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martedì 19 maggio 2015

Sismi: parlano i dossierati da Pompa e Pollari. Tutti contro il segreto di Stato. Stefano Iannaccone e Lea Vendramel

Sismi: parlano i dossierati da Pompa e Pollari. Tutti contro il segreto di Stato

C'è chi ha preferito non costituirsi parte civile. C'è chi parla di danni subiti. E Chi tira in ballo la Cia. Da Caselli a Giulietto Chiesa, da Di Pietro a Furio Colombo, da Salvi a Veltri, grande malcontento per la decisione del governo Renzi.

C’è chi parla di danni subiti, come l’ex procuratore Antonio Ingroia che denuncia «una massiccia campagna di discredito nei suoi confronti». C’è chi ha preferito non costituirsi parte civile  al processo perché convinto che «la questione dovesse essere spogliata di qualunque profilo personale soggettivo», come l’altro magistrato Gian Carlo Caselli. C’è ancora chi, come il giornalista e scrittore, Giulietto Chiesa, vede la mano dei servizi segreti americani. E ancora chi, come Andrea Cinquegrani, direttore della”Voce della Campania”, denuncia una serie di gravi ripercussioni sulla propria attività professionale. Tutti però concordano su un punto: «E’ assurdo mettere il segreto di Stato sulla vicenda»Ilfattoquotidiano.it ha contattato alcuni dei magistrati, politici e giornalisti finiti nel mirino della struttura organizzata a Roma, in via Nazionale 230, tra il 2001 e il 2006, dall’ex capo del Sismi Niccolò Pollari e dall’agente Pio Pompa.Personaggi oggetto di “attenzioni” e dossieraggio perché più o meno considerati avversari dell’allora premier Silvio Berlusconi. Una vicenda su cui pesa come un macigno la posizione assunta dai governi che si sono succeduti in questi anni, accomunati dalla scelta di apporre il segreto di Stato. Dal governo Prodi a quello attuale di Matteo Renzi, che lo ha riproposto manifestando l’intenzione di sollevare nuovamente di fronte alla Corte costituzionale il conflitto di attribuzione, come ha scritto il direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza di Palazzo Chigi, Giampiero Massolo, allo stesso Pollari chiamato a deporre sull’affaire dai magistrati di Perugia. Ebbene, cosa dicono i dossierati su quello che sta succedendo? Come giudicano la riproposizione del segreto di Stato? Come hanno vissuto l’intrusione nella loro vita professionale e privata? Che danni ne hanno ricevuto?
MARIO ALMERIGHI, ex magistrato: «Credo che l’ampiezza del segreto di Stato sia inversamente proporzionale ai livelli di democrazia di un Paese. Quando venni a conoscenza della vicenda, tenuto conto dei processi che in quel periodo stavo trattando e di quelli che avevo trattato in passato, la cosa non mi sorprese affatto. Mi sorprese l’esiguo numero dei magistrati romani inseriti nell’elenco. L’unica cosa che mi preoccupò alquanto fu che nel documento di Pompa si diceva anche che nei confronti delle persone “attenzionate” potevano essere poste in essere anche “azioni violente”. La mia preoccupazione aumentò quando, in seguito al mio trasferimento a Civitavecchia come presidente di quel tribunale, mi venne tolta la scorta. Ma, visto che oggi posso tranquillamente rispondere a queste domande, devo dedurre che quella decisione fu giusta».
GIANCARLO CASELLI, ex magistrato: «Io non riesco a capire che razza di segreto di Stato possa esserci quando si tratta di un’attività di spionaggio nei confronti di servitori dello Stato che facevano soltanto il loro mestiere e il loro dovere, a volte, come nel mio caso e di tanti altri magistrati “spiati”, anche rischiando la pelle. Il segreto di Stato su questi argomenti è un ossimoro. Premesso che non discuto le decisioni diverse dalla mia, di non costituirmi parte civile, credo che la questione dovesse essere spogliata di qualunque profilo personale soggettivo. Secondo me, infatti, era ed è una grave questione di carattere pubblico-istituzionale, quindi ho ritenuto opportuno lasciare soltanto alle sedi istituzionalmente competenti il compito di affrontare questo problema che riguarda soprattutto il funzionamento di strutture pubbliche».
GIULIETTO CHIESA, giornalista e politico: «Il segreto di Stato è giustificabile quando riguarda gli interessi nazionali dell’Italia. Ma non è questo il caso. Ci sono dei sacrari che sono al di fuori di ogni controllo democratico e legale. Questi sacrari riguardano il comportamento dei servizi segreti italiani, che sono una dépendance dei servizi segreti americani. Il potere di interdizione degli Stati Uniti è più forte di qualsiasi legge italiana».
