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venerdì 1 aprile 2022

Spese militari, Prodi a La7: “Dibattito surreale. Aumenti solo dopo aver fatto una politica della difesa europea comune”

 

Un “dibattito surreale”. Così a PiazzaPulita su La7, l’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, definisce il dibattito degli ultimi giorni sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil. Secondo Prodi “questi aumenti di spesa, che bisogna fare per avere la difesa, si debbono fare quando si è fatta un politica estera e della difesa europea comuni”. “Io sono molto preoccupato del fatto che la Germania abbia di molto aumentato il suo bilancio della difesa, che doveva fare – prosegue Prodi – Però fare prima questo e poi vedere chissà quando una politica europea comune è pericoloso perché, voglio dire, lei stanzia 100 miliardi di euro, l’industria tedesca comincia a lavorare sulle commesse, e le politiche dei diversi stati si dividono”.

Una modalità che, puntualizza il conduttore Corrado Formigli tirando le somme del ragionamento di Prodi “rafforza i nazionalismi” a scapito quindi della difesa europea comune. Questo passo, secondo Prodi va fatto ora: “Se non lo facciamo adesso non lo facciamo più”. Fare una politica di difesa comunitaria “in tutta Europa”, specifica ancora l’ex premier, “non si può perché c’è l’unanimità. Allora bisogna fare come con l’euro, una cooperazione rafforzata”. A trascinarla, secondo Prodi, i quattro Paesi più “forti” in Euoropa, Francia, Spagna, Germania e Italia, che così potranno trascinare almeno altri 10 Stati in questa politica comune.

Una posizione vicina a quella di Conte e lontana da Draghi? Per Prodi no. Che specifica: “No, su questo non si è discusso, perché se si discute su questo io voglio vedere chi è in disaccordo”

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/04/01/spese-militari-prodi-a-la7-dibattito-surreale-aumenti-solo-dopo-aver-fatto-una-politica-della-difesa-europea-comune/6544707/?utm_content=fattoquotidiano&utm_medium=social&utm_campaign=Echobox2021&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR0YRjPgn-Kn6CbqG88cYjZV13cm3F9I7fQdZm4B9Ik-1a1POcjWDsuTens#Echobox=1648803815

venerdì 11 giugno 2021

I miserabili. - Gianfranco Zucchelli

 


Noi siamo noi……voi (parenti delle vittime) non siete un cazzo…..

Aperta parentesi. Ho sempre invidiato chi ha frequentato un corso di laurea, se poi questo corso è stato fatto in alcune università prestigiose tipo la Bocconi di Milano o L'Alma Mater Studiorum di Bologna…chapeau! Senza fare nomi , ma solo cognomi, pare che Berlusconi e Prodi, abbiano frequentato queste prestigiose università o comunque qualcosa di simile. Chiusa parentesi.

Questi due signori che vengono definiti cavaliere e professore, hanno a suo tempo sottoscritto un accordo con i Benetton, per la gestione di qualche migliaio di km di autostrade.

Autostrade costruite e finanziate dai comuni cittadini. Questo accordo è stato “SECRETATO”, perché tu cittadino coglione che le hai pagate, non devi sapere che tipo di contratto è stato stipulato.

Tu, cittadino coglione, cornuto e mazziato devi pagare e basta.
E fin qui tutto normale in uno stato di merda.

Poi c’è il crollo di un ponte che per taluni è una fatalità, quando relazione tecniche di università d’ingegneria di Zurigo- Milano e Genova, mettono nero su bianco che il ponte è a rischio crollo e quindi è una tragedia annunciata.

Ma chi doveva controllare (lo stato ) è stato ben oleato con tangenti, mazzette, pagando partiti di dx-sx-centro mentre i media cartacei e catodici venivano addolciti con spot pubblicitari sui canali rai (giri d’italia di ciclismo) sky (documentari sull’ambiente e sul bel paese) mentre ad alcuni giornali (repubblica e corriere) venivano finanziate le kermesse di tre giorni dove sfilavano soloni universitari che raccontavano balle (più erano grosse e più veniva aumentato il gettone di presenza).
Insomma per anni ci hanno raccontato balle galattiche.

Poi arriva un coglione di ministro, straccione, puzzolente e per di più 5 stelle, che ha l’ardire di scoperchiare il merdaio racchiuso nei verbali, dove si evince che i Benetton avevano carta bianca sulla gestione e manutenzione delle autostrade, ovvero ricavi miliardari garantiti, mentre la manutenzione era un optional.

Inutile dire che è stato silurato.......

Il crollo del ponte evidenzia tutto questo, ma…….a distanza di quasi tre anni, la magistratura procede con i piedi di piombo, perché dall’altra parte si sono schierati fior di avvocati che dopo aver letto i contratti a suo tempo sottoscritti fra Berlusconi&Prodi e i Benetton, in base alle clausole a suo tempo firmate, questi ultimi - pur avendo sulla coscienza 43 anime innocenti - sono dalla parte della ragione. Ma non solo.
Tu stato che hai concesso le autostrade ai Benetton (ripeto con contratti secretati) e dopo che questi le hanno ridotte a trincee, se vuoi entrare in possesso, devi pagare 2.4 miliardi di euro come indennizzo. Siamo fantastici.

I morti e parenti delle vittime? Loro non sono un cazzo, mentre io sono io……Ma per cortesia non ditelo in giro, perchè potreste disturbare le trattative in corso.....

