Non c’è solo il finanziamento per l’acquisto della casa da parte di Matteo Renzi sotto la lente degli inquirenti fiorentini. Ci sarebbe anche la modalità di restituzione del denaro a Anna Picchioni, madre dell’imprenditore Riccardo Maestrelli, da cui l’ex premier ha ricevuto un prestito di 700mila euro tramite bonifico per comprare la sua villa a Firenze. In particolare, le verifiche si concentrano su una dazione giunta dal finanziere Davide Serra e utilizzata da Renzi, assieme ad altre somme, per saldare quel debito.
Il prestito è stato in effetti restituito dopo quattro mesi. La storia però sembrerebbe più complicata. O meglio, potrebbe avere qualche aspetto ulteriore da approfondire.
Sulla base di una segnalazione di operazione sospetta (Sos) arrivata al Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Firenze, al comando del colonnello Luca Levanti, nel 2018 dal nucleo Valutario della Gdf si chiede un approfondimento ulteriore rispetto a una precedente Sos che riguardava proprio la signora Picchioni, nell’ambito di un fascicolo di un caso di bancarotta di un piccolo imprenditore fiorentino.
Si spiega dunque che Picchioni aveva ricevuto un finanziamento da parte di suoi familiari (i figli) per 700mila euro, finalizzato a effettuare un prestito ai coniugi Matteo Renzi e Agnese Landini per l’acquisto di un immobile valutato complessivamente 1,4 milioni di euro. Successivamente, nel giugno 2018, la cifra è stata restituita con un versamento dal conto corrente dei coniugi a favore di Anna Picchioni a titolo di «restituzione prestito».
La provvista per la restituzione del denaro che parte dal conto personale di Renzi, ora sotto la lente degli inquirenti, era di 500mila euro, presso la Bnl (filiale di Roma). Dall’analisi dell’estratto conto emerge che il senatore ha ricevuto 119mila euro da Celebrity speakers e Mind Agency per attività di conferenziere e 454mila euro dalla Arcobaleno 3 srl per la sua attività di personaggio televisivo; il resto dal fondo Algebris Uk, riconducibili a Davide Serra.
L’inchiesta è in una fase preliminare, dunque ancora tutta da verificare. Ruota attorno alla Fondazione Open, l’ente creato nel 2012 e chiuso nel 2018 per sostenere le iniziative politiche di Matteo Renzi. Una «articolazione di un partito», secondo l’accusa, che raccoglieva «finanziamenti illeciti alla politica». Ipotesi d’accusa smentita dal leader di Italia Viva, che contro la magistratura fiorentina non nasconde una certa nota polemica. Risultano indagati l’avvocato Alberto Bianchi, ex presidente della Fondazione, e il presidente di Toscana Aeroporti spa Marco Carrai, ex consigliere di Open assieme al resto del “Giglio magico”, Maria Elena Boschi e Luca Lotti. L’accusa preliminare è di finanziamento illecito e traffico di influenze.
Stando agli atti investigativi un ruolo decisivo sarebbe stato svolto da Carrai, tanto che nei documenti si legge che «l’indagato ha svolto un ruolo decisivo nel reperimento dei finanziatori e nel raccordo tra gli stessi e gli esponenti politici rappresentati dalla Fondazione». Un sostanziale incarico di “cerniera”, dunque, tra 25 imprenditori e lo stesso Renzi, almeno stando alle ricostruzioni preliminari della magistratura fiorentina. Di fatto, però, si è scoperto che somme di denaro sarebbero finite anche in altre “casseforti”. Negli atti, infatti, si fa riferimento a movimentazioni finanziarie verso Lussemburgo. In particolare «risulta che l’indagato (Carrai, ndr) è tra i soci della società Wadi Ventures Management Company sarl con sede a Lussemburgo il cui unico asset è la società Wadi Ventures sca, anch’essa con sede in Lussemburgo e con oggetto sociale le partecipazioni societarie». Secondo gli investigatori quest’ultima società sarebbe destinataria di «somme provenienti, fra gli altri, da investitori italiani già finanziatori della Fondazione Open».
