Le motivazioni della sentenza di secondo grado: "I finanziamenti alla Fondazione Nuova Italia erano richiesti dall'ex sindaco ed erano parte integrante degli accordi". La vicenda è un filone dell'inchiesta sul Mondo di Mezzo in cui si ipotizza che l'allora primo cittadino abbia "piegato la sua funzione" agli interessi di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, ottenendo in cambio, secondo l'accusa, oltre 220mila euro.
Non ha dubbi la Corte d'Appello: Gianni Alemanno è "evidentemente colpevole" di corruzione. Lo mettono nero su bianco i giudici della Terza sezione penale nelle motivazioni della sentenza pronunciata lo scorso 23 ottobre che aveva condannato l'ex sindaco di Roma a sei anni per uno stralcio di Mafia Capitale. Si è trattato di una conferma in realtà: la stessa pena era stata comminata in primo grado.
La vicenda è un filone dell'inchiesta sul Mondo di Mezzo in cui si ipotizza che Alemanno abbia "piegato la sua funzione di sindaco" agli interessi dei "corruttori" Salvatore Buzzi, l'ex "ras" delle cooperative, e dell'ex Nar Massimo Carminati, ottenendo in cambio, secondo l'accusa, circa 223.500 euro, considerato il prezzo del reato di corruzione, che sarebbe avvenuta tra il 2012 e il 2014. Un'impostazione confermata dalla Corte d'Appello che in un provvedimento di 118 pagine ripercorre tutta la storia e le testimonianze. Non ha dubbi la Corte che i finanziamenti da parte di Buzzi alla Fondazione Nuova Italia fossero stati richiesti espressamente dall'allora sindaco, denaro che era "parte integrante dei patti corruttivi relativi agli interventi volta per volta posti in essere da Alemanno in favore delle Cooperative". Quei soldi, si legge, destinati proprio a lui per agire sull'amministrazione e sulle aziende a questa legate, in particolare Ama ed Eur Spa.
"Alemanno - si legge - risponde di corruzione perché è pubblico ufficiale e, quale corrispettivo dell'aggiudicazione della gara di cui al bando 18/011 e degli interventi diretti per lo sblocco dei crediti delle cooperative nei confronti di Ama Spa ed Eur Spa, ha ricevuto utilità diverse ed ulteriori rispetto alle tangenti ricevute da Panzironi, ossia le rilevanti somme di denaro versate dalle cooperative alla Fondazione Nuova Italia specie in occasione delle cene elettorali, nonchè gli altri favori (claque ai comizi e agli eventi, assunzione di persone gradite al sindaco)".
Non è tutto. "Il presente giudizio - scrive ancora il collegio presieduto da Aurora Cantillo - insegna e conferma che purtroppo nella pratica le competenze di direzione amministrativa dipendono dalla direzione politica, e ciò può portare al degrado e alla distorsione dell'attività della p.a. che emergono a piene mani dagli atti del processo". I giudici sottolineano "straordinaria gravità delle condotte criminose che in quegli anni hanno letteralmente funestato il rapporto tra imprenditori, cooperative e politica, inquinando in modo sistemico i gangli della vita amministrativa della città di Roma".
Riferendosi alla decisione della Cassazione che ha fatto cadere l'accusa di associazione mafiosa nel processo principale, la Corte non usa mezzi termini nel definire Mafia Capitale: "L'attenzione generale è stata focalizzata sull'esclusione del reato di cui all'articolo 416 bis e della corrispondente aggravante 'mafiosa' contestata, esclusione che è stata diffusamente spacciata come il più rilevante risultato dell'accertamento giudiziale. E' invece rimasta in secondo piano l'esistenza di due associazioni a delinquere, almeno una delle quali (quella che faceva capo a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati) impegnata nel più rilevante sistema corruttivo mai accertato nel territorio del Comune di Roma, con lo stabile e ben remunerato asservimento di pubblici ufficiali a tutti i livelli - meri dipendenti, dirigenti di servizi, consiglieri comunali ed assessori, dirigenti di aziende a capitale pubblico - agli interessi di Buzzi e delle sue cooperative".
E ancora: "Il dato oggettivo da sottolineare a questo punto è che la quasi totalità delle condotte criminose in questione furono poste in essere nel quinquennio (2008-2013) in cui fu sindaco l'odierno imputato". Gli avvocati di Alemanno già annunciano il ricorso in Cassazione: "Anche le motivazioni - dicono Filippo Dinacci e Cesare Placanica - confermano una sentenza appiattita su una ricostruzione fallace, in fatto e diritto, punitiva finanche oltre le richieste della pubblica accusa e in qualche modo gia' posta in discussione nella sentenza definitiva del procedimento principale. Abbiamo molti argomento da proporre al giudice di Cassazione che sapra' sottrarsi alle suggestioni che hanno condizionato, in tutta questa vicenda, i giudizi del merito".