Non c’è solo il finanziamento per l’acquisto della casa da parte di Matteo Renzi sotto la lente degli inquirenti fiorentini. Ci sarebbe anche la modalità di restituzione del denaro a Anna Picchioni, madre dell’imprenditore Riccardo Maestrelli, da cui l’ex premier ha ricevuto un prestito di 700mila euro tramite bonifico per comprare la sua villa a Firenze. In particolare, le verifiche si concentrano su una dazione giunta dal finanziere Davide Serra e utilizzata da Renzi, assieme ad altre somme, per saldare quel debito.
Il prestito è stato in effetti restituito dopo quattro mesi. La storia però sembrerebbe più complicata. O meglio, potrebbe avere qualche aspetto ulteriore da approfondire.
Sulla base di una segnalazione di operazione sospetta (Sos) arrivata al Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Firenze, al comando del colonnello Luca Levanti, nel 2018 dal nucleo Valutario della Gdf si chiede un approfondimento ulteriore rispetto a una precedente Sos che riguardava proprio la signora Picchioni, nell’ambito di un fascicolo di un caso di bancarotta di un piccolo imprenditore fiorentino.
Si spiega dunque che Picchioni aveva ricevuto un finanziamento da parte di suoi familiari (i figli) per 700mila euro, finalizzato a effettuare un prestito ai coniugi Matteo Renzi e Agnese Landini per l’acquisto di un immobile valutato complessivamente 1,4 milioni di euro. Successivamente, nel giugno 2018, la cifra è stata restituita con un versamento dal conto corrente dei coniugi a favore di Anna Picchioni a titolo di «restituzione prestito».
La provvista per la restituzione del denaro che parte dal conto personale di Renzi, ora sotto la lente degli inquirenti, era di 500mila euro, presso la Bnl (filiale di Roma). Dall’analisi dell’estratto conto emerge che il senatore ha ricevuto 119mila euro da Celebrity speakers e Mind Agency per attività di conferenziere e 454mila euro dalla Arcobaleno 3 srl per la sua attività di personaggio televisivo; il resto dal fondo Algebris Uk, riconducibili a Davide Serra.
L’inchiesta è in una fase preliminare, dunque ancora tutta da verificare. Ruota attorno alla Fondazione Open, l’ente creato nel 2012 e chiuso nel 2018 per sostenere le iniziative politiche di Matteo Renzi. Una «articolazione di un partito», secondo l’accusa, che raccoglieva «finanziamenti illeciti alla politica». Ipotesi d’accusa smentita dal leader di Italia Viva, che contro la magistratura fiorentina non nasconde una certa nota polemica. Risultano indagati l’avvocato Alberto Bianchi, ex presidente della Fondazione, e il presidente di Toscana Aeroporti spa Marco Carrai, ex consigliere di Open assieme al resto del “Giglio magico”, Maria Elena Boschi e Luca Lotti. L’accusa preliminare è di finanziamento illecito e traffico di influenze.
Stando agli atti investigativi un ruolo decisivo sarebbe stato svolto da Carrai, tanto che nei documenti si legge che «l’indagato ha svolto un ruolo decisivo nel reperimento dei finanziatori e nel raccordo tra gli stessi e gli esponenti politici rappresentati dalla Fondazione». Un sostanziale incarico di “cerniera”, dunque, tra 25 imprenditori e lo stesso Renzi, almeno stando alle ricostruzioni preliminari della magistratura fiorentina. Di fatto, però, si è scoperto che somme di denaro sarebbero finite anche in altre “casseforti”. Negli atti, infatti, si fa riferimento a movimentazioni finanziarie verso Lussemburgo. In particolare «risulta che l’indagato (Carrai, ndr) è tra i soci della società Wadi Ventures Management Company sarl con sede a Lussemburgo il cui unico asset è la società Wadi Ventures sca, anch’essa con sede in Lussemburgo e con oggetto sociale le partecipazioni societarie». Secondo gli investigatori quest’ultima società sarebbe destinataria di «somme provenienti, fra gli altri, da investitori italiani già finanziatori della Fondazione Open».
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