Non c’è solo il finanziamento per l’acquisto della casa da parte di Matteo Renzi sotto la lente degli inquirenti fiorentini. Ci sarebbe anche la modalità di restituzione del denaro a Anna Picchioni, madre dell’imprenditore Riccardo Maestrelli, da cui l’ex premier ha ricevuto un prestito di 700mila euro.
Non c’è solo il finanziamento per l’acquisto della casa da parte di Matteo Renzi sotto la lente degli inquirenti fiorentini. Ci sarebbe anche la modalità di restituzione del denaro a Anna Picchioni, madre dell’imprenditore Riccardo Maestrelli, da cui l’ex premier ha ricevuto un prestito di 700mila euro tramite bonifico per comprare la sua villa a Firenze. In particolare, le verifiche si concentrano su una dazione giunta dal finanziere Davide Serra e utilizzata da Renzi, assieme ad altre somme, per saldare quel debito.
Il prestito è stato in effetti restituito dopo quattro mesi. La storia però sembrerebbe più complicata. O meglio, potrebbe avere qualche aspetto ulteriore da approfondire.
Sulla base di una segnalazione di operazione sospetta (Sos) arrivata al Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Firenze, al comando del colonnello Luca Levanti, nel 2018 dal nucleo Valutario della Gdf si chiede un approfondimento ulteriore rispetto a una precedente Sos che riguardava proprio la signora Picchioni, nell’ambito di un fascicolo di un caso di bancarotta di un piccolo imprenditore fiorentino.
Si spiega dunque che Picchioni aveva ricevuto un finanziamento da parte di suoi familiari (i figli) per 700mila euro, finalizzato a effettuare un prestito ai coniugi Matteo Renzi e Agnese Landini per l’acquisto di un immobile valutato complessivamente 1,4 milioni di euro. Successivamente, nel giugno 2018, la cifra è stata restituita con un versamento dal conto corrente dei coniugi a favore di Anna Picchioni a titolo di «restituzione prestito».
La provvista per la restituzione del denaro che parte dal conto personale di Renzi, ora sotto la lente degli inquirenti, era di 500mila euro, presso la Bnl (filiale di Roma). Dall’analisi dell’estratto conto emerge che il senatore ha ricevuto 119mila euro da Celebrity speakers e Mind Agency per attività di conferenziere e 454mila euro dalla Arcobaleno 3 srl per la sua attività di personaggio televisivo; il resto dal fondo Algebris Uk, riconducibili a Davide Serra.
L’inchiesta è in una fase preliminare, dunque ancora tutta da verificare. Ruota attorno alla Fondazione Open, l’ente creato nel 2012 e chiuso nel 2018 per sostenere le iniziative politiche di Matteo Renzi. Una «articolazione di un partito», secondo l’accusa, che raccoglieva «finanziamenti illeciti alla politica». Ipotesi d’accusa smentita dal leader di Italia Viva, che contro la magistratura fiorentina non nasconde una certa nota polemica. Risultano indagati l’avvocato Alberto Bianchi, ex presidente della Fondazione, e il presidente di Toscana Aeroporti spa Marco Carrai, ex consigliere di Open assieme al resto del “Giglio magico”, Maria Elena Boschi e Luca Lotti. L’accusa preliminare è di finanziamento illecito e traffico di influenze.
Stando agli atti investigativi un ruolo decisivo sarebbe stato svolto da Carrai, tanto che nei documenti si legge che «l’indagato ha svolto un ruolo decisivo nel reperimento dei finanziatori e nel raccordo tra gli stessi e gli esponenti politici rappresentati dalla Fondazione». Un sostanziale incarico di “cerniera”, dunque, tra 25 imprenditori e lo stesso Renzi, almeno stando alle ricostruzioni preliminari della magistratura fiorentina. Di fatto, però, si è scoperto che somme di denaro sarebbero finite anche in altre “casseforti”. Negli atti, infatti, si fa riferimento a movimentazioni finanziarie verso Lussemburgo. In particolare «risulta che l’indagato (Carrai, ndr) è tra i soci della società Wadi Ventures Management Company sarl con sede a Lussemburgo il cui unico asset è la società Wadi Ventures sca, anch’essa con sede in Lussemburgo e con oggetto sociale le partecipazioni societarie». Secondo gli investigatori quest’ultima società sarebbe destinataria di «somme provenienti, fra gli altri, da investitori italiani già finanziatori della Fondazione Open».
