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sabato 19 dicembre 2020

Il caso degli anticorpi monoclonali, la lettera del professor Ippolito e la risposta del FattoQuotidiano.it.

 

Il FattoQuotidiano.it ha pubblicato un'inchiesta sulla mancata possibilità di utilizzare - gratuitamente - in ottobre in Italia 10mila dosi del farmaco che riduce i rischi di ospedalizzazione. Il direttore scientifico della Spallanzani ci ha scritto per spiegare le critiche sollevate sulla sperimentazione e il Fatto chiede perché non è stato fatto il possibile per utilizzare un composto autorizzato da oltre un mese negli Usa. Intanto l'Aifa tace.

Il 17 dicembre il FattoQuotidiano e ilfattoquotidiano.it hanno pubblicato un’inchiesta (qui il link) in cui si dava conto del fatto che a inizio ottobre l’Italia aveva avuto la possibilità di sperimentare con almeno 10mila dosi gratis gli anticorpi monoclonali dell’azienda Usa Eli Lilly che riduce i rischi di ospedalizzazione dal 72 al 90%. Possibilità evaporata dopo una riunione all’Aifa. Al Fatto risultava presente, tra gli altri, anche il professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, che avrebbe sollevato una serie di critiche. Interpellato prima telefonicamente e poi tramite email lo scienziato ha risposto alle domande con una lettera al direttore. Qui di seguito le domande rivolte, la lettera del professor Ippolito, la nostra risposta.

LE DOMANDE

Il 7 ottobre 2020 l’Aifa ha ricevuto la richiesta di valutazione di un “trial clinico pragmatico” proposto da una multinazionale che lo aveva somministrato in via sperimentale negli Usa. Vorremmo sapere quali valutazioni sono state fatte e perché, come ci risulta, si è deciso di non dar corso alla proposta che si basava anche sulla fornitura a titolo gratuito di 10mila dosi.

Al FattoQuotidiano risulta che nelle riunioni citate il suo parere è stato fortemente negativo? Perché? Quali riserve sul farmaco stesso, quali sugli studi disponibili, quali di rango regolatorio

C’è chi pensa che lei abbia voluto frenare questa possibilità perché lo Spallanzani è impegnato con la Fondazione Toscana Life Sciences proprio nei test di anticorpi monoclonali. Che risponde?

A che punto è quella sperimentazione? Fino a poco tempo fa se ne parlava molto e si dava come orizzonte la prossima primavera…

Ci risulta che dopo Usa – dove dal 10 novembre è autorizzato pare con successo l’uso degli anticorpi – e Canada alcuni Paesi della Ue stiano per ufficializzare un’autorizzazione d’emergenza rispetto alle procedure dell’Ema che non consentono autorizzazioni senza la chiusura degli studi. È una strada impraticabile per l’Italia? Perché lo sarebbe per la Germania?

LA LETTERA.

Egregio direttore,

contrariamente alle mie abitudini, sono costretto a intervenire in merito all’articolo “Il salvavita italiano che noi non usiamo”, pubblicato sul Fatto Quotidiano del 17 dicembre, per fornire ai suoi lettori alcune precisazioni. L’articolo, riassumo liberamente per chi non avesse avuto la fortuna di leggerlo, ipotizza che io avrei dato, nel corso di una riunione svoltasi in sede Aifa il 29 ottobre scorso, parere negativo all’avvio in Italia del trial clinico di un farmaco prodotto dalla multinazionale Eli Lilly che qualche giorno dopo avrebbe ottenuto l’autorizzazione all’uso emergenziale negli Stati Uniti, privando così il nostro Paese di uno strumento in grado di salvare migliaia di persone dalla malattia COVID-19.

Chi mi conosce sa che ho troppo rispetto per le istituzioni alla quali sono chiamato a collaborare per venire meno al dovere della riservatezza e prestarmi invece al giochino tutto italiano dell’indiscrezione, della soffiata, della confidenza. Di fronte ad una richiesta di questo tipo, sono stato forse un po’ brusco ma certamente corretto nell’indicare al giornalista il luogo istituzionale – l’Aifa appunto – al quale avrebbe potuto chiedere informazioni.

