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giovedì 21 dicembre 2017

Etruria, il clamoroso autogol della Boschi. - Francescomaria Tedesco

Etruria, il clamoroso autogol della Boschi

Qualcuno deve aver suggerito a Maria Elena Boschi di dire di non aver mai esercitato “pressioni” su Federico Ghizzoni o altri per le questioni inerenti a Banca Etruria. In effetti si tratta di un tentativo di spostare l’asse della questione da un interessamento imbarazzante e indebito a “pressioni”
In questo modo, Maria Elena Boschi dopo aver costruito l’obiettivo polemico di paglia (le ‘pressioni’) può dire di non essere smentibile. Come se la sola stessa presenza di una ministra che ha il babbo implicato a vario titolo nella gestione del crack di una delle banche interessate non fosse di per sé una situazione anomala.
Ma i renziani compatti: “Tutto ok, noi ineccepibili”. 
Ricordo un concorso universitario in cui un professore, presidente della commissione esaminatrice che avrebbe dovuto valutarlo e candidato unico disse che al momento della decisione lui era uscito dalla stanza. 
Tanto più che emerge che sì, niente “pressioni”, hanno detto all’unisono sia Giuseppe Vegas che Ghizzoni, ma un certo interessamento un po’ insistente di sicuro, se si pensa che Renzi durante due dei primi tre incontri con Vincenzo Visco gli chiede di Banca Etruria e dell’oro aretino, inducendo il governatore nel primo caso a non rispondere su materie coperte da segreto ex art. 7 del Testo unico bancario e nel secondo a un sorriso di circostanza per la stranezza della domanda.

Si è appreso poi che anche la stessa Maria Elena Boschi ha chiesto sia a Vegas che a Visco di Banca Etruria. Nessuna delega da parte di Pier Carlo Padoan, peraltro l’unico investito, sempre secondo il Tub, a discutere con Bankitalia di quelle questioni. Inoltre, ieri è emerso che anche l’amico intimo di Renzi, suo braccio destro ed ex candidato dell’allora premier come responsabile della cyber security (nomina poi stoppata da Mattarella), era intervenuto presso Ghizzoni perché gli era stato chiesto (Carrai dice da un proprio cliente) “di sollecitarti per una risposta su Etruria”.
Il mantra di Renzi-Boschi è “preoccupati per il territorio” e “nessuna pressione”. Se un ministro della Repubblica o il presidente del Consiglio dei ministri chiedono qualcosa, e con insistenza, su una questione dalla quale si sarebbero per opportunità dovuti tenere distanti un miglio, non è una pressione? Tutti preoccupatissimi per Etruria e per la Toscana (anche se la Costituzione dice che il parlamentare “rappresenta la Nazione”, art. 67) e neanche un cane a chiedere, che so, l’acquisizione, per dire, di Banca delle Marche. Dice Ghizzoni: “non mi ha detto acquisite Banca Etruria!”. Ma questa non sarebbe una pressione, bensì un vero e proprio ordine, come quando dico al cane “Sitz!” per farlo sedere.

Cos’è una pressione, una testa di cavallo nel letto? Un coltello puntato alla gola? Pressione è un’altra cosa, la pressione dipende anche dal ruolo della persona che ti chiede di fare o non fare una cosa. Ma per capire la gravità della cosa c’è una persona che più di tutti può dirlo: Boschi stessa. L’attuale sottosegretaria aveva detto a proposito del libro di Ferruccio De Bortoli, nel quale l’ex direttore del Corriere della Sera scriveva che Boschi aveva chiesto a Ghizzoni “di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria”, di essere in presenza di “affermazioni evidentemente diffamatorie”, minacciando prima querela (mai giunta e ora impossibile per decorso dei termini) e di volere poi un risarcimento in sede civile dal giornalista e da altri (ma De Bortoli dice di non aver ricevuto, al momento, alcunché).
Ora Ghizzoni conferma quasi alla lettera la ricostruzione di De Bortoli. Dunque, se la logica non fa difetto, aver chiesto a Ghizzoni di “valutare l’acquisizione di Etruria” è per Boschi stessa una cosa grave, gravissima, tanto che chi lo dicesse si beccherebbe una querela e una causa civile per risarcimento. Ma la Boschi lo ha chiesto, come dice Ghizzoni confermando De Bortoli. Dunque la gravità del fatto è la stessa Maria Elena Boschi ad averla certificata, parlando di quel fatto – prima che Ghizzoni lo confermasse – come una cosa inaudita, grave, mai avvenuta. Fosse stato tutto normale, Boschi avrebbe detto “Sì, ho chiesto a Ghizzoni di valutare l’acquisizione di Banca Etruria, embè?”. E invece la cosa è grave, gravissima. Ipse dixit.