Matteo Renzi e Maria Elena Boschi sono dei geni. E lo sapevamo. Ma forse non credevamo che lo fossero così tanto. Sogniamo con loro.
– Fanno di tutto per varare (in ritardo) una Commissione banche. Ci credono così tanto che, per presidente, ci mettono Pier Ferdinando Casini. La vogliono unicamente per dare un contentino ai media e farsi belli.
– Irenziani, come all’asilo, di fronte al diluvio fingono che ci sia il sole: “Visto? Consoli e Ghizzoni hanno confermato le nostre parole“. Idoli.
– Maria Elena Boschi si conferma il più grande parlamentare grillino di questa legislatura: nessuno come lei fa venire voglia di votare M5S (o chiunque tranne il Pd). E’ davvero la nuova Nilde Jotti. Per distacco.
– Mentre il Pd muore, nessuno tra i piddini non renziani muove foglia. Evidentemente son contenti così.
– I cortigiani, da LaVia alla Fusani fino al poro Cerasa, continuano a difendere il fortino. Sono meravigliosi.
– Nei sondaggi il Pd crolla: 20% o giù di lì. Lo stesso responsabile della comunicazione MatteoRichetti, convinto che negli incontri di partito non ci sia nessuno che lo filmi (genio), tratta ormai Renzi come il poro schifoso. E’ leggenda inesausta. – Ciò nonostante, a marzo Genny Migliore Presidente del Consiglio, Farinetti al Quirinale e Recalcati nuovo frontman dei Pearl Jam.
– Mary Hellen Woods continua a fare più danni della grandine e i sondaggi la accreditano di un potenziale di un milioni di voti: in meno, però. Eppure sta sempre lì. Nessuno, dentro il partito, osa attaccarla. Cosa diamine sa questa donna? Ha visto Sergio Mattarella rubare i Lego a Sandro Gozi? E’ venuta a sapere che da piccolo Orfini si vestiva da Mazinga alle feste in maschera di Drupi? Bah.
– Sono aretino, fiero di esserlo e innamorato della mia città: è bellissima. Per questo, ‘sta cosa che Arezzo sia citata quasi sempre per fatti così mesti mi fa venire un giramento di andrearomani che neanche immaginate.
– L’unico a salvarsi, in un tal dramma generalizzato, è Dario Nardella. Ma solo perché Egli è immanente. Egli non vive, bensì trascende. Egli si eleva fino a divenire puro spirito, Faro e Guida. Luce di noi tutti. A marzo lo voto. Forza Dario.
L'ex ad di Unicredit conferma quanto rivelato da Ferruccio de Bortoli. E chiama in causa anche l'imprenditore amico di Renzi: "Mi mandò una mail, diceva che gli era stato chiesto di sollecitare una risposta. Pensai chi poteva averglielo chiesto e esclusi che fosse stata la banca. Risposi che avremmo parlato direttamente con l'Etruria. Il 29 gennaio 2015 decidemmo di non investire".
Non solo l’allora ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, che come rivelato nel suo ultimo libro dall’ex direttore del Corriere della SeraFerruccio de Bortoli effettivamente nel dicembre 2014 gli chiese di valutare l’acquisizione di Banca Etruria. Nella sua attesa audizione davanti alla Commissione bicamerale di inchiesta sulle banche, l’ex numero uno di Unicredit Federico Ghizzoni ha sganciato una bomba su tutto il Giglio magico renziano. Chiamando in causa anche Marco Carrai, sodale di Matteo Renzi, presidente di Aeroporti Firenze e membro del consiglio direttivo della Fondazione Open, che organizza la Leopolda. “Mi mandò una mail per sollecitare una risposta. La mia reazione fu di pensare chi poteva avere chiesto un sollecito da parte del dottor Carrai. Esclusi che fosse stata la banca. Risposi che il nostro canale di comunicazione sarebbe stato direttamente con l’Etruria, avremmo risposto a loro una volta finita la valutazione”.
