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martedì 8 giugno 2021

Confermata in appello la condanna all'ergastolo per Mladic.

Ratko Mladic in Aula © ANSA/EPA

La sentenza è definitiva. I giudici dell'Aja hanno confermato le accuse di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità.

Il Tribunale dell'Aja ha confermato oggi in appello la condanna all'ergastolo per Ratko Mladic, il boia di Srebrenica. La sentenza è definitiva, senza ulteriori possibilità di ricorsi. 

Respingendo il ricorso della difesa, i giudici dell'Aja hanno confermato le accuse di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità a carico dell'ex capo militare dei serbi di Bosnia, ribadendo il carcere a vita per l'ex generale.

Mladic (78 anni) era presente in aula e ha seguito con le cuffie della traduzione la lettura del lungo dispostivo della sentenza.

In giacca scura e cravatta azzura, affiancato da due agenti della sicurezza, l'ex generale è apparso in buone condizioni, accigliato e perplesso per tutte le accuse confermate a suo carico.

Ratko Mladic, ultimo criminale di guerra eccellente giudicato dalla giustizia internazionale, è stato riconosciuto responsabile in particolare per il genocidio di Srebrenica, dove nel luglio 1995 furono massacrati 8 mila bosniaci musulmani, e per il lungo assedio di Sarajevo durante il conflitto armato in Bosnia del 1992-1995.

Ansa

martedì 23 febbraio 2021

Confermato il decreto Conte e regole più dure in zona rossa. - Alessandro Mantovani

 

Le nuove misure - Stop alle visite e alle seconde case nelle aree a rischio. Chiusa anche Brescia. Ora confronto con le Regioni.

Due domeniche fa, appena insediato, Mario Draghi ha dato via libera al riconfermato ministro Roberto Speranza per prorogare la chiusura degli impianti sciistici, che ha suscitato polemiche perché arrivava all’ultimo momento nella settimana della crisi politica. Ieri il governo ha prolungato il divieto di spostamenti da una Regione all’altra non fino al 5 marzo, ma fino al 27, naturalmente salvo motivi di lavoro, salute, “comprovate necessità” e rientro alla propria “residenza, domicilio o abitazione”, che dovrebbe continuare a comprendere le seconde case ma non in zona “rossa”. Lì, altra novità, non si potrà più andare a trovare amici e parenti due volte al giorno, come invece resta consentito altrove.

Questo il decreto legge che sarà emanato dopo la prima riunione del Consiglio dei ministri, tenuta ieri, sull’emergenza Covid. Resta un po’ deluso il fronte aperturista, da Matteo Salvini al presidente della Liguria Giovanni Toti. Chi si attendeva chissà quale cambio di passo deve attendere il nuovo piano vaccinale e le decisioni sul ruolo del commissario Domenico Arcuri e sul Comitato tecnico scientifico, che potrebbe essere ridotto dagli attuali 26 membri e dotato di un “portavoce”. Senz’altro sarà introdotto, come richiesto dalle Regioni e dalla neo ministra forzista degli Affari regionali Mariastella Gelmini, il principio di contestualità dei ristori rispetto alle restrizioni, comprese quelle disposte dalle Regioni stesse.