Quanto all’accusa di conflitto di interessi, ovvero che sarei stato contrario al trial del farmaco Eli Lilly perché lo Spallanzani partecipa ad un altro progetto di ricerca finalizzato allo sviluppo di un medicinale analogo, non riesco neanche ad offendermi tanto è evidente la sua inconsistenza: in base alla stessa logica, dovrei essere contrario alla somministrazione del nuovo vaccino Pfizer dal momento che il mio istituto – istituto pubblico, è il caso di ricordare – è impegnato a condurre uno studio di fase 1 di un altro vaccino sviluppato in Italia, e uno di fase 3 del vaccino AstraZeneca, e sono personalmente impegnato nel comitato di sicurezza e monitoraggio di un ulteriore vaccino. Chiunque voglia fare ricerca nel nome della scienza sa che allo Spallanzani troverà sempre le porte aperte: a breve, solo per fare un esempio, avvieremo la sperimentazione per un nuovo anticorpo monoclonale.

Vorrei approfittare di questa occasione, visto che si parla di argomenti sui quali ho qualche competenza, per rassicurare i lettori che probabilmente si chiedono come mai non si sia accolta la possibilità di avere questo farmaco, “una mano dal cielo misteriosamente respinta”, una occasione “da cogliere al volo”, che “avrebbe permesso di salvare migliaia di persone” come scrive l’autore dell’articolo con una enfasi un po’ sospetta. Il trial BLAZE-1 cui si riferisce lo studio del New England Journal of Medicine citato nell’articolo in realtà attesta una modesta efficacia del farmaco nei pazienti con sintomi lievi o medi: solo per uno dei tre dosaggi utilizzati è stata riscontrata, a 11 giorni dal tampone positivo, una riduzione della carica virale maggiore rispetto a quella osservata nei pazienti trattati con placebo, mentre vi è stata sì una migliore performance per quanto riguarda la percentuale dei ricoverati (1,6% nel gruppo del farmaco, 6,3% in quello del placebo), ma con numeri assoluti troppo bassi (cinque ricoverati nel gruppo dei farmaci, nove in quello del placebo) per poter avere una robusta rilevanza statistica. Né tra i pazienti trattati col farmaco né tra quelli ai quali è stato somministrato il placebo, infine, vi è stato alcun decesso.

Ciò che però nell’articolo non viene detto, e che secondo me sarebbe stato invece opportuno riportare per completezza di informazione, è che un altro trial (ACTIV-3), che si proponeva di valutare l’efficacia dello stesso farmaco nei pazienti ricoverati in ospedale, è stato interrotto dal board indipendente di valutazione a causa di “assenza di benefici clinici” per i pazienti ospedalizzati. In parole semplici: sui pazienti più gravi questo farmaco non ha dimostrato alcun effetto.

La chiusura negativa del trial americano avveniva il 26 ottobre: tre giorni dopo, in una conversazione informale e non – come viene sostenuto nell’articolo – in una riunione ufficiale in sede Aifa per esprimere un parere, la società farmaceutica proponeva di testare il farmaco in Italia. Quando si dice la coincidenza…

Concludo: di fronte ad una pandemia che ha sconvolto le nostre vite, causato tante morti e travolto la nostra economia, il nostro dovere di uomini di scienza, ma anche di operatori dell’informazione, dovrebbe essere quello di comportarci in maniera corretta ed etica, rispettando il ruolo e le funzioni delle agenzie regolatorie alle quali spetta l’ultima parola, senza alimentare false speranze in rimedi miracolosi, che purtroppo non esistono, e senza seminare dubbi non suffragati da prove sulle scelte degli organismi preposti a decidere in materia di salute pubblica.

LA RISPOSTA.

Il FattoQuotidiano non ha chiesto al professor Ippolito di venir meno al dovere di riservatezza, ma di avere un riscontro per verificare quella che senza dubbio era una notizia riportando la sua pur breve dichiarazione: “Non prescrivo farmaci, mi occupo solo di scienza”. Rassicuriamo i nostri lettori che l’Aifa è stata più volte contattata per chiedere delucidazioni. Invano. Il FattoQuotidiano non ha accusato nessuno di conflitto di interessi, ma avanzato una ipotesi in assenza di una risposta completa ed esauriente a domande legittime.

