbe fluire in Africa, non dall’Africa, e questo porrebbe fine al traffico libico.
La migrazione di massa è un fenomeno odioso, che incoraggia la tratta di esseri umani ed il traffico di schiavi, aumenta i profitti dei contrabbandieri e rovina i paesi mittenti e destinatari. È bene fermarlo. E nessuna foto di bambini che piangono dovrebbe interferire con questa decisione.
Infatti, non è nè giusto e nè onesto usare i bambini per suscitare sensi di colpa. I sensi di colpa dovrebbero averli coloro i quali costringono la povera gente ad espatriare per vari motivi. 
Quanti bambini muoiono di fame ogni anno in varie parti del mondo per mancanza di cibo? Quanti bambini muoiono per malattie?Quanti bambini vengono uccisi dalle guerre scatenate per motivi di lucro?
Sarebbe il caso di soffermarsi a pensare per trovare una soluzione che eviti che esseri umani intraprendano i viaggi della disperazione durante i quali bambini innocenti muoiono annegati!
Se alcuni bambini muoiono annegati la colpa è solo di chi invadendo la loro terra per appropriarsi indebitamente di ciò che non è suo, li costringe a scappare dall'orrore e dalla fame che le guerre producono!