Gianfranco Zucchelli su FB

domenica 30 agosto 2020

Fàmolo strano. - Marco Travaglio

Verdone matrimonio film - Famolo strano - Cesare Lanza
Posto che, secondo Flaiano, in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco, resta da capire che forma abbia il cervello di Prodi. Che ne abbia in abbondanza lo si desume, tra l’altro, dalle dimensioni della testa che lo contiene. Ma ciò che affascina, alla luce dei motivi da lui addotti per votare No al taglio dei parlamentari, è la conformazione. Il quesito referendario è semplicissimo, così come la riforma in ballo: siete favorevoli alla legge costituzionale votata quattro volte dalle due Camere con maggioranza oceaniche che riduce i deputati da 645 a 400 e i senatori da 315 a 200? Chi vota Sì ritiene che i parlamentari siano troppi e chi vota No che siano troppo pochi o perfetti. I partiti, i giornali e il mondo giuridico sono affollatissimi di voltagabbana in malafede che predicavano il taglio fino all’istante in cui non l’hanno ottenuto i 5Stelle: poi son diventati contrarissimi, regalando agli odiati “grillini” l’esclusiva della probabile vittoria del Sì e un’ottima copertura per la sicura sconfitta alle Regionali. Ma Prodi è di un’altra categoria, ancor più bizzarra e indecifrabile: quella dei coerenti nell’incoerenza. Spiega infatti sul Messaggero: “Pur riconoscendo che, dal punto di vista funzionale, il numero dei parlamentari sia eccessivo, penso che sarebbe più utile al Paese un voto negativo, per evitare che si pensi che la diminuzione del numero dei parlamentari costituisca una riforma così importante per cui non ne debbano seguire altre ben più decisive”. Cioè: gli eletti sono troppi, ma lui vota No perché se vince il Sì, che condivide, qualcuno penserà (chi? perché? maddeché?) che questa riforma meno importante sia così importante da impedirne altre più importanti.
Lo sragionamento ricorda il “famolo strano” di Verdone e fa il paio con quello che nel 2016 portò Prodi a dire Sì alla schiforma Renzi anche se non la condivideva: “Le riforme proposte non hanno la profondità e la chiarezza necessarie, tuttavia per la mia storia personale e le possibili conseguenze sull’esterno, sento di dovere rendere pubblico il mio Sì, nella speranza che giovi al rafforzamento delle regole democratiche soprattutto attraverso la riforma elettorale” (non oggetto del referendum). La riforma era una “modesta” ciofeca, ma bisognava accontentarsi: “Meglio succhiare un osso che un bastone”. Quindi: quattro anni fa Prodi votò Sì a una legge che non gli piaceva perché ne avrebbe innescate altre che gli sarebbero piaciute; oggi vota No a una legge che gli piace perché ne impedirebbe altre che gli piacerebbero. Fila, no? Sì, se si esclude un cervello a linea retta. Restano l’ondulata, la spezzata e l’intrecciata. Ma, in attesa di una bella Tac, propenderei per la spirale. O la serpentina.

venerdì 10 luglio 2020

Promemoria/1 - Marco Travaglio


In Edicola sul Fatto Quotidiano del 10 Luglio: Spingitori di B. ora Prodi vuole al governo il caimano  che comprò senatori per farlo cadere

