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lunedì 8 gennaio 2024

La Meloni e il bavaglio sull'ordinanza di arresto.




 "La Meloni non vede bavagli nel divieto di pubblicare i contenuti dell’ordinanza di arresto..."

La Meloni dovrebbe sapere che noi, in quanto suoi datori di lavoro, abbiamo il pieno diritto di sapere tutto ciò che avviene nel Nostro paese, e lei, lavoratrice pagata da noi, non ha alcuna voce in capitolo per decidere che cosa sia lecito farci sapere.
Mi sa tanto che non abbia capito quale sia il suo ruolo e si senta in grado di sentenziare, in autonomia, tutto ciò che più le aggrada.

cetta

sabato 9 maggio 2015

Dagli al giornalista. - Marco Travaglio.



Confesso il mio doppio conflitto d’interessi: sono giornalista e sono anche uno di quelli spiati durante il governo Berlusconi-2 dal Sismi del generale Niccolò Pollari e del suo “analista” Pio Pompa e, per soprammercato, pure dalla cosiddetta Security della Telecom capitanata da Luciano Tavaroli (che in realtà lavorava in tandem con i servizi). 

Bene: a Perugia, nel silenzio generale, sta per concludersi il processo a Pio Pompa, nei cui uffici e appartamenti romani furono sequestrati nel 2007 ben 10 mila file. “In quei Cd, Dvd e hard-disk – ha ricordato il pm Massimo Casucci – sono stati rinvenuti dossier su giornalisti e magistrati, insieme a documenti su attentati e sulle questioni aperte riguardanti Iraq, Afghanistan e Nigergate. Quando è avvenuta la perquisizione, però, Pompa non faceva più parte dell’intelligence militare e dunque non poteva detenere quei file”. E perciò, dieci giorni fa, il pm ha chiesto la condanna di Pompa a 4 anni e mezzo di carcere per essersi procacciato documenti “atti a fornire notizie che nell’interesse della sicurezza dello Stato dovevano rimanere segrete”.

Ieri il sito del Fatto ha rivelato che, sentito come testimone, il generale Pollari – ex superiore di Pompa – ha invocato il segreto di Stato depositando una lettera che gli ha scritto Giampiero Massolo, direttore del Dipartimento Informazioni per la Sicurezza della Presidenza del Consiglio (il Dis, che coordina i servizi segreti militare e civile). Che dice Massolo? Che anche il governo Renzi, come i precedenti, ha deciso di apporre il segreto di Stato e addirittura di ricorrere alla Corte costituzionale per mandare in fumo il processo a Pompa. Ora, nei dossier sequestrati nel 2007, emergeva un sistematico dossieraggio su magistrati, politici e giornalisti considerati “ostili” a Berlusconi, definiti “bracci armati” di non si sa quale Spectre e dunque da “disarticolare”, “neutralizzare”, “ridimensionare” e “dissuadere”, anche con “provvedimenti” e “misure traumatiche”. 

Davvero il governo Renzi ha così a cuore la libertà di stampa e di pensiero da impedire verità e giustizia anche su quell’oscura vicenda? È vero, noi giornalisti siamo una categoria malfamata. Ma ormai il primo che passa si sente autorizzato a prenderci a ceffoni senza che nessuno dica o faccia nulla. È di questi giorni l’incredibile vicenda dell’Unità, che il Pd vorrebbe rimandare in edicola con i soliti soldi pubblici, ma abbandonando al loro destino i giornalisti delle ultime gestioni, lasciati soli a difendersi da querele penali e cause civili, a pagarsi gli avvocati e addirittura a farsi pignorare le case e gli stipendi.

Ed è dell’altro giorno la sentenza del Tribunale di Roma che dà torto a Sandra Amurri, giornalista del Fatto Quotidiano, e ragione all’ex deputato Dc e poi Udc Calogero Mannino, tuttora imputato a Palermo per violenza o minaccia a corpo dello Stato nel processo sulla trattativa Stato-mafia. L’antefatto è noto, almeno ai nostri lettori. 

Il 21-12-2011 Sandra Amurri, trovandosi al Bar Giolitti di Roma, a due passi da Montecitorio, ascoltò casualmente una conversazione fra due politici. Uno lo riconobbe subito: Mannino. L’altro lo identificò poi dalle foto scattate con l’iPhone: Giuseppe Gargani. Sentì dire fra l’altro a Mannino: “Stavolta ci fottono: dobbiamo dare tutti la stessa versione. Spiegalo a De Mita, se lo sentono a Palermo è perché hanno capito. E, quando va, deve dire anche lui la stessa cosa, perché questa volta ci fottono. Quel cretino di Ciancimino figlio ha detto tante cazzate, ma su di noi ha detto la verità. Hai capito? Quello, il padre, di noi sapeva tutto, lo sai no? Questa volta, se non siamo uniti, ci incastrano. Hanno capito tutto. Dobbiamo stare uniti e dare tutti la stessa versione”. E a Gargani: “Certo, certo, stai tranquillo, non ti preoccupare, ci parlo io”. Un caso di scuola di inquinamento delle prove. 