ANDREA CINQUEGRANI, giornalista: «Il segreto di Stato si pone quando ci sono delle emergenze nazionali e internazionali. Invocarlo per un’attività di dossieraggio che cosa ha a che vedere con la sicurezza nazionale? Questa follia si è perpetuata in modo bipartisan in tutti i governi. Tra l’altro il governo Renzi ha parlato di desecretare tutti i documenti e di trasparenza, allora perché inciampare su questa vicenda? Siamo stati spiati dal 2001 al 2006. In quegli anni ero già direttore de “La Voce della Campania”, facevamo un giornale autofinanziato, è plausibile pensare che essere stati attenzionati in quel modo dai servizi segreti, essere stati definiti una sorta di “al Qaeda dell’informazione”, una cupola di controinformazione anti-Berlusconi, possa aver delegittimato la nostra testata, creando effetti negativi sugli introiti pubblicitari, ledendo la nostra immagine e provocandoci danni morali ed esistenziali».
FURIO COLOMBO, giornalista e politico: «Il segreto di Stato su questa vicenda è una decisione grave e sbagliata. I fatti risalgono a quando ero direttore de “l’Unità”. Anche se in quel momento non potevano esserci per me delle ripercussioni professionali, un dossieraggio di questo genere determina comunque un alone infido intorno a una persona. Non ho avuto modo di verificare se ci sono stati degli effetti negativi, perché non cercavo lavoro, non avevo bisogno di referenze e dopo quel dossieraggio sono stato eletto anche senatore. Ipotizzo comunque di aver subito un danno anche grave. Ognuno di noi può dire quante porte gli si sono aperte nella vita, ma nessuno può sapere quante siano quelle rimaste chiuse».
ANTONIO DI PIETRO, politico: «Roba da pazzi, questo non è segreto di Stato. Ho il cuore pieno di amarezza».
ANTONIO INGROIA, ex magistrato: «È grave che oggi lo Stato preferisca ancora la copertura, appellandosi al segreto di Stato e parlando di possibile conflitto di attribuzioni. Mentirei se dicessi che sono sorpreso. L’Italia, infatti, è un Paese in cui non c’è alcuna voglia di scoperchiare certe pentole. Fa poi riflettere che questo comportamento sia tenuto da una figura come Matteo Renzi che si presenta come il nuovo e il rottamatore.  Io sono stato spiato durante la mia attività di pubblico ministero. È una vicenda per la quale sono indignato come persona e amareggiato come uomo dello Stato. Mi ha creato più danni di quanto sembri, visto che c’è stata una campagna massiccia di discredito nei miei confronti».
LIBERO MANCUSO, ex magistrato: «Trovo assurdo che il premier Renzi, dopo essersi impegnato a togliere il segreto di Stato da tutti gli atti secretati, non sembra intenzionato a farlo per questa vicenda paradossale, intimidatoria e molto oscura che vede coinvolti un organo di controspionaggio e una serie di magistrati che non hanno fatto altro che il loro dovere. Io ho avuto circa dieci inchieste disciplinari, da cui comunque sono sempre uscito indenne».
PAOLO MANCUSO, magistrato: «Il permanere del segreto di Stato è disarmante, una situazione che non riesco a comprendere. Mi sono sentito molto turbato da questa vicenda che non è rimasta isolata. Ho presentato, infatti, denunce per questa situazione e per altre avvenute successivamente sempre ad opera, secondo me, di personaggi appartenenti all’area dei servizi segreti, da cui sono stato attenzionato e monitorato».
CESARE SALVI, politico: «È strano e inquietante che su questa vicenda ci sia il segreto di Stato. Non si capisce il motivo, è evidente che c’è qualcosa che non sappiamo. Quando sono venuto a sapere di essere tra le persone oggetto di queste attività, mi sono molto infastidito. Anche se non ho niente da nascondere, ho sentito lesi molti miei diritti».
ELIO VELTRI, giornalista e politico: «Il segreto di Stato su una vicenda che ha coinvolto persone spiate solo per le loro idee politiche è inspiegabile e inaccettabile. Un fatto di una gravità inaudita, come gravissima è la minaccia di sollevare il conflitto di attribuzioni».
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/18/sismi-parlano-dossierati-da-pompa-e-pollari-tutti-contro-il-segreto-di-stato/1693371/