Agenas: in undici Regioni contagi destinati a salire

Ai colleghi del nuovo governo ieri Speranza ha spiegato la situazione, la forte preoccupazione dei tecnici per le varianti, i numeri in crescita dei contagi e dei ricoveri in diverse Regioni: ieri a livello nazionale i pazienti nei reparti ordinari sono aumentati di 351 unità, quelli nelle terapie intensive di 24. Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionale, prevede l’aumento dei casi in Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Trentino e Alto Adige, Toscana e Umbria. Si moltiplicano in gran parte del Paese le zone rosse o arancioni: ieri il Comitato tecnico scientifico ha dato luce verde alla Lombardia (che è gialla) per chiudere la provincia di Brescia, dove si diffonde la variante inglese più contagiosa e si registrano 310 nuovi casi ogni 100 mila abitanti in 7 giorni contro i 166 della Lombardia e i 159 della media nazionale; 20 Comuni dell’Anconetano sono da oggi in arancione (anche qui la Regione è gialla); c’è grande allarme anche a Napoli dove Vincenzo De Luca parla di “zona rossa” ma come al solito attende che ci pensi qualcun altro; la variante inglese è spuntata anche in Val d’Aosta, chiusure a Merano (Bolzano) dove il problema è la variante sudafricana mentre quella inglese in Puglia è al 38% dei casi nell’indagine fatta sui tamponi positivi del 12 febbraio, più del doppio del dato rilevato dall’Iss nella Regione su quelli del 4 e 5 febbraio. Chiuse le scuole in Puglia come a Ventimiglia e Sanremo (Imperia). Gran parte dell’Umbria e dell’Abruzzo, in particolare Perugia, Chieti e Pescara, sono già “rosse”. Tutti attendono il nuovo studio dell’Iss, le stime dicono che la prevalenza della variante dovrebbe attestarsi al 30/35%, la sua maggior trasmissibilità è nell’ordine del 39%: un primo studio, presentato il 26 gennaio al Cts, aveva ipotizzato a fine gennaio una moltiplicazione per sei dei contagi entro marzo, assumendo una maggior tramissibilità del 50% come nel Regno Unito; ne stanno preparando un altro che abbasserebbe un po’ le previsioni.

I tecnici di Palazzo Chigi stanno già lavorando al decreto che sarà in vigore dal 5 marzo, quando scadrà il Dpcm di Giuseppe Conte che dispone il divieto di circolazione dalle 22 alle 5 del mattino, detta le regole per l’Italia “a colori” a seconda del livello di rischio individuato dalla Cabina di regia ministero della Salute/Istituto superiore di sanità ed elenca le attività vietate. Tutti hanno insistito sull’esigenza di maggiore collegialità, le stesse Regioni hanno avanzato proposte (fin qui un po’ fumose) sulla revisione dei parametri epidemiologici per le chiusure. La discussione è appena iniziata.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/23/confermato-il-decreto-conte-e-regole-piu-dure-in-zona-rossa/6110353/

venerdì 22 gennaio 2021

Mafia Capitale, i giudici d'appello confermano la condanna a sei anni per Alemanno: "Fu corruzione". - Maria Elena Vincenzi

 

Le motivazioni della sentenza di secondo grado: "I finanziamenti alla Fondazione Nuova Italia erano richiesti dall'ex sindaco ed erano parte integrante degli accordi". La vicenda è un filone dell'inchiesta sul Mondo di Mezzo in cui si ipotizza che l'allora primo cittadino abbia "piegato la sua funzione" agli interessi di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, ottenendo in cambio, secondo l'accusa, oltre 220mila euro.

Non ha dubbi la Corte d'Appello: Gianni Alemanno è "evidentemente colpevole" di corruzione. Lo mettono nero su bianco i giudici della Terza sezione penale nelle motivazioni della sentenza pronunciata lo scorso 23 ottobre che aveva condannato l'ex sindaco di Roma a sei anni per uno stralcio di Mafia Capitale. Si è trattato di una conferma in realtà: la stessa pena era stata comminata in primo grado.

La vicenda è un filone dell'inchiesta sul Mondo di Mezzo in cui si ipotizza che Alemanno abbia "piegato la sua funzione di sindaco" agli interessi dei "corruttori" Salvatore Buzzi, l'ex "ras" delle cooperative, e dell'ex Nar Massimo Carminati, ottenendo in cambio, secondo l'accusa, circa 223.500 euro, considerato il prezzo del reato di corruzione, che sarebbe avvenuta tra il 2012 e il 2014. Un'impostazione confermata dalla Corte d'Appello che in un provvedimento di 118 pagine ripercorre tutta la storia e le testimonianze. Non ha dubbi la Corte che i finanziamenti da parte di Buzzi alla Fondazione Nuova Italia fossero stati richiesti espressamente dall'allora sindaco, denaro che era "parte integrante dei patti corruttivi relativi agli interventi volta per volta posti in essere da Alemanno in favore delle Cooperative". Quei soldi, si legge, destinati proprio a lui per agire sull'amministrazione e sulle aziende a questa legate, in particolare Ama ed Eur Spa.