Per quanto riguarda il trial ci siamo impegnati per comprendere – in un settore piuttosto tecnico – che l’effetto sulla riduzione della carica virale è di importanza secondaria rispetto al rischio di ricoveri ospedalieri che cala, stando allo studio pubblicato su The New England Journal of Medicine (qui il link), da 5.8% a 1.6%. In considerazione, quindi, delle 10mila dosi di anticorpi a 10mila pazienti con Covid iniziale (ma ad alto rischio) si sarebbe potuti passare da 1.350 a 400 ospedalizzazioni: quindi 950 ricoveri in meno.

Riguardo al trial interrotto (Activ-3) questo non concerneva il potenziale protocollo di uso del farmaco Ly-CoV555 in Italia per il quale si parlava di un progetto per pazienti con sintomi iniziali e non ospedalizzati. Il punto fondamentale era quindi un altro: la tempistica. Sulla “coincidenza” della chiusura negativa del trial possiamo tranquillamente dire è non solo irrilevante perché non riguarda l’Italia, ma anche infondata perché i contatti con l’azienda sono partiti il 7 ottobre e il professor Ippolito ne è stato informato proprio in quei giorni.

Condividiamo con il professore Ippolito l’idea che il dovere di tutti sia quello di comportarsi in maniera corretta ed etica ed è per questo che pensiamo che sarebbe stato opportuno ed importante fare il possibile per usare in piena fase pandemica un farmaco che – approvato dalla Food and drug administration ormai da oltre un mese – causa una riduzione di oltre il 70% del rischio di ricovero ospedaliero in apparente, fino a questo momento, assenza di effetti collaterali. In settimane in cui, ricordiamolo, l’alternativa era nulla e a costo zero per le finanze pubbliche. Da oltre un mese invece negli Usa viene utilizzata, in via emergenziale, quella che viene considerata dalla comunità scientifica e non dal Fatto la prima terapia mirata per Covid 19.

Ci chiediamo e continueremo a farlo perché l’Agenzia italiana del farmaco, che ha tra le sue mission il contributo alla tutela del diritto della salute oltre che la regolamentazione dell’immissione in commercio, dell’uso e della vigilanza dei prodotti farmaceutici ad uso umano, che era ed è l’unico organo competente a valutare e autorizzare la procedura, non si sia ancora espressa, né abbia risposto alle legittime domande che allo stato restano inevase.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/18/il-caso-degli-anticorpi-monoclonali-la-lettera-del-professor-ippolito-e-la-risposta-del-fattoquotidiano/6041878/

martedì 8 luglio 2014

Dieci risposte a dieci domande.

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Breve cronologia dei fatti.

