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martedì 19 maggio 2015

Sismi: parlano i dossierati da Pompa e Pollari. Tutti contro il segreto di Stato. Stefano Iannaccone e Lea Vendramel

Sismi: parlano i dossierati da Pompa e Pollari. Tutti contro il segreto di Stato

C'è chi ha preferito non costituirsi parte civile. C'è chi parla di danni subiti. E Chi tira in ballo la Cia. Da Caselli a Giulietto Chiesa, da Di Pietro a Furio Colombo, da Salvi a Veltri, grande malcontento per la decisione del governo Renzi.

C’è chi parla di danni subiti, come l’ex procuratore Antonio Ingroia che denuncia «una massiccia campagna di discredito nei suoi confronti». C’è chi ha preferito non costituirsi parte civile  al processo perché convinto che «la questione dovesse essere spogliata di qualunque profilo personale soggettivo», come l’altro magistrato Gian Carlo Caselli. C’è ancora chi, come il giornalista e scrittore, Giulietto Chiesa, vede la mano dei servizi segreti americani. E ancora chi, come Andrea Cinquegrani, direttore della”Voce della Campania”, denuncia una serie di gravi ripercussioni sulla propria attività professionale. Tutti però concordano su un punto: «E’ assurdo mettere il segreto di Stato sulla vicenda»Ilfattoquotidiano.it ha contattato alcuni dei magistrati, politici e giornalisti finiti nel mirino della struttura organizzata a Roma, in via Nazionale 230, tra il 2001 e il 2006, dall’ex capo del Sismi Niccolò Pollari e dall’agente Pio Pompa.Personaggi oggetto di “attenzioni” e dossieraggio perché più o meno considerati avversari dell’allora premier Silvio Berlusconi. Una vicenda su cui pesa come un macigno la posizione assunta dai governi che si sono succeduti in questi anni, accomunati dalla scelta di apporre il segreto di Stato. Dal governo Prodi a quello attuale di Matteo Renzi, che lo ha riproposto manifestando l’intenzione di sollevare nuovamente di fronte alla Corte costituzionale il conflitto di attribuzione, come ha scritto il direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza di Palazzo Chigi, Giampiero Massolo, allo stesso Pollari chiamato a deporre sull’affaire dai magistrati di Perugia. Ebbene, cosa dicono i dossierati su quello che sta succedendo? Come giudicano la riproposizione del segreto di Stato? Come hanno vissuto l’intrusione nella loro vita professionale e privata? Che danni ne hanno ricevuto?
MARIO ALMERIGHI, ex magistrato: «Credo che l’ampiezza del segreto di Stato sia inversamente proporzionale ai livelli di democrazia di un Paese. Quando venni a conoscenza della vicenda, tenuto conto dei processi che in quel periodo stavo trattando e di quelli che avevo trattato in passato, la cosa non mi sorprese affatto. Mi sorprese l’esiguo numero dei magistrati romani inseriti nell’elenco. L’unica cosa che mi preoccupò alquanto fu che nel documento di Pompa si diceva anche che nei confronti delle persone “attenzionate” potevano essere poste in essere anche “azioni violente”. La mia preoccupazione aumentò quando, in seguito al mio trasferimento a Civitavecchia come presidente di quel tribunale, mi venne tolta la scorta. Ma, visto che oggi posso tranquillamente rispondere a queste domande, devo dedurre che quella decisione fu giusta».
GIANCARLO CASELLI, ex magistrato: «Io non riesco a capire che razza di segreto di Stato possa esserci quando si tratta di un’attività di spionaggio nei confronti di servitori dello Stato che facevano soltanto il loro mestiere e il loro dovere, a volte, come nel mio caso e di tanti altri magistrati “spiati”, anche rischiando la pelle. Il segreto di Stato su questi argomenti è un ossimoro. Premesso che non discuto le decisioni diverse dalla mia, di non costituirmi parte civile, credo che la questione dovesse essere spogliata di qualunque profilo personale soggettivo. Secondo me, infatti, era ed è una grave questione di carattere pubblico-istituzionale, quindi ho ritenuto opportuno lasciare soltanto alle sedi istituzionalmente competenti il compito di affrontare questo problema che riguarda soprattutto il funzionamento di strutture pubbliche».
GIULIETTO CHIESA, giornalista e politico: «Il segreto di Stato è giustificabile quando riguarda gli interessi nazionali dell’Italia. Ma non è questo il caso. Ci sono dei sacrari che sono al di fuori di ogni controllo democratico e legale. Questi sacrari riguardano il comportamento dei servizi segreti italiani, che sono una dépendance dei servizi segreti americani. Il potere di interdizione degli Stati Uniti è più forte di qualsiasi legge italiana».
ANDREA CINQUEGRANI, giornalista: «Il segreto di Stato si pone quando ci sono delle emergenze nazionali e internazionali. Invocarlo per un’attività di dossieraggio che cosa ha a che vedere con la sicurezza nazionale? Questa follia si è perpetuata in modo bipartisan in tutti i governi. Tra l’altro il governo Renzi ha parlato di desecretare tutti i documenti e di trasparenza, allora perché inciampare su questa vicenda? Siamo stati spiati dal 2001 al 2006. In quegli anni ero già direttore de “La Voce della Campania”, facevamo un giornale autofinanziato, è plausibile pensare che essere stati attenzionati in quel modo dai servizi segreti, essere stati definiti una sorta di “al Qaeda dell’informazione”, una cupola di controinformazione anti-Berlusconi, possa aver delegittimato la nostra testata, creando effetti negativi sugli introiti pubblicitari, ledendo la nostra immagine e provocandoci danni morali ed esistenziali».
FURIO COLOMBO, giornalista e politico: «Il segreto di Stato su questa vicenda è una decisione grave e sbagliata. I fatti risalgono a quando ero direttore de “l’Unità”. Anche se in quel momento non potevano esserci per me delle ripercussioni professionali, un dossieraggio di questo genere determina comunque un alone infido intorno a una persona. Non ho avuto modo di verificare se ci sono stati degli effetti negativi, perché non cercavo lavoro, non avevo bisogno di referenze e dopo quel dossieraggio sono stato eletto anche senatore. Ipotizzo comunque di aver subito un danno anche grave. Ognuno di noi può dire quante porte gli si sono aperte nella vita, ma nessuno può sapere quante siano quelle rimaste chiuse».
ANTONIO DI PIETRO, politico: «Roba da pazzi, questo non è segreto di Stato. Ho il cuore pieno di amarezza».
ANTONIO INGROIA, ex magistrato: «È grave che oggi lo Stato preferisca ancora la copertura, appellandosi al segreto di Stato e parlando di possibile conflitto di attribuzioni. Mentirei se dicessi che sono sorpreso. L’Italia, infatti, è un Paese in cui non c’è alcuna voglia di scoperchiare certe pentole. Fa poi riflettere che questo comportamento sia tenuto da una figura come Matteo Renzi che si presenta come il nuovo e il rottamatore.  Io sono stato spiato durante la mia attività di pubblico ministero. È una vicenda per la quale sono indignato come persona e amareggiato come uomo dello Stato. Mi ha creato più danni di quanto sembri, visto che c’è stata una campagna massiccia di discredito nei miei confronti».
LIBERO MANCUSO, ex magistrato: «Trovo assurdo che il premier Renzi, dopo essersi impegnato a togliere il segreto di Stato da tutti gli atti secretati, non sembra intenzionato a farlo per questa vicenda paradossale, intimidatoria e molto oscura che vede coinvolti un organo di controspionaggio e una serie di magistrati che non hanno fatto altro che il loro dovere. Io ho avuto circa dieci inchieste disciplinari, da cui comunque sono sempre uscito indenne».
PAOLO MANCUSO, magistrato: «Il permanere del segreto di Stato è disarmante, una situazione che non riesco a comprendere. Mi sono sentito molto turbato da questa vicenda che non è rimasta isolata. Ho presentato, infatti, denunce per questa situazione e per altre avvenute successivamente sempre ad opera, secondo me, di personaggi appartenenti all’area dei servizi segreti, da cui sono stato attenzionato e monitorato».
CESARE SALVI, politico: «È strano e inquietante che su questa vicenda ci sia il segreto di Stato. Non si capisce il motivo, è evidente che c’è qualcosa che non sappiamo. Quando sono venuto a sapere di essere tra le persone oggetto di queste attività, mi sono molto infastidito. Anche se non ho niente da nascondere, ho sentito lesi molti miei diritti».
ELIO VELTRI, giornalista e politico: «Il segreto di Stato su una vicenda che ha coinvolto persone spiate solo per le loro idee politiche è inspiegabile e inaccettabile. Un fatto di una gravità inaudita, come gravissima è la minaccia di sollevare il conflitto di attribuzioni».
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/18/sismi-parlano-dossierati-da-pompa-e-pollari-tutti-contro-il-segreto-di-stato/1693371/