"Alemanno - si legge - risponde di corruzione perché è pubblico ufficiale e, quale corrispettivo dell'aggiudicazione della gara di cui al bando 18/011 e degli interventi diretti per lo sblocco dei crediti delle cooperative nei confronti di Ama Spa ed Eur Spa, ha ricevuto utilità diverse ed ulteriori rispetto alle tangenti ricevute da Panzironi, ossia le rilevanti somme di denaro versate dalle cooperative alla Fondazione Nuova Italia specie in occasione delle cene elettorali, nonchè gli altri favori (claque ai comizi e agli eventi, assunzione di persone gradite al sindaco)".

Non è tutto. "Il presente giudizio - scrive ancora il collegio presieduto da Aurora Cantillo - insegna e conferma che purtroppo nella pratica le competenze di direzione amministrativa dipendono dalla direzione politica, e ciò può portare al degrado e alla distorsione dell'attività della p.a. che emergono a piene mani dagli atti del processo". I giudici sottolineano "straordinaria gravità delle condotte criminose che in quegli anni hanno letteralmente funestato il rapporto tra imprenditori, cooperative e politica, inquinando in modo sistemico i gangli della vita amministrativa della città di Roma".

Riferendosi alla decisione della Cassazione che ha fatto cadere l'accusa di associazione mafiosa nel processo principale, la Corte non usa mezzi termini nel definire Mafia Capitale: "L'attenzione generale è stata focalizzata sull'esclusione del reato di cui all'articolo 416 bis e della corrispondente aggravante 'mafiosa' contestata, esclusione che è stata diffusamente spacciata come il più rilevante risultato dell'accertamento giudiziale. E' invece rimasta in secondo piano l'esistenza di due associazioni a delinquere, almeno una delle quali (quella che faceva capo a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati) impegnata nel più rilevante sistema corruttivo mai accertato nel territorio del Comune di Roma, con lo stabile e ben remunerato asservimento di pubblici ufficiali a tutti i livelli - meri dipendenti, dirigenti di servizi, consiglieri comunali ed assessori, dirigenti di aziende a capitale pubblico - agli interessi di Buzzi e delle sue cooperative".

E ancora: "Il dato oggettivo da sottolineare a questo punto è che la quasi totalità delle condotte criminose in questione furono poste in essere nel quinquennio (2008-2013) in cui fu sindaco l'odierno imputato". Gli avvocati di Alemanno già annunciano il ricorso in Cassazione: "Anche le motivazioni - dicono Filippo Dinacci e Cesare Placanica - confermano una sentenza appiattita su una ricostruzione fallace, in fatto e diritto, punitiva finanche oltre le richieste della pubblica accusa e in qualche modo gia'  posta in discussione nella sentenza definitiva del procedimento principale. Abbiamo molti argomento da proporre al giudice di Cassazione che sapra' sottrarsi alle suggestioni che hanno condizionato, in tutta questa vicenda, i giudizi del merito".

https://roma.repubblica.it/cronaca/2021/01/20/news/mafia_capitale_i_giudici_d_appello_quella_di_alemanno_fu_corruzione_-283516598/

martedì 3 novembre 2020

Denis Verdini condannato in Cassazione per il crack del Credito fiorentino: 6 anni e mezzo. Adesso dovrà andare in carcere.

 

La suprema corte ha confermato la condanna di secondo grado, scontandola di quattro mesi dichiarati prescritti. L’ex parlamentare può andare in cella almeno per i prossimi mesi. Colpa dell’età: l’8 maggio 2021, infatti, compie 70 anni e solo da quel momento potrà chiedere di scontare la condanna agli arresti domiciliari. L'avvocato Coppi: "E' un uomo molto forte e molto coraggioso e quindi pensiamo che saprà affrontare virilmente questa prova".

Denis Verdini andrà in carcere. Almeno per qualche mese. La Cassazione infatti ha confermato la condanna d’appello per l’ex senatore di Forza Italia, che dunque è stato dichiarato colpevole in via definitiva per la bancarotta del Credito cooperativo fiorentino. I 6 anni e 10 mesi del secondo grado sono diventati sei anni e mezzo visto che quattro mesi sono andati in fumo a causa della prescrizione.

