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martedì 27 maggio 2014

Fondazioni bancarie, cosa rimane della filantropia tra un’inchiesta e l’altra. - Chiara Brusini

Fondazioni bancarie, cosa rimane della filantropia tra un’inchiesta e l’altra


Nel 2013 Cariplo, Compagnia di San Paolo, CRT, Cariverona e Cariparo hanno approvato erogazioni per un totale di 418 milioni. Di questi, 118 sono andati ad arte e cultura e poco più a ricerca e istruzione. Con qualche nome noto e un conflitto di interessi: Cassa di risparmio di Torino - il cui presidente siede nel cda dell'Editrice La Stampa - assegna risorse per comprare “Fiat Panda o equivalenti” destinate alla protezione civile.


Il loro nome negli ultimi tempi compare sui giornali più per i legami pericolosi con banche finite sotto inchiesta per mala gestione che per la loro attività primaria. Eppure le fondazioni bancarie che fanno riferimento all’Acri di Giuseppe Guzzetti (vicepresidente l’ex numero uno di Banca Carige Giovanni Berneschi, finito ai domiciliari giovedì scorso) dovrebbero essere innanzitutto gli enti per eccellenza deputati a finanziare attività senza scopo di lucro e di rilevante utilità sociale. Ma, anche da questo punto di vista, gli enti pubblico-privati nati a fine anni novanta con la legge Amato-Carli - relatore l’ex senatore Luigi Grillo tornato recentemente alla ribalta per il caso Expo - per sostituire lo Stato in capo alle banche pubbliche e perseguire finalità “di interesse pubblico e di utilità sociale” (grazie ai dividendi incassati dagli istituti controllati o partecipati) hanno sempre avuto un ordine di priorità un po’ diverso da quello del cittadino medio. E il contrasto diventa stridente in una fase di pesante crisi che vede oltre 1 milione di famiglie (i dati arrivano dall’Istat) non percepire alcun reddito da lavoro. Tant’è: nella rosa dei loro venti possibili settori di intervento, che spaziano dall’assistenza agli anziani alla sicurezza alimentare, passando per l’istruzione e la salute pubblica, le fondazioni continuano a privilegiare l’arte e i beni culturali. Un patrimonio ricchissimo che ha indubbiamente grande bisogno di fondi per la conservazione, il restauro e la valorizzazione. Resta il fatto, però, che a scapito delle primarie necessità sociali non tutelate, la scelta degli enti è quella di destinarvi oltre il 30% delle risorse - circa 1 miliardo ogni anno – a disposizione del sistema delle 88 fondazioni italiane. Che in pancia, va ricordato, hanno ancora partecipazioni in 15 banchee il 18% del capitale della Cassa depositi e prestiti (Cdp), la società pubblica che gestisce il risparmio postale.
I dati riassuntivi (relativi al 2012) raccolti dall’Acri, l’associazione che le raccoglie tutte e alla cui guida siede, da 14 anni, il sempreverde Guzzetti strenuo difensore delle sistema delle fondazioni, raccontano di un attivo complessivo di 51 miliardi – costituito per il 96% da attività finanziarie – e di erogazioni per 305,3 milioni ad Arte, attività e beni culturali, per 144,8 milioni a Educazione, istruzione e formazione e per 124 milioni all’Assistenza sociale. Seguono Ricerca (a cui sono stati destinati 118,5 milioni) e, al quinto posto,Volontariato, filantropia e beneficenza (117,3 milioni). Escludendo il caso eclatante della Fondazione Mps che non ha ancora pubblicato il bilancio 2013 e che negli ultimi anni ha abdicato al suo scopo sociale per non mollare la presa sulla disastrata banca senese, salvo poi delegare allo Stato il salvataggio dell’istituto, come impiegano le risorse i primi cinque enti italiani, cioè Cariplo (che ha in pancia il 4,9% di Intesa Sanpaolo, appena dato però in gestione a Quaestio capital management), Compagnia di San Paolo (che di Ca’ de Sass ha il 9,7%), Cassa di risparmio di Torino (azionista di Unicredit con il 2,5%), Cariverona (anch’essa socia di Unicredit, con il 3,5%) e Cariparo (proprietaria del 4,25% di Intesa Sanpaolo)? Nel 2013, tutte insieme hanno messo a disposizione dei territori 418 milioni di euro. Di questi denari 177 milioni sono andati alle attività con dirette ricadute sulle persone, dalla sanità al volontariato. Spulciando i bilanci non mancano però le sorprese. Ecco, nel dettaglio, come sono stati ripartiti i fondi.