Romano Prodi, alla festa del quotidiano che in tempi ormai remoti fu la palestra dell’antiberlusconismo, in piena sindrome di Stoccolma, assicura che non avrebbe nulla in contrario a un governo con Silvio Berlusconi e tutta Forza Italia, perché “la vecchiaia porta saggezza”. Non specifica se la porti a lui o a B.. Ma, a parte l’età (che non è sinonimo di amnistia o prescrizione) e la saggezza (che non ci pare caratterizzare né lui né B.), restano alcune faccenduole stampate su libri di storia e sentenze definitive che parrebbero vagamente ostative all’ingresso di B. al governo.
1973. Silvio B. soffia Villa San Martino ad Arcore a un’orfana minorenne, Annamaria Casati Stampa, pagandola una miseria (per giunta in azioni di sue società non quotate: valore zero) grazie ai buoni uffici del protutore della ragazza, l’avvocato Cesare Previti, figlio di uno dei suoi amministratori-prestanomi.
1974-1976. B. ospita nella villa Vittorio Mangano, un mafioso palermitano della famiglia di Porta Nuova con vari precedenti penali, Vittorio Mangano, poi definito da Paolo Borsellino “testa di ponte della mafia al Nord”, travestito da “stalliere”: glielo aveva presentato l’amico siciliano Marcello Dell’Utri, poi condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa, durante un incontro a Milano alla presenza di Stefano Bontate, capo di Cosa Nostra, e di altri boss del calibro di Francesco Di Carlo e Mimmo Teresi e del mafioso Gaetano Cinà. Mangano restò nella villa nonostante vi avesse organizzato un sequestro di persona, un paio di attentati dinamitardi contro un’altra residenza berlusconiana e vi fosse stato arrestato ben due volte.
1975-1983. Nelle società finanziarie che controllano la Fininvest (denominate “Holding Italiana” e numerate dalla 1 alla 37) confluiscono 113 miliardi di lire (pari a 300 milioni di euro) di provenienza misteriosa, in parte in contanti. Negli stessi anni – secondo il finanziare Filippo Alberto Rapisarda, vari pentiti e il boss Giuseppe Graviano – Cosa Nostra entra in società con la Fininvest per le attività edilizie e televisive.
1978. Sivio B., presentato al maestro venerabile Licio Gelli dal giornalista Roberto Gervaso, si iscrive alla loggia P2 (poi sciolta dal governo Spadolini in quanto illegale ed eversiva) con la tessera numero 1816 e il grado di “apprendista muratore”. E inizia a ricevere, per i cantieri di Milano2, crediti oltre ogni normalità da Montepaschi e Bnl, controllate entrambe da dirigenti piduisti; oltre a collaborare con commenti di economia e finanza al Corriere della sera, controllato dalla P2.
1980. Una soffiata lo avverte di un’imminente visita della Guardia di Finanza in casa Fininvest.
Così B. scrive una lettera all’amico segretario del Psi Bettino Craxi: “Caro Bettino, come ti ho accennato verbalmente, Radio Fante ha annunciato che dopo la visita a Torno, Guffanti e Cabassi, la polizia tributaria si interesserà a me… Ti ringrazio per quello che crederai giusto fare…”.
1984. A maggio B. è indagato a Roma con altri cento dirigenti di tv private per antenne abusive e interruzione di pubblico servizio (interferenze con le frequenze dell’aeroporto di Fiumicino) e viene interrogato dal vicecapo dell’Ufficio Istruzione Renato Squillante. Lo accompagna il suo legale, Cesare Previti. Viene subito archiviato, mentre per molti altri imputati l’inchiesta si chiuderà solo nel 1992. Si scoprirà poi che B., Previti e Squillante hanno conti in Svizzera comunicanti. A ottobre i pretori di Torino, Pescara e Roma sequestrano gli impianti che consentono alle tre reti Fininvest di trasmettere illegalmente in “interconnessione”, cioè in contemporanea con l’effetto-diretta in tutta Italia e dispongono che rientrino nella legalità irradiando i programmi in orari sfasati da regione a regione. B. auto-oscura Canale5, Rete4 e Italia1 fingendo che i giudici gliele abbiano spente e lanciando la campagna “Vietato vietare” a cura del confratello piduista Maurizio Costanzo. Craxi vara un decreto per neutralizzare le ordinanze dei pretori e legalizzare l’illegalità dell’amico. Il decreto però non viene convertito in legge perché la Dc lo ritiene incostituzionale. Craxi ne vara subito un secondo, minacciando la crisi di governo in caso di nuova bocciatura.
1988. B. denuncia per diffamazione i pochi giornalisti che hanno osato recensire la sua biografia non autorizzata Inchiesta sul Signor Tv di Giovanni Ruggeri e Mario Guarino (Editori Riuniti). E, sentito come parte lesa dal Tribunale di Verona, racconta un sacco di frottole sulla sua adesione alla P2, datandola al 1981 (quando esplose lo scandalo) e negando di aver mai pagato la quota di iscrizione. Invece si iscrisse nel 1978 e pagò regolarmente a Gelli la quota di 100mila lire. Così, da parte offesa, diventa imputato di falsa testimonianza dinanzi alla Corte d’appello di Venezia. Che sentenzierà: “Il Berlusconi ha dichiarato il falso” e “compiutamente realizzato gli estremi obiettivi del delitto di falsa testimonianza”, ma “il reato va dichiarato estinto per intervenuta amnistia” (appena varata nel ’90). Spergiuro e impunito.
1989-’91. Socio di minoranza della Mondadori controllato dalle famiglie De Benedetti e Formenton (oltre al ramo libri, possiede il quotidiano Repubblica, una catena di testate locali, i settimanali l’Espresso, Panorama ed Epoca), B. convince i Formenton a violare i patti con l’Ingegnere e a cedere a lui le loro quote, diventando l’azionista n.1 e il presidente del gruppo. Un lodo arbitrale dà ragione a De Benedetti, ma B. lo impugna dinanzi alla Corte d’appello di Roma. E lì il giudice Vittorio Metta lo ribalta, regalando la Mondadori a B. Una sentenza definitiva accerterà che Metta è stato corrotto da Previti con 400 milioni di lire in contanti provenienti dai conti esteri della Fininvest (comparto occulto All Iberian). Previti e Metta saranno condannati, mentre B. “privato corruttore” se la caverà con la prescrizione. Tangentista e impunito.
1990. Craxi e Andreotti impongono alla maggioranza di pentapartito la legge Mammì, cioè la tanto attesa riforma antitrust del sistema radiotelevisivo. Peccato che non riformi un bel nulla, anzi fotografi il monopolio illegale di B. Infatti verrà chiamata “legge Polaroid”. Per protesta, si dimettono dal governo Andreotti i cinque ministri della sinistra Dc, fra cui Sergio Mattarella. Il divo Giulio li rimpiazza in una notte. Qualche mese più tardi, Craxi inizia a ricevere sui suoi conti svizzeri una cascata di soldi da quelli della Fininvest (comparto occulto All Iberian): per un totale di 23 miliardi in pochi mesi. Dagli stessi conti All Iberian, fuoriescono in quei mesi centinaia di miliardi di cui la magistratura non riuscirà a individuare i destinatari. Così, oltreché della carta stampata e dell’editoria libraria, B. si consacra padrone assoluto della tv commerciale.
E questo è solo l’antipasto.
(1 – continua)


domenica 8 settembre 2019

IL COMPAGNO BENETTON di Emidio Novi (ex deputato)


BENETTON? 30 ANNI FA ERANO PRATICAMENTE FALLITI, POI ARRIVO’ PRODI- Così l’infame famiglia ha guadagnato montagne di miliardi senza avere in tasca un solo centesimo: quella storia che nessuno ti racconta più.