I primi contatti con il tramite di Mediobanca – Il “primo contatto” che Unicredit ebbe con Banca Etruria, ha rivelato Ghizzoni, “fu il primo settembre 2014. Marina Natale, allora responsabile fusioni e acquisizioni (m&a) della banca, fu contattata da Mediobanca che agiva come advisor per l’Etruria alla ricerca di investitori. Fummo contattati con una lettera e ci fu chiesto se eravamo interessati a esaminare il dossier per un eventuale ingresso nel capitale. Rispondemmo immediatamente che non c’era interesse da parte nostra”. Poi il 6 e 7 settembre 2014, nel corso del Forum Ambrosetti di Cernobbio, “incrociai la ministra Boschi ma non ci fu nessun tipo di contatto con lei”. Il primo incontro tra Ghizzoni e l’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Gentiloni, fu l’11 settembre a Palazzo Chigi, presente il capo delle relazioni istituzionali di Unicredit: “Fu un incontro di natura istituzionale, si parlò delle politiche del governo Renzi e molto in generale delle banche, ma non su specifiche banche, in questo incontro non ci fu nessun riferimento a Banca Etruria”.
A fine ottobre 2014 fu direttamente l’Etruria a chiedere un incontro con Ghizzoni, “menzionando alla mia segretaria che ne erano al corrente organi istituzionali. Personalmente pensai alla vigilanza, a Banca d’Italia”. Intanto il 5 novembre Roberto Nicastro, allora direttore generale, “mi disse che era stato contattato dal presidente Rosi per sondare l’interesse di Unicredit”. Il 4 novembre, alla festa per i 15 anni di Unicredit, la Boschi aveva chiesto all’ad se potevano sentirsi nelle successive settimane, prima di fine anno.
In seguito il 3 dicembre 2014, ci fu il primo incontro tra Ghizzoni, il suo assistente, Rosi e l’allora advisor della banca Paolo Gualtieri (poi commissario dell’Etruria). “Mi fu illustrata la situazione, mi dissero che doveva trovare un investitore in tempi rapidi in quanto c’era il rischio di commissariamento. Mi furono illustrati l’avvio della trasformazione in spa e l’idea di separare bad bank e good bank, oltre al’ipotesi di ridurre di 400 persone la forza lavoro e di tagliare le filiali. mi si chiese se c’era interesse di intervenire nel capitale. Risposi che la vedevo molto complicata per i tempi stretti e perché stavamo tutti aspettando la definizione dei nuovi capital ratio da parte della Bce e la risposta era attesa per gennaio e prima di quella data era difficile avviare operazioni che richiedevano assorbimento di capitale”. In ogni caso l’istituto di Piazza Gae Aulenti riconsiderò il dossier visto che la situazione era cambiata rispetto a settembre: la palla fu passata alle strutture tecniche per le loro analisi. “A quanto mi disse Gualtieri prima di venire da Unicredit c’erano stati contatti a quanto so, anche se non ho assoluta certezza, con il mondo delle popolari. Perché Unicredit e non Intesa? Perché Intesa aveva già una posizione forte in Toscana e quindi era più semplice chiederlo a Unicredit, per un discorso di complementarietà territoriale”.
L’incontro con la Boschi: “Mi chiese se era pensabile un’acquisizione” – Il 12 dicembre, mentre i suoi uffici stavano dunque già esaminando l’operazione, Ghizzoni ebbe con la ministra “un incontro fissato dalle segreterie”, sempre a Palazzo Chigi, a tu per tu. “Affrontammo il tema specifico delle banche in crisi. La ministra Boschi mi manifestò la sua preoccupazione non tanto per le banche in crisi del suo territorio, Mps ed Etruria, quanto che cosa questo avrebbe comportato in termini negativi come impatto su famiglie e piccole imprese in termini di erogazione del credito. La ministra mi chiese se era pensabile per Unicredit valutare l’acquisizione o un intervento sulla popolare dell’Etruria, sulla base di questa preoccupazione. Dissi che non ero in grado di dare nessuna risposta e che Unicredit avrebbe deciso solo nel suo interesse. Un ceo di una banca come Unicredit deve mettere in chiaro che è la banca che prende la decisione e questo messaggio fu assolutamente condiviso dal ministro Boschi”.