DA CARIPLO 44 MILIONI A CULTURA, SPICCIOLI A OSPEDALI – La Fondazione Cariplo, presieduta da Guzzetti (al suo fianco Mariella Enoc e il numero uno di Confcommercio Carlo Sangalli), l’anno scorso ha registrato un avanzo di gestione di 209 milioni e deliberato la concessione di contributi a 1.047 progetti in tutte le province lombarde, per un controvalore totale 138,8 milioni. Ai quali vanno sommati 6 milioni di accantonamenti per i fondi regionali di volontariato. Si arriva così a quota 144,4 milioni, nettamente sotto la “media storica” che, tra il 1998 e il 2013, è stata di 180 milioni l’anno. La relazione sulla gestione indica che la fetta principale della torta, 44,1 milioni – comunque quasi il 10% in meno rispetto al 2012 – è stata devoluta ad arte e cultura: dal sostegno alle imprese culturali fondate da giovani, alle iniziative per “avvicinare nuovo pubblico”. Oltre 6 milioni sono stati destinati al bando “Valorizzare il patrimonio culturale attraverso la gestione integrata dei beni” e altrettanti a “Valorizzare le attività culturali come fattore di sviluppo delle aree urbane” (tra i beneficiari l’Associazione culturale Aprile – Esterni per il progetto Milano film network e Arci Milano per Spazio Mil_Carroponte).
Non mancano poi contributi “di carattere istituzionale”, concessi a pioggia – senza bando – alla Fondazione Teatro alla Scala (3,2 milioni) come al Piccolo Teatro (800mila euro), al Fondo ambiente italiano (250mila euro) come al Centro nazionale prevenzione e difesa sociale onlus (200mila euro). Seguono i Servizi alla persona, con 38 milioni, a cui vanno però aggiunti 19,8 milioni contabilizzati sotto la voce “filantropia e volontariato”. Nell’ambito dei servizi la fondazione milanese ha privilegiato assistenza sociale, attività internazionali e istruzione, a cui sono andati 21 milioni, housing sociale (6,15 milioni, di cui quasi 1 per il progetto Cenni di cambiamento di Polaris Investment, di cui la stessa Fondazione è socia), infrastrutture sociali (4 milioni) e inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati (3,2 milioni). Spiccioli, invece, a microcredito, ospedali e altri servizi sanitari.
E tra i destinatari di alcune specifiche “erogazioni istituzionali” spunta un nome recentemente salito agli onori delle cronache: l’Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone, struttura presso la quale Silvio Berlusconi sta svolgendo i servizi sociali in seguito alla condanna per frode fiscale, ha ricevuto 500mila euro. Il doppio rispetto al Banco alimentare. Al terzo posto per volume di erogazioni c’è poi, con 26,4 milioni, la ricerca scientifica (soprattutto medica, agronomica e sui nuovi materiali), la cui delega in cda è stata affidata a Catia Bastioli, ad di Novamont e neo presidente di Terna. In coda l’ambiente (10,5 milioni). Infine va sottolineato che Cariplo, nel 2013, ha centrato un tasso di rendimento del patrimonio netto del 10,09%, grazie a investimenti in azioni (40%), obbligazioni (altrettanto), valuta (13%) e “mission connected”, “che perseguono finalità coerenti con la missione istituzionale”. Tra questi, per esempio, quelli in Banca Prossima, in veicoli di private equity quali Clessidra, Mandarin e Equinox, in fondi infrastrutturali come F2i e di venture capital come Innogest e Next. Ma anche la quota in Cdp.
COMPAGNIA DI SAN PAOLO RIMANDATA IN TRASPARENZA  - La Compagnia di San Paolo, fresca di cambio al vertice – dopo l’addio di Sergio Chiamparino, candidato alla presidenza della regione Piemonte, la poltrona di presidente è stata occupata dal vice Luca Remmert, a lungo consigliere Unicredit – nel 2013 ha erogato al territorio 124 milioni, che salgono a quasi 130 se si tiene conto delle somme recuperate da stanziamenti di anni precedenti. Prima della crisi, nel 2007, la cifra ammontava a oltre 210 milioni. Altri tempi, anche in termini di risultati di bilancio: allora era in attivo per 467 milioni, ora solo per 176. L’ultimo esercizio a guida Chiamparino ha visto l’ente deliberare 781 stanziamenti. In testa le politiche sociali, con 47,3 milioni, seguite da ricerca e istruzione (41,7), patrimonio artistico (15,2), attività culturali (14,6) e sanità (5 milioni). Il bilancio, però, non dettaglia i singoli interventi e non riporta i destinatari. Tutte le informazioni in merito vengono di solito inserite nel rapporto annuale, che per il 2013 non è ancora disponibile. Per trovare qualche nome occorre scandagliare il sito web. E anche qui le informazioni sono parziali: il file con l’esito dei bandi dell’area politiche sociali, per esempio, è un lungo elenco di cooperative, associazioni, fondazioni, comuni e parrocchie “i cui progetti saranno oggetto di contributo”. Dentro – a dispetto della trasparenza – non c’è nemmeno un numero: “gli enti riceveranno comunicazione scritta riguardante l’ammontare deliberato”, informa la stringata nota.
L’ultimo progetto presentato punta a rivitalizzare – in collaborazione con il comune – gli antichi Quartieri militari della Torino settecentesca, trasformando entro il 2015 i palazzi di San Celso e San Daniele in un polo di ricerca sul Novecento. Oltre a erogare contributi, poi, l’istituto svolge anche attività di gestione diretta di progetti, attraverso una manciata di “enti strumentali” come l’Ufficio Pio, la Fondazione per la Scuola, il Collegio Carlo Alberto, l’Istituto superiore Mario Boella (ricerca nel settore ict) e la Human genetics foundation. Quanto agli investimenti, la compagnia vantava a fine 2013 un portafoglio di attività finanziarie del valore di 5,8 miliardi di euro, in recupero rispetto ai 5,2 del 2012 grazie a un rendimento che ha superato il 16 per cento. La partecipazione in Intesa pesa il 48%, gli investimenti mission-related (tra cui il fondo di social housing Immobiliare Abitare Sostenibile Piemonte) il 3 per cento.