Insaziabili questi Benetton, più guadagnavano meno spendevano per la manutenzione delle autostrade che avevano avuto in regalo dal centrosinistra.
Fortunati questi Benetton. In pieno delirio privatizzatore comprano dall’IRI la catena Gs. La comprano con i soldi delle banche e subito la rivendono, guadagnandoci 4500 miliardi di lire. In euro sarebbero due miliardi e 250 milioni.
Fantasiosi questi Benetton. Prodi, Ciampi e Giuliano Amato s’erano impegnati con Bruxelles e soprattutto con francesi e tedeschi a smantellare l’Iri. Massimo D’Alema li prende in parola e nel 1999 decide di privatizzare la rete autostradale di proprietà dell’Iri e quindi dello Stato. Ancora una volta i Benetton non si perdono d’animo. Una lira delle loro non la rischiano, non sia mai. Bussano a Banca Intesa e gli viene aperto. Chiedono un piccolo prestito che in euro è di 8 miliardi e l’ottengono. Con questi soldi comprano dall’Iri Autostrade. Per due, tre anni la manutenzione della rete è quasi inesistente. Con i soldi rastrellati ai caselli e l’aumento delle tariffe restituiscono i soldi a Intesa.
Le Autostrade sono una Zecca che produce moneta sonante. I Benetton semifalliti come imprenditori del tessile-abbigliamento hanno diversificato e incassano tanti di quei soldi da diventare investitori globali.
Grandi investitori, questi Benetton. Con i soldi guadagnati con una gestione finanziaria e non industriale della rete autostradale ex Iri i Benetton diventano soci degli spagnoli di Albertis e comprano il 50% della rete. Vito Gamberale si dimette dalla società Autostrade perché non ne condivide la politica. Si pensa solo a incassare soldi ma si bada poco alla manutenzione e alla modernizzazione di un asset così importante.
Insaziabili questi Benetton. Con una redditività del 25% decidono di tagliare le spese di manutenzione. Per loro le Autostrade ex Iri sono una miniera d’oro inesauribile. Aumma aumma nel 2016 ottengono una proroga quarantennale con un emendamento aggiunto all’ultimo minuto dal governo alla Finanziaria. Una vergogna. La banda Renzi è capace di tutto. I predecessori non sono stati da meno. I contratti che riguardano i concessionari delle autostrade vengono secretati.
E la trasparenza del mercato, la concorrenza, le terzietà della politica, l’occhiuta vigilanza del commissario per la concorrenza di Bruxelles? Tutto fumo, chiacchiere e distintivo.
Questa banda di malavitosi merita un decreto del governo che spazzi via la benevolenza di TAR e magistratura civile corrotta.
E che faccia capire a opposizioni e potere mediatico che “la fortuna” sta abbandonando i Benetton, e quelli come loro.

Piera Tamburi Chi sono i Benetton?
Luciano Benetton è stato senatore nel periodo 1992 e 1994 con il Partito Repubblicano Italiano.
E poi ...
Nel 1993 la Procura di Milano trasmise al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Benetton, accusato di aver favorito con manovre finanziarie illecite il fallimento dell'azienda di abbigliamento Fiorucci S.p.A., a cui era legato come membro del consiglio di amministrazione.[1]
In Argentina è uno dei più importanti proprietari terrieri; come documentato dalla televisione France 5 in un servizio del 2010 alleva con sfruttamento intensivo migliaia di pecore con criteri che possono essere ritenuti poco ecosostenibili. È inoltre coinvolto in un contenzioso aperto con le popolazioni indigene locali, i Mapuche, sulle modalità di appropriazione di estesi terreni in Patagonia, come documentato dalla trasmissione televisiva Report in un servizio andato in onda il 7 giugno 2009.[2]
Un imprenditore davvero onesto da portargli tanto rispetto ...

mercoledì 6 marzo 2019

Stato mafia: le rivelazioni di Ingroia su Prodi, Napolitano, Mauro. E non solo. - Lorenzo Lamperti - 4 luglio 2018

Stato mafia: le rivelazioni di Ingroia su Prodi, Napolitano, Mauro. E non solo

Antonio Ingroia parla in un'intervista a tutto campo ad Affaritaliani.it dei contenuti del suo libro "Le trattative". E non solo...