mercoledì 26 novembre 2014

Gli appunti dello 007 Maletti: ecco chi c’era nel Sid parallelo. - Giuseppe Pipitone

Gli appunti dello 007 Maletti:<br>ecco chi c’era nel Sid parallelo
Gianadelio Maletti

L’ex capo del controspionaggio ha ammesso ai pm della Trattativa, andati ad interrogarlo in Sudafrica, di essere l’autore di un manoscritto sequestrato a casa sua negli anni ’80: una ventina di pagine in cui si racconta l’esistenza di un servizio segreto occulto che interveniva per depistare le indagini sui tentativi golpisti.

Un manoscritto in cui si racconta l’esistenza di un servizio segreto parallelo attivo negli anni ’70 dentro al Sid, il servizio informazioni della difesa, l’antenato del Sismi. Un appunto di una ventina di pagine, risalente agli anni di piombo, in cui si rivela l’attività di un Sid parallelo che interveniva per depistare le indagini sui vari tentativi golpisti messi in atto in Italia tra il 1970 e il 1974: primo tra tutti il golpe del principe Junio Valerio Borghese. 
Quelle pagine scritte a penna furono sequestrate negli anni ’80 dall’allora pm di Roma Domenico Sica in casa di Gianadelio Maletti, il generale che guidò l’ufficio D del Sid fino al 1976, interrogato la settimana scorsa in Sudafrica dai pm Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, che indagano sulla Trattativa Stato-mafia. L’appunto, già contenuto in copia nella rogatoria inviata a Johannesburg dal ministero degli Esteri italiano, è stato per la prima volta riconosciuto da Maletti, che ai pm ha ammesso di essere lui stesso l’autore di quell’approfondita analisi sulla situazione interna ai servizi negli anni ’70.
Il manoscritto top secret, non ancora depositato agli atti dell’inchiesta sulla Trattativa e di cui non si conosce ancora l’esatto contenuto, è una specie di promemoria su un’indagine svolta all’interno del Sid, che aveva individuato gli 007 appartenenti al servizio parallelo: tra questi il generale Mario Mori, imputato davanti la corte d’assise di Palermo per la Trattativa Stato mafia, il colonnello Federico Marzollo, l’uomo che arruolò nell’intelligence il futuro fondatore del Ros, e Gianfranco Ghiron, fonte dei servizi vicino all’estrema destra, fratello di Giorgio, avvocato che anni dopo sarà il legale di Vito Ciancimino. Ma non è l’unico documento che i pm hanno portato con loro in Sudafrica.
A Maletti, infatti, sono stati mostrati una serie di carteggi top secret, provenienti dagli archivi dei servizi, che delineano tutti l’esistenza di un Sid parallelo, organico e attivo all’interno di quello ufficiale, creato con lo scopo di bloccare le indagini sull’estrema destra e sui tentativi di colpo di Stato. Un servizio segreto più ampio rispetto al cosiddetto “gruppo dei sei” a cui fa cenno un altro appunto mostrato a Maletti, redatto dalla fonte Gian, in cui si racconta di come all’interno del Sid, una struttura composta da sei uomini (tra questi sempre Mori, Marzollo e Ghiron), nata per ostacolare le indagini sulla destra eversiva del reparto D, ovvero il controspionaggio guidato negli anni ’70 dal generale latitante in Sudafrica dal 1981.
In passato Maletti aveva già fatto cenno all’esistenza di un Servizio segreto parallelo davanti la commissioni Stragi, volata in Sudafrica per interrogarlo in un’audizione poi secretata. Adesso però è diverso: perché riconoscendo la paternità di quell’appunto, Maletti ha in pratica ammesso di avere compiuto lui stesso un’indagine interna al Sid, scoprendo di fatto la presenza di una struttura d’intelligence parallela. Ed è per questo che nel 1975 chiede e ottiene dal direttore del Sid Mario Casardi l’allontanamento di Mori dal Sid e il divieto di prestare servizio a Roma. “Le inclinazioni politiche di Mori, però, mi erano chiare” ha detto Maletti, riferendosi alla vicinanza del generale con l’estrema destra. Appena trenta giorni dopo l’allontanamento di Mori dal Sid, anche Marzollo viene restituito all’Arma dei Carabinieri, finendo poi coinvolto nel processo sul golpe Borghese.