CRT PUNTA SULL’ARTE E LE FIAT PANDA – Sul territorio piemontese la Compagnia di San Paolo “convive” con la potente fondazione Cassa di risparmio di Torino, nota come Crt. Sui cui conti 2013, pur chiusi con un avanzo di 42 milioni, pesano non poco il sostegno – leggi sottoscrizione dell’aumento di capitale – prestato alla Unicredit di Federico Ghizzoni e i minori dividendi incassati. Tanto che, già quest’anno, la fondazione potrebbe decidere di scendere sotto il 2,5% nel capitale della banca. Si vedrà. Certo è che la prima conseguenza è stata un calo delle risorse destinate al territorio: 41 milioni, meno di un quarto rispetto a quanto erogato nell’anno record 2009. Di questi, ben 22 milioni sono andati a “progetti propri”, cioè realizzati direttamente da Crt o da terzi ma sulla base di linee guida comunicate attraverso bandi o inviti a presentare proposte. L’area Arte e cultura è saldamente al primo posto, con 17 milioni spalmati su 647 interventi: si va dal “progetto proprio” Not&sipari per la promozione di musica, teatro e danza (2,8 milioni) al supporto a 17 istituzioni del territorio come Castello di RivoliFondazione Sandretto Re RebaudengoMuseo nazionale del cinema e Circolo dei lettori (4,8 milioni). Passando per gli 1,4 milioni a sostegno delle attività della Fondazione arte moderna e contemporanea, emanazione della stessa Crt. Solo 738mila euro, invece, a “iniziative e richieste del territorio”. Al secondo posto l’area Istruzione e ricerca, con 12,3 milioni per 143 interventi. Qui fanno la parte del leone – 4,8 milioni complessivi – il Master dei talenti (borse di studio per tirocini all’estero) e il progetto Diderot (corsi e conferenze per i ragazzi delle scuole primarie e secondarie), seguiti dalle borse di dottorato e ricerca e dai contratti per visiting professor stranieri offerti nell’ambito del progetto Lagrange (sullo studio dei sistemi complessi).
Buon ultimo il welfare, a cui sono stati destinati in tutto 10,7 milioni, divisi tra volontariato e filantropia (6,5, più 1,1 milioni andati ad alimentare il fondo speciale per il volontariato), salute pubblica (1,8) e “altri settori”. Con alcune curiosità, a voler essere maliziosi: 1,5 milioni sono andati al progetto Missione soccorso, che finanzia l’acquisto di autoambulanze – quasi sempre Fiat Ducato o Doblò, come emerge dalle immagini delle Giornate del soccorso – e al bando Safety vehicle, che assegna risorse da utilizzare per veicoli allestiti per le attività di protezione civile. “Fiat Panda o equivalenti”, specifica il regolamento diramato dalla fondazione, il cui presidente Antonio Maria Marocco, ex consigliere Unicredit, è stato nel cda della cassaforte degli Agnelli, Exor e siede ancora in quello dell’Editrice La Stampa – gruppo Fiat.
PER CARIVERONA DISAGIO AL PRIMO POSTO – Quanto a Cariverona, la fondazione presieduta daPaolo Biasi ha deciso l’anno scorso erogazioni per 61,5 milioni, di cui 17,2 a volontariato, filantropia e beneficenza. Su questi oltre 4 milioni sono stati concentrati sulla disabilità, 1,9 su azioni contro il disagio sociale (dormitori, centri accoglienza, un fondo di solidarietà per famiglie in difficoltà), 1,6 sui servizi per i minori in affido e altrettanto su progetti per i detenuti. Tutti gestiti da cooperative, comuni e diocesi del vicentino, del veronese e del bellunese. Altri 16 milioni sono andati a arte e beni culturali (di cui 4 per restauri), 14,3 a salute e medicina preventiva e riabilitativa (4,3 milioni per informatizzare le strutture sanitarie, 8,5 per l’acquisto di macchinari), 5,7 a istruzione e formazione (soprattutto dotazioni informatiche per le scuole, ma anche sostegno a corsi finalizzati all’inserimento nel mondo del lavoro), 4,5 all’assistenza agli anziani (sia a domicilio sia in strutture residenziali) e 2,4 alla ricerca. I fondi vengono assegnati attraverso bandi o per iniziative sollecitate direttamente dall’ente.
DA CARIPARO 13 MILIONI ALLE “CATEGORIE DEBOLI” - Infine la Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo ha approvato nel corso del 2013 l’assegnazione di 54 milioni di euro – a fronte di un avanzo di 55,6 milioni. Le somme maggiori (13,4 milioni) sono andate in questo caso all’assistenza e tutela delle categorie deboli. In particolare 3 milioni sono finiti in un fondo straordinario di solidarietà a favore dei disoccupati e 250mila euro a un progetto di sostegno per chi si prende cura dei malati di Alzheimer. Oltre 11 milioni hanno invece finanziato la ricerca scientifica, 10,9 arte e cultura (dalla mostra su Pietro Bembo a Padova agli archivi storici della regione), 8,5 progetti legati all’istruzione (il Polo universitario di Rovigo ha per esempio ricevuto 4 milioni per le attività didattiche) e 6,5 sono stati destinati a salute e ambiente. Sport, protezione civile, sicurezza alimentare e agricoltura si sono divisi la fetta più piccola, circa 3 milioni.