La ministra “fu cordiale, non avvertiipressioni da parte del ministro, ci lasciammo con l’accordo che l’ultima parola spettava a Unicredit che avrebbe deciso solo nel suo interesse. Da allora non ci sono stati ulteriori contatti”. Una “pressione“, ha poi chiarito Ghizzoni rispondendo a una domanda dei commissari, “sarebbe stata se mi avesse detto di acquisire la banca, invece lei mi chiese se era pensabile. Anche dal punto di vista semantico fa la differenza. Sentire pressioni è anche soggettivo. Io dissi che non potevo dare una risposta subito, avrei incaricato i miei. Quindi la richiesta non ha leso la nostra capacità di decidere in maniera indipendente“. Quanto al fatto che Pier Luigi Boschi fosse vicepresidente della banca, “sapevo ovviamente della parentela di Boschi con il padre ma per me non era una cosa rilevante, magari lo era per il ministro ma per me no”.
di Manolo Lanaro
La mail dell’amico di Renzi: “Mi è stato chiesto di sollecitarti” – In ogni caso secondo Ghizzoni gli uffici di piazza Gae Aulenti continuarono a valutare il dossier come se nulla fosse accaduto. “Non c’era nulla da nascondere: incontrando un paio di colleghi, tra cui anche il capo del settore fusioni e acquisizioni, dissi del colloquio in cui c’era stata la richiesta e dissi ‘voi continuate a lavorare in totale indipendenza senza interferenza da parte di nessuno’. L’analisi fu fatta da tecnici in assoluto rispetto e l’analisi si fece in totale indipendenza”. Mentre la due diligence era ancora in corso, il 13 gennaio, “mi arrivò una mail da Marco Carrai: “Solo per dirti che su Etruria mi è stato chiesto di sollecitarti per una risposta nel rispetto dei ruoli”. La mia reazione fu di pensare chi poteva avere chiesto un sollecito da parte del dottor Carrai. Esclusi che fosse stata la banca. Decisi però di non chiedere nessun chiarimento. Il nostro canale di comunicazione era solo la banca, quindi risposi che stavamo lavorando e alla fine avremmo contattato i vertici di Etruria e comunicato loro le conclusioni”. Ghizzoni ha poi precisato che aveva conosciuto in precedenza Carrai nella veste di presidente di Aeroporti di Firenze e consulente nel settore della sicurezza informatica. “Non l’ho mai considerato come interlocutore politico”, perciò “l’ho considerato come un privato che si interessava di una questione che non gli competeva”.
Conclusioni che furono negative: “La risposta alla banca l’abbiamo data il 29 gennaio 2015. Abbiamo deciso di non investire per più di una ragione. Nel frattempo era arrivata una comunicazione Bce, i ratio patrimoniali erano stati alzati e quell’investimento richiedeva un assorbimento di capitale di 27 basis point (25 erano un miliardo). Quindi non c’era la possibilità di investire questo capitale senza avere ritorni certi. E il portafoglio, anche della good bank, sembrava non di buona qualità. Poi c’era i tema di avere l’ok della Bce”.
Dopo il commissariamento di Etruria nel febbraio 2015 Banca d’Italia, che “era informata” delle trattative sull’Etruria, si rifece viva “e tenni con il capo della vigilanza Carmelo Barbagallo una conference call il 24 febbraio 2015. Mi disse che lo scenario era cambiato e mi chiedeva se rimanevamo sulle nostre posizioni”. Ghizzoni confermò il no della banca a un’operazione.
