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martedì 9 giugno 2020

Colao e le decisioni necessarie. - Gaetano Pedullà

VITTORIO COLAO

Vittorio Colao è uno dei manager più apprezzati al mondo, che per le cose incredibili che ha fatto non ha bisogno di dimostrare niente a nessuno, e che non può aver accettato di mettere la faccia in un grande progetto per far ripartire l’Italia se non per amore verso il suo Paese. Ora è chiaro che i retroscenisti dei grandi giornali, diventati più cinici dei vecchi politici a furia di farci lingua in bocca per decenni, inventano da settimane le storie più fantasiose, a partire da un disegno diabolico dello stesso Colao per fare le scarpe a Conte, come se le maggioranze si reggessero sui voti delle task force e non del Parlamento.
Le solite balle, insomma, alle quali il diretto interessato ha dato talmente peso da non perderci un minuto a replicare, e ieri insieme al suo gruppo di lavoro ha fornito una serie di suggerimenti per dare una direzione di marcia alla nostra economia. Un piano che dai primi commenti è giudicato generico, poco originale, secondo qualcuno addirittura copiato da Berlusconi, anche se temi come la digitalizzazione dello Stato, la rivoluzione green e una vera parità di genere tra uomini e donne nella società, nelle istituzioni e nel lavoro sono tanto trasversali a quasi tutti i partiti quanto immancabilmente disattesi ogni volta che destra e sinistra si sono passati il testimone alla guida del Paese.
Questa volta però c’è qualcosa di veramente nuovo, e cioè il metodo con cui il premier Conte ha impostato la scelta di una strategia industriale, dovendo forzare la mano al Pd pur di offrire finalmente un’occasione alla politica per diventare alta, per confrontarsi sulle grandi cose partendo da un documento preciso, e dirci finalmente quello che ci hanno tenuto gelosamente segreto per decenni: che tipo di sviluppo vogliamo, stabilendo una priorità perché non si possono fare negli stessi posti le fabbriche e il turismo, l’acciaio e il digitale, incentivare le automobili se non si sono i soldi per le infrastrutture immateriali, illudersi di risparmiare qualcosa su scuole e ospedali concentrandoli in grandi strutture mentre abbiamo bisogno di un’istruzione e di una sanità diffuse sul territorio.

giovedì 23 aprile 2020

Il piano della task force: poche riaperture e cautela. - Paola Zanca

Il piano della task force: poche riaperture e cautela

Dal 4 maggio - Tornano al lavoro meno di tre milioni di italiani, un terzo del totale: il gruppo di esperti guidato da Vittorio Colao consegna al premier la sua relazione.
Quattro pagine e un diagramma di flusso: uno schema esclusivamente mirato alla riapertura di una serie di attività produttive, il prossimo 4 maggio. E che – “se funziona” – potrà essere poi applicato in futuro per allargare la cerchia a quei settori economici che ancora devono rimanere chiusi. Così ha lavorato la task force guidata da Vittorio Colao, che ieri ha consegnato la sua prima relazione al presidente del Consiglio. Un lavoro fatto in una settimana, confrontando documenti, protocolli e altre esperienze extra-nazionali, ma che di fatto non entra nel merito di molte scelte che ora toccheranno alla politica. In pratica il primo passo con cui la fase 2 si mette in moto, non certo il ritorno alla normalità. E che riguarderà poco meno di 3 milioni di lavoratori, un terzo di quelli attualmente sospesi dall’emergenza coronavirus.
NIENTE “LIMITI”
Il premier boccia l’idea di tenere a casa gli over 60. Ancora nessun accordo sui trasporti.
D’altronde, al termine di una giornata di riunioni con i rappresentanti delle task force, i capidelegazione della maggioranza, le parti sociali e gli enti locali, è la stessa Presidenza del Consiglio a chiarire che tra due lunedì non ci sarà nessuno “stravolgimento”: la fase 2 comincia, ma nessuno immagini di tornare alla vita che faceva a febbraio. Già domani il premier dovrebbe essere pronto a illustrare agli italiani il dettagliato piano che allenterà – ma solo un po’ – le misure imposte dal decreto in vigore. Tornano al lavoro le aziende manifatturiere e quelle edili, riapre qualche negozio, si stempera leggermente l’imperativo del “restate a casa”, ma di fatto la parola d’ordine resta la solita: prudenza.
Perché le indiscrezioni che in questi giorni hanno riguardato le nuove misure del lockdown rischiavano di far passare il messaggio che il peggio è passato. E, purtroppo, così ancora non è. Non che si fosse parlato del ritorno alla normalità, sia chiaro: le passeggiate al massimo in due, la mascherina ovunque, le metropolitane con i distanziometri a terra, niente viaggi extra-regione. Eppure, il rischio che segnali di distensione eccessivi facciano breccia nell’opinione pubblica è avvertito un po’ da tutti: da Palazzo Chigi, dalla task force, figuriamoci dal comitato tecnico scientifico che rappresenta gli scienziati. E che infatti ieri sera ha invitato tutti a rispettare la “gradualità” delle riaperture.
Sarà così, d’altronde, anche secondo gli esperti che hanno scritto il primo paper per la fase 2: la mission che Conte gli aveva affidato era circoscritta, per il momento, all’organizzazione delle attività produttive costrette alla convivenza con il virus. Per questo i tecnici si sono concentrati sugli strumenti di “rarefazione” del numero di persone nei luoghi di lavoro: lo smart working innanzitutto, ma anche una tabella oraria che permetta di non concentrare nelle medesime fasce della giornata l’ingresso e l’uscita da fabbriche, uffici e negozi.
Un tema, come vi abbiamo raccontato più volte, che si incrocia inevitabilmente con quello dei trasporti: non ci sono ancora soluzioni sulla nuova organizzazione dei mezzi pubblici. Per ora, la previsione e l’auspicio, è che chi torna al lavoro non li usi proprio: la task force ha elaborato dei flussi secondo cui, con la riapertura delle attività del 4 maggio, autobus e treni resteranno più o meno vuoti come adesso, anche perché si tratta di imprese dislocate fuori dalle città. Il tema del trasporto pubblico si porrà con la ripresa della vita sociale che, ribadiamo, non è in programma per le prossime settimane. E riguarderà anche una questione sollevata ieri dalla sindaca di Roma Virginia Raggi: il “ristoro” dei mancati introiti di questi mesi. Nel capitolo dedicato ai trasporti della relazione consegnata ieri, comunque, si fa riferimento anche all’incentivo di nuove forme di mobilità, come la bici elettrica (non proprio la soluzione per Roma).
La cornice di ogni ragionamento, come ovvio, resta il controllo della curva epidemiologica: sono stati predisposti alcuni indicatori, delle clausole di salvaguardia, superati i quali si tornerà a provvedimenti restrittivi. Anche per questo i tecnici della task force avevano inserito un consiglio: vietare la ripresa del lavoro a chi ha più di 60 anni. Non solo perché si tratta della categoria più a rischio, ma anche perché è quella che – se si ammala – necessita con maggior probabilità del ricovero in terapia intensiva e rischia così di mandare di nuovo in sofferenza le strutture ospedaliere.
È l’unica misura, però, che Conte in persona ha bocciato: indigeribile per l’opinione pubblica italiana che ha pur sempre un terzo di popolazione in quella fascia d’età, tuttora attiva in molti servizi e professioni.