- Abbiamo costruito una legge elettorale con migliaia di cittadini in rete, primo esperimento al mondo di democrazia partecipata
- Il 15 giugno vi abbiamo richiesto un incontro per parlarne e dare al Paese una legge elettorale in 100 giorni.
- Ci avete detto che avreste pubblicato 5 punti e che sareste stati disponibili ad un secondo incontro
- I 5 punti sono diventati 10 perché avete aggiunto altre domande.
- Lunedì 30 giugno vi abbiamo chiesto un secondo incontro per giovedì 3 luglio, per parlare di legge elettorale e rispondere alle vostre domande in modo serio in un contesto istituzionale. Ci avete comunicato che non avevate una delegazione (bisogna capire che per i politici il giovedì finisce la settimana lavorativa)
- A questo punto Guerini - non uno qualsiasi, ma il vicesegretario del PD - ha fissato come data ufficiale del secondo incontro lunedì 7 alle 15 nella sala del Cavaliere, alla Camera. Anche lo streaming era stato organizzato.
- Nel frattempo, ci avete chiesto di rispondere alle 10 domande formulate in precedenza noi lo abbiamo fatto nel modo più ufficiale possibile: con Luigi Di Maio, Vicepresidente della Camera, tramite un’intervista pubblicata domenica 6 luglio su uno dei principali quotidiani del Paese.
- Ciò non vi è bastato. Noi abbiamo risposto chiaramente alle vostre domande, ma voi poche ore prima dell’incontro, non contenti, avete preteso che rispondessimo una seconda volta per iscritto, come se il contenuto dell’intervista cambiasse da scritto su un quotidiano a scritto su una lettera.
- Alle ore 10 di oggi salta l’incontro. Ci chiediamo: come è possibile che qualcosa di così importante per gli Italiani come la legge elettorale salti perché non abbiamo risposto per la seconda volta per iscritto alle domande?
Come mai per trattare di legge elettorale con un condannato come Berlusconi non richiedete nulla, né risposte scritte, né lo streaming in modo che tutti i cittadini possano capire cosa vi siete detti?
A noi non crea alcuna difficoltà ne lo streaming ne la lettera. Ma allora perché non fate altrettanto con i vostri incontri con Berlusconi?.
- La nostra massima disponibilità al confronto e al dialogo ci porta a rispondere a tutti i vostri quesiti per la terza volta. Ora, in modo tale che non abbiate più alibi e non possiate più raccontare agli Italiani con la complicità dei giornalisti che il tavolo di lavoro è saltato per colpa nostra, vi riportiamo di seguito le risposte una terza volta:
1. Per noi un vincitore ci vuole sempre. L’unico modello che assicura questo oggi in Italia è la legge elettorale che assegna un premio di maggioranza al primo turno o al secondo turno. Il Movimento 5 Stelle, per esempio, ha vinto a Parma, Livorno e Civitavecchia nonostante che (sic) al primo turno abbia preso meno del 20% dei voti. Però poi al ballottaggio ha ottenuto la metà più uno dei votanti. Vi chiediamo: siete disponibili a prevedere un ballottaggio, così da avere sempre la certezza di un vincitore? Noi sì.
“Si”
Per noi quello che voi chiamate “vincitore” è il conquistatore di una vittoria di Pirro, che non garantisce in alcun modo la governabilità: speravamo che l’esperienza di “vittoria” con una schiacciante maggioranza nella scorsa legislatura vi fosse stata d’insegnamento, ma evidentemente non è così. Un modello che assicuri la certezza di un vincitore come quello disegnato nella legge Berlusconi-Renzi non esiste pressoché in nessun sistema democratico al mondo.
In ogni caso, al fine di evitare un pessima legge elettorale quale è la legge Berlusconi-Renzi nella sua attuale formulazione, e produrre un testo migliore siamo disponibili a prevedere un ballottaggio che dia ad una forza politica la maggioranza dei seggi, a condizione di evitare che la conquista del primo posto si trasformi in una corsa all’ammucchiata di tutto e il suo contrario (come è stato per l’Unione di Romano Prodi e per le coalizioni guidate da Silvio Berlusconi) che ha provocato la caduta anticipata dei rispettivi governi nel 2008 e nel 2011 nonostante la “vittoria”. Per evitarlo, la nostra proposta alternativa è formulata in questi termini:
- un primo turno proporzionale privo di soglie di sbarramento, in modo da consentire a chiunque di correre per il Parlamento e colmare il deficit di rappresentatività che la legge comporta;
- in caso di superamento della soglia del 50% + 1 dei seggi al primo turno, prevediamo un premio di governabilità minimo, che consegnerebbe al vincitore il 52% dei seggi;
- nel caso in cui nessuno raggiunga la maggioranza al primo turno, è previsto un secondo turno tra i due partiti più votati, al cui vincitore viene assegnato il 52% dei seggi.