L’attivismo di Carrai sulle banche – L’interesse particolare di Marco Carrai per il mondo bancario non è senza precedenti. Molti ricorderanno l’editoriale di Ferruccio de Bortoli uscito sul Corriere della Sera il 3 ottobre del 2016 in cui l’ex direttore del quotidiano di via Solferino criticava duramente la gestione governativa dell’ennesima crisi del Monte dei Paschi di Siena. Secondo de Bortoli, tra il resto, era stato il manager fiorentino vicino al premier ad annunciare all’ad del Monte Fabrizio Viola la sua sostituzione con Marco Morelli. “La notizia è totalmente falsa“, aveva fatto sapere Carrai. Promettendo però che avrebbe provveduto a “ritirare immediatamente la querela non appena il dottor de Bortoli riterrà di riconoscere il suo errore“. Cosa effettivamente successa nel giro di poche ore, quando de Bortoli ha diffuso via Facebook una nota in cui si legge: “L’errore è mio. Da una verifica con il destinatario, l’sms di Carrai risulta inviato dopo la telefonata di Padoan”. Tuttavia, prosegue, “la domanda che formulavo nel mio articolo resta legittima e colgo l’occasione per rivolgerla al dottor Carrai. Mi aspetto una risposta ugualmente sincera. Qual è il suo ruolo nella vicenda Monte Paschi e, in particolare, nella sostituzione di Viola con Morelli?”. Non sono ancora pervenute risposte.
Dopo un esposto sull'appartamento in cui viveva il premier (affitto era pagato dall'amico Carrai), i magistrati della Procura di Firenze vogliono capire se ci fu scambio di favori tra i due.
Matteo Renziha vissuto per quasi tre anni un un appartamento vicino a Palazzo Vecchio, in via degli Alfani 8. Ma a pagare l’affitto è stato l’amico Marco Carrai. 900 euro al mese, che a un certo punto sono diventati 1.200, ha documentato ieri Libero, pubblicando il contratto di affitto, ottenuto dallo stesso Carrai dopo giorni di pressioni. Ora la procura di Firenze, come riportano alcuni quotidiani, ha aperto un fascicolo esplorativo, a seguito di un esposto, per fare luce sui rapporti tra l’ex sindaco e l’imprenditore e verificare se tra i due ci sia stato uno scambio di favori. Al momento non ci sono né ipotesi di reato né indagati e il procuratore aggiunto Giuliano Giambartolomei affiderà le indagini a un pm per verificare che l’interesse pubblico non sia stato danneggiato. Intanto l’opposizione compatta di tutti i partiti ha fatto cadere in conferenza dei capigruppo in Senato la richiesta di chiarimenti del Movimento Cinque Stelle, che da Renzi vorrebbe un chiarimento in aula sul caso affitto e sui rapporti con Carrai.
Il presidente del Consiglio ha vissuto nella casa per 34 mesi, dal 14 marzo 2011 al 22 gennaio di quest’anno e lì aveva trasferito la sua residenza da Pontassieve (dove vive la moglie coi tre figli) per potere votare nella città che governava. Aveva scelto l’appartamento in via degli Alfani 8 dopo avere lasciato una mansarda dietro Palazzo Vecchio perché l’affitto – da mille euro al mese – era troppo costoso. Il proprietario della casa, scrive il Corriere della Sera, è Alessandro Dini, consigliere di amministrazione della Rototype, azienda il cui sito web è curato da da un’agenzia di comunicazione, Dotmedia. Per Dotmedia lavora come agente il cognato del premier, Andrea Conticini, e suo fratello Alessandro Conticini è tra i soci, con il 20%. Quest’ultimo in passato è stato socio di Eventi6, società della famiglia Renzi.
Marco Carrai, consigliere del premier vicino a Comunione e Liberazione che in passato ha guidato Firenze Parcheggi, oggi è presidente di Aeroporti Firenze e di Fondazione Open (ex fondazione Big Bang che ha gestito le campagne elettorali di Renzi). La società C&T Crossmedia di cui è socio, inoltre, si è aggiudicata un servizio per visitare Palazzo Vecchio con la guida di un tablet. Ma Carrai in questi giorni è finito nel mirino anche per la vicenda che vede coinvolta Francesca Campana Comparini, sua fidanzata che sposerà a settembre. La ragazza, 26enne laureata in filosofia, è tra i curatori della mostra su Jackson Pollock e Michelangelo, la più importante e prestigiosa a Firenze nel 2014. Si svolgerà a Palazzo Vecchio ed è costata al Comune 375mila euro. I due consiglieri fiorentini di opposizione De Zordo (Per un’altra città) e Grassi (Sel) hanno chiesto al vicesindaco reggente Nardella: “Se una ragazza di 26 anni, laureata in Filosofia e senza alcuna esperienza curatoriale, riceve l’incarico di curare la principale mostra di un grande comune italiano, è perché conosce qualcuno o perché conosce qualcosa?”. Secondo quando pubblicato dal Fatto, Comparini ha soltanto un titolo contro i 62 di un altro curatore della mostra, Sergio Risaliti. E l’unico saggio che ha pubblicato è per il catalogo della mostra di Zhang Huan, commissionato dal Comune di Firenze.