Interrogato in un’aula del palazzo di giustizia di Johannesburg, Maletti è comparso davanti ai pm accompagnato dal suo avvocato Michele Gentiloni Silveri: sulla testa dell’ex 007 pesa infatti una richiesta di estradizione dell’Italia. Latitante in Sudafrica dal 1981, Paese che gli concede la cittadinanza nello stesso anno, condannato definitivamente per la prima volta nel 1996, per 17 anni Maletti rimane tranquillamente in esilio a Johannesburg: l’ordine di esecuzione pena viene infatti firmato dalla procura di Roma soltanto il 18 marzo del 2013. I poliziotti lo eseguiranno però solo dopo l‘8 maggio del 2013, e cioè poche ore dopo la morte di Giulio Andreotti. Il sette volte presidente del consiglio, il divo custode dei segreti di mezzo secolo, processato a prescritto per concorso esterno a Cosa Nostra, che quando Gentiloni andrà a chiedergli un parere per la richiesta di grazia presentata da Maletti al presidente Giorgio Napolitano, risponderà beffardo: “Avvocato, per me il generale sta bene in Sudafrica”.

venerdì 28 settembre 2012

Chi è Renato Farina, l'autore dell'articolo che ha fatto condannare Sallusti per "diffamazione".



Renato Farina (Desio10 novembre 1954) è un politico e scrittore italiano.
Ex giornalista[1], deputato (eletto alla Camera nel 2008 nelle liste del PDL) e scrittore, ha ammesso di aver collaborato[2], quando era vicedirettore di Libero, con i Servizi segreti italiani, fornendo informazioni e pubblicando notizie false[3] in cambio di denaro. La legge numero 801 del 1977 fa divieto ai giornalisti professionisti di intrattenere rapporti con i Servizi[4] e per questo motivo è stato radiato dall'Ordine dei Giornalisti. In seguito la Corte di Cassazione ha annullato tale provvedimento, poiché Farina si era già dimesso dall'Ordine quando ne fu radiato. Attualmente lavora come opinionista di Libero.
Carriera professionale 
Laureato in Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, ha iniziato a scrivere sul settimanale Solidarietà (di Seveso-Desio), per il quale ha seguito il caso della nube tossica di Seveso (10 luglio 1976). Nel 1978 entra nel settimanale Il Sabato (fondato in quell'anno), dove rimane fino alla chiusura, avvenuta nel 1993. Nel 1981 sul "Sabato" scrisse delle apparizioni di Međugorje. Fu il primo giornalista non jugoslavo a scriverne[5].
Successivamente è stato vicedirettore a Il Giornale di Vittorio Feltri e a Il Resto del Carlino. Fino all'ottobre del 2006 è stato vicedirettore di Libero, che ha fondato con Vittorio Feltri nel luglio del 2000.
In televisione è stato autore e conduttore de L'InFarinata su Raisat Extra e consulente di Gad Lerner per il programma L'infedele.
Ha affermato di avere avuto tre maestri: don Luigi Giussani («per lo sguardo sulle cose e la scrittura concisa»); Giovanni Testori («mi ha insegnato ad osare, a spezzare le famose regole del giornalismo»); Vittorio Feltri («è un genio del giornalismo»)[6].
Dopo le vicende giudiziarie emerse a suo carico nel 2006, Renato Farina è stato inserito come diciassettesimo nelle liste del PdLPopolo della libertà, per la Camera Lombardia 2, nell'ambito delle elezioni politiche dell'aprile 2008 ed è stato eletto deputato della XVI Legislatura.Membro del Consiglio Direttivo del PdL alla Camera.
Rapporti con il Sismi e radiazione dall'Ordine dei giornalisti 
La magistratura a partire dal 2006 ha indagato sui rapporti da lui avuti con alcuni membri del Sismi (i servizi segreti militari). Farina ha confermato di aver collaborato col Sismi dal 1999.
Nel libro Alias agente Betulla Farina racconta la sua versione dei fatti riguardo alla collaborazione con i Servizi: nel giugno 2004, ricevette da Nicolò Pollari (l'allora direttore del Sismi), per il tramite di Pio Pompa, l'ordine di recuperare da Al Jazeera le immagini dell'esecuzione di Fabrizio Quattrocchi; è proprio in questa operazione che nasce il suo nome in codice, Betulla[3]. Sostiene anche di avere con il suo operato fornito ai servizi segreti informazioni nelle mani dei pubblici ministeri sul rapimento della giornalista de il manifesto Giuliana Sgrena, tenuta prigioniera in Iraq dall'Organizzazione della Jihad islamica[2], fatto poi confermato da Pio Pompa[2].
Nel giugno del 2006 Pio Pompa chiede a Renato Farina, di scrivere una cronaca contro Romano Prodi (pubblicata poi il 9 giugno 2006), per accusarlo di avere appoggiato la pratica dei trasferimenti straordinari quando era presidente della Commissione Europea.
Il 2 ottobre 2006 l'Ordine dei giornalisti lombardo lo sospende per un anno con l'accusa di aver pubblicato notizie false in cambio di denaro dal Sismi[7]. Sempre nell'ottobre 2006 la Procura ne chiede la radiazione dall'albo dei giornalisti[8]: la legge numero 801 del 1977 fa infatti divieto ai giornalisti professionisti di intrattenere rapporti con i Servizi segreti[4]. Il suo avvocato ha annunciato un ricorso[9] che è stato respinto dalla Corte d'Appello di Milano[10]. Infine, la terza sezione civile della Cassazione ha annullato la radiazione, poiché Farina si era già dimesso dall'Ordine dei Giornalisti quando l'Ordine stesso ne deliberò la radiazione.
Nel novembre 2006 Farina viene messo sotto scorta delle forze di polizia in quanto oggetto di intimidazioni anonime. Riceve nello stesso mese anche un finto pacco-bomba firmato «Fronte Rivoluzionario per il Comunismo»[11].
Procedimenti giudiziari 
Alla vigilia delle elezioni politiche italiane del 2006, Renato Farina pubblica su Libero un falso dossier, preparato dal Sismi, secondo cui Romano Prodi avrebbe autorizzato, come Presidente della Commissione Europea, le extraordinary rendition della CIA in Europa, come nel caso di Abu Omar. Per tale dossier Farina sarà condannato a sei mesi di reclusione per favoreggiamento, e radiato dall'Ordine dei giornalisti[12].