lunedì 30 settembre 2013

Intesa, uscita lampo per Cucchiani. Lascia la banca con 7 milioni.

Intesa, uscita lampo per Cucchiani. Lascia la banca con 7 milioni


L'istituto di credito anticipa i consigli di sorveglianza e di gestione dopo che le incertezze sulla guida del gruppo sono costati cari in Borsa. Carlo Messina è dato in pole per sostituire l'ad, mentre è smentito da più parti un possibile ritorno di Corrado Passera.

Uscita lampo di Enrico Cucchiani dal vertice di Intesa Sanpaolo. Nemmeno due anni di sua gestione e l’ex numero uno di Allianz è stato accompagnato alla porta della banca. Una parabola che si è consumata in fretta e con un’accelerazione nelle battute finali, durata soltanto cinque giorni da quando sono uscite le prime indiscrezioni su diversi siti, riprese e ampliate poi anche dal Financial Times.
Le previsioni indicavano che la partita si sarebbe chiusa martedì con le riunioni dei consigli (sorveglianza e gestione) già convocati. Ma i vertici capitanati dal presidente Giovanni Bazoli hanno capito che bisognava fare in fretta, anche perché le incertezze sulla guida della banca sono costati cari in Borsa, dove il gruppo ha bruciato 2 miliardi di capitalizzazione in poche sedute in un momento difficile per il settore, complicato dalla crisi politica.
E così la scelta di cambiare il vertice, legata soprattutto alle tensioni sorte all’interno degli organi di comando, e che peraltro dovrebbe portare nelle tasche di Cucchiani circa 7 milioni di euro tra stipendi mancati e buonuscita, è stata varata in tempi lampo. L’ormai ex consigliere delegato, tornato sabato da New York, ha incontrato nel pomeriggio di domenica Bazoli e Gian Maria Gros-Pietro (presidente del consiglio di gestione) per un chiarimento e per la consegna della lettera di dimissioni. A seguire, i consigli si sono riuniti in seduta straordinaria per prendere atto del passo indietro e nominare il nuovo consigliere delegato.
Scelta che dovrebbe ricadere nella persona di Carlo Messina, attuale direttore generale vicario e numero uno della rete di Intesa Sanpaolo, nota all’interno del gruppo col nome di Banca dei territori. Un manager che ha maturato la sua esperienza a Bnl e al Banco Ambrosiano, prima di arrivare a Intesa, nella quale dal 2008 ricopre anche il ruolo di direttore finanziario. E’ stato smentito da più parti, invece, un possibile ritorno di Corrado Passera, che pagherebbe gli insuccessi proprio dell’operazione Telecom, ma anche quella di Alitalia, che in Intesa non sono state dimenticate e peseranno sui bilanci dei prossimi mesi.
Cucchiani è accompagnato alla porta da Bazoli prima che esploda la bomba dei prestiti senza garanzia all’amico Romain ZaleskiIntesa, negli anni del boom finanziario, ha prestato 1,8 miliardi al finanziere franco-polacco per giocare in Borsa, di cui una cifra tra 800 milioni e un miliardo senza nessuna garanzia. Soldi ormai pressoché persi, tanto che nell’ultima semestrale Intesa ha passato 800 milioni nella colonna degli “incagli” che sono l’anticamere dalla perdita secca.
Pare che il manager con il passare dei mesi avesse creato parecchi malumori interni alla banca, e non solo nei rapporti con il top management. Tensioni interne, che poi hanno trovato un nuovo acme nelle settimane scorse quando Cucchiani al forum Ambrosetti venerdì 6 settembre ha dichiarato: “Zaleski è stato finanziato non soltanto da noi ma anche da altre banche. Io nel 2008 non ero neanche in Italia ma il punto fondamentale è quello di assicurarsi il miglior recupero di tutte le posizioni con rigore e sano pragmatismo“. E ha aggiunto: “Certamente andiamo avanti e ragionevolmente troveremo un accordo, una soluzione ragionevole. Per chi fa il mio mestiere l’importante è andare avanti e non giudicare il passato“.
Proprio l’assenza di Cucchiani lunedì scorso, mentre si decidevano i destini di Telecom attraverso il riassetto di Telco favore di Telefonica, contrapposta all’attivismo di Bazoli, avevano accelerato e dato fiato ai rumors sull’uscita di scena del manager.
Voltata la pagina su Cucchiani, Intesa avrà nuove importanti decisioni da prendere. In primis quella sulla governance. Tema che potrebbe essere già affrontato domani dai presidenti delle fondazioni azioniste del gruppo, che dovrebbero incontrarsi in giornata. Dopo diverse pressioni della Banca d’Italia, fatte proprie dalla Compagnia di San Paolo, primo azionista di Cà de Sass, i tempi sembrerebbero maturi per tornare alla governance tradizionale, in sostituzione del sistema duale nato in seguito alla fusione sull’asse Milano-Torino.