mercoledì 7 novembre 2012

Grillo: “Di Pietro è amico, non è alleato. No talk show per i 5 Stelle”.


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Il comico sul blog scrive un post dal titolo "Grillo for dummies" in cui specifica di non volere correre alle prossime politiche né col leader Idv né con altri partiti. In più cancella uno dei pilastri del Movimento: ovvero l'obbligo di remissione del mandato ogni sei mesi per "consiglieri, sindaci e parlamentari". Una norma ad hoc per salvare i 'colonnelli'?

Di Pietro corre insieme al Movimento 5 Stelle? Niente affatto. E’ lo stesso Grillo a smentire le voci che lo darebbero alleato al leader dell’Italia dei Valori per le prossime politiche in 12 punti pubblicati online (sopra lo screenshot del post) in cui specifica, tra l’altro, quale è la linea del movimento su primarie e partecipazione alle trasmissioni televisive. E dove cancella anche uno dei pilastri del movimento, ovvero quello delle dimissioni in bianco. Un’abitudine consolidata nel Movimento tra chi ha assunto incarichi pubblici che consisteva nel rimettere ogni sei mesi il mandato nelle mani dei cittadini. Un modo, forse, per salvare i ‘colonnelli’ del Movimento che altrimenti non rischiano di non vedersi rinnovata la fiducia della base.
Beppe Grillo pubblica sul blog “una ‘guida for dummies‘ per tutti coloro che hanno dubbi interpretativi, dietrologie, necessità di chiarimenti”. Innanzitutto l’alleanza alle politiche, dove il movimento correrà da solo. “Antonio Di Pietro ha la mia amicizia – scrive il comico genovese sul suo blog -, ma il M5S non si alleerà né con l’Idv, né con nessun altro. Il M5S vuole sostituire il Sistema dei partiti con la democrazia diretta. In sostanza vuole la fine dei partiti basati sulla delega in bianco”. 
Poi, alla voce “T come Televisione“, Grillo specifica che “non sono ‘vietate’ interviste di eletti del M5S trasmesse in televisione per spiegare le attività di cui sono direttamente responsabili”, ma allo stesso tempo “è fortemente sconsigliata (in futuro sarà vietata) la partecipazione ai talk show condotti abitualmente da giornalisti graditi o nominati dai partiti, come è il caso delle reti Rai, delle reti Mediaset e de La7“. Un riferimento che punta dritto alla scorsa puntata di Ballarò, al centro delle polemiche dopo la partecipazione della consigliera comunale di Bologna Federica Salsi. Il leader M5S ha paragonato la tv al “punto G” e lei ha replicato accusandolo di essere figlio della cultura berlusconiana. Attacchi e polemiche al vetriolo culminati nell’isolamento della Salsi in Consiglio comunale a cui la consigliera ha reagito paragonando il Movimento a Scientology
Cruciale anche il dietrofront sulla remissione mandati. Una decisione che si innesta sulla scia delle polemiche a seguito di quanto accaduto in consiglio comunale a Bologna, dove il consigliere Massimo Buganidopo la presa di distanza da Federica Salsi, rischia di non vedersi rinnovata la fiducia dei cittadini nell’assemblea fissata per il 14 novembre. Infatti alla lettera “R comeRemissione del mandato” Grillo scrive che ”il consigliere, il sindaco o il parlamentare non ha alcun obbligo di rimettere il mandato periodicamente (ad esempio ogni sei mesi)”. 