2. Siete disponibili a assicurare un premio di maggioranza per chi vince, al primo o al secondo turno, non superiore al 15% per assicurare a chi ha vinto di avere un minimo margine di governabilità? Noi sì.
“Si” 
Ferme restando le obiezioni di cui alla precedente risposta, che potranno tuttavia essere sciolte dalla Corte costituzionale nella sede del controllo preventivo previsto nella riforma costituzionale, come già evidenziato siamo disponibili alla previsione di un turno di ballottaggio, nel caso in cui il primo turno non veda nessuna forza politica ottenere la maggioranza dei seggi, con il quale sia possibile attribuire un numero di seggi tali da assicurare a chi ha vinto di avere un minimo margine di maggioranza (la governabilità è un’altra cosa, per noi).
3. Siete disponibili a ridurre l’estensione dei collegi? Noi sì.
“Si”
La riduzione dell’estensione dei collegi è possibile, ma questo e altri elementi tecnici dipendono naturalmente dall’impianto complessivo della legge e da come si vuole concretamente realizzare.
4. Siete disponibile a far verificare preventivamente la legge elettorale alla Corte costituzionale, così da evitare lo stucchevole dibattito “è incostituzionale, è costituzionale”? Noi sì.
“Sì” 
Siamo disponibili a far verificare preventivamente la legge elettorale alla Corte costituzionale; quello che tuttavia abbiamo urgenza di capire è in quale modo si dovrebbe introdurre questo controllo e come dovrebbe intervenire sulla legge elettorale in discussione. Il Presidente del Consiglio ha affermato nel corso del nostro ultimo incontro che la legge elettorale sarà approvata e promulgata dopo la prima lettura da parte del Senato della riforma della Costituzione. Il che significa che il controllo non sarà previsto per la legge elettorale in discussione.
Come pensate di risolvere questa contraddizione?
5. Siete disponibili a ridurre il potere delle Regioni modificando il titolo V e riportando in capo allo Stato funzioni come le grandi infrastrutture, l’energia, la promozione turistica? Noi sì.
“Si” 
Siamo disponibili ad una modifica del Titolo V, sebbene riteniamo che l’impianto proposto nell’attuale riforma non sia funzionale alla risoluzione dei problemi provocati dalla riforma del 2001. Nel merito, la riforma Renzi del Titolo V prevede l’eliminazione sia della competenza concorrente Stato-Regioni, quella in cui lo Stato dettava i principi, con “leggi-quadro” per ragioni di omogeneità e le Regioni vi davano attuazione con le loro leggi, e della competenza residuale regionale, ovvero della clausola per la quale tutto quanto non era di competenza statale o concorrente spettava alle Regioni.
Nel nuovo quadro vengono definite solo le competenze statali, e quelle regionali non sono più residuali ma sono specificamente elencate. Se il problema che la riforma Renzi mira a risolvere è quello del “chi fa cosa” e quindi del contenzioso che si crea innanzi alla Corte costituzionale bloccando o invalidando numerosissime leggi, non si capisce in che modo questa riforma lo risolverebbe.
La nuova definizione di competenze non sembra essere risolutiva del problema in questione: dove finisce, ad esempio, la “programmazione e organizzazione dei servizi sanitari” (materia di competenza regionale) e dove iniziano le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute” (di competenza statale)? Quale opera sarà da considerarsi “dotazione infrastrutturale” (regionale) e quale “infrastruttura strategica” (statale)?
A ciò si aggiunga la previsione di una “clausola di supremazia” per la quale «su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale». Anche in questo caso, si pone il problema della grave disfunzione applicativa che può produrre questa disposizione.
Non si capisce, infatti, anzitutto perché debba provenire dal Governo la proposta per l’utilizzo della clausola di supremazia in ambito legislativo, anziché dall’organo legislativo che è il Parlamento. È facile immaginare che un Governo incapace di governare, che si regge sull’abuso dell’utilizzo dello strumento della questione di fiducia per imporsi al Parlamento, utilizzerà nello stesso modo la clausola di supremazia per imporsi alle Regioni, facendo rientrare discrezionalmente qualsivoglia legge nel concetto per sua natura amplissimo e difficilmente delimitabile dell’“unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