La condanna per favoreggiamento per il caso Abu Omar 
Nel dicembre 2006 il sostituto procuratore di Milano, Armando Spataro, chiede il rinvio a giudizio di Farina assieme ad altre 34 persone, nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento dell'ex imam di Milano, Abu Omar. Trentadue di esse sono accusate di concorso nel sequestro. Renato Farina (accusato di aver organizzato una falsa intervista con i magistrati con il solo scopo di raccogliere informazioni sull'indagine) e i funzionari del Sismi, Pio Pompa eLuciano Seno, devono rispondere invece di favoreggiamento[13].
Il 16 febbraio 2007, si è dichiarato colpevole del reato di favoreggiamento[13][14] nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento dell'ex imam di Milano, Abu Omarpatteggiando la pena di sei mesi di reclusione (commutata in una multa di 6.800 euro) [15].
Farina ha riconosciuto i fatti sostenendo di aver agito in nome dell'articolo 52 della Costituzione (Difendere la Patria è sacro dovere del cittadino). Ha ammesso di aver ricevuto denaro non come salario ma per rimborsi non per sé stesso e utili alla liberazione di ostaggi italiani in Iraq.
Radiazione dall'Ordine dei Giornalisti 
Farina è stato radiato dall'Ordine dei Giornalisti il 29 marzo 2007[1], dopo avere ammesso di aver collaborato, al tempo in cui era vicedirettore di Libero, con i Servizi segreti italiani fornendo informazioni e pubblicando notizie in cambio di denaro.[16] La legge numero 801 del 1977 fa infatti divieto ai giornalisti professionisti di intrattenere rapporti con i Servizi Segreti. La richiesta era stata avanzata dal Procuratore generale della Repubblica di Milano.
A partire dal 30 marzo 2007, Farina continua a collaborare nelle vesti di opinionista per Libero. Il direttore del quotidiano, Vittorio Feltri, ha specificato che Farina avrebbe continuato a scrivere "per noi in base alla Costituzione che consente fino ad ora la libera espressione del pensiero"[17].
La Cassazione annulla la radiazione dall'Ordine dei Giornalisti 
Con la sentenza numero 14407/2011, depositata il 30 giugno 2011, la terza sezione civile della Suprema corte ha annullato la radiazione da parte dell'Ordine dei Giornalisti di Renato Farina: «Il procedimento disciplinare doveva essere dichiarato estinto». Dopo le accuse, infatti, Farina si dimise e fu cancellato dall'albo dei giornalisti, salvo poi essere successivamente radiato dall'Ordine, cosa che non poteva accadere, perché Farina non era più iscritto all'albo, come stabilisce la sentenza [18]. Rimane valida la sanzione di sospensione dalla professione di 12 mesi inflittagli dall'Ordine di Milano nel settembre 2006, condanna già espiata [19].

La condanna per falso in atto pubblico 
Nel luglio del 2012, Renato Farina è stato condannato in rito abbreviato a 2 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di falso in atto pubblico. Il deputato Pdl, il 12 febbraio dello stesso anno, aveva fatto visita in carcere a Lele Mora, detenuto per bancarotta fraudolenta, insieme ad un'altra persona che non era autorizzata ad accedere al penitenziario. La giudice per le indagini preliminari di Milano non gli ha concesso né la sospensione condizionale della pena né le attenuanti generiche.[20] La parlamentare del Partito radicale Rita Bernardini ha definito la sentenza "lunare" facendo riferimento all'art. 67 dell'Ordinamento penitenziario (Legge 26 luglio 1975 n. 354) secondo il quale non occorrerebbe alcuna autorizzazione alle visite carcerarie per le persone che accompagnano determinate figure istituzionali, tra cui deputati e senatori.[21] In realtà una circolare ministeriale precisa che sono esentati dal richiedere l'autorizzazione soltanto i collaboratori dei parlamentari inquadrati con un contratto a prestazione continuativa, mentre la persona che in quell'occasione accompagnò Farina risultò essere un aspirante tronista, amico di Lele Mora[22][23].

Il coinvolgimento nel caso Sallusti 
Nel corso della puntata del 26 settembre 2012 di Porta a porta dedicata in parte al caso di Alessandro Sallusti[24]Vittorio Feltri afferma che Farina è l'autore del pezzo - firmato con lo pseudonimo Dreyfus - alla base della vicenda. La mattina successiva, l'ex giornalista ha confermato di essere l'autore dell'articolo in questione[25][26].

http://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Farina

Il caso Abu Omar.