lunedì 1 aprile 2013

Domenico Siniscalco, il grande virtuoso dei conflitti di interesse. - Giorgio Meletti


Domenico Siniscalco, il grande virtuoso dei conflitti di interesse


L'economista torinese, presidente di Assogestioni, in teoria difende i piccoli azionisti, in pratica tratta con i poteri forti. Una rete di contatti costruita negli anni tra corridoi ministeriali e consigli di amministrazione. Lui, amico di tutti, fa in modo che tutti restino soddisfatti. A danno della collettività.

Se Silvio Berlusconi, del conflitto d’interessi, è l’incarnazione, Domenico Siniscalco ne rappresenta una sorta di monumento equestre. Infatti, se B. fa prosaicamente i suoi interessi a danno di quelli generali, il brillante economista torinese è portato dalla passione alla compenetrazione di tutti gli interessi in conflitto, in modo che tutti (e lui è amico di tutti) restino soddisfatti. A danno della collettività, ma non si può avere tutto dalla vita. La designazione dei consiglieri di minoranza per la prossima assemblea degli azionisti di Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana, è l’esempio più limpido del sistema-Siniscalco, malattia senile del capitalismo. Il docente è presidente di Assogestioni, che riunisce i fondi comuni di investimento. In nome della democrazia, i fondi presentano una loro lista per il consiglio delle società di cui hanno azioni, in modo da far entrare indipendenti che vadano lì a fare i cani da guardia, l’opposizione.
Lo snodo Assogestioni. Si scopre che Siniscalco per presentare la lista ha bisogno delle azioni di Fideuram ed Eurizon, i fondi di Intesa Sanpaolo, che naturalmente “non hanno partecipato alla designazione dei consiglieri di minoranza”. Per il capitalismo italiano le regole sono fisime per anime semplici, l’importante è che al potere ci siano galantuomini. Poco importa che i fondi italiani non siano la voce dei piccoli azionisti ma il braccio armato di banche e assicurazioni. Tre giorni fa Siniscalco è stato confermato alla presidenza di Assogestioni, con tre vice presidenti: uno delle Assicurazioni Generali, uno di Unicredit, uno di Intesa. Ma Siniscalco è notoriamente un galantuomo e anche persona dalla simpatia trascinante. Il suo curriculum è strepitoso. Professore ordinario a soli 36 anni, ha frequentato fin da giovane i corridoi ministeriali: con il suo maestro Franco Reviglio alle Finanze a soli 25 anni, poi con Massimo D’Alema a Palazzo Chigi, poi chiamato dall’amico di sempre Giulio Tremonti alla direzione generale del Tesoro, poi il 16 luglio 2004 diventa addirittura ministro dell’Economia quando B. e Gian-franco Fini decidono di far fuori Tremonti. La parentesi ministeriale dura 14 mesi. Tremonti si riprende la poltrona e l’ex amico si trova un lavoro alla Morgan Stanley prima che sia passato l’anno di “quarantena” previsto per gli ex ministri. Solo che nella legge farsa sul conflitto d’interessi Franco Frattini si è dimenticato la sanzione. Così l’Antitrust scrive al professore che ha violato la legge. Lui prende atto. Quando Siniscalco compila la lista dei consiglieri di minoranza di Intesa non gli fanno sicuramente velo gli incarichi da milioni e milioni di euro che Intesa ha dato alla Morgan Stanley da quando è presidente Assogestioni. Insomma, lui nomina i consiglieri di minoranza mentre tratta incarichi con quelli di maggioranza.
Doppio ruolo in Finmeccanica. Pensate alla Finmeccanica, dove nel 2011 Siniscalco ha spedito a controllare il numero uno Giuseppe Orsi due suoi amici piemontesi, l’ex capo della Fiat Paolo Cantarella e l’imprenditrice Silvia Merlo, il collezionista siciliano di consigli d’amministrazione Ivanhoe Lo Bello, e il francese Christian Streiff. Orsi, per niente spaventato dal rigore dei cani da guardia, telefona a Siniscalco e gli chiede di trovare (in nome delle quote rosa) qualche poltrona nei consigli d’amministrazione per la sua amica magistrato Manuela Romei Pasetti. Siniscalco dice che non vede l’ora. Ma Orsi lo richiama e gli chiede perché ancora non ha fatto niente, e il cane da guardia si scusa e giura che se ne occuperà “martedì”. Poi Orsi lo hanno arrestato, la Romei Pasetti è stata cacciata da Finmeccanica dova faceva il guardiano dell’etica, e Siniscalco ha continuato a chiedere notizie di Orsi non ai suoi consiglieri, ma a Ignazio Moncada, il potentissimo amico torinese suo e di Giuliano Amato reso celebre dalle intercettazioni di Orsi con Ettore Gotti Tedeschi.
Il tentativo (fallito) per Intesa Sanpaolo. Ma risale a tre anni fa lo spettacolo più ardito del kamasutra relazionale di Siniscalco. Eletto il 19 marzo 2010 alla presidenza di Assogestioni, un mese dopo il professore venne designato dalla fondazione Compagnia di San Paolo, primo azionista di Intesa Sanpaolo, per la presidenza della banca. Sembrava fatta, poi la cosa inciampò su una lotta di potere. Il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, difese oscuramente Siniscalco: “Sembra prevalere una logica dettata da poteri forti e autoreferenziali”. Oggi Chiamparino è presidente della Compagnia di Sanpaolo, e sta gestendo la conferma al vertice di Intesa di Giovanni Bazoli, lanciato verso i trent’anni di presidenza. Mentre Siniscalco è rientrato nei ranghi: da presidente della prima banca italiana a designatore di cani da guardia “indipendenti”. A Telecom Italia ha mandato il futuro ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, per l’Eni ha scelto il banchiere Alessandro Profumo. Controllori e controllati, una faccia una razza, per dirla alla greca. Dove ci stanno portando questi profeti della democrazia economica.