La sentenza della Cassazione – La quinta sezione penale della Cassazione, presieduta da Paolo Antonio Bruno, non ha accolto la richiesta del sostituto procuratore generale, Pasquale Fimiani, che, nell’udienza di ieri, aveva chiesto per Verdini un nuovo processo d’Appello sollecitando l’annullamento con rinvio per numerosi episodi relativi alla bancarotta. Dichiarata la prescrizione, come richiesto anche dalla Procura Generale, per i reati di truffa relativi ai contributi all’editori degli anni 2010-11. Per questa vicenda Verdini è stato condannato sia in primo che in secondo grado insieme ad altri 15 imputati: il 3 luglio 2018 la Corte d’Appello di Firenze lo aveva condannato a sei anni e dieci mesi di reclusione, riducendo la pena inflitta in primo grado che era stata di nove anni. Una sentenza che arriva dopo due rinvii dell’udienza davanti alla suprema Corte a causa dell’emergenza coronavirus: inizialmente prevista per lo scorso marzo, l’udienza era slittata prima al 17 luglio e con un nuovo rinvio disposto per poter discutere, che ha trascinato la sentenza fino a oggi.

L’avvocato Coppi: “Andrà in carcere, è un uomo coraggioso” – Adesso per l’inventore di Ala, il gruppo parlamentare nato al Senato per sostenere il governo Renzi, si apriranno le porte del carcere. Colpa dell’età: sarà solo l’8 maggio del 2021, infatti, che Verdini comprirà 70 anni, limite d’età che gli consentirebbe di scontare la pena agli arresti domiciliari. L’ex senatore, dunque, finirà in prigione almeno fino a maggio: i sei anni e mezzo di condanna, tra l’altro, lo escludono dalle norme per abbassare la pressione nelle carceri e combattere il contagio del coronavirus. Possono chiedere di andare ai domiciliari, infatti, solo i detenuti con un residuo di pena da scontare inferiore ai 18 mesi. Ora la Cassazione dovrà notificare il dispositivo della sentenza dei giudici della quinta sezione penale alla Procura Generale di Firenze competente per l’esecuzione della pena. “Siamo profondamente delusi, sia perché il ricorso che avevamo proposto a noi sembrava fondato, sia soprattutto perché ieri il procuratore generale in un intervento molto motivato e molto persuasivo aveva chiesto l’accoglimento in larga parte dei nostri motivi di ricorso”, ha detto l’avvocato Franco Coppi, difensore di Verdini. Che ha confermato la detenzione penitenziaria per il suo assistito. “Purtroppo – dice Coppi – a questo punto mi pare che non ci siano esiti diversi. Per fortuna è un uomo molto forte e molto coraggioso e quindi pensiamo che saprà affrontare virilmente questa prova”.

La vicenda della banca – Per la vicenda del crack del Credito fiorentino, Verdini è accusato in pratica di aver concesso finanziamenti e crediti milionari senza “garanzie”, sulla base di contratti preliminari di compravendite ritenute fittizie. Soldi che, per la procura di Firenze venivano dati a “persone ritenute vicine” a Verdini stesso sulla base di “documentazione carente e in assenza di adeguata istruttoria”. In totale, secondo la magistratura il volume d’affari, ricostruito dai carabinieri dei Ros fiorentino, sarebbe stato pari a “un importo di circa 100 milioni di euro” di finanziamenti deliberati dal cda del Credito i cui membri, secondo quanto ricostruito nell’avviso di chiusura indagini “partecipavano all’associazione svolgendo il loro ruolo di consiglieri quali meri esecutori delle determinazioni del Verdini”. In sintesi secondo l’accusa, Verdini decideva a chi dare, e quanto, mentre gli altri si limitavano a ratificare “senza sollevare alcuna obiezione”. A dare il via all’indagine, la relazione dei commissari di Bankitalia che in 1.500 pagine avevano riassunto lo stato di salute del Credito fiorentino e le anomalie riscontrate.