mercoledì 10 maggio 2017

Renzi e i suoi segreti: "Quella scenata a tavola che imbarazzò Agnese". - Ferruccio de Bortoli



De Bortoli nel suo libro stronca l'ex premier: "Se Berlusconi avesse minacciato il cronista..."

Matteo Renzi è un grande comunicatore. È una delle sue tante qualità. Ma forse lo è persino troppo. Il brillante ex sindaco di Firenze ed ex premier si è avviluppato in una bulimica bramosia di presenzialismo e di gestione del potere nel dedalo infinito dei propri messaggi, sms, WhatsApp, Facebook, Twitter.
Ha creato egli stesso un gigantesco groviglio del quale alla fine è rimasto prigioniero(...). L'insieme della sua comunicazione studiata in occasione del referendum del 4 dicembre 2016 con l'inutile e costosa consulenza del guru Jim Messina è risultato invece eccessivo, sovratono, insincero. Un torrenziale discorso pubblico che ha prodotto una cacofonia indigesta. Dopo tre anni al governo, l'immagine del rottamatore sbiadisce inevitabilmente. Si è un po'meno giovani, non si è più outsider. E da palazzo Chigi si è poco credibili nell'usare con disinvoltura il linguaggio dell'antipolitica.
Renzi ha la leadership nel sangue, la alimenta sin da giovane, ma dà l'impressione costante di non riconoscere radici né di preparare eredità. Nella sua simbologia politica non c'è una storia cui ispirarsi nemmeno la Dc di La Pira , non c'è un'eredità da lasciare, di cui farsi carico. C'è lui e basta. Quello che c'era in precedenza è tutto da buttare, la Prima Repubblica, i partiti, il consociativismo e in parte non si può che dargli ragione , ma nel dopoguerra il Paese è diventato, pur con un governo ogni anno, la settima potenza industriale al mondo. Per fortuna, dunque, c'è stato un prima. Qualche merito andrebbe riconosciuto. E, parallelamente, quello che verrà dopo di lui non gli interessa più di tanto. Il governo Gentiloni è espressione della sua maggioranza, una costola del renzismo. Lo si potrebbe definire un esecutivo su procura renziana. Ma fin dal momento della sua formazione, la preoccupazione di Renzi è stata solo quella di garantirsi una quota di potere personale, esercitabile con i suoi più fidati collaboratori, Maria Elena Boschi e Luca Lotti, non di far sì che il governo retto dal suo ministro degli Esteri, espressione del partito di cui è segretario, sia messo nella condizione di fare il meglio possibile. È un atteggiamento da statista? Non mi sembra. (...). L'ossessione dell'istante, la concentrazione sul presente e la visione tolemaica del potere, sono tratti significativi anche della comunicazione di Renzi. (...). 
L'Italicum (ma tutti quelli che l'hanno votato non hanno nulla da dire?) era una legge perfetta: «Sarà copiata da mezza Europa» (marzo 2015). I titoli del Monte dei Paschi, ormai risanato, erano assolutamente da comprare nel gennaio del 2016. Un premier che dà consigli di Borsa non s'era mai visto. Per non parlare della catastrofe economica di cui sarebbe stato vittima il paese se avesse vinto il No al referendum.(...)
Anche il Corriere ha sempre visto con una certa simpatia e con l'adesione di alcuni suoi commentatori e giornalisti l'ascesa di Renzi alla segreteria del partito, sia nelle primarie perse, nel novembre-dicembre 2012, sia in quelle poi vinte l'8 dicembre 2013. Se ne lamentarono i bersaniani. Renzi appariva l'espressione della modernità, il coraggio della rottura, seppure già allora con qualche uscita temeraria e un solipsistico complesso del potere personale.
Perché allora i rapporti si sono poi così irrimediabilmente deteriorati? Non escludo di aver avuto qualche colpa personale. Avrei dovuto chiamarlo, chiedergli un incontro (cosa che feci in seguito, quando era già segretario del Pd, ma non fu mai possibile). Avendolo definito un «maleducato di talento», devo ammettere che un po' maleducato con lui sono stato anch'io. Un giorno arrivò in via Solferino, era il 22 novembre 2012, per essere intervistato dal Corriere.it. C'erano le primarie che avrebbe perso al ballottaggio con Bersani. Io non sapevo che sarebbe arrivato. Mi avvisarono solo all'ultimo momento. E, nella preoccupazione di non far tardi al mio appuntamento, parlai con lui solo qualche minuto nel corridoio. Un po' in fretta, lo riconosco. Avrei dovuto invitarlo nella mia stanza e trattarlo con maggior riguardo. Con Renzi c'era Maria Elena Boschi. Sono stato scortese anche con lei.