giovedì 3 gennaio 2013

Un miliardo in fumo in sei mesi. Ecco la socializzazione delle perdite finanziarie. - Costanza Iotti




Secondo le stime dell'Adusbef, negli ultimi dieci anni i risparmiatori hanno lasciato per strada qualcosa come 52 miliardi di euro di perdite, più di 46mila euro a testa per più di un milione di persone, un miliardo solo nei primi sei mesi del 2012. Ma il conto è al ribasso, perché tiene in considerazione solo i crac finiti in un'aula di un tribunale. Senza contare, quindi, le fregature del tutto legali.

Oltre un miliardo di euro. E’ il totale dei risparmi degli italiani andati in fumo soltanto nei primi sei mesi del 2012. E non per tasse, rincari o riduzione della busta paga causa cassa integrazione, ma per la malafinanza. Del resto la cosiddetta socializzazione delle perdite, contraltare della privatizzazione degli utili ora di gran moda nell’Europa della crisi che taglia il welfare a piene mani per tappare i buchi, è sempre stata di casa dove scorrono i soldi dei risparmiatori. Per dare un’idea delle cifre in gioco, secondo le stime dell’Adusbef i crac finanziari dal 2001 ai giorni nostri sono costati complessivamente 52 miliardi di euro che sono stati scuciti dalle tasche di 1,121 milioni di comuni cittadini, per una spesa media unitaria di 46.387 euro. E il calcolo è parziale, perché tiene conto solo dei casi finiti in Tribunale, ma infinite sono le vie, anche quelle legali, per privatizzare gli utili e socializzare le perdite. Tanto più in Borsa, dove i risparmiatori meno avvezzi ai giochi di prestigio sono soprannominati il parco buoi, ma dove chi decide di giocare si assume il rischio d’impresa. Senza contare i costi dell’intervento pubblico, delle perdite di posti di lavoro e delle conseguenza per il territorio. Anche per l’anno che ci buttiamo alle spalle, quindi, ce n’è per tutti i generi e tipi.
I GRANDI CLASSICI DEL CRAC. Con un costo stimato, sempre dall’Adusbef, in 860 milioni di euro il primo e 160 milioni il secondo, sono stati i casi Deiulemar e Banca Network a fare la parte del leone nella prima metà dell’anno coinvolgendo oltre 42mila risparmiatori. Per il crac della compagnia di navigazione di Torre del Greco delle famiglie Della Gatta, Iuliano e Lembo è stato disposto il giudizio immediato con la prima udienza in calendario per il prossimo 11 marzo. Ma sarà lunga sdipanare la matassa di una vicenda che ha dell’incredibile, dove i milioni raccolti presso i risparmiatori, ma anche vip locali e capiclan, non venivano messi a bilancio e depositati direttamente sui conti correnti personali del capostipite degli armatori, senza alcun controllo alla faccia delle normative sull’antiriciclaggio.
“Chi è causa del suo mal pianga se stesso”, ha commentato qualcuno. Che dire invece della vicenda di Banca Network Investimenti, Bni, il cui slogan era “Una banca efficiente. Sempre al tuo fianco”, salvo poi lasciare a piedi 69 dipendenti e 28mila correntisti che quest’estate si sono visti congelare i conti da un giorno con l’altro in attesa dell’intervento del Fondo di tutela dei depositi? Per non parlare della sorte degli obbligazionisti che avevano finanziato con oltre 32 milioni di euro la Sopaf dei fratelli Magnoni che aveva in mano la maggioranza della banca e che a sua volta è crollata in autunno sotto il peso di oltre 100 milioni di debiti. Ma che grazie alla riforma del diritto fallimentare in tema di concordati preventivi introdotta dal governo Monti con il decreto Sviluppo, viaggia ancora tra le tutele del concordato e il fallimento.
A secco, quindi, creditori e, ancor di più, i piccoli azionisti che soltanto nell’ultimo anno di scambi, in Borsa hanno assistito al tracollo del titolo che ha bruciato l’84% del suo valore. Proprio mentre il socio di maggioranza, Giorgio Magnoni fratello del più noto Ruggero, ex presidente di Lehman Brothers per l’Italia, “faceva affari d’oro nell’immobiliare sull’asse tra il Lussemburgo e la Germania”, come riportato dal quotidiano Mf lo scorso 12 dicembre. Immancabili, quindi, gli accertamenti in corso da parte della magistratura sulla vicenda Sopaf, come su quella di Banca Network che include gli investimenti in titoli rischiosi da parte dell’istituto A partire da quelli targati Lehman Brothers.
PRODOTTI BANCARI FINITI IN CLASS ACTION. Ma i soldi dei risparmiatori non finiscono solo nelle azioni delle società quotate in Borsa. Ci sono sia i prodotti finanziari più o meno strutturati, sia i banali conti correnti. Un’area piuttosto vasta e delicata, quindi, che quest’anno ha registrato il via della prima class action nei confronti di un gruppo bancario, Intesa SanPaolo. Oggetto del contendere, che potrebbe riguardare fino a 400mila clienti dell’istituto, alcune spese di conto che sono state introdotte dalla banca in sostituzione delle commissioni di massimo scoperto abolite per legge nel 2009 e giudicate illegittime da Altroconsumo, che ha promosso l’azione collettiva partita a settembre. Il termine per l’adesione è il prossimo 21 gennaio, mentre l’appuntamento in Tribunale a Torino per il conteggio finale delle adesioni è fissato per marzo.