Il Caso Abu Omar fa riferimento al sequestro di persona e trasferimento in Egitto, suo paese di origine, dell'Imam di Milano Hassan Mustafa Osama Nasr, estremista islamico e fiancheggiatore del terrorismo islamico, noto come Abu Omar, ed alle successive vicende giudiziarie. La questione è stata riportata dalla stampa internazionale come uno dei più noti e meglio documentati casi di azione illegale eseguiti dai servizi segreti statunitensi nel contesto della guerra globale al terrorismo

Rapimento
Abu Omar è stato rapito Il 17 febbraio 2003 a Milano da dieci agenti della CIA[1] e un maresciallo dell'Arma dei Carabinieri che fino a un anno e mezzo prima aveva lavorato nella sezione antiterrorismo del ROS di Milano. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti e quanto dichiarato dallo stesso Nasr, l'imam è stato rapito a Milano mentre si recava alla moschea e trasportato presso la Base aerea di Aviano per essere trasferito in Egitto dove è stato recluso, interrogato e avrebbe subito torture e sevizie[2].
L'operazione della CIA ha interrotto le indagini che la procura di Milano stava conducendo su Nasr in merito alla partecipazione ad organizzazioni fondamentaliste islamiche.
Liberazione 
Fu liberato una prima volta dopo circa un anno, ma sarebbe stato riarrestato perché chiamando la famiglia in Italia e raccontando le torture subite, avrebbe violato un patto di riservatezza accettato per essere rilasciato[3].
È stato liberato una seconda volta nel febbraio 2007 - ma le autorità egiziane gli avrebbero vietato l'espatrio[4] - ha denunciato le violenze subite e espresso la volontà di tornare in Italia, dove comunque lo attenderebbe un'ordinanza di arresto per le attività di terrorismo per cui era indagato[5]. Nasr ha dichiarato di aver fiducia nella giustizia italiana e di voler perseguire i torti subiti e far valere i suoi diritti nei tribunali Italiani[6][7]; avrebbe, secondo le sue dichiarazioni, rifiutato un accordo con la CIA che prevedeva 2 milioni di dollari e la cittadinanza per lui e la sua famiglia in cambio del silenzio sulla sua vicenda[6].
Coinvolgimento dei servizi segreti deviati 
Seppure il governo italiano abbia negato di aver ricoperto alcun ruolo nel sequestro, alle indagini condotte dai procuratori aggiunti Armando Spataro e Ferdinando Enrico Pomarici sono seguiti i rinvii a giudizio per i servizi americani, di 26 agenti della CIA tra cui il capocentro di Roma e referente per l'Italia della CIA fino al 2003 Jeffrey W. Castelli e il capocentro di Milano Robert "Bob" Seldon Lady, mentre per i servizi Italiani, del Generale Nicolò Pollari, vertice del SISMI, del suo secondo Gustavo Pignero morto l'11 settembre 2006, Marco Mancini e dei capicentro Raffaele Ditroia, Luciano Di Gregori e Giuseppe Ciorra[8].
Su richiesta degli inquirenti è stata trasmessa richiesta di estradizione per i cittadini americani al Ministero della Giustizia, allora Roberto Castelli, affinché la trasmettesse agli Stati Uniti. Il Ministro Castelli si è sempre rifiutato di inoltrare la richiesta di estradizione entrando in conflitto con la procura di Milano. Al termine della legislatura nel 2006 Castelli fece sapere che non aveva trasmesso gli atti. Nonostante la vittoria alle elezioni politiche del centro sinistra, del quale alcuni esponenti avevano sostenuto l'opportunità di trasmettere gli atti, il nuovo governo ha presentato un ricorso alla Corte Costituzionale per un conflitto tra poteri dello stato lamentando la violazione del segreto di stato da parte degli inquirenti nel corso delle indagini. La decisione dell'allora ministro Clemente Mastella di attendere la risoluzione della questione pendente prima di decidere se presentare le richieste di estradizione ha provocato accese polemiche tra il governo e la procura di Milano.
Alcuni dei protagonisti di questo caso sono inoltre coinvolti anche nello scandalo dell'archivio segreto di Via Nazionale e nello scandalo Telecom-Sismi (tra essi, l'ex funzionario del Sismi Pio Pompa).
In relazione al caso Abu Omar, Renato Farina (ex giornalista del quotidiano Libero, oggi deputato del Pdl e recentemente approdato a Il Giornale) ha riconosciuto le accuse di favoreggiamento mosse a suo carico ed ha patteggiato la pena ottenendo una condanna a sei mesi di reclusione (poi commutata in sanzione pecuniaria). Ma proprio Renato Farina scriveva così su Libero il 2 luglio 2005Gaetano Saya e il D.S.S.A. (dipartimento studi strategici antiterrorismo) hanno fatto parte del gruppo operativo della C.I.A. che ha sequestrato Abu Omar. Il giorno prima era scattato il blitz della Procura di Genova nei confronti degli appartenenti a questa misteriosa struttura, definita polizia parallela: il Capo del D.S.S.A Gaetano Saya, in sede di interrogatorio davanti ai Giudici di Genova opponeva il segreto NATO. Durante gli interrogatori, Farina ha ammesso di essere stato pagato ripetutamente dal SISMI per le sue attività e di aver ricevuto pressioni da Pollari e Pompa per reperire informazioni sulle indagini in corso sul sequestro di Abu Omar.
Sull'operazione Abu Omar, il governo Prodi prima, e il governo Berlusconi poi, hanno mantenuto il segreto di stato.
Nel dicembre 2010 Wikileaks ha però pubblicato dei cablogrammi inviati dalla sede romana dell'ambasciata Usa al quartier generale (headquarter) di Washington che rivelerebbero pressioni degli Stati Uniti sul Governo Italiano per evitare il coinvolgimento degli agenti della CIA nell'inchiesta italiana sul sequestro di Abu Omar[9].
Processo 
Durante l'udienza del 22 ottobre 2008, presso la IV sezione penale del Tribunale di Milano, il giudice Oscar Magi ha sospeso l'esame di Giuseppe Scandone, ex funzionario del SISMI, che aveva opposto il segreto di Stato. Ordinanza e trascrizione dell'interrogatorio del teste verranno trasmessi al presidente del Consiglio affinché confermi il segreto di Stato opposto dal teste e chiarisca, in particolare, se le direttive e gli ordini impartiti da Pollari, quando era direttore del SISMI, siano coperti anch'essi da segreto di Stato soprattutto se hanno riguardato l'uso di mezzi e di azioni nell'ambito delle cosiddette azioni illegali (extraordinary rendition), ovvero il sequestro illegale (e spesso la tortura) di un sospetto di terrorismo[10].
Le registrazioni audio delle udienze passate sono state pubblicate da Radio Radicale [11]. Il processo prosegue con le limitazioni previste dal segreto di stato[12].
Nell'udienza conclusiva, il 30 settembre 2009, al termine della requisitoria, il pubblico ministero Armando Spataro ha chiesto 13 anni di reclusione per l'ex direttore del SISMI Nicolò Pollari, definito il regista di un sistema criminale; 10 anni per l'ex capo del controspionaggio militare italiano, Marco Mancini; la condanna anche per i 26 agenti della CIA coinvolti nel rapimento, con pene comprese tra i 10 anni e i 13 anni di reclusione. Richiesta di proscioglimento, invece, per tre funzionari minori del SISMI, Raffaele Di Troia, Luciano Di Gregorio e Giuseppe Ciorra. Secondo la ricostruzione del sequestro fatta in aula dal Pubblico Ministero Spataro - che ha ricordato come ci siano prove ineluttabili contro quella che più volte ha chiamato la banda Pollari-Mancini - il SISMI diretto da Pollari non solo offrì copertura alla CIA nel rapimento dell'ex imam, avvenuto a Milano, ma collaborò[13].
Il 4 novembre 2009 si giunge alla sentenza di primo grado, che delibera il non luogo a procedere per Mancini e Pollari, mentre condanna a 8 anni Robert Seldon Lady, a 3 anni a Pio Pompa del Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare e Luciano Seno, entrambi funzionari del SISMI e mediamente a 5 anni gli altri 22 agenti CIA. A titolo di provisionale ad Abu Omar vanno un milione di euro, mentre alla moglie Nabile Ghali 500.000 euro. In separato giudizio civile verrà stabilito l'ammontare finale del risarcimento, che dovrà essere corrisposto dagli imputati ritenuti colpevoli[14]. Il 1º febbraio 2010 vengono depositate le motivazioni della sentenza[15].
La sentenza d'appello del 15 dicembre 2010 conferma la sentenza di primo grado, riducendo leggermente le pene per i due ex-funzionari del SISMI, Pio Pompa e Luciano Seno (due anni e otto mesi di reclusione rispetto ai tre anni del primo grado), e inasprendo le pene relative ai 23 funzionari della CIA coinvolti nel processo per il sequestro dell'ex imam, pene che ora vanno dai sette ai nove anni (per Robert Seldon Lady la pena passa dagli otto anni del primo grado ai nove dell'appello).
Il 19 settembre 2012 la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d'appello pronunciata nei confronti degli ex vertici del Sismi Nicolò Pollari e Marco Mancini che erano stati dichiarati non processabili, per il Segreto di Stato, il 15 dicembre 2010; La Cassazione ha accolto la richiesta della pubblica accusa, secondo la quale ci sarebbero elementi di prova da valutare non coperti da Segreto di Stato; si terrà quindi un nuovo processo di secondo grado. Inoltre i supremi giudici hanno annullato la sentenza con rinvio anche nei confronti dei tre funzionari del Sismi Giuseppe Ciorra,Luciano Di Gregori,Raffaele Di Troia,confermando invece definitivamente la condanna d'appello per i 23 agenti americani della CIA e per Pio Pompa e Luciano Seno[16],tutti per il reato di Sequestro di persona.
Risarcimento 
Il risarcimento è stato fissato interamente a carico dei 23 agenti della CIA ed è così suddiviso: 1.000.000 euro per l'ex Imam Abu Omar e 500.000 euro per Nabile Ghali (sua moglie)[17].