Antonio Ingroia, partiamo dal titolo del suo libro: "Le trattative". Come mai questo titolo? Significa che di trattative ce ne sono state più di una?
Certamente. Ho scelto intenzionalmente questo titolo proprio per spiegare che di trattative ce ne sono state tante e che quella famigerata trattativa Stato-mafia oggetto del processo che è arrivato recentemente alla sentenza di primo grado a Palermo è certamente la più famosa e terribile, ma non la sola. 
Che cosa risponde a chi sostiene che la trattativa fu portata avanti per evitare delle vittime?
Rispondo che non è così. La trattativa ha fatto tutto il contrario, accelerando le stragi e causando altre vittime. E io ho voluto racconta che questo purtroppo non è stato un episodio accidentale. Lo Stato italiano è stato raramente intransigente con i poteri criminali e la mafia in particolare, il cui potere è cresciuto proprio grazie alle trattative e alla legittimazione da esse derivanti. Nella storia ci sono state diverse trattative, come quella in occasione dello sbarco degli alleati in Sicilia nella Seconda Guerra Mondiale, per poi arrivare a quella oggetto del processo di Palermo che vide protagonisti carabinieri, Vito Ciancimino, Riina e il papello. Ma poi ci fu un'altra trattativa con Provenzano, quella portata avanti da un uomo border line tra servizi segreti ed eversione nera come Paolo Bellini e quella con Dell'Utri nel 1994.
Lei nel libro fa riferimento anche a una trattativa nella quale Dell'Utri e Berlusconi avrebbero dovuto essere i tramiti per arrivare a Craxi. Può dirci qualcosa in più?
Dell'Utri è sempre stato uno dei principali artefici delle trattative, lo si potrebbe definire "il principe delle trattative". Inizia negli anni '70 quando mette piede nell'impero Fininvest con l'approdo di Mangano alla villa di Arcore. Porta la mafia in casa di Berlusconi, che in quel momento era sotto minaccia. Viveva nel pericolo di un sequestro suo o dei suoi famigliari e invece di rivolgersi alle autorità si rivolse a Dell'Utri. Ma Dell'Utri non è stato solo il tramite tra mafia e imprenditoria ma anche tra mafia e politica. A un certo punto Cosa Nostra sentì usurarsi il rapporto con la Democrazia Cristiana e in particolare con la corrente andreottiana e per questo decise di provare a raggiungere Craxi, visto che il Partito Socialista aveva raggiunto un ruolo centrale nello scenario politico italiano. Sapendo dei suoi ottimi rapporti con Craxi, si pensò di utilizzare Berlusconi per arrivare a lui. Un progetto poi abortito perché anche il Psi non fu più ritenuto un interlocutore affidabile dopo che l'allora ministro Martelli chiamò Falcone al ministero. Dopo di che ci furono gli anni del conflitto con la Dc e l'omicidio di Salvo Lima che portò poi alla trattativa.
In tutta questa vicenda Berlusconi è stato più vittima o più carnefice?
Io ho sempre detto che sul piano penale non c'è nulla di ascrivibile a Silvio Berlusconi. Qualcuno mi accusa di aver cambiato versione ma non è così, anche nel processo Dell'Utri dissi che dal punto di vista penale non avevamo elementi per accusare Berlusconi. E difatti io stesso archiviai la sua posizione e lui non è mai stato portato a processo dalla procura di Palermo. Io lo considero un terminale di pressioni alle quali si è piegato prima da imprenditore e poi da politico. Lo si può definire una vittima sui generis.
Lei sostiene che, dopo la Dc, Cosa Nostra individuò in Forza Italia il successivo interlocutore politico. Seguendo il suo ragionamento, ora che Forza Italia ha perso gran parte del suo potere politico la mafia sta cercando nuovi interlocutori politici?
Questo è evidente. Nel piano politico nazionale il potere di Forza Italia si è andato sgretolando negli ultimi anni. Va però detto che nel tempo Cosa Nostra ha probabilmente modificato il proprio approccio alla politica. Nella Prima Repubblica c'era una "democrazia bloccata" e un quadro politico stagnante dove l'attore principale, la Dc, restava sempre al governo e al massimo cambiavano i suoi partner. Durante la Seconda Repubblica, anche se al governo ci sono state forze diverse, l'egemonia politica o comunque mediatica e culturale è sempre stata in mano a Forza Italia. Oggi siamo invece in una fase di grande dinamismo e mutevolezza, con forze politiche come il Pd che in poco tempo passano dal 40 al 20 per cento e altre che fanno il percorso opposto. Oggi ritengo dunque che non ci sia un interlocutore affidabile di lunga scadenza per la mafia. Se si considera poi che la mafia stessa è mutata, passando da un'organizzazione gerarchica e monolitica a una più eterogenea e frammentata, la conseguenza ovvia è che più che sui gruppi politici Cosa Nostra lavori a sui rapporti interpersonali e sui singoli nomi.
Nel suo libro parla di numerosi "sabotaggi" o comunque di "attacchi" alle indagini della procura di Palermo. Qual è stato l'attacco che meno si sarebbe aspettato?
A livello personale devo dire che non mi sarei aspettato di venire attaccato da quella che possiamo definire "sinistra al potere". La prima grande sorpresa è arrivata con il primo governo Prodi, che si era insediato con grandi aspettative in una fase in cui la lotta alla mafia era in grande spolvero. Ci si aspettava sostegno e supporto all'azione giudiziaria perché sembrava davvero che potessimo dare il colpo definitivo a Cosa Nostra. 
E invece?
Invece c'è stato un evidente disimpegno del governo Prodi (1), in particolare in seguito alla nomina dei ministri Flick Napolitano. Il governo fece scelte non dico di ostacolo ma comunque di non supporto alla nostra azione. Si passò dalle promesse alla freddezza e poi all'aperta ostilità. Il clou si è però verificato negli scorsi anni, quando gli attacchi e le delegittimazioni sono arrivate anche dall'interno della magistratura e dall'informazione cosiddetta "progressista".