La Amurri raccontò sul Fatto quanto aveva visto e sentito e, chiamata dai giudici di Palermo a testimoniare sotto giuramento, confermò tutto. Mannino la insultò: “Mitomane”, “spia”, “agente volontario in servizio della Stasi in Germania o del Kgb nell’Urss”, “fantasia eccitata”, “delirio”, “menzogna organizzata”. La Amurri gli fece causa. Intanto, sentito come teste al processo Trattativa, Gargani confermava il colloquio (non, ovviamente, le parole) con Mannino nella data e nel luogo indicati. E il deputato Aldo Di Biagio, che l’aveva incontrata alla sua uscita dal bar Giolitti, testimoniava che subito la nostra giornalista gli aveva raccontato ciò che aveva appena sentito dai due politici. 

Ora il giudice di Roma dà ragione a Mannino e condanna la Amurri a pagargli 15 mila euro di spese legali. Ma, quel che è peggio, scrive nella motivazione che gli insulti sanguinosi di Mannino – i peggiori che un giornalista possa ricevere – sono “espressioni riconducibili all’esercizio del diritto di critica… proporzionate e strettamente collegate alle accuse mossegli nell’articolo” e “all’indebita interferenza della giornalista in una sua conversazione privata”. Già, perché qui la colpevole è la cronista: ha “abusivamente origliato il colloquio” e, anziché starsene zitta come fanno i conigli che non cercano rogne, l’ha denunciato e poi confermato ai giudici per aiutarli ad accertare la verità. 

La domanda è semplice: se io, comune cittadino o giornalista, ascolto al bar due persone che progettano un omicidio, o una rapina, o uno stupro, che devo fare? La sentenza non lascia dubbi: devo farmi i cazzi miei e lasciare che i due portino a termine il crimine. Altrimenti, se faccio il mio dovere di denunciarli, quelli potrebbero diffamarmi e, se reagisco, rischio di incontrare un giudice che mi accusa di averli abusivamente origliati violando la loro sacra privacy, e mi obbliga pure a rimborsarli con 15 mila euro. 

Una lezione di educazione civica.

http://temi.repubblica.it/micromega-online/dagli-al-giornalista/

martedì 27 novembre 2012

Mediaset vuole mettere il bavaglio al blogger: #siamotuttipablo. - Stefano Corradino


Pablo Herreros
Una tv (gruppo Mediaset) sfrutta una disgrazia. Un blogger invita gli sponsor a boicottarla e si becca una sonora denuncia.
Accade in Spagna: nel novembre 2011 un programma di Telecinco, emittente del gruppo Mediaset fondata da Silvio Berlusconi nel 1989, e non nuova a pesanti cadute di stile tanto da meritarsi l’appellativo di “telebasura” (tv spazzatura) decide di pagare 10mila euro per intervistare la madre di uno degli imputati dell’assassinio di Marta Del Castillo, 17enne sivigliana uccisa da un ex fidanzato e un amico, e il cui corpo non è mai stato ritrovato.
L’opinione pubblica è molto sensibile su questo tema, e la decisione di pagare la madre di uno degli assassini della giovane per presentarsi davanti ai teleschermi proprio non va giù agli spagnoli. Il blogger Pablo Herreros disgustato dalla trasmissione lancia un appello su www.change.org affinché gli inserzionisti del programma si ritirino, per non essere confusi con un programma “che paga gli assassini per intervistarli”. All’appello aderiscono decine di migliaia di persone in poche ore tanto da convincere alcuni dei più grandi marchi presenti in Spagna, a ritirare i propri spot dal programma. Poche settimane dopo il programma, La Noria, venne definitamente chiuso.
Mediaset non si scusa con i propri telespettatori per l’ennesima figuraccia ma, questa settimana ha denunciato per “minacce e coercizione nei confronti degli inserzionisti” il blogger Pablo Herreros e chiede 3,7 milioni di euro e 3 anni di carcere. E così la tentazione per i bavagli alle voci sgradite travalica i nostri confini: dall’Italia alla Spagna (ma sempre per mano italiana, o meglio berlusconiana) chi si ribella allo sfruttamento di una tragedia per qualche punto di share viene denunciato e intimidito.
La petizione che vi invito a firmare a sostegno del blogger Herreros e del suo diritto alla critica e alla libertà di espressione è per chiedere che i vertici di Mediaset ritirino subito la denuncia.
Se in Italia il servizio d’ordine mediatico di Berlusconi chiede che Sallusti non vada in carcere quantomeno per coerenza dovrebbe rifiutare la galera anche per il collega spagnolo.
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