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LA SCHEDA

Il rapimento, l'inchiesta, gli 007
Ecco le tappe della vicenda


ROMA - Il rapimento dell'imam Abu Omar a Milano. Il trasferimento ad Aviano e poi al Cairo. Le torture. La scomparsa. E poi l'inchiesta della magistratura. Il ruolo della Cia e del Sismi. Quello del governo italiano che ha sempre negato tutto. Ecco le tappe della vicenda che ha portato agli arresti di oggi. 

17 febbraio 2003. In pieno giorno viene rapito in via Conte a Milano, Hassan Mostafa Osama Nasr (detto Abu Omar), egiziano, classe 1963. L'ex imam della moschea milanese di via Quaranta e del centro di cultura islamica di viale Jenner viene caricato su un furgone e scompare nel nulla. Abu Omar dall'11 febraio 2002 era sotto indagine perché sospettato di aver legami con organizzazioni islamiche estremiste. Gli veniva contestato il reato di associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale. 

L'indagine aperta dalla procura milanese - sulla base di testimonianze e intercettazioni - individua in alcuni agenti della Cia gli autori del rapimento dell'imam che, sequestrato a Milano, viene portato alla base militare di Aviano - e qui torturato - e poi spedito in Egitto, nelle carceri di Mubarak (e qui, nuovamente, seviziato). 

Gennaio 2004. L'allora ministro dei Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi sostiene in Aula che "i nostri servizi segreti non erano a conoscenza dell'operazione". 

Aprile 2004. Dalle intercettazioni di telefonate alla moglie dell'imam, Nabila, si scopre che Abu Omar è stato rilasciato, anche se in libertà vigilata. 