Nella ‘guida for dummies’, il blogger puntualizza la posizione dei 5 Stelle su alcuni grandi temi, ricordando, tra le altre cose, che gli eletti nelle file del Movimento non percepiranno più di 5mila euro lordi al mese; non ci saranno primarie ma la sola scelta del portavoce per Camera e Senato. Il Movimento inoltre voterà anche proposte di altri partiti se aderenti al programma dei 5 Stelle. Sulla questione euro, la decisione di rimanere nella moneta unica “spetta ai cittadini italiani attraverso un referendum”. E prosegue: “Io ritengo che l’Italia non possa permettersi l’euro, ma devono essere gli italiani a deciderlo e non un gruppo di oligarchi o Beppe Grillo”. Il M5S inoltre “non candida chi ha svolto due mandati anche se interrotti” e “supporta e appoggia le istanze dei movimenti con obiettivi comuni, come è avvenuto per il no al nucleare, l’acqua pubblica, il No Tav e il No Gronda, eccetera”. Sui rimborsi confermata la linea di sempre: “il M5S non ha incassato alcun rimborso elettorale per le regionali e non lo incasserà per le prossime politiche”.
Pdci: “Editto è web-dittatura” – Flavio Arzarello, responsabile della comunicazione del Pdci, definisce il post “l’editto di Beppe Grillo”, che è il contrario della “democrazia diretta” perché vietare “ai suoi la partecipazione ai talk show è segno di delirio di onnipotenza”. Per Arzarello “siamo alla ‘web-dittatura’ di una sola persona. Gli italiani se ne accorgeranno molto in fretta”. 
Puppato (Pd): “Solidarietà a Federica Salsi” – Laura Puppato, consigliere regionale del Pd in Veneto e candidata in corsa alle primarie del centrosinistra, solidarizza con Federica Salsi e si schiera contro “il bavaglio” voluto dal comico 5 Stelle. “E’ vero che ogni movimento o partito ha le sue regole, ma le regole si possono anche infrangere quando sono irragionevoli e immotivate. Qui non stiamo parlando di valori o di principi non rispettati ma di televisione, di comunicazione”. Inoltre, ha aggiunto, “ritenere tuttavia che questo possa essere una ragione per determinare un’autoesclusione dalla tv o dagli spazi informativi che ti consentono di spiegare come la pensi e cosa vorresti fare, lo trovo presuntuoso eccessivo e esagitato. Proprio non lo condivido”.

La Puppato con il suo intervento conferma quanto sostenuto da Grillo che afferma che i mass media, servi dei partiti dai quali sono sostenuti, interpretano a modo proprio ogni parola pronunziata dagli avversari per discreditarli. Grillo, infatti, sconsiglia la partecipazione ai talk show, ma non le interviste, infatti scrive:  
"T come Televisione: non sono "vietate" interviste di eletti del M5S trasmesse in televisione per spiegare le attività di cui sono direttamente responsabili. E' fortemente sconsigliata (in futuro sarà vietata) la partecipazione ai talk show condotti abitualmente da giornalisti graditi o nominati dai partiti, come è il caso delle reti RAI, delle reti Mediaset e de La7"

lunedì 29 ottobre 2012

Report, inchiesta sui soldi e i rimborsi dell’Italia dei Valori. - Carlo Tecce


Report, inchiesta sui soldi e i rimborsi dell’Italia dei Valori


Il programma si occupa del denaro finito nelle casse del movimento di Antonio Di Pietro che, negli anni, ha aumentato il suo patrimonio immobiliare. Infatti, escludendo le 9 proprietà della moglie e le 2 del figlio maggiore, ne restano 45 comprese di garage e cantine.