(...)
L'episodio che mi lasciò di stucco accadde in occasione delle sue brevi vacanze siamo nell'agosto del 2014 in un albergo di Forte dei Marmi di proprietà di un suo amico. Il collega Marco Galluzzo, che lo seguiva con professionalità e rispetto, prese una stanza nello stesso albergo. Niente di male. L'albergo era aperto a tutti. Non riservato solo a lui. Il messaggio del presidente, particolarmente piccato, lamentava una violazione inaccettabile della sua privacy. Aveva incontrato Galluzzo nella hall e il collega lo aveva salutato. Tutto qui. Io stavo al mare, in Liguria, non sapevo assolutamente nulla. Al telefono, Galluzzo mi spiegò di essere stato avvicinato dalla scorta del premier che gli aveva intimato di lasciare subito l'albergo. 
Questo il suo racconto: 
«Mi avvicinai al tavolo del ristorante dove cenava, nella terrazza dell'albergo, con la moglie e i figli. Mi fu possibile solo salutarlo e per un attimo stringergli la mano, poi cominciò a gridare, lasciando di stucco i tavoli degli altri ospiti, gruppi francesi, tedeschi e russi. E anche Agnese, che mi rivolse uno sguardo di comprensione, quasi di vergogna. Gridava talmente forte, inveendo contro il Corriere che invadeva la sua privacy, che la scorta accorse come se lui fosse in pericolo. Venni anche strattonato. Dovetti alzare la voce per dire al caposcorta di non permettersi. Lui reagì minacciandomi. Mi disse che tutta la mia giornata era stata monitorata, dal momento in cui avevo prenotato una camera nello stesso albergo, e che di me sapevano tutto, anche con sgradevoli riferimenti, millantati o meno conta poco, alla mia vita privata». Insomma, intollerabile. Se Berlusconi avesse fatto una cosa simile saremmo tutti insorti. Quella fu l'unica volta nella quale risposi a un sms di Renzi, dicendogli in sostanza che non volevamo assolutamente attentare alla privacy della sua famiglia era sempre in un luogo aperto al pubblico non era accettabile che il collega venisse minacciato dalla sua scorta. E con quella frase sibillina sul giornalista spiato, poi. Seguì sms di risposta. Più morbido. Per tagliar corto. Il 24 settembre 2014 uscì sul Corriere il mio editoriale dal titolo «Un nemico allo specchio» nel quale criticavo la gestione del potere renziano.
(...)
Renzi doveva guardare il suo nemico allo specchio: se stesso. La sua bramosia di potere, il suo protagonismo esasperato che aveva ridotto alcuni ministri a deboli comparse. La sua tendenza a circondarsi di amici, più fedeli che leali.
(...)
Il passaggio del mio articolo che ha fatto più discutere è quello sull'odore stantio di massoneria. Preciso: non ho mai scritto e nemmeno pensato che Renzi sia un massone in una regione nella quale un po' tutta la classe dirigente lo è. Mi chiedevo soltanto, parlando del patto del Nazareno che teoricamente avrebbe dovuto riscrivere le nuove norme della Costituzione ed eleggere il nuovo presidente della Repubblica, se le vicinanze tra esponenti dei due schieramenti, in terra toscana, fossero spiegabili anche con quell'appartenenza. Una domanda legittima. Una richiesta di trasparenza nel momento in cui si metteva mano addirittura alla Costituzione. Non c'è nulla di male nell'essere iscritti. Non nego i meriti storici della massoneria, anche se ho visto da vicino le sue deviazioni. (...) Ho esagerato, forse, ma nulla mi toglie dalla testa che nel dedalo di rapporti di quella che Ernesto Galli della Loggia sul Corriere ha chiamato «consorteria toscana», le appartenenze massoniche un ruolo lo abbiano giocato e continuino a giocarlo.