25 giugno 2005. Il gip Chiara Nobili accoglie parzialmente le richieste di arresto del procuratore Armando Spataro nei confronti di 22 agenti dlela Cia accusati di aver portato a termine una "forcible abduction". Dopo tutti i passaggi tecnici i sequestratori vengono dichiarati latitanti e vengono avviate le ricerche. 


23 dicembre del 2005. L'allora ministro Roberto Castelli, investito della questione dell'estradizione, chiede la disponibilità di tutti gli atti di indagine per studiarli. 

aprile 2006. "Camminavo per le strade di Milano il 17 febbraio 2003, quando un uomo dai tratti americani mi ha fermato e chiesto il passaporto, quindi altre persone mi hanno bloccato alle spalle e costretto a salire su una macchina, mettendomi un sacco di plastica in testa...". Questo il racconto del rapimento che avrebbe fatto lo stesso Hassan Mustafa Osama Nasr, alias Abu Omar, davanti ai giudici della Corte d'appello del Cairo, così come riferito all'epoca da fonti anonime al quotidiano indipendente El Masri el Yom. "Non riuscivo a respirare, sono svenuto, allora hanno rotto il sacco e mi hanno messo del nastro adesivo sugli occhi", ha proseguito l'imam, che risulta essere detenuto in un carcere alla periferia della capitale egiziana. "Mi hanno fatto scendere in un'area dove c'erano degli aerei e in seguito ho saputo che era una base americana, mi hanno caricato su un aereo per la Germania e poi per l'Egitto". 

12 aprile 2006.
 Castelli comunica al procuratore generale di Milano, Mario Blandini, la sua decisione di non presentare la domanda di estradizione dagli Stati Uniti d'America e di diffusione delle ricerche all'estero formulata dalla procura della Repubblica di Milano e relativa al procedimento penale che vede indagati i 22 agenti della Cia. 

11 maggio 2006. Palazzo Chigi - in risposta ad alcune inchieste giornalistiche che evidenziano il coinvolgimento del governo e del Sismi nella vicenda Abu Omar - ribadisce l'"assoluta estraneità" del governo e dei Servizi segreti italiani nel sequestro di Abu Omar. "Palazzo Chigi - si legge in una nota - non ha nulla da aggiungere in merito all'assoluta estraneità dell'esecutivo e dei Servizi di informazione e sicurezza rispetto al sequestro, che anche oggi si intende ribadire con lo stesso vigore e con la stessa forza di sempre". 

12 maggio 2006. L'allora ministro della Difesa, Antonio Martino, ribadisce "l'assoluta estraneità del Governo e del Sismi rispetto al sequestro di Abu Omar, rapimento che non coinvolge ad alcun titolo nè l'esecutivo nè il Servizio, nè direttamente nè indirettamente". 

7 giugno 2006. Il relatore dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa Dick Marty denuncia l'esistenza di una "rete" di Paesi coinvolti nelle detenzioni e trasferimenti di presunti terroristi da parte della Cia ed elenca sette Stati membri del Consiglio d'Europa, fra i quali figura l'Italia, che potrebbero essere ritenuti responsabili, a vari livelli, per aver violato i diritti di determinati individui e partecipato a tali operazioni. 

5 luglio 2006. Su richiesta dlela procura milanese finiscono in manette il numero 2 del Sismi, Marco Mancini e un altro militare italiano. L'accusa è di concorso in sequestro di persona. 

(5 luglio 2006)


http://www.repubblica.it/2006/07/sezioni/cronaca/arrestato-mancini/abu-omar-storia/abu-omar-storia.html?ref=search


Leggi anche:

Abu Omar, scontro Castelli-Pm
"No all'estradizione degli agenti Cia"




Abu Omar

ROMA - E' di nuovo scontro aperto tra il ministro della Giustizia e la procura di Milano sulla richiesta di estradizione dei 22 agenti della Cia indagati per il rapimento di Abu Omar. Roberto Castelli non invierà la domanda a Washington accusando i pm di averlo "messo con le spalle al muro", di aver insistito troppo e di aver fatto pressioni che hanno avuto l'effetto opposto a quello voluto mandando in fumo la trattativa con gli Stati Uniti. I magistrati gli rispondono a stretto giro: "Riporremo la questione al nuovo governo".

Castelli si dice dispiaciuto per la mancata richiesta di estradizione "perché in questo modo si blocca una operazione che stavamo portando avanti con gli Stati Uniti e che speravo andasse in porto. Ora non ho più alcuna arma di pressione. Sono estremamente amareggiato".

Il Guardasigilli non rivela il contenuto della trattativa con gli Usa, ma si limita a dire che "poteva andare a vantaggio del Paese". Il procuratore di Milano Manlio Minale - afferma - mi ha inviato la settimana scorsa una lettera in cui ribadiva che la legge mi imponeva di decidere, facendomi velatamente intendere che altrimenti sarei incorso in un'omissione di atti di ufficio".

A cinque mesi dalla presentazione della richiesta di estrazione dei 22 agenti Cia accusati del rapimento dell'ex imam Abu Omar, il Guardasigilli, "d'intesa con la presidenza del Consiglio", ha quindi comunicato stamani al pg di Milano Blandini che non invierà la domanda alle autorità di Washington: "Non me la sento di mandare agli Stati Uniti il segnale che lasciamo liberi i terroristi assolti dai magistrati e ci occupiamo di arrestare i cacciatori di terroristi". 

A chi gli chiede se della trattativa in corso con gli Usa avesse informato la magistratura di Milano per spiegare il perché non trasmettesse la richiesta di arresto degli agenti Cia, Castelli risponde di sì e ricorda l'incontro che ebbe lo scorso 8 marzo, a Roma, con il pg Mario Blandini. Ed esclude che vi sia una concomitanza con il risultato elettorale: "L'esito del voto? E' solo una coincidenza", dichiara.

La Procura prende atto. La richiesta di estradizione verà reiterata "non appena sarà formato il nuovo governo nella convinzione di poter ottenere una diversa valutazione", dice il procuratore aggiunto Armando Spataro, titolare dell'inchiesta sul rapimento di Abu Omar.