Dopo un esposto sull'appartamento in cui viveva il premier (affitto era pagato dall'amico Carrai), i magistrati della Procura di Firenze vogliono capire se ci fu scambio di favori tra i due.
Matteo Renziha vissuto per quasi tre anni un un appartamento vicino a Palazzo Vecchio, in via degli Alfani 8. Ma a pagare l’affitto è stato l’amico Marco Carrai. 900 euro al mese, che a un certo punto sono diventati 1.200, ha documentato ieri Libero, pubblicando il contratto di affitto, ottenuto dallo stesso Carrai dopo giorni di pressioni. Ora la procura di Firenze, come riportano alcuni quotidiani, ha aperto un fascicolo esplorativo, a seguito di un esposto, per fare luce sui rapporti tra l’ex sindaco e l’imprenditore e verificare se tra i due ci sia stato uno scambio di favori. Al momento non ci sono né ipotesi di reato né indagati e il procuratore aggiunto Giuliano Giambartolomei affiderà le indagini a un pm per verificare che l’interesse pubblico non sia stato danneggiato. Intanto l’opposizione compatta di tutti i partiti ha fatto cadere in conferenza dei capigruppo in Senato la richiesta di chiarimenti del Movimento Cinque Stelle, che da Renzi vorrebbe un chiarimento in aula sul caso affitto e sui rapporti con Carrai.
Il presidente del Consiglio ha vissuto nella casa per 34 mesi, dal 14 marzo 2011 al 22 gennaio di quest’anno e lì aveva trasferito la sua residenza da Pontassieve (dove vive la moglie coi tre figli) per potere votare nella città che governava. Aveva scelto l’appartamento in via degli Alfani 8 dopo avere lasciato una mansarda dietro Palazzo Vecchio perché l’affitto – da mille euro al mese – era troppo costoso. Il proprietario della casa, scrive il Corriere della Sera, è Alessandro Dini, consigliere di amministrazione della Rototype, azienda il cui sito web è curato da da un’agenzia di comunicazione, Dotmedia. Per Dotmedia lavora come agente il cognato del premier, Andrea Conticini, e suo fratello Alessandro Conticini è tra i soci, con il 20%. Quest’ultimo in passato è stato socio di Eventi6, società della famiglia Renzi.
Marco Carrai, consigliere del premier vicino a Comunione e Liberazione che in passato ha guidato Firenze Parcheggi, oggi è presidente di Aeroporti Firenze e di Fondazione Open (ex fondazione Big Bang che ha gestito le campagne elettorali di Renzi). La società C& T Crossmedia di cui è socio, inoltre, si è aggiudicata un servizio per visitare Palazzo Vecchio con la guida di un tablet. Ma Carrai in questi giorni è finito nel mirino anche per la vicenda che vede coinvolta Francesca Campana Comparini, sua fidanzata che sposerà a settembre. La ragazza, 26enne laureata in filosofia, è tra i curatori della mostra su Jackson Pollock e Michelangelo, la più importante e prestigiosa a Firenze nel 2014. Si svolgerà a Palazzo Vecchio ed è costata al Comune 375mila euro. I due consiglieri fiorentini di opposizione De Zordo (Per un’altra città) e Grassi (Sel) hanno chiesto al vicesindaco reggente Nardella: “Se una ragazza di 26 anni, laureata in Filosofia e senza alcuna esperienza curatoriale, riceve l’incarico di curare la principale mostra di un grande comune italiano, è perché conosce qualcuno o perché conosce qualcosa?”. Secondo quando pubblicato dal Fatto, Comparini ha soltanto un titolo contro i 62 di un altro curatore della mostra, Sergio Risaliti. E l’unico saggio che ha pubblicato è per il catalogo della mostra di Zhang Huan, commissionato dal Comune di Firenze.