De Bortoli accusa Boschi su Banca Etruria. Lei,è fango. - Cristina Ferrulli


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"Chiese a Ghizzoni acquistarla".Banca smentisce. M5S, si dimetta.


Maria Elena Boschi finisce ancora una volta nella bufera per la vicenda di Banca Etruria, di cui il padre Pierluigi era vicepresidente. L'ex direttore del Corriere Ferruccio De Bortoli nel libro 'Poteri forti (o quasi)' denuncia che l'allora ministro delle Riforme, nel 2015, chiese all'ad di Unicredit Federico Ghizzoni "di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria". Un'accusa pesante che Boschi respinge al mittente: "Mai fatto una richiesta del genere, è un'ennesima campagna di fango" si indigna la sottosegretaria che dà mandato ai legali. Ma Beppe Grillo crede alla versione del giornalista e chiede le dimissioni della fedelissima di Renzi alzando uno scontro politico con il Pd.
De Bortoli dedica un capitolo delle sue memorie giornalistiche a "Matteo Renzi, ovvero la bulimia del potere personale", ammettendo, anche per colpa sua, rapporti personali "difficili" e sostenendo che "l'attacco al 'Corriere' faceva parte di una sorta di strategia contro i cosiddetti poteri forti". Poi, a pagina 209, accusa la ministro di pressioni sui vertici di Unicredit.
"Non ebbe problemi a rivolgersi direttamente all'amministratore delegato di Unicredit", scrive De Bortoli, per chiedere di valutare la possibile acquisizione della banca, dove aveva lavorato il padre, ma la richiesta non andò in porto perchè Ghizzoni, dopo valutazioni patrimoniali, decise di lasciar perdere. Ma fonti vicine alla banca chiariscono che Unicredit non ha subito pressioni politiche per l'esame di dossier bancari compreso quello di Banca Etruria. Boschi nega ogni denuncia e si rivolge agli avvocati "a tutela del suo "nome" e del suo "onore": "Ho incontrato Ghizzoni come tante altre personalità del mondo economico e del lavoro ma non ho mai avanzato una richiesta di questo genere".
Indignata e "stupita per questa ennesima campagna di fango" la ministra renziana che sfida "chiunque a dimostrare il contrario". Come prevedibile, il caso dà fuoco alle polveri dello scontro politico. Ma tra i renziani, se l'attacco politico viene messo in conto, l'accusa dell'ex direttore del Corriere fa montare i sospetti. "Ci stanno provando in tutti i modi" a far fuori Matteo Renzi, è la tesi che gira tra i fedelissimi convinti che i poteri forti vogliano evitare in ogni modo il ritorno dell'ex premier a Palazzo Chigi. L'accusa invece fa presa sui 5 stelle. Di Maio, prima, e Beppe Grillo dopo chiedono le dimissioni della sottosegretaria e il leader M5S annuncia che si valuteranno "anche possibili azioni sul fronte giudiziario". Ma Boschi, come i vertici del Pd, va all'attacco della "strumentalizzazione" dei grillini fatta solo per nascondere "le proprie difficoltà sui rifiuti a Roma o per l'audio a Palermo". E in serata il tesoriere dem Francesco Bonifazi annuncia un esposto contro Grillo. "Si occupino dei problemi della gente e non di fare gli aspiranti pm - attacca Ettore Rosato - visto che non hanno nè i criteri morali nè le capacità giuridiche".