A chi fa riferimento?
Faccio riferimento per esempio agli editoriali di Eugenio Scalfari su Repubblica, schierati in maniera netta con Napolitano sulla questione del conflitto di attribuzione e decisamente ostili all'indagine sulla trattativa che oggi è stata consacrata da una sentenza.
Lei fa riferimento alla famosa telefonata tra Napolitano e Mancino che poi la Consulta ha ordinato di distruggere su richiesta del Quirinale stesso. A proposito, lei nel libro parla del fatto che l'allora direttore di Repubblica Ezio Mauro si fece da intermediario tra la procura e il Colle a riguardo. Come andarono le cose?
Ho voluto raccontare questo episodio per dimostrare che, contrariamente all'immagine che si preferisce diffondere della procura di Palermo, da parte nostra non c'era nessuna pretestuosa contrapposizione nei confronti del Quirinale. Appena è arrivato un segnale per evitare il conflitto di attribuzione io mi mostrai disponibile a raccoglierlo, anche perché ho sempre stimato Ezio Mauro. Poi però si è tutto interrotto e non c'è stato più nessun passo dal Quirinale o dagli ambasciatori o ambasciatrici scelti dal Colle. Qualcuno ha fatto un gioco strano.
A che cosa allude?
Ritengo che qualcuno, non so dire chi, abbia preferito ostacolare il dialogo tra procura di Palermo e Quirinale alimentando la contrapposizione, sapendo che un'azione diretta del Colle avrebbe avuto come effetto quello di bloccare l'indagine, cosa poi effettivamente avvenuta.
Ma che cosa rappresentava quella celeberrima telefonata ai fini dell'indagine?
Guardi, le faccio un paragone. Nel processo Andreotti si finì per parlare solo del presunto bacio tra Andreotti e Riina. Passò il messaggio che Andreotti era innocente se il bacio non c'era stato. Ma l'indagine era basata su ben altri elementi. La stessa cosa con la telefonata Napolitano-Mancino. Insomma, la regola in entrambi i casi era quella di parlare d'altro per non parlare del terribile merito dei processi.
Si può dire che lei ha lasciato la magistratura a causa dello scontro istituzionale con Napolitano?
Certo che si può dire, è così. Io cominciai quell'indagine nella notte del 19 luglio 1992, poche ore dopo l'omicidio di Paolo Borsellino. La mia storia professionale è tutta legata alla figura di Borsellino. In quei 20 anni ho cercato in tutti i modi di dare un contributo alla scoperta della verità, anche se la sede competente per le indagini su via D'Amelio era Caltanissetta. Con il processo trattativa mi sentivo di essere arrivato vicino, ritengo che eravamo con la verità a portata di mano. Avremmo potuto proseguire con nuove prove e acquisizioni e invece quel conflitto di attribuzioni è stata la saracinesca che ci ha sbarrato la strada. A quel punto non ci è rimasto altro da fare che mettere a frutto anni di indagini e formulare le richieste di rinvio a giudizio. In quel momento ho sentito esaurito il mio compito, perché sapevo che non avrei potuto più andare avanti nella ricerca della verità. 
Il passaggio in politica non è stato molto fortunato.
Nel 2013 ero convinto di poter portare in parlamento la mia battaglia per la verità. Non è andata bene ma io continuo a lottare per la verità. Lo sto facendo anche in questi giorni, con la proposta di una commissione parlamentare d'inchiesta. E credo di poterlo fare anche con maggiore libertà rispetto ai vincoli della toga. Per questo continuo a lottare nelle vesti di avvocato, cittadino e, in questo caso, scrivendo libri.
Secondo quanto ha detto la conclusione sembra che la verità completa sia impossibile da raggiungere, nonostante la sentenza di Palermo. E' così?
L'indagine di Palermo la definisco una bellissima opera incompiuta. E' un processo che ha consentito una sentenza senza precedenti: per la prima volta i vertici della mafia sono stati condannati insieme agli apparati istituzionali con membri delle forze di polizia speciali e il fondatore di un partito che è stato a lungo quello di maggioranza relativa. Ma non tutti i responsabili sono stati puniti e non tutti i punti oscuri sono venuti alla luce.
Dica la verità: ci credeva davvero nella sentenza di condanna dello scorso aprile?
Credevo nella validità del lavoro dei magistrati e nella professionalità e dirittura morale dei giudici della corte d'assise. Allo stesso tempo però avevo in mente sentenze sconcertanti che negli ultimi anni avevano mostra l'attitudine della magistratura di essere spesso doppiopesista nel giudicare uomini dello Stato e imputati ordinari. Come diceva Sciascia, "lo Stato non può mai processare se stesso". Dunque per questo un po' sono stato positivamente sorpreso dalla sentenza di Palermo.
Quando parla di "sentenze sconcertanti" fa riferimento anche a quella della Consulta sulla telefonata tra Mancino e Napolitano?
Quella sentenza è un emblema.
Che cosa ne pensa del governo M5s-Lega? Può ottenere buoni risultati in materia di lotta alla criminalità organizzata e ricerca della verità?
Sono in una fase di sospensione di giudizio. Certo potrei cavarmela dicendo che sarà difficile possano fare peggio dei governi precedenti. Non so se questo sarà un governo del cambiamento nei fatti, per ora lo è nelle parole e nelle facce. Lo stesso Salvini, a modo suo, ha detto cose dure sulla mafia. Per essere davvero il governo del cambiamento non possono passare inosservate le sentenze di Palermo sulla trattativa e quella sul Borsellino quater che parla di depistaggi nell'indagine su via D'Amelio. Per questo ho proposto una commissione parlamentare d'inchiesta. Vedremo, io piuttosto che criticare preventivamente preferisco stimolare e pungolare per ottenere un vero cambiamento.