Sul ricorso a questa clausola, è facile poi prevedere altro contenzioso paralizzante innanzi alla Consulta.
Inoltre, riteniamo che vadano discusse nello specifico le materie da riportare in capo allo Stato, oltre a quelle elencate, quali ad esempio la Sanità.
6. Siete disponibili ad abbassare l’indennità del consigliere regionale a quella del sindaco del comune capoluogo e eliminare ogni forma di rimborso ai gruppi consiliari delle Regioni? Noi sì
“Sì” 
Premettendo che il problema dell’indennità di consigliere regionale e di ogni forma di rimborso elettorale per i gruppi consiliari è stato già risolto dal M5S con il dimezzamento del primo e la restituzione di buona parte del secondo, non solo in sede regionale, ma anche in sede nazionale, non si capisce in che modo il Parlamento potrebbe intervenire su questa materia, che dovrebbe essere di competenza regionale. Il PD governa la maggior parte delle Regioni da molto tempo, per cui non è chiaro che cosa stia aspettando per procedere da solo in questo senso. La risposta a questa domanda è “noi sì, e lo facciamo già”
7. Siete disponibili a abolire il CNEL? Noi sì.
“Sì.”
A questo proposito, vi chiediamo: considerato che non vi è relazione diretta tra l’abolizione del CNEL e il resto del progetto di riforma, siete disposti a scorporare l’abolizione del CNEL dal resto delle riforme costituzionali, in modo da vederlo approvato ad amplissima maggioranza e in tempi più rapidi?
8. Siete disponibili a superare il bicameralismo perfetto impostando il Senato come assemblea che non si esprime sulla fiducia e non vota il bilancio? Noi sì.
“Si”
Non siamo pregiudizialmente contrari, a condizione che l’esistenza di tale assemblea abbia ancora una precisa funzione nel disegno istituzionale.
9. Siete disponibili a che il ruolo del Senatore non sia più un incarico a tempo pieno e retribuito ma il Senato sia semplicemente espressione delle autonomie territoriali? Noi sì.
“Si”
Che significa che il ruolo del Senatore deve essere un incarico non a tempo pieno e semplice espressione delle autonomie territoriali? Perché un ruolo importante come quello del rappresentante delle autonomie territoriali non dovrebbe essere a tempo pieno? Che senso avrebbe tale ruolo, al di là di quello che i rappresentanti delle autonomie già fanno nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni? Peraltro, il testo che si va formando attribuisce una serie di poteri al Sentao (elezione del Presidente, dei giudici costituzionali, dei membri laici del Csm, competenza decisionale nelle leggi di riforma costituzionale ecc.) che vanno molto al di là dei poteri locali e che sono inconciliabili con una formazione di secondo grado, per cui, sul punto, riteniamo che in presenza di tali attribuzioni sia irrinunciabile l’elettività di promo grado dei senatori.
Il problema della retribuzione è presto superato: siete disponibili al dimezzamento immediato delle indennità e degli emolumenti di tutti i parlamentari e degli stanziamenti previsti per i gruppi parlamentari?
Noi lo abbiamo già fatto. E per farlo non occorrono complessi procedimenti di revisione costituzionale, ma solo volontà politica seria in tal senso.
10. Siete disponibili a trovare insieme una soluzione sul punto delle guarentigie costituzionali per i membri di Camera e Senato, individuando una soluzione al tema immunità che non diventi occasione di impunità? Noi sì.
Sì. 
La nostra proposta in merito è semplice: affinché l’immunità non diventi occasione di impunità e tuttavia preservi il parlamentare nella sua essenziale funzione di rappresentante dei cittadini, riteniamo necessario e sufficiente cancellare le immunità attualmente previste, all’infuori della garanzia dell’insindacabilità per le opinioni e i voti espressi.
Contrariamente a quanto si è detto da parte di alcuni organi stampa, non c’è alcuna contraddizione fra l’azione del gruppo parlamentare M5s, compresa la presente lettera, e la reazione di Beppe Grillo che rappresenta solo una diversa articolazione dello stesso discorso politico per il quale l’importante è fare un buona legge elettorale.
Ora noi intendiamo , per senso di responsabilità e per non perdere altro tempo, passare sopra il teatrino che avete messo in piedi e ci auguriamo che non troviate altri pretesti. L’unica cosa a cui teniamo è che si faccia una buona legge elettorale per i cittadini. In questo senso, chiediamo serietà e reale disponibilità a un confronto.