Tutti gli altri guai giudiziari – Con la sentenza di oggi si mette un punto solo a una delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto Verdini. L’ex coordinatore del Popolo della Libertà, infatti, ha anche un’altra condanna, al momento solo in primo grado: quella a cinque anni per la bancarotta della Società toscana di Edizioni, che pubblicava il Giornale di Toscana. Rischia inoltre un altro processo, per turbativa d’asta e concussione: poche settimane fa la procura di Roma ha chiuso le indagini sul suo conto, nell’ambito di uno dei filoni del processo Consip. In altre vicende è uscito assolto, come nel caso dell’inchiesta romana sulla compravendita del palazzo di via della Stamperia, per la quale era accusato di finanziamento illecito. E’ stato riconcosciuto non colpevole anche dall’accusa di far parte della cosiddetta P3, ritenuta dai pm romani un’organizzazione segreta in grado di condizionare il funzionamento degli organi costituzionali. Nello stesso processo era accusato anche di finanziamento illecito, reato per il quale in primo grado è stato condannato a un anno e tre mesi di reclusione. Ma solo per una parte del denaro incassato. Il restante è stato dichiarato prescritto, come pure l’abuso d’ufficio. Il processo è in corso in Appello, ma anche l’unica ipotesi di reato rimasta in piedi è ormai prescritta. Sempre grazie alla prescrizione si è salvato per il caso del processo sulla Scuola dei marescialli, un filone dell’indagine Grandi eventi della Procura di Firenze.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/03/denis-verdini-condannato-in-cassazione-per-il-crack-del-credito-fiorentino-6-anni-e-mezzo-adesso-dovra-andare-in-carcere/5989995/

mercoledì 9 settembre 2020

Colleferro, la decisione del gip: restano in carcere tre degli indagati per la morte di Willy Monteiro, uno va ai domiciliari.

Colleferro, la decisione del gip: restano in carcere tre degli indagati per la morte di Willy Monteiro, uno va ai domiciliari

Convalidata la detenzione a Rebibbia dei fratelli Marco e Gabriele Bianchi e di Mario Pincarelli, mentre Francesco Belleggia va agli arresti domiciliari. La decisione del gip di Velletri arriva dopo gli interrogatori di garanzia svolti ieri, durante i quali proprio Belleggia avrebbe fornito una ricostruzione diversa rispetto a quella dei suoi compagni.

Restano in carcere tre dei quattro giovani arrestati con l’accusa di concorso in omicidio preterintenzionale per la morte di Willy Monteiro Duarteil ragazzo di 21 anni ucciso a calci e pugni a Colleferro nella notte tra sabato e domenica. Per i fratelli Marco e Gabriele Bianchi e Mario Pincarelli è stata convalidata la detenzione in carcere, mentre Francesco Belleggia va agli arresti domiciliari. La decisione del gip di Velletri arriva dopo gli interrogatori di garanzia svolti ieri nel carcere di Rebibbia. Proprio Belleggia di fronte ai pm avrebbe detto di aver visto uno dei fratelli Bianchi colpire Willy. Difeso dall’avvocato Vito Perugini, ha fornito una versione dei fatti totalmente differente da quella messa a verbale dagli altri tre ragazzi, che invece asseriscono di non aver “nemmeno toccato” il 21enne. Stando alla sua ricostruzione, tra gli amici di Willy e il gruppo di Artena – di cui facevano parte i presunti assassini – è scoppiata una rissa “alla Trainspotting”. Poi, all’arrivo dei fratelli Bianchi, sarebbero volati calci e pugni a colpi di karate che hanno portato alla morte del 21enne.
L’indagine, in attesa dei risultati dell’autopsia che potrebbero portare a cambiare l’ipotesi di reato (da omicidio preterintenzionale a volontario), si concentra proprio sugli ultimi minuti di vita di Willy. Quel che è certo finora è che tutti i ragazzi hanno ammesso la loro presenza in via Oberdan, a Colleferro, nella notte tra sabato e domenica. Anche perché, nonostante le telecamere di sorveglianza non siano riuscite a riprendere la scena, uno degli amici di Willy li ha immortalati con il telefonino. La lite tra i due gruppi comincia in realtà qualche ora prima dell’uccisione del 21enne. Una delle ipotesi è che a innescare tutto sia stato un commento sui social sotto la foto di una ragazza. Dallo scontro verbale si è passati alle mani una volta che le due comitive sono uscite dal pub. È a questo punto che Pincarelli e Belleggia avrebbero chiamato al telefono i fratelli Bianchi per chiedere supporto. E loro non si sono tirati indietro.
Cosa è successo nei dieci, venti minuti seguenti è ancora tutto da chiarire. Secondo il quotidiano La Repubblica, Belleggia ha raccontato ai magistrati che a sferrare il colpo mortale al giovane è stato Gabriele Bianchi, mettendo in pratica la sua esperienza nel campo delle arti marziali. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, invece, che cita alcune testimonianze raccolte dai carabinieri, sarebbe stato Belleggia a sferrare un calcio “da karate” al volto del ragazzo prima di andare via a bordo di un Suv insieme agli amici. Neanche mezz’ora dopo le forze dell’ordine li trovano ad Artena, nel locale del fratello maggiore dei Bianchi, mentre prendono il caffè e li conducono in caserma.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/09/colleferro-la-decisione-del-gip-restano-in-carcere-tre-degli-indagati-per-la-morte-di-willy-monteiro-uno-va-ai-domiciliari/5925613/