mercoledì 10 aprile 2013

Prodi fa jogging a villa Borghese. Con l'auto di servizio dentro il parco.




L'ex premier "beccato" dal fotografo mentre l'autista e la scorta lo aspettano nei viali della villa. In barba ai divieti.


Prodi fa jogging di prima mattina a Villa Borghese. Ma non come un cittadino qualunque. Perché il candidato per il Quirinale che tanto piace alla sinistra e ai *grillini era accompagnato dalla macchina di servizio e dall'autista che lo ha seguito fin dentro il parco, cioè dove normalmente non si può arrivare. Alla faccia di chi lo vede come garante dell'anticasta. Una mezz'oretta di corsa, per scaricare la tensione accumulata forse dal fatto che il suo nome, dopo l'incontro di ieri tra Berlusconi e Bersani, non è più in cima alla lista dei papabili per il Colle, poi l'ex presidente del Consiglio è tornato alla sua macchina (di servizio) che lo ha riaccompagnato a casa.

giovedì 27 dicembre 2012

DOLORI CARNALI E MORTI D'ACCIAIO - Andrea Cinquegrani



Ho sentito un dolore “carnale” per la citta' di Taranto. Non e' il mitico Alighiero Noschese a parlare, ne' il Pinocchio di Collodi, ma il premier in persona, ovvero Monti in “carne” - e' il caso di dirlo - e ossa. Immaginiano lacrime a fiumi (ma per ora Fornero batte premier 2 a 1), viscere e budella ai quattro venti, conati di vomito che rompono gli argini (come nella nostra Italia che si sbriciola ad ogni maltempo), cuore strappato alla merce' di lupi famelici. Non osiamo pensare cosa' succedera' al martoriato corpo del fu SuperMario quando gli comunicheranno cosa sta combinando - ovviamente a sua totale insaputa - la band che da mesi s'e' acquartierata dei palazzi del Governo. Per uno spread che da' segnali di ripresa (ma chi cavolo l'aveva mai tirato in ballo fino a un anno e mezzo fa, ‘sto spread?), c'e' un pil - termometro leggermente piu' credibile - che cola a picco. Consumi che neanche nel dopoguerra (perche' - questa e' la tragica realta' - siamo in guerra, tra chi muore di fame e chi continua a rubare: e non va in galera). Pensionati che resta per molti neanche il suicidio (non semplice da praticare, e costa). Giovani che il domani e' peggio di uno tsunami, nero come la pece. Disoccupati, precari, sottopagati, strasfruttati, arcicalpestati a vita. Per i fortunati che un lavoro lo hanno, be'ccati l'amianto, fu'mati la diossina, crepa comunque presto e vaffanculo. A malati e “ammalandi” botte di vaccino per eliminare il problema alla base e ingrassare le big (pig) dei farmaci. Per le piccole (ma anche medie) imprese, morte assicurata a 30, 60 o 90 giorni: scegliere per poi sciogliere. 
Dietro a questa polveriera in via di esplosione, ci sono Lorsignori, la Casta, ancora alle prese con gli ultimi, ricchi regali natalizi: 500 milioni al Monte dei Paschi, perche' - si sa - le banche non arrivano a fine mese; evasori che - fregandose del Befera di turno - hanno barche da 30 metri e dichiarano 30 mila euro “lordi”. Come lordi, sporchi, marci di riciclaggio spinto sono i tranquilli, mai toccati fiumi da miliardi di euro delle mafie sempre piu' padrone di casa nostra.
Ma tutto questo Monti-Alice non lo sa. Mentre la sua band continua a suonare (gli italiani, “carne” da macello) e a proporsi per un domani governativo, come il sempregenuflesso fra' Riccardi (consorelle Acli al seguito). 
E a proposito di lavoro-salute, non ha pensato mica Monti di farsi restituire il bottino dai Riva, con il rampollo Fabio in vacanza a Miami? O di fare una telefonatina al vicino di casa Holland e chiedergli cosa ha combinato col suo acciaio? Perche' - pochi lo sanno - ora l'ha nazionalizzato. Siamo alle solite: un Paese svaligiato dei suoi tesori produttivi piu' grandi, per regalarli agli amici, e poi agli amici degli amici. Nei settori strategici.
Ora, per il futuro, c'e' il profeta di quelle privatizzazioni, il Bersani nazionale, uno che non ha mai perso tempo a pettinar le bambole, impegnato a ricevere i regali (da 98 mila euro) dei Riva, o a regalare concessioni che in nessun paese mai, come per l'Italo dell'altra band, i “carini” di san Luca (e lui, il vate pallido, puo' tornar utile nella “squadra”, col Casini multiuso e lo stuolo di burosauri “primarizzati” come miss Bindi for ever e forza 4). 
E caso mai, ciliegina sulla torta, il Prode Romano alle prese con la scalata al Colle. A tutta velocita'. Come l'altro regalo di “sinistra”, la Tav ammazzambiente voluta dal prof. e fatta dai soliti privati (piu' clan) coi soldi pubblici. Nostri. 

venerdì 28 settembre 2012

Chi è Renato Farina, l'autore dell'articolo che ha fatto condannare Sallusti per "diffamazione".



Renato Farina (Desio10 novembre 1954) è un politico e scrittore italiano.
Ex giornalista[1], deputato (eletto alla Camera nel 2008 nelle liste del PDL) e scrittore, ha ammesso di aver collaborato[2], quando era vicedirettore di Libero, con i Servizi segreti italiani, fornendo informazioni e pubblicando notizie false[3] in cambio di denaro. La legge numero 801 del 1977 fa divieto ai giornalisti professionisti di intrattenere rapporti con i Servizi[4] e per questo motivo è stato radiato dall'Ordine dei Giornalisti. In seguito la Corte di Cassazione ha annullato tale provvedimento, poiché Farina si era già dimesso dall'Ordine quando ne fu radiato. Attualmente lavora come opinionista di Libero.
Carriera professionale 
Laureato in Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, ha iniziato a scrivere sul settimanale Solidarietà (di Seveso-Desio), per il quale ha seguito il caso della nube tossica di Seveso (10 luglio 1976). Nel 1978 entra nel settimanale Il Sabato (fondato in quell'anno), dove rimane fino alla chiusura, avvenuta nel 1993. Nel 1981 sul "Sabato" scrisse delle apparizioni di Međugorje. Fu il primo giornalista non jugoslavo a scriverne[5].
Successivamente è stato vicedirettore a Il Giornale di Vittorio Feltri e a Il Resto del Carlino. Fino all'ottobre del 2006 è stato vicedirettore di Libero, che ha fondato con Vittorio Feltri nel luglio del 2000.
In televisione è stato autore e conduttore de L'InFarinata su Raisat Extra e consulente di Gad Lerner per il programma L'infedele.
Ha affermato di avere avuto tre maestri: don Luigi Giussani («per lo sguardo sulle cose e la scrittura concisa»); Giovanni Testori («mi ha insegnato ad osare, a spezzare le famose regole del giornalismo»); Vittorio Feltri («è un genio del giornalismo»)[6].
Dopo le vicende giudiziarie emerse a suo carico nel 2006, Renato Farina è stato inserito come diciassettesimo nelle liste del PdLPopolo della libertà, per la Camera Lombardia 2, nell'ambito delle elezioni politiche dell'aprile 2008 ed è stato eletto deputato della XVI Legislatura.Membro del Consiglio Direttivo del PdL alla Camera.
Rapporti con il Sismi e radiazione dall'Ordine dei giornalisti 
La magistratura a partire dal 2006 ha indagato sui rapporti da lui avuti con alcuni membri del Sismi (i servizi segreti militari). Farina ha confermato di aver collaborato col Sismi dal 1999.
Nel libro Alias agente Betulla Farina racconta la sua versione dei fatti riguardo alla collaborazione con i Servizi: nel giugno 2004, ricevette da Nicolò Pollari (l'allora direttore del Sismi), per il tramite di Pio Pompa, l'ordine di recuperare da Al Jazeera le immagini dell'esecuzione di Fabrizio Quattrocchi; è proprio in questa operazione che nasce il suo nome in codice, Betulla[3]. Sostiene anche di avere con il suo operato fornito ai servizi segreti informazioni nelle mani dei pubblici ministeri sul rapimento della giornalista de il manifesto Giuliana Sgrena, tenuta prigioniera in Iraq dall'Organizzazione della Jihad islamica[2], fatto poi confermato da Pio Pompa[2].
Nel giugno del 2006 Pio Pompa chiede a Renato Farina, di scrivere una cronaca contro Romano Prodi (pubblicata poi il 9 giugno 2006), per accusarlo di avere appoggiato la pratica dei trasferimenti straordinari quando era presidente della Commissione Europea.
Il 2 ottobre 2006 l'Ordine dei giornalisti lombardo lo sospende per un anno con l'accusa di aver pubblicato notizie false in cambio di denaro dal Sismi[7]. Sempre nell'ottobre 2006 la Procura ne chiede la radiazione dall'albo dei giornalisti[8]: la legge numero 801 del 1977 fa infatti divieto ai giornalisti professionisti di intrattenere rapporti con i Servizi segreti[4]. Il suo avvocato ha annunciato un ricorso[9] che è stato respinto dalla Corte d'Appello di Milano[10]. Infine, la terza sezione civile della Cassazione ha annullato la radiazione, poiché Farina si era già dimesso dall'Ordine dei Giornalisti quando l'Ordine stesso ne deliberò la radiazione.
Nel novembre 2006 Farina viene messo sotto scorta delle forze di polizia in quanto oggetto di intimidazioni anonime. Riceve nello stesso mese anche un finto pacco-bomba firmato «Fronte Rivoluzionario per il Comunismo»[11].
Procedimenti giudiziari 
Alla vigilia delle elezioni politiche italiane del 2006, Renato Farina pubblica su Libero un falso dossier, preparato dal Sismi, secondo cui Romano Prodi avrebbe autorizzato, come Presidente della Commissione Europea, le extraordinary rendition della CIA in Europa, come nel caso di Abu Omar. Per tale dossier Farina sarà condannato a sei mesi di reclusione per favoreggiamento, e radiato dall'Ordine dei giornalisti[12].