In attesa degli esiti della più ampia inchiesta della magistratura sulla gestione della Banca Popolare di Milano di Massimo Ponzellini, si sta invece chiudendo con una conciliazione da almeno 40 milioni di euro la triste vicenda del convertendo allegro della Bpm, il bond ad alto rischio da 170 milioni di euro che era stato venduto nel 2009 senza la necessaria informazione a 15mila clienti della banca milanese oggi nelle mani di Andrea Bonomi. L’intesa, però, non porterà a grandi risultati per i consumatori secondo l’Aduc, unica associazione che non l’ha firmata commentando che “questi tavoli di conciliazione si risolvono in una buffonata a danno dei risparmiatori ed a vantaggio in primo luogo della Banca (che paga una piccola frazione di quello che dovrebbe sborsare), secondariamente delle associazioni che vi partecipano”.
MANCATI INCASSI. Notevole, poi, la lista delle fregature assolutamente legali. Come le uscite dal listino a prezzi convenientissimi per l’azionista di maggioranza, ma piuttosto deludenti per il piccolo investitore costretto giocoforza ad aderire alle Offerte pubbliche di acquisto (Opa) perché in minoranza. E’ il caso, per esempio, di Benetton, con la famiglia di Ponzano Veneto che a febbraio ha approfittato dei prezzi da saldo per ritirare dal mercato la società dei maglioncini a un controvalore di circa 270 milioni di euro pari a 4,6 euro per azione. Somma che secondo il Sole 24 Ore equivale pro quota a meno del solo valore degli immobili della società.
“Sempre meglio che niente”, commenta chi invece è rimasto a bocca asciutta. In caso di cambio di controllo di una società quotata, per offrire a tutti i soggetti coinvolti la stessa possibilità di guadagno, la normativa prevede infatti l’obbligo del lancio di un’Opa allo stesso prezzo per tutti gli azionisti. Legge che però si può aggirare. In prima istanza fermandosi alla soglia 29,99% del capitale, basta che non ci sia un accordo segreto con altri azionisti per avere comunque la maggioranza nelle assemblee dove si prendono le decisioni importanti senza pagare il dazio ai soci di minoranza. E’ proprio su questa ipotesi che sta indagando la Procura di Milano a proposito della vittoria del gruppo Salini sul rivale Gavio all’assemblea di Impregilo dello scorso luglio, che peraltro è stata dichiarata regolare dal Tribunale, anche se sulla sentenza pende un ricorso in appello. La questione non è da poco, anche perché tra la ragnatela di interessi che gravitano intorno alla società di costruzioni c’è l’appalto per il Ponte sullo Stretto di Messina con annesse penali da mezzo miliardo a carico dello Stato.
Ancor più delicato, coi tempi che corrono, il tema delle esenzioni dall’Opa nei casi accertati di salvataggio delle società in crisi. Come quello del gruppo Premafin-Fondiaria Sai che fu dei Ligresti che ha tenuto banco per tutto l’anno. E anche qui la Procura indaga, tra il resto, sull’ipotesi dell’esistenza di accordi irregolari nell’ambito dell’esenzione dal lancio dell’Opa concessa dalla Consob a Unipol, a patto che dal piano orchestrato da Mediobanca venissero cancellati i vantaggi previsti per la famiglia Ligresti, dato che avrebbero premiato l’azionista uscente e per di più responsabile del dissesto, lasciando a bocca asciutta gli altri investitori. Le clausole sono state cancellate, ma a fine luglio gli stessi Ligresti hanno fatto saltar fuori un ipotetico accordo segreto da 45 milioni con l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, che nella faccenda, in quanto creditore miliardario sia verso i Ligresti che verso Unipol, aveva tutti gli interessi a che l’operazione andasse a buon fine.
GRUPPI E CREDITI DA SALVARE. Ma quella del papello Nagel-Ligresti è sola una delle tappe della vicenda Ligresti al vaglio degli inquirenti tra Milano e Torino. Come è ancora tutta da giocare la partita entrata nel vivo nel 2012 sul salvataggio dei grandi gruppi quotati con una buona dose di debiti che non fanno dormire sonni tranquilli né ai banchieri, né ai grandi azionisti. E talvolta neppure allo Stato. Si va dall’immane debito dell’editrice del Corriere della SeraRcs, che coinvolge tutto quel che resta del gotha della finanza italiana che sul tema continua a prendere tempo, al buco del Monte dei Paschi di Siena, passando per Parmalat e Telecom Italia, a proposito della quale perfino un manager pubblico come Franco Bassanini si è appena unito al coro della richiesta di un incentivo statale, per aiutare la società soffocata da 30 miliardi di debiti frutto di una privatizzazione “sbagliata” ad aprire la rete agli altri operatori.
Quel che è certo, intanto, è che nel caso Unipol-FonSai i risparmiatori, inclusi quelli che avevano investito sulla compagnia delle Coop, oltre che con l’Opa mancata possono già fare i conti con l’evaporazione di investimenti per una somma complessiva compresa tra 300 e 400 milioni di euro. In quello del Monte dei Paschi, i soldi, 3,9 miliardi più altri 550 milioni potenziali per gli interessi, arrivano direttamente dal contribuente via ministero del Tesoro. Mentre su Parmalat pagano innanzitutto i dipendenti, che con la prevista chiusura di tre stabilimenti rischiano il posto di lavoro. Intanto l’azionista francese Lactalis si è premurato di vendere a Collecchio una sua società americana, portandosi a casa metà del tesoretto da 1,5 miliardi raccolto da Enrico Bondi con le azioni legali contro le banche per il crac di Calisto Tanzi, che era custodito nelle casse del gruppo. E che così ha finito col servire anche ad alleggerire i debiti dei francesi verso Mediobanca, che a Lactalis nel 2011 aveva prestato 410 milioni proprio per l’acquisto di Parmalat. Anche qui la magistrature è al lavoro, l’ipotesi a carico dei vertici della società è di appropriazione indebita. Ma è difficile che si arrivi a un punto prima di una decisione definitiva sulle sorti del centinaio di dipendenti italiani a rischio.