martedì 2 giugno 2020

I due anni di Conte: il premier-avvocato diventato politico. - Luca De Carolis

I due anni di Conte: il premier-avvocato diventato politico
Palazzo Chigi - Il primo giuramento nel 2018.
Da presunto uomo di paglia a presunto autocrate il passo è breve. Misura due anni, il tempo esatto (finora) di permanenza a Palazzo Chigi di Giuseppe Conte, l’avvocato che doveva ballare a comando di Luigi Di Maio e Matteo Salvini e invece proprio no, la musica la detta lui, e da parecchio. Con il leghista che si è sfilato dal governo in agosto rimettendoci 10 punti nei sondaggi, e Di Maio che ora è ministro degli Esteri ma non più vicepremier, di quel Conte “che abbiamo portato lì con i nostri voti” come ricorda ogni volta che può.
Ma tanto il premier se ne sta lassù, anche se da settimane è tutto un vociferare di rimpasti, governi di unità nazionale e urne di settembre. “Conte sa che attorno a lui si muovono strane cose” sussurra un 5Stelle di governo. Nei sondaggi resta alto: convesso quindi politico. Ricuce e riparte. Lascia urlare e poi decide, specialmente in tempi di emergenza, perché Covid fa rima con Dpcm, quei pezzi di carta per regolare la vita del Paese firmati dal presidente del Consiglio. Così, giuristi e politici vari hanno urlato al dittatore, anche se i Dpcm nascono sulla base di un decreto legge. E viene un sorriso a rileggere commenti e agenzie di quel 1° giugno 2018 in cui venne nominato premier, e tutti a descriverlo come un vaso di coccio. Sei giorni dopo era alla Camera per il voto di fiducia al governo gialloverde, stravolto (“aveva dormito solo un’ora” racconterà poi un ministro). Tanto da aggrapparsi ai consigli di Di Maio, seduto lì accanto. “Posso dire che…?” si scorge in un video dell’epoca. E l’allora capo M5S replica secco: “No”. Un dazio in apparenza normale per l’avvocato che nell’ipotetico governo Di Maio, annunciato alla vigilia delle Politiche, venne presentato come il futuro ministro della Pubblica amministrazione. Invece era la carta coperta per Chigi. Vicino ai grillini ma grillino mai, e lo disse lui, alla festa del Fatto, il 2 settembre scorso: “Definirmi dei 5Stelle mi sembra inappropriato, non sono iscritto al M5S”. Eppure è popolarissimo tra la gente grillina, che in ottobre lo accolse come una rockstar alla festa per i 10 anni del M5S a Napoli. Anche se era intimo di tanto Pd già prima del governo, da ex docente a Firenze che il renzismo lo conosce. La sua forza risiede nei rapporti con il potere che non passa, con la Chiesa. “Non c’è un esponente Pd che abbia i legami che ha lui in Vaticano”, raccontava un notabile dem. Non gli impedì di deglutire in un amen il Salvini del “chiudiamo i porti”, ai tempi del governo gialloverde.
Anzi, fu lui il primo a scandire che l’allora ministro dell’Interno non andava processato per il caso della nave Diciotti “perché ha deciso tutto il governo”. Poi arrivò lo strappo di agosto, e il discorso di Conte in Senato che fu requisitoria contro Salvini. Giorni dopo, il governo giallorosa col Pd, Matteo Renzi e la benedizione essenziale di Beppe Grillo, rumorosamente contiano (si sentono spesso). Oggi come allora con l’Europa tratta lui. Di solito trova il punto di caduta, anche su rogne come la regolarizzazione dei lavoratori migranti. Però ha sbandato sul via libera alle messe, e la Cei gliel’ha fatto notare, per ricordargli da dove viene. E i ritardi sulla Cig sono una ferita. “Deve essere meno solo” dicono dai due lati di governo: e Renzi è un nemico. Conte sa che il tranello potrebbe essere in un rimpasto. Anche per questo ha subito “ingabbiato” il capo della task force Vittorio Colao. Se supera l’autunno, di anni da premier ne potrebbe festeggiare cinque. Farà meglio a riguardarsi.