Il titolo dice molto: insaziabile. Report si occupa di tutti i soldi finiti nelle casse dei partiti e in larga parte dispersi. L’inchiesta di Sabrina Giannini studia l’Italia dei ValoriAntonio Di Pietro si mostra disponibile, ma imbarazzato: “Prendo atto che a voi interessa più lo stuzzicadenti che la trave. Il nostro partito ha avuto un giudice penale, civile, amministrativo e contabile che ha controllato tutto”. E afferra il telefonino per chiamare Vincenzo Maruccio, capogruppo in Regione Lazio, al momento dell’intervista non ancora indagato per peculato.
Il servizio non inizia benissimo per l’ex magistrato. Prima grana bolognese, dice l’ex dirigente Idv Domenico Morace: “Feci una denuncia querela in Procura che riguardava l’intero partito Idv per il territorio di Bologna e chiedevo di essere sentito sui fondi regionali destinati al gruppo regionale. L’ho chiesto 2 anni fa e non ho avuto mai avuto la soddisfazione di essere chiamato se non in concomitanza, successivamente, alla mia intervista su  Affari Italiani”. E aggiunge: “Le verifiche che io feci riguardarono le entità di queste somme che Nanni aveva a disposizione e scoprì che si stava parlando di circa 90 mila euro l’anno. A fronte di queste segnalazioni verificai anche che per la mole di denaro che veniva impegnata non c’era un’attività politica di riscontro all’utilizzo di queste somme, oggi con le indagini della magistratura in corso cominciamo a intuire che fine facevano questi denari pubblici”. L’associazione che gestisce i soldi del partito viene fondata nel 2000 e per nove anni, ricorda la Giannini, è composta dallo stesso Di Pietro, Di Domenico e Silvana Mura.
La Giannini annota le cifre gestite dall’Idv: “Ma i tesserati non fanno parte dell’associazione che gestisce la cassa e nella quale si entra solo con la firma davanti al notaio. Il giorno dopo l’ingresso della moglie nella società, è il 2004, la Camera approva il piano di ripartizione dei rimborsi elettorali. Arrivano circa 5 milioni di fondi. Come si vede da questo verbale di riunione il rendiconto sarà approvato, anzi auto-approvato, l’anno successivo dal solo Di Pietro. L’unico presente. L’associazione gestisce 50 milioni euro fino al 2009, quando compare il nuovo statuto”. Poi si passa alle proprietà immobiliari di Di Pietro, cresciute esponenzialmente negli anni, secondo l’ex magistrato anche per le vittorie in tribunale grazie alle querele. Report chiede un parere a un geometra che, per conto di Elio Veltri, ex vicepresidente dell’Idv, ha catalogato e stimato gli immobili e le proprietà della famiglia dell’ex pm: “Escludendo da questa lista le 9 proprietà della moglie e le 2 del figlio maggiore, ne restano 45 comprese di garage e cantine”.
Spiega il geometra D’Andrea: “Abbiamo una movimentazione economica del 33% dal 1995 al 2001 e dal 2002 al 2009 che arriva al 67%, prima dei rimborsi elettorali e dopo i rimborsi elettorali, entrambe al netto delle vendite. Dopo il 2001 la famiglia inizia ad acquistare beni”. Nel 1995, racconta la Giannini, Maria Virginia Borletti, figlia del produttore milanese di macchine da cucire, decide di donare a Di Pietro e Romano Prodi una parte dell’eredità, quasi un miliardo di lire (che per l’ex pm non sono più di 500 milioni): “Eppure è lo stesso Di Pietro, nella nota memoria consegnata al magistrato, a dichiarare di avere usato la donazione Borletti per l’acquisto di immobili”. E lui ammette: “Certo che la parte che mi ha dato in donazione l’ho usata personalmente”. La giornalista insiste: “Solo a lei?”. E Di Pietro: “E certo che me l’ha data a livello personale”.
da Il Fatto Quotidiano del 28 ottobre 2012