giovedì 8 novembre 2012

Passera: “Io indagato? Non c’è incompatibilità con ruolo di ministro nè con quello che farò”.


Passera: “Io indagato? Non c’è incompatibilità con ruolo di ministro nè con quello che farò”


L'ex banchiere rompe il silenzio sull'inchiesta di Biella: "Sono stato chiamato in causa oggettivamente come amministratore di una società del gruppo. Non è una responsabilità soggettiva ma oggettiva. Non è in alcun modo assolutamente incompatibile con quello che faccio oggi o potrei fare in futuro".

La posizione di indagato del ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, per il suo precedente ruolo di amministratore delegato di Intesa Sanpaolo non è incompatibile con l’attuale ruolo governativo o con altri incarichi futuri. Lo ha detto oggi lo stesso ex banchiere rompendo oltre quattro mesi di silenzio sul suo coinvolgimento nell’inchiesta che a fine giugno ha visto la Procura di Biella iscriverlo nel registro degli indagati per le presunte irregolarità fiscali del gruppo Intesa – da lui guidato per quasi un decennio fino allo scorso anno – nel 2006-2007.
“Sono stato chiamato in causa oggettivamente come amministratore di una società del gruppo. Non è una responsabilità soggettiva ma oggettiva. Io ero l’amministratore delegato della holding – ha detto – Non è in alcun modo assolutamente incompatibile con quello che faccio oggi o potrei fare in futuro”. All’interlocutore che di conseguenza gli ha chiesto se intende candidarsi alle prossime elezioni, Passera ha glissato con un: “Ne parlerò al momento giusto”. 
Un caso che potrebbe non essere isolato e nelle carte dell’indagine si legge di “sospette complicità” nell’istituto di credito con Marco Bus, forse il manager più importante della rete estera di Intesa, che è indagato per concorso in riciclaggio. Secondo quanto scriveva il 22 giugno scorso il gip Vincenzo Tutinelli, “Si ha motivo di ritenere che tale sistema sia messo a disposizione dei grandi gruppi economici italiani da funzionari ed ex funzionari del gruppo Banca Intesa Lussemburgo – con la probabile complicità della banca – per costituire fondi neri nel Granducato di Lussemburgo ed ivi riciclarli”.
Argomenti, quindi, piuttosto delicati, sia per un banchiere, che per un ministro della Repubblica e sui quali Il Fatto Quotidiano l’8 luglio scorso in un editoriale aveva chiesto almeno “qualche spiegazione” al ministro. Passera, però, sull’argomento fino ad oggi è stato piuttosto parco di spiegazioni. Tra le rare esternazioni sul tema, un laconico “per me ha già commentato la Procura”, in risposta alle domande di un cronista delFattoquotidiano.it che lo interpellava sull’indagine fiscale di Biella a ridosso dalla notizia.