La condanna per favoreggiamento per il caso Abu Omar 
Nel dicembre 2006 il sostituto procuratore di Milano, Armando Spataro, chiede il rinvio a giudizio di Farina assieme ad altre 34 persone, nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento dell'ex imam di Milano, Abu Omar. Trentadue di esse sono accusate di concorso nel sequestro. Renato Farina (accusato di aver organizzato una falsa intervista con i magistrati con il solo scopo di raccogliere informazioni sull'indagine) e i funzionari del Sismi, Pio Pompa eLuciano Seno, devono rispondere invece di favoreggiamento[13].
Il 16 febbraio 2007, si è dichiarato colpevole del reato di favoreggiamento[13][14] nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento dell'ex imam di Milano, Abu Omarpatteggiando la pena di sei mesi di reclusione (commutata in una multa di 6.800 euro) [15].
Farina ha riconosciuto i fatti sostenendo di aver agito in nome dell'articolo 52 della Costituzione (Difendere la Patria è sacro dovere del cittadino). Ha ammesso di aver ricevuto denaro non come salario ma per rimborsi non per sé stesso e utili alla liberazione di ostaggi italiani in Iraq.
Radiazione dall'Ordine dei Giornalisti 
Farina è stato radiato dall'Ordine dei Giornalisti il 29 marzo 2007[1], dopo avere ammesso di aver collaborato, al tempo in cui era vicedirettore di Libero, con i Servizi segreti italiani fornendo informazioni e pubblicando notizie in cambio di denaro.[16] La legge numero 801 del 1977 fa infatti divieto ai giornalisti professionisti di intrattenere rapporti con i Servizi Segreti. La richiesta era stata avanzata dal Procuratore generale della Repubblica di Milano.
A partire dal 30 marzo 2007, Farina continua a collaborare nelle vesti di opinionista per Libero. Il direttore del quotidiano, Vittorio Feltri, ha specificato che Farina avrebbe continuato a scrivere "per noi in base alla Costituzione che consente fino ad ora la libera espressione del pensiero"[17].
La Cassazione annulla la radiazione dall'Ordine dei Giornalisti 
Con la sentenza numero 14407/2011, depositata il 30 giugno 2011, la terza sezione civile della Suprema corte ha annullato la radiazione da parte dell'Ordine dei Giornalisti di Renato Farina: «Il procedimento disciplinare doveva essere dichiarato estinto». Dopo le accuse, infatti, Farina si dimise e fu cancellato dall'albo dei giornalisti, salvo poi essere successivamente radiato dall'Ordine, cosa che non poteva accadere, perché Farina non era più iscritto all'albo, come stabilisce la sentenza [18]. Rimane valida la sanzione di sospensione dalla professione di 12 mesi inflittagli dall'Ordine di Milano nel settembre 2006, condanna già espiata [19].

La condanna per falso in atto pubblico 
Nel luglio del 2012, Renato Farina è stato condannato in rito abbreviato a 2 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di falso in atto pubblico. Il deputato Pdl, il 12 febbraio dello stesso anno, aveva fatto visita in carcere a Lele Mora, detenuto per bancarotta fraudolenta, insieme ad un'altra persona che non era autorizzata ad accedere al penitenziario. La giudice per le indagini preliminari di Milano non gli ha concesso né la sospensione condizionale della pena né le attenuanti generiche.[20] La parlamentare del Partito radicale Rita Bernardini ha definito la sentenza "lunare" facendo riferimento all'art. 67 dell'Ordinamento penitenziario (Legge 26 luglio 1975 n. 354) secondo il quale non occorrerebbe alcuna autorizzazione alle visite carcerarie per le persone che accompagnano determinate figure istituzionali, tra cui deputati e senatori.[21] In realtà una circolare ministeriale precisa che sono esentati dal richiedere l'autorizzazione soltanto i collaboratori dei parlamentari inquadrati con un contratto a prestazione continuativa, mentre la persona che in quell'occasione accompagnò Farina risultò essere un aspirante tronista, amico di Lele Mora[22][23].

Il coinvolgimento nel caso Sallusti 
Nel corso della puntata del 26 settembre 2012 di Porta a porta dedicata in parte al caso di Alessandro Sallusti[24]Vittorio Feltri afferma che Farina è l'autore del pezzo - firmato con lo pseudonimo Dreyfus - alla base della vicenda. La mattina successiva, l'ex giornalista ha confermato di essere l'autore dell'articolo in questione[25][26].

http://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Farina