giovedì 14 novembre 2019

Troupe aggredita a Ostia, Cassazione conferma condanna a Spada. - Assunta Cassiano

Troupe aggredita a Ostia, Cassazione conferma condanna a Spada

Diventa definitiva la condanna a sei anni con il riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso per Roberto Spada. I giudici della V sezione penale della Cassazione, rigettando il ricorso della difesa di Spada, hanno confermato per l’esponente del clan la sentenza d’Appello per la testata al giornalista della trasmissione Rai 'Nemo' Daniele Piervincenzi e l’aggressione dell’operatore Edoardo Anselmi avvenuta il 7 novembre 2017 durante un servizio a Ostia.

Alla lettura della sentenza era presente la sindaca della Capitale Virginia Raggi. "Questa sentenza - ha commentato - riconosce l'aggravante mafiosa, è sicuramente una vittoria giuridica ed è un segnale molto forte per la criminalità: a Roma non c'è spazio per la criminalità e la mafia. Idealmente mando un abbraccio a Daniele Piervincenzi e Edoardo Anselmi. Roma e il sindaco sono dalla parte di tutti i cittadini onesti''.

Fimiani nella requisitoria di questa mattina, chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso della difesa di Spada, ha sottolineato come siano presenti tutti gli indici sintomatici per la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso. Piervincenzi e il suo operatore Edoardo Anselmi vennero aggrediti di fronte alla palestra di Roberto Spada, a Ostia, durante un'intervista sulla campagna elettorale nel X Municipio.

Avvicinato per alcune domande sui presunti rapporti con Casapound nel municipio di Ostia, sciolto dopo l'inchiesta su Mafia Capitale, Spada colpì Piervincenzi con una violenta testata che venne immortalata dalla telecamera.  Per l’aggressione il 18 giugno 2018, dopo l’inchiesta portata avanti dal pm Giovanni Musaro’,  Roberto Spada e Ruben Nelson Del Puerto sono stati condannati in primo grado a sei anni di reclusione per violenza privata e lesioni aggravate con il riconoscimento dell'aggravante mafiosa. Condanna confermata poi il 7 dicembre scorso in Appello per Spada. Stralciata, invece, la posizione del braccio destro, Ruben Nelson Del Puerto, il cui processo è ancora in corso in Appello. Spada lo scorso 24 settembre in un altro procedimento, il maxi processo al clan, nato dall’operazione ‘Eclissi’ della Dda di Roma,  e’ stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise.

"Questa non è una sentenza solo per me ma per tutti i cittadini di Ostia, spero sia un nuovo inizio", afferma Daniele Pievincenzi all’Adnkronos. "Importante -sottolinea Piervincenzi - è proprio che sia stato riconosciuto il metodo mafioso". 

"E’ una sentenza importante, perché quella testata c’è stata, è stata una testata mafiosa, non solo contro Piervincenzi e Anselmi ma contro il diritto dei cittadini a essere informati. Noi ci attendiamo che il Parlamento vari finalmente una legge contro chi ‘molesta’ l’articolo 21 della Costituzione", ha detto Beppe Giulietti presidente Fnsi. "Ci vuole un’aggravante, perché è un attentato permanente al diritto dei cittadini a conoscere", ha sottolineato.

https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2019/11/13/aggravante-mafiosa-cassazione-conferma-condanna-spada_624z7aEp4hwFu4kUeCIUzO.html