Il procuratore aggiunto ha annunciato che la decisione del ministro Castelli "ci consentirà di assumere rapidamente le nostre determinazioni in merito all'esercizio dell'azione penale nei confronti di soggetti che sono stati ritenuti pericolosi da tutti i giudici che hanno emesso provvedimenti nei loro confronti".

Il magistrato, pur riconoscendo la facoltà del ministro di non fare la richiesta, sottolinea però che questa decisione "interviene dopo oltre cinque mesi dalla prima richiesta formulata dalla Procura generale di Milano".

La vicenda risale al 17 febbraio 2003 quando in pieno giorno Hassan Mostafa Osama Nasr, egiziano, classe 1963, meglio conosciuto come Abu Omar viene caricato su un furgone bianco e sequestrato in via Conte Verde a Milano. E' l'ex imam della moschea milanese di via Quaranta, e del centro di cultura islamica di viale Jenner, già da oltre un anno era sotto indagine perché sospettato di aver legami con organizzazioni islamiche estremiste.

Abu Omar, secondo la ricostruzione degli inquirenti, viene narcotizzato e portato con il furgone alla base Nato di Aviano (Pordenone). Interrogato e probabilmente torturato viene portato in Egitto, dove è stato poi sottoposto ad altri interrogatori, accompagnati anche da violenze fisiche. E solo molto tempo dopo rilasciato, ma in condizioni di libertà vigilata, ad Alessandria d'Egitto.

Nell'aprile del 2004 l'ex imam telefona alla moglie che ancora vive a Milano e le racconta tutto. Poco dopo Abu Omar sparisce di nuovo. La vicenda sul suo rapimento compare sulle pagine di diversi giornali. Le indagini della Digos di Milano portano a ricostruire tutti gli spostamenti dei rapitori e alla loro identità di presunti agenti Cia. Tutti sono accusati di aver portato a termine una "forcible abduction", un rapimento in territorio italiano.

Per loro il procuratore aggiunto Armando Spataro prepara le richieste di arresto che viene parzialmente accolte dal gip il 25 giugno 2005. Alla fine dopo alcuni ricorsi al Riesame i provvedimenti diventano 22.

Dopo tutti i passaggi tecnici i sequestratori vengono dichiarati latitanti e vengono avviate le ricerche. Il 23 dicembre scorso il ministero Roberto Castelli, investito della questione dell'estradizione, per suo incarico di Guardasigilli, chiede la disponibilità di tutti gli atti di indagine per studiarli. Oggi il no.

(12 aprile 2006)

E anche: 

Wikileaks sul caso Abu Omar
"gli Usa condizionarono l'Italia"

Alcuni cablogrammi da Roma a Washington rivelerebbero pressioni degli Stati Uniti sul Governo Italiano riguardo l'inchiesta sugli agenti Cia in Italia collegati al caso Abu Omar. Attraverso colloqui diretti con Berlusconi, che avrebbe assicurato di seguire la questione 'con benevolenza'. Rosato del PD: "Sempre più urgente sentire il premier"


ROMA - Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel, gli Stati Uniti fecero pressione per condizionare l'inchiesta italiana in Italia sugli agenti della Cia coinvolti nel sequestro di Abu Omar. All'inizio, gli americani si sono mossi attraverso "canali diplomatici", ma in seguito anche con "colloqui di alto livello con il primo ministro italiano Silvio Berlusconi". Tra le richieste, quella di ottenere che i magistrati non spiccassero un mandato di cattura internazionale contro gli agenti Cia coinvolti nel sequestro di Abu Omar. Nei documenti viene inoltre descritto nel dettaglio come l'ambasciatore Usa in Italia e il segretario Usa alla Difesa Robert Gates, abbiano fatto aperte pressioni sul Governo italiano. 

L'informazione sarebbe stata ricavata da alcuni cablogrammi inviati a Washington dalla sede romana dell'ambasciata Usa, documenti successivamente ottenuti da Wikileaks. Secondo lo Spiegel, questi "dispacci segreti" sono "particolarmente imbarazzanti per Berlusconi". Stando alle rivelazioni dei 'cablo', le pressioni americane risalirebbero al 2006 e sarebbero avvenute più volte. Dal premier, stando almeno ai dispacci, i diplomatici Usa avrebbero avvito assicurazioni che il caso sarebbe stato seguito 'con benevolenza'. Ecco le tappe della vicenda dal rapimento all'inchiesta al ruolo degli 007.

I commenti. Sulla questione è intervenuto Ettore Rosato, deputato del Pd  e componente del Comitato per la sicurezza della Repubblica:"Il tema delle presunte pressioni degli Stati Uniti su caso Abu Omar e dei dispacci segreti, definiti dallo Spiegel 'particolarmente imbarazzanti per Berlusconi" - spiega - "deve essere affrontato nelle sedi adeguate, anche per evitare speculazioni. Berlusconi non fa il bene di nessuno sottraendosi ad un confronto nella giusta sede parlamentare".
Arriva anche il commento di Ferdinando Pomarici, ex capo della dda milanese che insieme al collega Armando Spataro ha condotto le indagini sul sequestro di Abu Omar e ha chiesto l'arresto anche di 26 agenti Cia. "Non mi sembra una novità che i governi italiani abbiano risentito pesantemente degli interventi degli Stati Uniti", dice Pomarici, che aggiunge: "Ciò mi sembra evidente dal fatto che non abbiano mai inteso dare corso alle richieste di arresto secondo il trattato italo-americano. Mi sembra evidente" - ha proseguito il magistrato - "anche dal fatto che tutte le rogatorie italiane sono rimaste inevase. Senza che vi fosse alcuna sollecitazione o protesta da parte del ministero della giustizia".
Secondo l'avvocato Luca Bauccio, legale della moglie di Abu Omar, "Le rivelazioni di Wikileaks
rendono il segreto di stato paradossale e sono la dimostrazione, l'ennesima, di come si sia tentato in tutti i modi di condizionare le indagini sul sequestro di Abu Omar e di come non si sia voluto che la verità venisse accertata". (17 dic. 2010)